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Il Vangelo secondo Matteo fu presentato alla Mostra di Venezia il 4 settembre 1964. Premiato dall'Office Catholique International du Cinéma, il film fu proiettato nel dicembre dello stesso anno a Parigi, nel palazzo della Mutualité, di fronte a un folto pubblico composto, soprattutto, da studenti universitari, e seguito da un pubblico dibattito organizzato nello scenario prestigioso e inusuale della cattedrale di Notre-Dame. Fra le tante critiche apparse in quella circostanza, Pasolini si concentrò in modo particolare su quella di Michel Cournot, che in una recensione pubblicata il 4 marzo 1965 sul Nouvel Observateur, e provocatoriamente intitolata Tonton Marx à Bethléem, definiva il Saint-Mathieu “un film fatto da un prete per i preti” e “une tromperie sur la marchandize”. Le ragioni che condussero Pasolini a degnare di una risposta Michel Cournot, tanto da farne, sottraendolo così all'oblio in cui sarebbe spontaneamente caduto, l'arrogante domatore intenzionato ad addomesticare un'aquila, protagonista, nell'interpretazione di Totò, dell'episodio L'Aigle, inizialmente destinato ad essere inserito nel film Uccellacci e uccellini (1965), vanno al di là dell'importanza del critico del Nouvel Observateur. In realtà, in un intellettuale marxista come Cournot, Pasolini scorgeva l'incapacità, tipica di tanta intellettualità laica cresciuta nel seno della borghesia occidentale, di “riconoscere l'irrazionalità, il momento della fame, del sottoproletariato”. Il Vangelo era stato, invece, pensato proprio per quel sottoproletariato, come dimostrano i luoghi in cui il film fu girato fra il 24 aprile e la fine del luglio 1964: alcune località del Lazio, della Calabria e della Sicilia, ma, poi, soprattutto la Basilicata - con Nazarteh fatta rivivere nei dintorni di Potenza, Gerusalemme a Matera, nei Sassi, la strage degli innocenti girata nei dintorni di Barile - e la Puglia: le scene della predicazione girate nella campagna fra Barletta e Taranto, il pretorio collocato a Castel del Monte, la cacciata dal tempio e la reggia di Erode ambientate nel Castello di Gioia del Colle. La scelta del meridione d'Italia non fu per Pasolini un mero ripiego determinato dallo stravolgimento industriale del paesaggio israeliano, raccontato in Sopraluoghi in Palestina1, ma scaturiva dalla volontà di stabilire un parallelismo tra la povertà di Cristo e la povertà dei sottoproletari meridionali, assunta come sineddoche di tutti i poveri del Terzo Mondo. Parlando ai critici parigini, infatti, Pasolini aveva significativamente affermato che nel caso fosse stato francese avrebbe scelto l'Algeria per girare il Vangelo2. La stessa scelta dell'attore destinato ad interpretare Cristo era stata condizionata dal desiderio di parlare del rapporto tra intellettuali borghesi e sottoproletariato. Nelle conversazioni con Jon Halliday, Pasolini ricordava di aver voluto rappresentare Cristo come “un intellettuale in un mondo di poveri disponibili alla rivoluzione” e per questa ragione di aver puntato inizialmente su un poeta come Evgenij Evtushenko, e di aver pensato anche a Jack Kerouac, per scegliere poi il giovane anarchico basco Enrique Irazoqui, doppiato da Enrico Maria Salerno.3 Il Cristo di Matteo lo affascinava perché “più inflessibile, più esigente, più travolgente, senza un momento di requie e di pace. Io fui soggiogato da questa figura”4. Questa inflessibilità si combina con la contraddittorietà che, nella visione di Pasolini, connota la figura del Cristo e l'intero impianto della narrazione filmica: “È un film violentemente contraddittorio, profondamente ambiguo e sconcertante, in particolare la figura del Cristo: a volte è quasi imbarazzante, non meno che enigmatica. Ci sono momenti orribili di cui mi vergogno, momenti che ricordano, e quasi sono, barocco da Controriforma, repellenti: i miracoli. Il miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci e quello di Cristo che cammina sulle acque sono di un pietismo disgustoso. Il salto da questa specie di scene degne delle immaginette sacre alla appassionata violenza della sua politica e della sua predicazione è così grande che la figura del Cristo non può non ingenerare nel pubblico un forte senso di disagio. I cattolici escono dalla visione del film un po' scossi, con la convinzione che io abbia fatto di lui un cattivo. In realtà non è cattivo, è solo pieno di contraddizioni.”5 Il Vangelo andava letto, secondo Pasolini come “un violento richiamo alla borghesia stupidamente lanciata verso un futuro che è la distruzione dell'uomo, degli elementi antropologicamente umani, classici e religiosi dell'uomo”6 Gli intellettuali borghesi finsero di non capire e si concentrarono sulla religiosità di Pasolini, attribuendogli una formazione religiosa e finanche una volontà di “proselitismo cripto-cristiano”, costringendolo così ad una serie di chiarimenti che, a nostro parere, hanno fatto passare in secondo piano la carica politica del film. In una intervista rilasciata, nel 1965, a Maurizio Ponzi, troviamo un Pasolini ancora impegnato a chiarire che “[…] il valore del film dal punto di vista religioso non ha più significato che altre cose precedenti della mia opera di carattere religioso. Cioè questo tema religioso c'è, ma non c'è stato nessun avvicinamento alla religione, alla confessione cattolica, nemmeno per idea, sono rimasto ateo com'ero prima, marxista com'ero prima. Semplicemente ho coagulato una serie di temi religiosi e irrazionali che erano sparsi in tutta la mia personalità, sia di scrittore che di uomo”7. Qualche anno dopo in quella lunga intervista concessa a Jean Duflot e pubblicata col titolo Il sogno del Centauro, nel capitoletto significativamente intitolato Il malinteso, Pasolini doveva ribadire: “Non mi piace il cattolicesimo in quanto istituzione, non per un ateismo militante, ma perché la mia religione, o meglio il mio spirito religioso – che non ha nulla a che vedere con un'appartenenza fondata sul battesimo – ne viene offeso”.8 Pasolini, del resto, già dal 1963, mentre era impegnato nella preparazione della sceneggiatura, aveva sottolineato, da un lato, di considerare la religione un “problema interno” a tutta la propria produzione, e, dall'altro, di non aver avuto rapporti istituzionali con la Pro Civitate Christiana di Assisi, a cui aveva sottoposto la sceneggiatura del Vangelo, ma solo incontri con alcuni sacerdoti dell'organizzazione. Anzi, ci teneva a ricordare che in diverse occasioni non aveva mancato di avanzare ad esponenti della Pro Civitate qualche critica su una certa inclinazione neocapitalistica che conduceva “ad accettare un po' troppo questo nuovo mondo del benessere neocapitalistico e di inserirvisi anziché porsi davanti ad esso con spirito polemico. Questo l'ho detto loro chiaramente: abbiamo cominciato anche qualche discussione, ma non l'abbiamo molto approfondita”.9 Pasolini contrapponeva all'eccessivo ottimismo nei destini immediati dell'uomo, che, a suo parere, connotava sia la Pro Civitate che la Chiesa del 1963, il proprio pessimismo, e la propria visione della “Nuova Preistoria”, cioè di quella fase della storia umana caratterizzata dalla cultura di massa e dalla industrializzazione totale10. Si tratta, in sostanza, della stessa argomentazione che un decennio dopo, negli Scritti corsari, avrebbe portato Pasolini ad attaccare provocatoriamente la censura vaticana già allora imperante in televisione per non aver compreso che ciò che avrebbe dovuto censurare era piuttosto “Carosello”: “perché è in “Carosello”, onnipotente, che esplode in tutto il suo nitore, la sua assolutezza, la sua perentorietà, il nuovo tipo di vita che gli italiani devono vivere. […] e non è un tipo di vita in cui la religione conti qualcosa”.11 2 Cfr. M. A. Macciocchi, Cristo e il marxismo, in “l'Unità”, 23 dicembre 1964. 3 Conversazioni con Jon Halliday (1968-1971), Pasolini su Pasolini, in P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p. 1333 4 Intervista rilasciata a Ferdinando Camon (1965), in F. Camon, Il mestiere del poeta, Garzanti, Milano 1982, in P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1589. 5 Conversazioni con Jon Halliday (1968-1971), Pasolini su Pasolini, cit, pp.1339-1340. 6 P. P. Pasolini, Una visione del mondo epico-religiosa, in “Bianco e nero”, n. 6, giugno 1964, in P. P. Pasolini, Pasolini per il cinema, cit. , vol. 2, p. 2876. 7 In “Filmcritica”, nn.156-157, aprile-maggio 1965, in P. P. Pasolini, Pasolini per il cinema, cit., vol. 1, p. 2885. 8 P. P. PASOLINI, Il sogno del centauro. Incontri con Jean Duflot (1969-1975), in P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, cit. p. 1421. 9 P. P. PASOLINI, Cerco il Cristo fra i poeti, in “Italia Notizie”, n. 18, 20 novembre 1963, in P. P. Pasolini, Pasolini per il cinema, cit., vol. 2, p. 2842. 11 P. P. PASOLINI, 11 luglio 1974. Ampliamento del “bozzetto” sulla rivoluzione antropologica in Italia, in Scritti corsari, in P.P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 328. |
gennaio 2006 (inserto) |