Recensione al Libro:
Marco Galofaro, Riscatto VirtualeUna nuova Fenice a Venezia, 2000





La distruzione, se pur non totale del Teatro La Fenice di Venezia, a causa dell’incendio del 1996, ha avuto come conseguenza la volontà di ricostruzione dello stesso, si ripropone però un conflitto; imitazione del “perduto” teatro, oppure rielaborazione moderna ?
Ripercorrendo le tappe storiche del teatro troviamo, a mio avviso, delle somiglianze con la leggenda dell’Araba Fenice, quel variopinto uccello sacro agli Egizi.
Il primo teatro è inaugurato su progetto di Giannantonio Selva nel 1792, nel 1836 è distrutto da un incendio, un anno dopo i fratelli Meduna hanno l’incarico di curarne la ricostruzione.
Deve risorgere dalle sue ceneri, come pur si narra faccia l’araba fenice.
Quest’uccello riprende vita e forme uguali, caratteristica questa che rende originale l’animale e inconsciamente, ci si aspetta che originale e immutevole sia anche il Teatro la Fenice.
Altra caratteristica, che accomuna l’uccello con il Teatro è la presenza dell’acqua, il primo si nutre di rugiada, la quale ne garantisce la sopravv ivenza, il secondo ‘sorge’come frutto nutrito dall’acqua, elemento che la sera del 29 Gennaio 1996 lo ha abbandonato, i rii limitrofi ad esso per lavori di bonifica erano in secca.
Da questo secondo incendio, molti si aspettano che “lo scomparso Teatro”, riprenda vita non con un rinnovato aspetto, magari migliore perché no, ma nella rievocazione dello stesso.
Negando la trasformazione, si vuol negare in qualche modo la storia e quel che essa ha portato e reso concreto.
E’ il passare del tempo che scolpisce, colora, profuma gli oggetti e le persone, ogni evento caratterizza, in maniera più o meno profonda ed evidente, ogni cosa che esiste.
Se nel tempo il Teatro la Fenice è diventato un simbolo, oppure è nato già con questo ruolo, non basta per molti architetti e persone comuni, a voler negare qualcosa che nel tempo si è svolto.
L’incendio c’è stato, questo avvenimento è stato sicuramente una disgrazia ma, qualcuno immediatamente o subito dopo aver asciugato le lacrime, si è accorto che nel rogo sotto le ceneri, c’era una piccolissima fiamma che alimentava il fuoco della possibilità.
Era una fiamma che non distruggeva, ma illuminava soltanto dove, per cultura o interessi, si preferisce lasciare l’oscurità.
Come ha a lungo insegnato Bruno Zevi , si può ripartire da un ‘Grado Zero’, è stato curioso dei nuovi mezzi di comunicazione, quali; giornali, riviste, radio,...ed anche contrario all'architettura di carta, a progetti pubblicati e mai realizzati
La città deve presentarsi come un "work in progress", un non finito'
No all'accademia ai vincoli prospettici, alla simmetria, al monumentalismo (che opprime l'individuo). Il progetto non può negare l'eccezzionalità
.

'Il museo di Bilbao di Gehry, il museo di Libeskind sono conquiste non solo dell'architettura, ma anche delle giurie, dei committenti, dell'opinione pubblica. Se questo non avviene in Italia è perchè gli architetti non sono capaci' .

Teatro
La Fenice


Araba Fenice

Fuoco
Acqua

rinascita
















fenigal

E invece molti giovani architetti, tra i quali Marco Galofaro, autore del libro Riscatto Virtuale, mostra e dimostra nel testo, che ha voluto cogliere la possibilità di realizzare e confidare nel nuovo piuttosto che appiattirsi e allinearsi alla via più battuta, la rievocazione.
Galofaro con la sua Tesi di Laurea, proposta come progetto per la ricostruzione del Teatro la Fenice, ha colto e cercato di dominare un evento critico, la sfida era di manipolare in maniera non ‘tradizionale’ uno spazio, ‘un interno’ da adattare, ma con le proprie caratteristiche, ad uno spazio gia esistente. Evidentemente il suo progetto non ha rispecchiato le intenzioni di chi ha avuto il compito di scegliere il progetto vincitore, la commissione giudicatrice ha approvato il progetto di Philip Holzmann, curato nella parte architettonica da Aldo Rossi.
Il lavoro di Marco Galofaro non è stato indifferente alle vicende del Teatro, ma le ha rielaborate e rilette, dalla mente poi, hanno preso una vera e propria forma.
Mi riferisco al fuoco, elemento che ne ha determinato la distruzione, nel progetto di Galofaro acquista una nuova identità.
Diventa metafora, e la sua forma continua ed eterogenea, riempie tutto lo spazio interno del Teatro, il vuoto lasciato dalle fiamme. L’involucro che lo contiene, invece, è quello della vecchia costruzione, l’esterno perciò mantiene l’immagine di sempre. L’unico ‘prospetto’ del nuovo progetto è la copertura, che continuando ad emulare il fuoco, emerge all’esterno in un andamento sinuoso.
Non nega il passato, ma è con gli strumenti del presente che l’architetto agisce; foto digitali hanno catturato le immagini del suo plastico di studio e del sito reale del Teatro, immagini che sono state combinate insieme grazie a programmi di fotoritocco.
Grazie anche ad uno scanner in 3D è stato possibile poter visitare e modificare il modello in ogni sua parte.
Schematicamente il Teatro è diviso in tre parti: sale Apollinee e il foyer, sala-palcoscenico, servizi e uffici. Con il restauro si cerca di recuperare il possibile, nel restante spazio non recuperabile, le mura sono tenute a rovina con l’inserimento di una rampa che collega gli spazi di rappresentanza con la sala teatrale e la nuova sala conferenze.
Sopra il palco, composto da quattro pedane mobili, trova spazio la sala per il corpo di ballo.
Tutto assume un aspetto di continuità, si elimina la distinzione tra pareti e pavimento, è tutto come avvolto.
Questo mi ricorda un recente lavoro di Ben Van Berkel, il
Museo progettato per la Mercedes-Benz
nel quale una linea infinita si dispiega in se stessa crando un
volume. Interni ed esterni sono collegati senza soluzione di continuità; solaio che diventa facciata, in modo da rendere la costruzione più continua possibile.
Dialogo, è questo che Marco Galofaro si aspetta da questo progetto, un dialogo tra l’involucro esistente e il nuovo spazio in esso contenuto, un’armonia, così come l’ha trovata ogni edificio costruito sull’acqua di Venezia, nella quale essi si riflettono, l’acqua restituisce ogni volta, a seconda della luce e del tempo un immagine differente.
Allo stesso modo il nuovo costruito si riflette nel vecchio e tutto sembra confondersi, segno che il dialogo avviene.
E’ un gioco di specchi dove la virtualità della mente e la concretezza della percezione si riflettono.
Non so se sono più gli appassionati del PC e cybertect, o gli altri, i profani del computer e delle altre ancor più nuove tecnologie, ad avere più bisogno di rifugiarsi nel virtuale, visto che i cosiddetti tradizionalisti e amanti di tutto ciò che è reale e tangibile, nel parlare del nuovo progetto del Teatro la Fenice, è come se avessero negato che c’è stato l’incendio.
Hanno cercato di fare ciò che studenti di Architettura, come me, avrebbero fatto nel caso sbagliassero un muro, un materiale, o una semplice linea, disegnandolo con programmi come AutoCad, hanno cercato la ‘grandiosa’ freccetta che annulla l’ultimo comando, negando l’errore o l’imprevisto, tutto torna come prima.












cmv






































































































































































A proposito del Teatro la Fenice
Cronologia
Foto Ricostruzione
Rassegna Stampa
Ricostruzione
Tesi Galofaro
Home Page