Il sapere della moltitudine nell’età del capitalismo cognitivo
di Alberto Altamura

Il socialismo ha fondato la possibilitàdi liberazione dell'umanità dallo sfruttamento sulle potenzialità della produzione materiale. Se c'è per noi una possibilità di pensare la liberazione, dobbiamo cercarla nel modello della cooperazione tra cervelli che non sostituisce la produzione materiale, ma la organizza in maniera differente.
M. LAZZARATO, Moltitudine, cooperazione, sapere


“Il lavoro prestato in un sistema industriale avanzato è, oggi, essenzialmente, un lavoro cognitivo, nel senso che impiega la mente del lavoratore per controllare le macchine e gli uomini, risolvere problemi, comunicare e compiere altre attività cognitive”, queste parole di Enzo Rullani possono costituire una efficace sintesi di quanto nell’ultimo decennio si è andato da più parti sostenendo riguardo all’affermazione di una “economia della conoscenza”, cioè di una economia che trova nel sapere la sua principale spinta propulsiva.
Detta così non si tratterebbe poi di una grossa novità, dal momento che il capitalismo industriale è stato, fin dai suoi albori, sempre legato alla conoscenza e all’applicazione produttiva di essa. A questo proposito, continua ad essere obbligatoria la citazione del passo dei Grundrisse in cui Marx parla della trasformazione del sapere sociale generale, della conoscenza, in “forza produttiva immediata”.
La novità del discorso di Rullani, a cui si deve l’elaborazione del concetto di “capitalismo cognitivo”, risiede nell’approfondimento dell’ipotesi di autonomizzazione della sfera della produzione di conoscenze rispetto alla produzione industriale. Secondo tale ipotesi, rispetto ad un capitalismo industriale che le incorporava nel lavoro, nelle macchine e nell’organizzazione, le conoscenze sono oggi, grazie ai processi di digitalizzazione, sempre più scorporate da supporti materiali e circolano al di là della materialità delle reti di macchine e di uomini che le veicolano.
Antonella Corsani, economista del parigino Laboratoire Innnovation System Stratégie oltre che redattrice della rivista “Multitudes”, ha sviluppato fecondamente questa ipotesi di Rullani fino a segnalare una rottura storica di cui occorre prendere atto: “Il capitale – scrive la Corsani – non si sottomette più la scienza per renderla adeguata alla sua logica d’accumulazione, alle sue leggi di valorizzazione, attraverso il sistema della fabbrica e in un processo di produzione di merci a mezzo di merci. La valorizzazione del capitale si rivolge immediatamente, e dall’interno, alla sfera di produzione di conoscenze, al processo di produzione di conoscenze a mezzo di conoscenze”.
Di fronte al progressivo esaurimento della logica industriale della ripetizione fondata sul lavoro di riproduzione, di fronte al ridimensionamento della produzione materiale come centro della valorizzazione, l’attenzione del capitale, finora concentrata soprattutto sulle conoscenze scientifiche più suscettibili di applicazione industriale, si estende a tutto il sapere: “Il capitalismo cognitivo mira a fare di tutte le conoscenze, artistiche, filosofiche, culturali, linguistiche o scientifiche, una merce”.
Restando sempre all’interno della riflessione avviata da quello straordinario laboratorio intellettuale che è la rivista “Multitudes”, i contributi di Maurizio Lazzarato ci appaiono particolarmente utili per ricostruire il cambiamento radicale che si verifica all’interno del sistema produttivo allorché esso comincia a fondarsi essenzialmente sulla preliminare produzione di desideri, di credenza e di affetti, cioè di prodotti della mente-cervello.
Il modo in cui il lavoro industriale diventa una semplice attività di riproduzione di prodotti creati dalla “cooperazione tra cervelli” è opportunamente descritto da Lazzarato attraverso l’esempio della Nike, cioè di un modello egemone di impresa che deve, in primo luogo, inventare il prodotto e imporlo, attraverso il marketing, nella società, catturando i desideri e le credenze dei suoi clienti, e che, solo dopo aver fatto ciò, può procedere alla ri-produzione di beni materiali.
La produzione della “cooperazione tra cervelli” è immateriale proprio perché risponde alla necessità che il capitalismo ha di produrre, innanzitutto, immaterialmente un bene, cioè di produrlo dal punto di vista dei comportamenti, dei modi di sentire, dei modi di vivere, per poi produrlo/ri-produrlo materialmente.
Ciò che, tuttavia, ci interessa maggiormente in questa analisi è il ruolo che lo spazio, il territorio, gioca rispetto alle forme della produzione immateriale.
Rispetto al modello produttivo classico, caratterizzato da una produzione localizzata nello spazio chiuso della fabbrica e strutturata in una attività cooperativa avviata dal padrone e subita dall’operaio, il modello della “cooperazione tra cervelli” presenta la cooperazione come “una cooperazione sociale, che non si limita al lavoro operaio, funziona in uno spazio aperto e precede la valorizzazione capitalistica”.
In questa prospettiva, anche lo sfruttamento si riarticola secondo le logiche dello spazio chiuso e di quello aperto.
Lo sfruttamento che si realizza all’interno della fabbrica, infatti, si esprime nella cattura dei flussi di lavoro all’interno di uno spazio chiuso; mentre lo sfruttamento della “cooperazione tra cervelli” avviene in uno spazio aperto che, come evidenzia Lazzarato, “non è limitato dai muri della fabbrica e non si definisce esclusivamente come sfruttamento del lavoro, ma anche dei desideri, delle credenze e degli affetti”.
Il “non-luogo” dello sfruttamento, efficacemente illustrato da Hardt e Negri in Impero, è lo spazio in cui accanto al massimo pericolo cresce anche ciò che può salvare, secondo la celebre espressione di Hölderlin.
Oltrepassando il territorio della fabbrica, lo sfruttamento capitalistico onnipervade il sociale e non riguarda più specifiche attività produttive, ma l’universale capacità di produrre.
Rispetto a un lavoro produttivo essenzialmente immateriale, è l’intera società, e non più soltanto la fabbrica, ad essere costruita come spazio di sfruttamento dei desideri razionali ed affettivi dell’uomo, cioè delle fonti principali a cui attingere per costruire quel regime di “innovazione permanente” destinato a rendere possibile la sopravvivenza del regime industriale della “riproduzione”.
Lo sfruttamento, come è argomentato in Impero, punta a esercitarsi sugli “insiemi cooperanti di cervelli e mani, menti e corpi”, ad applicarsi sul “lavoro vivo, diffuso, nomade e creativo”. Si tratta di uno sfruttamento che ambisce a intercettare “il desiderio e lo sforzo della moltitudine dei lavoratori mobili e flessibili, l’energia intellettuale e la costruzione comunicativa e linguistica della moltitudine di coloro che lavorano con l’intelletto e l’affettività”.
Data la natura dell’oggetto, tuttavia, questa azione dello sfruttamento capitalistico corre grossi rischi, sicuramente maggiori di quelli corsi con la forza-lavoro fordista del Novecento.
Dal momento che, come sottolinea Negri, è caratterizzata dall’incorporazione del mezzo di produzione (nel lavoro immateriale l’utensile è il cervello), la nuova forza-lavoro possiede una mobilità in grado di spiazzare le forme disciplinari del potere capitalistico e una flessibilità proiettata verso forme di autovalorizzazione, che eccedono la dimensione della rappresentanza verso una pratica dell’autonomia politica.
È proprio nella intellettualità e immaterialità della nuova forza-lavoro che Negri ci invita a scorgere straordinarie potenzialità di liberazione e di distruzione della volontà capitalistica di comando.
Nella conclusione della Prefazione politica del 1966 a Eros e civiltà, in piena escalation della guerra del Vietnam, Herbert Marcuse invitava gli intellettuali a non collaborare: “Nella misura in cui – scriveva Marcuse – le organizzazioni operaie collaborano alla difesa dello status quo, e nella misura in cui la parte del lavoro manuale nel processo di produzione diminuisce, le capacità e le attitudini intellettuali diventano fattori sociali e politici. Oggi, il sistematico rifiuto di collaborare degli scienziati, dei matematici, dei tecnici, degli psicologi industriali e dei raccoglitori di dati statistici sulla opinione pubblica può bene ottenere quello che uno sciopero, anche su vasta scala, non può più ottenere, vale a dire l’inizio dell’inversione di rotta, la preparazione del terreno per l’azione politica”.
Oggi, mentre è la guerra imperiale ad essere in piena escalation, oggi, mentre la vecchia classe operaia fordista viene fortemente ridimensionata in conseguenza della riduzione del lavoro manuale dei processi di ri-produzione materiale, oggi, mentre le organizzazioni operaie si attestano in una disperata difesa dello status quo cercando di resistere all’estensione delle strutture del mercato mondiale, rivendicando garanzie relative al posto di lavoro, al godimento del welfare e al diritto di rappresentanza politica, oggi, gli intellettuali a cui si rivolgeva Marcuse si presentano nella forma della moltitudine, cioè di quella forza-lavoro postmoderna costituita, come afferma Negri, da “singolarità definite dalla loro capacità di esprimere lavoro immateriale e dalla potenza di ri-appropriarsi della produzione attraverso il lavoro immateriale (attraverso l’attività)”.
Agli “intellettuali” di ieri, alla “moltitudine” di oggi si può e si deve proporre qualcosa di più potente rispetto al “sistematico rifiuto a collaborare”: si può e si deve indicare nel “diritto di riappropriazione” lo scopo di una azione politica autenticamente rivoluzionaria.
“La moltitudine – scrivono Hardt e Negri - non usa solo le macchine per produrre, ma essa stessa diviene, contemporaneamente, sempre più macchinica. Nello stesso modo, i mezzi di produzione sono sempre più integrati nelle menti e nei corpi della moltitudine. In tale contesto, riappropriazione significa libero accesso e controllo della conoscenza, dell’informazione, della comunicazione e degli affetti, in quanto mezzi primari della produzione biopolitica”.
Un modo per costruire un percorso verso il “diritto di riappropriazione” ci appare la riflessione sul nesso sapere-territorio, dal momento che ci consente di insistere sulla contraddizione, esplicitata da Rullani, individuabile fra il capitale-denaro, cioè il capitale che attraverso quell’astrazione reale che è il denaro riduce il mondo a quantità, e il capitale-conoscenza, cioè il capitale che deve fare i conti con una risorsa, la conoscenza, che scaturisce da contesti territoriali.
Il capitale finanziario che oggi circola globalmente, servendosi di una informazione codificata che mette fuori gioco le differenze, non avrà mai gli strumenti per governare una conoscenza che ha natura contestuale: “Il capitale finanziario – come evidenzia Rullani - 'misura' il valore prodotto dalla conoscenza ma non lo produce, perché non può ridurre la complessità del circuito cognitivo alla semplicità del 'denaro che produce denaro'”.
È qui che può e deve costruirsi l’azione della moltitudine, perché, come sostiene Negri, “è solo dove il partito della forza-lavoro immateriale presenterà un’energia più alta di quella delle forze dello sfruttamento capitalistico – è solo allora che un disegno di liberazione sarà possibile”.

Riferimenti:
– “Multitudes” - http:/multitudes.samizdat.net.
– AA.-VV., (a cura di Y.M. Boutang) L’età del capitalismo cognitivo, ombre corte, Verona 2002; il volume contiene i saggi di:
E. RULLANI, Produzione di conoscenza e valore nel postfordismo;
A. CORSANI, Sapere e lavoro nel capitalismo cognitivo: l’impasse dell’economia politica;
M. LAZZARATO, Invenzione e lavoro nella cooperazione tra cervelli.
– M. LAZZARATO, Moltitudine, cooperazione, sapere, in AA.VV., (a cura di N. Montagna), Controimpero, manifestolibri, Roma 2002.
– E. RULLANI, L. ROMANO, Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Etas Libri, Milano 1998.
– M. HARDT – A. NEGRI, Impero, Rizzoli, Milano 2002.
– A. NEGRI, Soggetti politici: tra moltitudine e potere costituente, in ID., Cinque lezioni di metodo su moltitudine e impero, Rubettino, Catanzaro 2003.
– A. NEGRI, Che farne del “Che fare?” oggi, in ID., Cinque lezioni su impero e dintorni, Raffaello Cortina, Milano 2003.
– A. NEGRI, Il nuovo proletariato europeo ha interesse all’Europa unita, in ID., L’Europa e l’Impero, manifestolibri, Roma 2003

gennaio - aprile 2004