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Classificare le mal. Neuropsichiatriche dell’infanzia è molto difficile, e allora si inizia dalla modalità e dalla prassi per la valutazione diagnostica del bimbo, e la fascia d’età che copriamo va da zero ai 18-20 anni, perché comprende anche l’adolescente. Vedremo poi quali sono le classificazioni e gli inquadramenti internazionali o meno che noi utilizziamo. Infatti nella storia della neuropsichiatria infantile il problema dell’inquadramento diagnostico è stato per molti anni molto generico, non tutti utilizzavano gli stessi criteri, perché non li avevamo.Si riconoscevano certi quadri fondamentali della psichiatria, ma poi era la pratica che ci guidava; c’ era tanta dispersione per riconoscere le linee anche per quanto riguarda il trattamento. La neuropsichiatria infantile è una disciplina abbastanza recente, come storia e come modalità di inquadramento (è degli ultimi 20 anni una produzione di classificazioni che sono diventate indispensabili anche perché ora non c’ è più il singolo clinico che segue il bambino, ma c’ è bisogno di scambiare informazioni. Allora è nato il problema del “capirsi”, quando per es. si parla di un bambino psicotico, o di un bambino con certi disturbi del comportamento, se mettete 10 clinici insieme, avremo 10 valutazioni diverse. Allora abbiamo bisogno di affinare i nostri strumenti e di chiarire in base a che cosa diciamo che un bambino ha un certi tipo di disturbo. Questa è una modalità che ci spinge a vedere che ci sono quadri fra loro molto molto diversi. Un tempo bastava fare una distinzione e una ricerca di quadri molto simili a quelli dell’ adulto, e si parlava solo di demenze e deficit mentali (era tutto deficit mentale!), poi sono emerse le schizofrenie infantili, poi le nevrosi, quindi le diagnosi oscillavano tra le psicosi, le nevrosi e un quadro borderline, come per l ‘adulto che è una sorta di calderone dove inserire tutto ciò che non è psicosi né nevrosi.In realtà esistono questi quadri, però poi esistono la > parte delle situazioni che non rientrano in queste due, e non si riusciva ad individuarle. La psichiatria infantile presenta poi, rispetto a quella dell’ adulto, la particolarità legata alla fascia d’ età: si tratta di età evolutiva , cioè soggetti in cambiamento: le fasi di sviluppo e maturazione ricoprono tutto questo arco d’ età , cioè fino ai 18-20 anni. Certi quadri di deficit mentale più particolare possono riguardare certe capacità di astrazione compaiono anche a 15-16 anni. Tenere presente sempre il fattore sviluppo. L’ altro fattore importante è la dipendenza del bambino, cioè il fatto che il bambino non esiste da sé, non è autonomo, ma è sempre in dipendenza dal suo contesto, che va da quello più stretto familiare al contesto sociale e tante situazioni e tante manifestazioni che vengono espresse dal bambino sono strettamente legate al suo contesto. Allora qui c’ è un ulteriore aspetto che rende più complesso l’ inquadramento diagnostico, e una particolarità di queste classificazioni, che utilizzano infatti più assi. Le due classificazioni internazionali più importanti sono il DSM – 4° (ci sono state varie “numerazioni perché via via è stato “Affinato”) e il CD 10 .Queste sono inquadramenti nosografici descrittivi delle malattie. Per rispondere alle esigenze dell’ infanzia e dell’ adolescenza sono state fatte per es. nel CD 10 una parte specifica per queste fasce d’ età, strutturata su più assi. L’ asse 1 dà la diagnosi, e quindi parla della mal. Psichiatrica ( se c’ è o se non c’è); però per Per es. le psicosi infantili, non le ritroviamo più così, non si chiamano più così nel CD 10 e nel DSM4 , vengono denominate “Disturbi pervasivi dello sviluppo”, per sottolineare di più proprio questo aspetto dell’ importanza dello sviluppo, e che contrariamente all’ adulto, c’è un ‘ interferenza sulle modalità di sviluppo del bambino che è distorto. Vengono poi elencati i criteri diagnostici, cioè come si fa a parlare di disturbo pervasivo dello sviluppo. Poi dopo va ad analizzare se esiste un ritardo mentale, o se ci sono delle malattie mediche associate, se quel bambino ha per es. l’ X fragile o una mal. Metabolica, e questo è l’ asse 3. Se invece ci sono della situazioni particolarmente stressanti, e questo è l’ asse 4 . Se lo sviluppo del bambino da un punto di vista emotivo generale è alterato, e questi viene classificato su un altro asse. In questo modo non abbiamo più soltanto la descrizione del sintomo del bambino ,ma abbiamo anche altri aspetti. Ovviamente se si vuole inquadrare il bambino secondo questi assi lo dovremo conoscere bene, quindi non fermarsi solo ai cinque minuti di osservazione di un certi tipo di manifestazione, ma dovremo sapere com’è quel bambino, qual’ è il suo sviluppo mentale, quali sono le sue capacità , che tipo di relazione c’ è all’ interno della sua famiglia. Questa non è una cosa banale: spesso si parla solo con i genitori e non si vede il bambino; c’ è che non approfondisce l’ aspetto familiare o scolastico. C’ è bisogno di attuare una prassi di osservazione , per poter dare un inquadramento attraverso un’ anamnesi accurata, non solo personale ma anche familiare, la storia dello sviluppo e le manifestazioni per cui questo bambino ci viene portato. Praticamente anche 15 o 20 anni fa, quando queste classificazioni non c’ erano, il lavoro nostro veniva svolto lo stesso, valutando il problema nell’ arco dello sviluppo, a livello di famiglia e di scuola, prima di poter dare una collocazione di certi sintomi, perché un sintomo solo in sé e per sé va collocato, e questo vale anche per gli adulti: un’ enuresi a tre anni ha un senso, a 15 anni un altro! La valutazione diagnostica è la cosa più difficile da fare: occorre innanzi tutto vedere se il bambino è normale o se c’ è una patologia, vedere che tipo di pato. è; come rispondere e cosa fare , se ci saranno o meno risultati. Quindi non fare una valutazione subito dopo il primo incontro, cosa che un po’ di tempo fa ci si richiedeva: si doveva dare subito un giudizio.Oggi per una valutazione psico-diagnostica, come minimo nella prassi ci sono due colloqui con i genitori e due incontri di osservazione e di valutazione con il bambino e poi un incontro di restituzione e di consegna diagnostica. Occorre tempo, non solo perché ci sono tutte queste osservazioni e sedute , ma perché ci vuole attenzione e riflessione a ciò che vi arriva nel corso degli incontri con genitori e bambino. Dico questo pensando ad una valutazione standard, ma se vi arriva un bambino piccolo sarà difficile che venga da solo, di solito l’ osservazione è fatta con un o dei due genitori; l’ adolescente viene osservato direttamente, anche se bisogna tenere conto del rapporto con i genitori che c’ è sempre. Quindi anche la metodologia cambia a seconda dell’ età e della situazione. Ovviamente per un bambino noi possiamo procedere alla valutazione diagnostica solo quando questo ci è richiesto dalla famiglia, oppure ci deve essere la richiesta del Tribunale. La valutazione diagnostica può essere in certi casi molto lunga e spesso questi tempi possono non essere sufficienti, e c’ è bisogno di una valutazione diagnostica “prolungata”, continuando ad avere colloqui con i genitori o con il bambino. Certe osservazioni possono anche essere fatte a scuola, come avviene in Francia. Nella nostra prassi molto meno. Chi osserva è il medico o anche una figura non medica; in genere però si fa in ambulatori dove c’è una stanza attrezzata con materiale idoneo.Si può aver bisogno di strumenti più specifici, cioè test per la valutazione intellettiva del bambino oppure più orientati x certi tipi di patologie: x es. test per la valutazione di disturbi depressivi o di sindromi ossessivo – compulsive …… A cosa ci serve questo inquadramento?A dare una risposta a chi ci porta il bambino.Come prima base per proporre un progetto terapeutico di intervento. Se poi il bambino ha un certo problema, dovremo valutare se persiste o si modifica nel tempo. Quindi certi inquadramenti ci servono, ci servono per vedere in che ambito siamo della patologia. La valutazione richiede un bagaglio culturale grosso, conoscenze sullo sviluppo del bambino: occorre , quando ci troviamo davanti ad un bambino, vedere se è paragonabile agli altri di quell’età, come si comporta, come parla, come cammina, come si relaziona anche dal punto di vista medico,se piange o se è indifferente, esaminando tante funzioni, cioè quelle dell’io: motricità, espressione e contenuti del linguaggio, modalità di relazione che stabilisce con il medico che è un estraneo. Da qui ancora la necessità e l’importanza di più incontri: spesso non sapete nemmeno cosa gli viene detto; qualcuno gli dice “ti porto da un’amica”, altri “ti porto dal dottore”, e questo implica il fatto che noi non portiamo il camice (“il dottore è quello che fa le punture”). Nell’ambito di questi incontri noi abbiamo bisogno di raccogliere certe informazioni, ma certe informazioni devono anche esserci portate, stare a sentire che cosa ci viene portato e come. In questi colloqui è importante fare domande, secondo una prassi un po’ psichiatrica: questo può darci un’idea su alcuni substrati e sulla personalità del genitore, poi però abbiamo anche bisogno di avere informazioni particolari perché sappiamo essere significative sullo sviluppo del bambino e quindi per identificare certe manifestazioni o patologie; di un bambino (cosa che non si fa nell’adulto) dobbiamo conoscere bene la gravidanza, quello che sono le esperienze individuali, traumi o eventi intercorsi, i primi atti dello sviluppo e, cosa molto importante per noi, lo sviluppo delle relazioni: sapere se ci sono stati traumi, perdite o separazioni, perché queste spesso non vengono valutate abbastanza.Spesso infatti viene sottovalutata l’importanza di certi eventi (“ tanto è piccolo, non se ne accorge”, non riconosce certi eventi, ma certi messaggi possono arrivare.).Quindi noi sappiamo che certi eventi nei primi anni di vita sono importanti per cui dobbiamo avere informazioni riguardo a questi momenti particolari.Abbiamo bisogno di collocare i sintomi e le manifestazioni che ci vengono portate nella storia di quella determinata famiglia, perché qui possono esserci i fattori eziopatogenetici di quel quadro. Queste classificazioni però non possono dire niente dal punto di vista della prognosi: solo se noi siamo in grado di ricostruire una diagnosi in qualche maniera non solo nosografica descrittiva, ma di collocare i sintomi che il bambino ci presenta. Noi abbiamo due classificazioni internazionali che sono abbastanza analoghe, anche perché sono state fatte nel tentativo di uniformare, per cui adottare il DSM4 o il CD10 è abbastanza uguale,anche se l’organizzazione Mondiale della Sanità ha scelto il CD10 , ed è proprio l’OMS che ha fatto questa sezione particolare per i bambini e gli adolescenti. Quali sono i rami che vengono descritti in questa classificazione? Da un p unto di vista storico, come vi avevo accennato,la patologia mentale dell’infanzia veniva distinta in:
In realtà invece abbiamo una gamma di disturbi molto più ampia.Un tentativo di inquadrare i disturbi lo hanno fatto per primi i francesi. Per molto tempo anche per noi italiani uno strumento molto valido è stata la classificazione di Misess delle malattie mentali del bambino, dell’infanzia e dell’adolescenza. Si distinguono:
Il CD 10 chiama queste alterazioni non più psicosi, termine preso in prestito dalla psichiatria dell’adulto che faceva pensare ad una “perdita del contatto”, ma Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico, a sottolineare il fatto che lo sviluppo del bambino è tutto alterato.
Questo è l’asse 1. L’asse 2 vi dice se ci sono aspetti associati di organicità, sofferenza prenatale o post natale , fattori sociali o ambientali che possono intervenire. Misess è stato il primo ad intuire l’importanza della classificazione. E’ uscita anzi è ancora in fase di studio la classificazione zero tre, che è la classificazione diagnostica dei primi quattro anni di vita del bambino,proprio considerando che un bambino piccolo ha poi dei quadri suoi ed una seri e di manifestazioni che sono più particolareggiate perché legate a quest’età sia tenendo conto dei sintomi, ma anche dell’importanza dei fattori di stress e degli eventi traumatici. E’ molto diverso parlare di malattia, di psicosi a sei anni, o nei primi quattro anni. |
Ultimo aggiornamento: 14-10-06. |