Finalmente ci vediamo scuro
di Daniela Curto e Vincenzo Masi

Mistificazioni, misfatti, misantropia nella visione
del bene/risorsa acqua oggi, dalla Puglia all’Europa

Il cittadino medio, definiamolo signor X, ha di che rimaner stupito ogni qual volta legge un articolo sulle problematiche dell’acqua su giornali, nazionali o locali che siano.
Immaginiamo la meraviglia dipinta sul suo volto quando, a fine luglio, legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno la dichiarazione del Presidente della Regione Puglia: “L’acqua è un bene pubblico che deve essere fruito da tutti i cittadini, per cui non le si può attribuire un prezzo”. È una dichiarazione di Fitto, paladino dell’economia di mercato e delle privatizzazioni, non di Riccardo Petrella, segretario generale del Comitato Internazionale per un Contratto Mondiale sull’Acqua!
Poi, da un altro giornale locale, apprende che il Presidente della regione Basilicata si vanta di aver fatto in modo che l’acqua in Basilicata sia rimasta un bene pubblico. Sì, è vero che ha realizzato Acquedotto Lucano S.p.A. (gestore per l’ambito territoriale ottimale, ATO, del servizio idrico integrato in Basilicata), che verrà posto sul mercato azionario (in ottemperanza dell’art. 35 della Finanziaria 2003), ma ha anche istituito Acqua S.p.A. ad intero capitale pubblico.
La confusione nella mente del signor X aumenta. Come si può volere che sia realmente un bene pubblico, e poi farlo gestire da una S.p.A.? Al signor X sembra di ricordare che una S.p.A. sia una società commerciale che per definizione giuridica e di statuto non può che operare come tale (il suo scopo è produrre profitto e può essere ceduta al capitale privato con il semplice passaggio delle azioni). Il signor X comincia a pensare che la diatriba tra le due regioni sia una delle solite querelle fra vicini che non sempre si sopportano. L’unico concetto che gli parrà chiaro è che Fitto avrebbe comunque dovuto rispettare l’accordo di programma sull’uso della risorsa idrica che Puglia e Basilicata firmarono nel 1999: secondo un cittadino medio gli accordi dovrebbero essere sempre rispettati.
Il signor X allora cercherà di superare tale empasse, spostando la sua ricerca in campo nazionale attraverso la lettura del Sole 24 Ore o di un qualunque altro giornale a tiratura nazionale. Si accorge non solo che l’accelerazione, imposta con l’art. 35 della Finanziaria 2003 dal governo italiano nel campo della privatizzazione, viene frenata dall’art. 14 del Decreto allegato alla Finanziaria 2004, ma anche che i comportamenti politici nel campo delle risorse idriche sono stati tra i più variegati e tra i più trasversali. Fanno bene le amministrazioni di centro/sinistra & centro/destra che nell’ultimo anno, rapidamente, hanno innescato tutti i processi per la privatizzazione della gestione della risorsa idrica? O quei pochi Consorzi (vedi alcuni comuni della provincia di Ascoli Piceno) che, pur rimanendo completamente nell’ambito pubblico, riescono ad avere una gestione integrata sana e addirittura redditizia della risorsa idrica? O, ancora, i più di 100 comuni lombardi, quasi tutti amministrati dalla Lega, che hanno ottenuto un referendum contro la legge regionale di applicazione della legge Galli perché contrari alla privatizzazione?
Il signor X, in preda a totale disorientamento, tenterà di mettere ordine alle sue idee andando a consultare la legge 36/1994, fondamentale in materia di risorse idriche. Gli basterà leggere soltanto il capitolo I per accorgersi che anche i “Principi generali” di questa legge sono quantomeno aleatori: infatti mentre all’art. 1 si dichiara che tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo i criteri di solidarietà e all’art. 2 si dichiara che l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli altri usi, al comma 4 dello stesso art. 1 si specifica che le acque minerali sono escluse da questa normativa. Il nostro povero signor X rimarrà assai perplesso o addirittura esterrefatto, poiché aveva sempre pensato, anche a causa degli ormai innumerevoli spot pubblicitari subiti, che proprio l’acqua minerale fosse la migliore per il consumo umano e per questo motivo aveva accettato di acquistarla anche se più cara della benzina.
Allibito dalla situazione italiana riterrà che, probabilmente, da cittadino europeo sarà più fortunato. Penserà che l’UE, che si basa su un modello sociale all’avanguardia derivante da una civiltà ultramillenaria, abbia una legislazione non oscura sull’acqua. Rimarrà subito attonito constatando che la bozza della Costituzione europea non menziona affatto l’acqua. Chiedendosi allora se l’UE abbia davvero una politica su un bene/risorsa così importante, andrà a ricercare le direttive europee in materia. Scoprirà che tali direttive non impongono il principio della privatizzazione della gestione della risorsa idrica ai paesi aderenti ma, di fatto, con i processi di liberalizzazione e di deregulation che innescano, non fanno altro che spianarne la strada. Si renderà conto che, una volta innescati i processi di privatizzazione dei servizi e di tutti quei beni comuni e condivisi che sono stati a fondamento della collettività e del welfare europeo e che le hanno consentito di diventare una società sviluppata, i cittadini europei non avranno niente in comune: né acqua, né ospedali, né scuole, né elettricità, né gas, né treni, né aerei, né strade, né alberi.
Allora al signor X sorgerà un dubbio: perché i cittadini europei dovrebbero essere uniti? Uniti intorno a cosa? Per essere una potenza militare subalterna o in contrapposizione a quella USA? Eppure il signor X, dopo le manifestazioni contro la guerra in Iraq, aveva ritenuto che gli europei fossero un popolo di pace.
L’indagine del signor X sulle direttive europee sull’acqua comunque continua e ancora una volta sortisce risultati sconcertanti. Il nostro povero cittadino medio scopre, infatti, che le norme e gli standard definiti nelle direttive non solo riflettono ampiamente quelle imposte dalle corporations, ma in molti casi i due testi addirittura coincidono. Non sono, inoltre, inseriti vincoli e competenze per quanto riguarda l’applicazione e il rispetto delle norme delle direttive; non sono, dunque, associate alle norme e agli standard qualitativi misure concrete sanzionatorie per coloro che non le rispettino. Le direttive, inoltre, pur prevedendo teoricamente la partecipazione dei cittadini alla gestione dell’acqua, non prescrivono e non impongono alcuna misura concreta per garantirla.
Il signor X scopre che il principio fondamentale, non esplicito, della regolazione dell’acqua a livello europeo è: l’acqua deve essere considerata principalmente un bene economico, per cui la sua tariffa deve essere stabilita sulla base dei prezzi assicurati dal mercato e, quindi, deve essere basata sul principio del recupero totale dei costi. Questo significa che nella tariffa dell’acqua è inserito un livello di remunerazione del capitale comprendente i tassi di profitto abituali dei mercati mondiali. L’Europa, dunque, rispetto al costo dell’acqua accetta l’idea che la tariffa applicata da una compagnia privata debba consentire almeno il 12% del ritorno degli investimenti. Accetta dunque la mercantilizzazione dell’acqua.
In realtà non è questo il concetto che crea maggior sconcerto nel signor X: molto più devastanti per la creazione della sua opinione sono i comportamenti che l’UE assume verso i paesi esterni. Nonostante tutte le dichiarazioni internazionali ratificate dal 1948 fino a qualche decennio fa, che affermano la necessità di considerare l’acqua come un diritto universale e un bene comune, a Johannesburg, al Terzo Vertice della Terra, l’UE è stata uno dei fautori della trasformazione del concetto e, soprattutto - miracolo della statistica - del numero dei poveri: quelli che vanno presi in considerazione per l’accesso all’acqua entro il 2020 sono i grandi poveri (1,2 miliardi di persone che guadagnano meno di 1 $ al giorno), non i poveri (2,5 miliardi di persone che guadagnano meno di 2 $ al giorno). E se non bastasse ha dato a Pascal Lamy, responsabile delle trattative europee al vertice di Cancùn, mandato di richiedere la liberalizzazione della gestione delle risorse idriche di circa 100 paesi, tra cui i 72 più poveri al mondo.
A questo punto, il signor X comincerà ad intuire che probabilmente le politiche europee non sono condotte per l’affermazione della civiltà e dei diritti universali che ne conseguono, ma vengono decise in base agli interessi delle multinazionali europee (nel campo delle risorse idriche tutte le compagnie più grandi sono europee). Il signor X scopre che l’UE non ha una politica estera sull’acqua (non ha, per esempio, una posizione sul progetto GAP che in Turchia creerà 19 grandi dighe esiliando milioni di curdi, né sul “muro dell’acqua” che si sta costruendo in Palestina) ma una mera politica commerciale.
Per fortuna il nostro signor X, che è un cittadino mediamente informato, non verrà mai a conoscenza dei retroscena della decisione presa ad Evian nel 2003, dove l’UE ha dichiarato di aver destinato un altro miliardo di euro ai paesi poveri per le risorse idriche. Quella somma non era un nuovo finanziamento, come volutamente enfatizzato attraverso tutti i mezzi di comunicazione, ma costituiva una riserva, i “fondi complementari”, già impegnata dalla UE e destinata a progetti approvati per i P.V.S. il cui finanziamento fosse risultato insufficiente in corso di realizzazione.
Che dire al signor X?
Il suo comune, la sua regione, il suo paese, l’Europa fanno anche i suoi interessi? Ma quali sono gli interessi del signor X? Gli stessi di Suez, Vivendi (ora Veolia), Tames Water, RWE o piuttosto avere permanentemente nell’anno la possibilità di accesso a una risorsa di buona qualità che gli eviti di comprare acqua minerale, di vivere finalmente in un territorio non degradato né abusato, di voler essere fiero, da europeo, di globalizzare i diritti e il welfare che costituiscono le fondamenta della civiltà europea?
Il signor X alla fine di questo excursus si fermerebbe attonito e trarrebbe la conclusione che in troppi: compagnie transnazionali, eletti, politici, istituzioni, nascondono il vero aiutati dai mezzi di comunicazione, anch’essi in mano alle holding. Da saggio allora ripiegherebbe sulle sue radici e sulla cultura millenaria del vecchio continente. Sollecitato dalla scoperta della radice comune di due termini atavici e semplici, apparentemente molto distanti, andrebbe alla ricerca del significato etimologico di: ecologia ed economia, sperando di esaudire questa volta la sua curiosità di “conoscere”, non più di ricevere “informazioni” distorte.
Che cosa scoprirà?

gennaio - aprile 2004