La vespa e l'orchidea
di Enrico Mastropierro

L’esigenza di liberazione del movimento femminista, così come quello di qualunque soggetto “minoritario” (i movimenti di liberazione razziale, di liberazione sessuale, per l’ottenimento dei diritti dei lavoratori, ecc…) non può non maturare che partendo dall’ inconscio stesso, investendo il campo sociale da parte del desiderio, disinvestendo le strutture repressive(1), puntando a demolire la razionalità dispotica. L’investimento inconscio stesso deve essere il punto di partenza di ogni processo di liberazione, ma “i rivoluzionari dimenticano spesso, o non riconoscono volentieri, che si vuole e si fa la rivoluzione per desiderio, non per dovere.”(2)
Tale processo di disinvestimento, di antagonismo alle strutture repressive deve perseguire “il rinnovamento dell’uomo [che] scaturisce dalla stessa forza di negazione”(3), avviando un processo di ‘spiazzamento’ e di inversione dei valori, apertura al ventaglio del possibile, assunzione di un movimento reale che rovescia lo stato di cose presente.
L’apertura al divenire è la condizione di liberazione per il desiderio, ovvero “abbandono delle forme”(4), procedere per le vie di fuga, condizione di liberazione per la forza di amare, “movimento reale dell’inversione nietzscheana, dove i nuovi valori non devono essere cercati al di là dello stesso processo di inversione, poiché l’inversione perviene a modificare proprio il senso del valore.”(5)
Questo dispiegarsi di orizzonti assume il divenire come apertura reciproca, nel percorrere vie di fuga alimentate dalle gioie per le differenze altrui(6), come condizione di partenza per percorsi rizomatici; per le molteplicità in divenire, voce e prassi di liberazione dei soggetti minoritari.
La carica libidica maturata nell’Es sotto forma di produzione desiderante è animata dalla dinamica del divenire, mentre il libero fluire del desiderio nel campo sociale è la condizione per l’espressione del divenire di nuove forme. Esse sono in primo luogo le nuove forme della relazionalità come nuova condizione per la micropolitica desiderante. Affrancando il desiderio come forza di amare lo si assume come gioia per le differenze altrui, per il molteplice che ciascuno è per sé e per gli altri. Le nuove forme della relazionalità, attenendoci alla definizione nietzscheana esposta nei Frammenti postumi scritti nei primi mesi del 1880(7), assumono ciascuno come predone dell’altro, per soddisfare il bisogno nutrizionale del nostro assorbimento intellettuale.(8) Nello specifico il prendere è privato della logica appropriativo-accumulativa(9) e ridefinito secondo la declinazione deleuziana dell’incontro come un divenire o delle nozze(10), per cui ciascuno trova e cattura nell’altro qualcosa che non è o non ha. Al punto che Nietzsche definisce ognuno come esito di furti, metaforicamente intesi, poiché ciascuno, in una relazione di onestà, prende dall’altro e restituisce all’altro elementi e fattori del vissuto, per certo non le stesse cose colte, ormai combinatesi inestricabilmente con altre.(11)
L’apertura all’altro si definisce come un procedere per alleanze, un agire in uno spazio preso nel mezzo, uno spazio animato dal divenire, in una terra di nessuno.
Deleuze e Guattari adoperano una comune immagine della natura per illustrare il processo del divenire: la coppia vespa e orchidea. La vespa e l’orchidea sono legate da una comune deterritorializzazione. La vespa diventa parte dell’apparato riproduttivo dell’orchidea, fiore che a sua volta, diventa oggetto di un orgasmo della vespa liberata dalla propria riproduzione. Quindi coesistono diversi movimenti che definiscono la linea di fuga.(12) Non si tratta d’incontrarsi a metà strada o di assumere le sembianze dell’altro, ma è quasi un tradimento delle forme chiuse, per intraprendere un percorso, per far esprimere la dinamica degli affetti e delle alleanze.
E’ un processo che non produce altro che se stesso, è un proseguire per alleanze, alleanze alla maniera dei predoni, in cui si incontra e si cattura, si prende dall’altro. Si tratta di un processo che anzitutto presuppone la relazionalità del divenire stesso, e che assume la centralità di ciascuno come somma di relazioni nella sua specifica molteplicità che fa del prendere dall’altro un movimento necessario. Fondamentale in questa relazione è la reciprocità del movimento del prendere e del dare.
Deleuze e Guattari nei Ricordi di uno spinoziano, II, contenuti in Come farsi un corpo senza organi?, definiscono gli affetti come dei divenire, continuando a porsi la domanda di Spinoza che cosa può un corpo?(13) Gli affetti indicano quello che un corpo e una mente possono e quello che un corpo e la mente sono. Di qui la necessità di assumere il corpo e i pensieri come potenza e l’assunzione delle macchine desideranti come attori primari del campo sociale, politico ed economico in ragione della loro peculiare ‘praticità’. Questa è allo stesso tempo la definizione di una morale antitetica a quella della salvezza, perché si pone al centro la prassi in quanto si insegna alle macchine desideranti, essendo sede degli affetti, a vivere la propria vita, non a salvarla. Da ciò emerge la dimensione primariamente micropolitica e conseguentemente macropolitica della produzione desiderante, che si sottrae al paradigma della mancanza che la rinchiudeva nelle mura domestiche. E’ la piena affermazione della prassi di contro al depotenziamento politico operato dalla trascendenza, piena rivendicazione della produzione desiderante che sfugge all’ideologia della privazione che, invece, poneva la sua dimensione pratica come mancante.
Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo indicano quanto è necessaria la mancanza nell’organizzazione del potere e quanto è necessario destituire il desiderio da ogni sua dimensione primariamente pratica e attiva, per rapportarlo nel continuo confronto con la privazione stessa. I due pensatori francesi sostengono che “se il desiderio è assunto come mancanza dell’oggetto reale, la sua stessa realtà risiede in un’essenza della mancanza che produce l’oggetto fantasmato”(14). In pratica legando il desiderio alla mancanza lo si pone su un altro mondo, quello fantasmato, quando invece il desiderio è la sola produzione del reale, sola condizione di esistenza degli affetti. Clement Rosset illustra il seguente itinerario intellettuale per descrivere il rapporto tra desiderio e oggetto del desiderio: se “la mancanza di cui manca il desiderio per definire l’oggetto si […riferisce] all’inaccessibilità dell’oggetto […], il mondo si vede raddoppiato in un altro mondo (quale che sia) in […virtù del fatto che] l’oggetto manca al desiderio; dunque il mondo non contiene tutti gli oggetti, ne manca almeno uno, quello che è oggetto del desiderio; dunque esiste un altrove che contiene la chiave del desiderio (di cui manca il mondo).” (15) “Questa pratica del vuoto […] è l’arte di una classe dominante: organizzare la mancanza nell’abbondanza di produzione, far spostare tutto il desiderio verso la grande paura di mancare, far dipendere l’oggetto da una produzione reale che si suppone esterna al desiderio[…], mentre la produzione del desiderio passa nel fantasma”.(16) L’arte della classe dominante crea e istituisce fantasmi di gruppo, spacciandoli come esigenze e mancanze di volta in volta travestite da feticcio consumistico, paure economiche, sociali, politiche.
Deleuze e Guattari sostengono che le macchine desideranti non sono prive dell’oggetto del desiderio, né che esso risieda in un fantomatico altrove, poiché l’oggetto del desiderio è condizione del desiderare stesso, poiché è potenza di esistere in virtù degli affetti che compongo i piani d’esistenza. Di conseguenza privare i piani d’azione delle macchine desideranti dell’oggetto del desiderio è un’operazione fortemente politica, poiché si ostruisce la dinamica del divenire, ovvero si depotenziano le forze d’agire, di fatto annullando la potenza degli affetti. La potenza degli affetti ha “un risultato positivo […quando] l’uomo si sforza di organizzare i propri incontri, cioè […] quelli che convengono [alla] sua natura e si compongono con lui. […]Questo sforzo è quello della città […] conducendo l’uomo ad aumentare la sua potenza d’agire.”(17) E’ una questione di investimento oggettuale delle cariche libidiche e pertanto riguarda il funzionamento delle singole macchine desideranti, perciò l’esercizio delle sovranità (riguardanti tutte le determinazioni sociali, politiche, economiche) deve necessariamente gestire i flussi libidici.
La sovranità è regolazione dei flussi e quindi è micropolitica, la quale è gestione e controllo degli inconsci e pertanto anche creazione e gestione permanente delle paure. L’effettualità politica delle stesse è materialmente possibile grazie alla pervasività della microfisica del potere(18) e teoricamente in atto in virtù dell’ideologia della mancanza. L’ideologia della mancanza, inibendo i processi della produzione desiderante, fa accettare la contemporaneità come il migliore dei mondi possibili, di fatto occludendo le dinamiche e le dialettiche del divenire. L’operazione di controllo degli inconsci richiama un apparato di surcodificazione, cioè un insediamento nelle maglie del tessuto socio-economico che passa necessariamente attraverso la sovradeterminazione delle estensioni sociali spaziali e temporali. Di fatto la realtà dell’attuale sistema produttivo giace sull’onnipresenza nel tempo e nello spazio del capitale che opera la compressione degli spazi nell’azzeramento del tempo. La realtà totalizzante del capitale è tale perché vive nella segmentarietà delle microorganizzazioni sociali e negli inconsci delle macchine desideranti ed è così efficace perché si oppone alla macropolitica per la sua maggiore plasticità e flessibilità, operando quotidianamente in tutte le parcellizzazioni di potere (scuole, chiese, caserme, ospedali, ecc…)(19). Le parcellizzazioni di potere molecolare lavorando sulle pulsioni libidiche di fatto dirigono i percorsi compiuti dalle vie di fuga, perché la politica è microdeterminazione e gestione di desideri.
Il desiderio definisce il divenire e le vie di fuga, creando una sorta di cartografia dei piani sociali, attraverso le dinamiche delle vie di deterritorializzazione, cioè percorrendo i movimenti di elusione dei centri di potere. Deleuze e Guattari definiscono questi ultimi come dei buchi neri che avviluppano la potenza politica immanente il tessuto socio-economico. Il divenire vive di questo processo di sperimentazione della potenza degli affetti, manifestandosi come forma antitetica e radicale rispetto alla velocità e alla potenza di sussunzione del capitale. Quest’ultimo, in virtù della proprietà esercitata sulla capacità lavorativa del corpus sociale, subordina ogni forma di produzione materiale, prima solo modificando le condizioni sociali del suo svolgimento, poi modificando le sue stesse condizioni materiali. La sussunzione del tessuto sociale innesca al tempo stesso la composizione antagonista della produzione desiderante mossa dalla potenza degli affetti per quello che i corpi e i pensieri possono e sono. Il divenire è l’emersione del pensiero non più solo come coscienza e del corpo non più solo come organismo; è il movimento di sottrazione ai centri dispotici, è l’esistenza umana come movimento, nel costituirsi materiale della soggettività antagonistica come volontà e desiderio di andare avanti, forza e volontà di autodeterminazione. Per gli obbligati nel modo più duraturo e interiore “la grande liberazione giunge improvvisa, come una scossa di terremoto.”(20) La grande liberazione è come un tradimento, è voltare le spalle alla propria maggioranza, al proprio sesso, alla propria classe. Il traditore sa che nel piano che sta percorrendo non ci sono più vie di fuga, sa che il divenire gli sarebbe estraneo se non facesse quella scelta di oggetto e di percorso che lo porta ad affermare pienamente la sua propria potenza di affetti. Il tradimento è fuga per creare, per sottrarsi al despota, tradire per perdere il volto, l’identità, per creare un nuovo piano di immanenza per la produzione desiderante.(21) Il tradimento è la condizione dell’Anomalo, che “si trova sempre alla frontiera, sul margine di una banda o di una molteplicità; ne fa sì parte, ma la fa anche passare in un’altra molteplicità, la fa divenire, traccia una linea intermedia.”(22) Ammonisce Nietzsche che “questa […] esplosione di forza e di volontà di autodeterminazione, di autoposizione di valori, questo volere una volontà libera, è allo stesso tempo anche una malattia che può distruggere l’uomo.”(23) Il rischio delle sperimentazioni e delle vie di fuga di ritorcersi su di sé sono la ragione del loro stesso fallimento. I concatenamenti delle macchine desideranti possono volere la loro libertà, ma il loro procedere può essere un fallimento e le loro rivoluzioni possono diventare le assiomatiche e le pratiche più mortifere.
Il desiderio non è indifferenziato, poiché dipende dal singolo soggetto e dall’oggetto del relativo concatenamento e può maturare come concatenamento fascista oppure no, è una questione di produzione inconscia. Le dinamiche del divenire e la determinazione storica delle produzioni desideranti corrono il rischio di ritorcersi su di sé, convertendosi in mere linee di distruzione, di suicidio, di fascismo; è sempre una questione di produzione inconscia.
Deleuze e Guattari sostengono che il desiderio non manca del suo oggetto col quale crea un unico concatenamento. La realtà del desiderio si spiega col fatto che la produzione sociale è la produzione desiderante storicamente determinata. Tutte le forze della riproduzione sociale, continuano i due autori, persino quelle mortifere sono desiderate, anche il fascismo non è stato un inganno, le masse lo hanno pienamente voluto. Di qui emerge la domanda fondamentale di tutta la filosofia politica posta da Spinoza e riscoperta da Reich: perché gli uomini combattono per la loro repressione come se fosse la loro salvezza? Gli uomini si adoperano per dare corpo al loro progetto intellettuale, nella misura in cui esso è espressione dei propri interessi e dei propri ideali, per affermare la propria potenza, anche se il compimento della stessa può significare repressione e attuazione di un’assiomatica mortuaria. Lo svolgimento delle produzioni desideranti dell’inconscio desidera il proprio compimento, al punto che Deleuze e Guattari fanno coincidere la produzione desiderante e le determinazioni storiche. Deleuze scrivendo su Spinoza afferma che gli uomini agiscono a partire da una produzione, una potenza, in funzione delle cause e degli effetti.(24) Quando gli uomini hanno scelto o subito passivamente il fascismo lo fecero perché assunsero l’affetto-fascismo come capace di aumentare la loro potenza; era un desiderio inconscio che portava con sé l’oggetto del suo compimento, autentica volontà di assiomatica mortuaria. Era la decisione di assumere il corpo fascismo come un corpo che si componeva direttamente con quello delle masse.

1) G. Deleuze e F. Guattari, L’Anti-Edipo, Einaudi, Torino, 1975, p.65.
2) Ivi, p. 395.
3) N. M. De Feo, Analitica e dialettica in Nietzsche, Adriatica, Bari, p. 76.
4) G. Deleuze e F.Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, Castelvecchi, Roma, p. 202.
5) N. M. De Feo, op. cit., p. 90.
6) F. Nietzsche, Umano, troppo umano, Adelphi, Milano, volume II, Opinioni e detti diversi, §75.
7) F. Nietzsche, Frammenti postumi 1879-1880, Adelphi, Milano, 1986, 6 [174].
8) F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano, 2000 II, §1.
9) F. Semerari, Il predone, il barbaro, il giardiniere. Il tema dell’altro in Nietzsche, in Relazioni morali, forme e problemi, Adriatica, Bari, pp. 216-22.
10) G. Deleuze e C. Parnet, Conversazioni, Feltrinelli, Milano, 1980 pp. 12-3.
11) F. Nietzsche, Frammenti postumi 1879-1880, ibidem; F. Semerari, ibidem.
12) G. Deleuze e F.Guattari, Come farsi un corpo senza organi?, op. cit., pp. 234-5.
13) G. Deleuze e F. Guattari, op. cit., pp.177-83; G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e Associati, Milano, 1991, pp. 151- 61.
14) G. Deleuze e F. Guattari, L’Anti-Edipo, op. cit., p. 28.
15) C. Rosset, Logica del peggio, Longanesi, Milano, 1973, p. 55.
16) G. Deleuze e F. Guattari, Ivi, p. 31.
17) G. Deleuze, Ivi, p. 128.
18) M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, 1976.
19) M. Foucault, Ivi, p. 235.
20) F. Nietzsche, Umano, troppo umano, prefazione, §3.
21) G. Deleuze e C. Parnet, ivi, pp. 46-51.
22) G. Deleuze e C. Parnet, ibidem.
23) F. Nietzsche, Ivi, §3.
24) G. Deleuze, Ivi, p. 128.

gennaio - aprile 2004