La distruzione, se
pur non totale del Teatro La Fenice di Venezia, a causa dell’incendio
del 1996, ha avuto come conseguenza la volontà di ricostruzione
dello stesso, si ripropone però un conflitto; imitazione del “perduto”
teatro, oppure rielaborazione moderna ?
Ripercorrendo le tappe storiche del
teatro troviamo, a mio avviso, delle somiglianze con la leggenda dell’Araba
Fenice, quel variopinto uccello sacro agli Egizi.
Il primo teatro è inaugurato
su progetto di Giannantonio Selva nel 1792, nel 1836 è distrutto
da un incendio, un anno dopo i fratelli Meduna
hanno l’incarico di curarne la ricostruzione.
Deve risorgere dalle sue ceneri, come
pur si narra faccia l’araba fenice.
Quest’uccello riprende vita e forme
uguali, caratteristica questa che rende originale l’animale e inconsciamente,
ci si aspetta che originale e immutevole sia anche il Teatro la Fenice.
Altra caratteristica, che accomuna
l’uccello con il Teatro è la presenza dell’acqua, il primo si nutre
di rugiada, la quale ne garantisce la sopravv
ivenza, il secondo ‘sorge’come frutto nutrito dall’acqua, elemento che
la sera del 29 Gennaio 1996 lo ha abbandonato,
i rii limitrofi ad esso per lavori di bonifica erano in secca.
Da questo secondo incendio, molti si
aspettano che “lo scomparso Teatro”, riprenda vita non con un rinnovato
aspetto, magari migliore perché no, ma nella rievocazione dello
stesso.
Negando la trasformazione, si vuol
negare in qualche modo la storia e quel che essa ha portato e reso concreto.
E’ il passare del tempo che scolpisce,
colora, profuma gli oggetti e le persone, ogni evento caratterizza,
in maniera più o meno profonda ed evidente, ogni cosa che esiste.
Se nel tempo il Teatro la Fenice è
diventato un simbolo, oppure è nato
già con questo ruolo, non basta per molti architetti e persone
comuni, a voler negare qualcosa che nel tempo si è svolto.
L’incendio c’è stato, questo
avvenimento è stato sicuramente una disgrazia ma, qualcuno immediatamente
o subito dopo aver asciugato le lacrime, si è accorto che nel
rogo sotto le ceneri, c’era una piccolissima fiamma che alimentava il
fuoco della possibilità.
Era una fiamma che non distruggeva,
ma illuminava soltanto dove, per cultura o interessi, si preferisce lasciare
l’oscurità.
Come ha a lungo insegnato
Bruno Zevi
, si può ripartire da un ‘Grado Zero’, è stato curioso
dei nuovi mezzi di comunicazione, quali; giornali, riviste, radio,...ed anche
contrario all'architettura di carta, a progetti pubblicati e mai realizzati
‘La città deve presentarsi
come un "work in progress", un non finito'
No all'accademia ai vincoli prospettici, alla simmetria, al monumentalismo
(che opprime l'individuo). Il progetto non può negare l'eccezzionalità
.’
'Il
museo di Bilbao
di Gehry, il museo di Libeskind sono conquiste non solo dell'architettura,
ma anche delle giurie, dei committenti, dell'opinione pubblica. Se questo
non avviene in Italia è perchè gli architetti non sono capaci'
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E invece molti giovani
architetti, tra i quali Marco Galofaro, autore del libro Riscatto Virtuale,
mostra e dimostra nel testo, che ha voluto cogliere la possibilità
di realizzare e confidare nel nuovo piuttosto che appiattirsi e allinearsi
alla via più battuta, la rievocazione.
Galofaro con la sua Tesi di Laurea,
proposta come progetto per la ricostruzione del Teatro la Fenice, ha colto
e cercato di dominare un evento critico, la sfida era di manipolare
in maniera non ‘tradizionale’ uno spazio, ‘un interno’ da adattare, ma
con le proprie caratteristiche, ad uno spazio gia esistente. Evidentemente
il suo progetto non ha rispecchiato le intenzioni di chi ha avuto il compito
di scegliere il progetto vincitore, la commissione giudicatrice ha approvato
il progetto di Philip Holzmann, curato nella parte architettonica da
Aldo Rossi.
Il lavoro di Marco Galofaro non è
stato indifferente alle vicende del Teatro, ma le ha rielaborate e rilette,
dalla mente poi, hanno preso una vera e propria forma.
Mi riferisco al fuoco, elemento che
ne ha determinato la distruzione, nel progetto di Galofaro acquista una
nuova identità.
Diventa metafora, e la sua forma continua
ed eterogenea, riempie tutto lo spazio interno del Teatro, il vuoto
lasciato dalle fiamme. L’involucro che lo contiene, invece, è
quello della vecchia costruzione, l’esterno perciò mantiene l’immagine
di sempre. L’unico ‘prospetto’ del nuovo progetto è la copertura,
che continuando ad emulare il fuoco, emerge all’esterno in un andamento
sinuoso.
Non nega il passato, ma è con
gli strumenti del presente che l’architetto agisce; foto digitali hanno
catturato le immagini del suo plastico di studio e del sito reale del
Teatro, immagini che sono state combinate insieme grazie a programmi di
fotoritocco.
Grazie anche ad uno scanner in 3D è
stato possibile poter visitare e modificare il modello in ogni sua parte.
Schematicamente il Teatro è
diviso in tre parti: sale Apollinee e il foyer, sala-palcoscenico, servizi
e uffici. Con il restauro si cerca di recuperare il possibile, nel restante
spazio non recuperabile, le mura sono tenute a rovina con l’inserimento
di una rampa che collega gli spazi di rappresentanza con la sala teatrale
e la nuova sala conferenze.
Sopra il palco, composto da quattro pedane
mobili, trova spazio la sala per il corpo di ballo.
Tutto assume un aspetto di continuità,
si elimina la distinzione tra pareti e pavimento, è tutto come
avvolto.
Questo mi ricorda un recente lavoro di
Ben Van Berkel, il
nel quale una linea infinita si dispiega
in se stessa crando un
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volume. Interni ed esterni sono collegati
senza soluzione di continuità; solaio che diventa facciata, in modo
da rendere la costruzione più continua possibile.
Dialogo, è questo che Marco Galofaro
si aspetta da questo progetto, un dialogo tra l’involucro esistente e il
nuovo spazio in esso contenuto, un’armonia, così come l’ha trovata
ogni edificio costruito sull’acqua di Venezia, nella quale essi si riflettono,
l’acqua restituisce ogni volta, a seconda della luce e del tempo un immagine
differente.
Allo stesso modo il nuovo costruito
si riflette nel vecchio e tutto sembra confondersi, segno che il dialogo
avviene.
E’ un gioco di specchi dove la virtualità
della mente e la concretezza della percezione si riflettono.
Non so se sono più gli appassionati
del PC e cybertect, o gli altri, i profani del computer e delle altre
ancor più nuove tecnologie, ad avere più bisogno di rifugiarsi
nel virtuale, visto che i cosiddetti tradizionalisti e amanti di tutto
ciò che è reale e tangibile, nel parlare del nuovo progetto
del Teatro la Fenice, è come se avessero negato che c’è
stato l’incendio.
Hanno cercato di fare ciò che
studenti di Architettura, come me, avrebbero fatto nel caso sbagliassero
un muro, un materiale, o una semplice linea, disegnandolo con programmi
come AutoCad, hanno cercato la ‘grandiosa’ freccetta che annulla l’ultimo
comando, negando l’errore o l’imprevisto, tutto torna come prima.
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