MODIFICA DEL TITOLO V° DELLA COSTITUZIONE E VIGENZA DEL CONTROLLO SUGLI ATTI DEGLI ENTI LOCALI: UNA QUESTIONE SULLA QUALE RIFLETTERE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI SICILIANI.
Dott. Mario Trombetta – Segretario Direttore Generale Comune di Zafferana Etnea (CT)
Uno degli argomenti che in questi giorni appassiona sia gran parte della dottrina, che chi opera nel mondo delle autonomie locali, è la presunta eliminazione dall’ordinamento giuridico amministrativo degli enti locali del controllo preventivo di legittimità sugli atti dei Comitati Regionali di Controllo, conseguente all’avvenuta modifica del titolo V° della Costituzione Repubblicana ad opera della Legge Costituzionale n. 3 del 2001; argomento ancora più alla ribalta a seguito della recentissima sentenza del T.A.R. Catania – Sez. II° del 22/1/2002, n. 79, che ha affrontato il tema della validità o meno degli atti adottati dai Co.Re.Co. siciliani dopo il 31 dicembre 1999, data di cessazione ope legis della loro attività.
Dinnanzi ad una questione talmente delicata e importante, chi opera con piena consapevolezza della responsabilità del proprio ruolo, non può fare a meno di tentare, sulla questione, un approccio di tipo squisitamente giuridico e con tale spirito che si propongono le seguenti riflessioni.
Nel sistema delle autonomie locali previsto dalla Costituzione ampio spazio era attribuito alle norme che prevedevano i controlli. Tale sistema trovava la sua ratio giustificatrice nel fatto che occorreva mantenere l’unità sostanziale dell’azione amministrativa. Restava affidato alle leggi ordinarie il compito di delimitare l’ambito dei controlli, individuando non solo il loro ambito soggettivo ed oggettivo, ma anche il tipo di controllo da porre in essere (di legittimità o di merito). Tale compito venne, in un primo tempo, assolto dalla Legge Scelba. Per quanto concerneva gli enti locali restava in vigore il T.U.L.C.P del 1934.
L’armonizzazione dei sistemi dei controlli sulle Regioni con quanto previsto nel testo costituzionale avvenne per effetto delle modifiche apportate dalla legge n°1084 del 1970 alla legge Scelba, nonché per quelle previste nel D.lgs.n°40 del 1993 e n°479 del 1993.
Il sistema dei controlli sugli atti degli enti locali è stato, poi, riformato dalla legge 142/90. I vari interventi legislativi in materia hanno evidenziato la progressiva riduzione dei controlli in virtù dell’attribuzione di maggiore autonomia agli enti locali
Il testo unico sull’ordinamento degli enti locali, emanato dal governo con il decreto legislativo n°267 del 18 agosto 2000, in virtù della delega ricevuta dal Parlamento con l’art. 31 della legge n°265 del 1999,conferma, peraltro, l’affievolimento dei controlli sulla legittimità degli atti amministrativi già iniziato con la legge 127/97. Quest’ultima, infatti, aveva previsto il ridimensionamento degli atti sottoponibili al controllo del CO.RE.CO, che, fino a tale data, era stato alquanto pervasivo.
La citata legge, infatti, in aderenza al trend segnato dalla legge n. 142/90 e dalle leggi nn.19 e 20/94, ha teso a circoscrivere l’ambito delle attività controllate rispetto a quanto previsto dalla legge Scelba, emanata in attuazione del dettato normativo di cui all’art.130 Cost.
Essa ha dato vita ad una nuova "filosofia"dei controlli determinando il passaggio dal concetto di "controllo- freno", volto a frenare l’azione amministrativa, a quello di controllo-impulso che si manifesta in un’attività di indirizzo e direzione dell’attività amministrativa orientando quest’ultima verso il raggiungimento degli scopi dalla stessa prefissati.
La legge 127/97 (legge Bassanini bis) ha, del pari, ridefinito il concetto di legittimità. A partire da tale legge, essa è stata intesa quale conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie, norme che devono essere indicate nel provvedimento di annullamento con esclusivo riferimento alla forma ed alla procedura. Non viene, dunque, più in rilievo nessun’altra valutazione dell’interesse pubblico perseguito. Le disposizioni contenute nella legge Bassanini sono state recepite dal Testo Unico, il quale ha previsto tre tipi di controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti locali. Segnatamente, l’art.126 prevede che il controllo necessario del CO.RE.CO si eserciti sugli atti fondamentali dell’ente (quali: lo statuto; i regolamenti consiliari; il rendiconto della gestione ed il bilancio annuale e pluriennale); l’art.127, 1°e 2° comma, prevede il controllo eventuale, presso il difensore civico, sulle delibere in materia di appalti e di personale; infine, il terzo comma dell’art.127 prevede il controllo eventuale sulle delibere di giunta e di consiglio che la stessa giunta intende sottoporre al CO.RE.CO. per rafforzare la legittimità dell’operato dell’ente.
Restano, di contro, rafforzati i controlli legati ai risultati della gestione quali: il controllo di regolarità amministrativa e contabile; il controllo di gestione per verificare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione della P.A.; il controllo strategico e la valutazione delle prestazioni dei dirigenti.
In un quadro così delineato, in cui appare assai ridimensionato il ruolo dei comitati regionali di controllo, dirompente è stata la recente riforma costituzionale sul federalismo che ha previsto l’abrogazione dell’art.130 Cost. Per effetto di tale modifica costituzionale, che ha soppresso i controlli preventivi di legittimità, si è posto il problema della sopravvivenza o meno dei CO.RE.CO.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha indubbiamente rappresentato un vero punto di svolta verso una completa autonomia ordinamentale delle autonomie locali e, tra gli interventi operati, all’art. 9, comma 2° ha, tra l’altro, abrogato l’art. 130 della Costituzione che così recitava:
"Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali.In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione."
Un corretto metodo esegetico della norma, impone di chiedersi, cosa di fatto prevedeva l’art. 130.
L’art. 130 Cost. sostanzialmente, prevedeva che il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali, doveva essere esercitato da uno specifico organo (regionale) istituito con legge ordinaria dello Stato. Pertanto, il dettato costituzionale prevedeva che un organo regionale, di rilevanza costituzionale, fosse il titolare delle funzioni di controllo di legittimità degli atti degli enti locali, prevedendo una specifica riserva di legge ordinaria che stabilisse le modalità di costituzione e funzionamento dello stesso.
In sede di prima applicazione del testo costituzionale, l’ordinamento aveva previsto una fitta reta di controlli, sia di legittimità che di merito sugli atti degli enti locali, controlli, che col passare degli anni sono stati notevolmente ridotti e limitati al solo controllo di legittimità di alcuni tassativi atti fondamentali.
Infatti, la legge 10 febbraio 1953 n. 62, agli artt. 59 e 60 attribuiva ai costituendi Comitati Regionali di Controllo, nei confronti delle province e dei Comuni, i controlli di legittimità fino ad allora di competenza, secondo le disposizioni vigenti, della Giunta Provinciale Amministrativa e dei Prefetti.
Successivamente, la legge 8 giugno 1990 n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, il cui art. 45 ha stabilito che sono soggette al controllo preventivo di legittimità dei Comitati Regionali, di cui al precedente art. 44, le deliberazioni che la legge riserva ai Consigli Comunali e Provinciali, nonché quelle che i Consigli e le Giunte intendono, di propria iniziativa, sottoporre al Co.Re.Co. e quelle che, in determinati casi, possono essergli sottoposte da un certo numero di consiglieri.
Arrivando poi, ai tempi recenti, il decreto legislativo n. 267/2001 (sul punto sarebbe anche da chiedersi, se l’art. 130 prevedeva una riserva di legge oltre che materiale anche formale, ma lasciamo la questione ai costituzionalisti) agli articoli 126 e seguenti, ha riformulato l’intera materia dei controlli di legittimità, riprendendo, sostanzialmente la disciplina modificata ed in vigore.
Le leggi regionali delle Regioni a statuto ordinario, sono intervenute in materia di composizione, funzionamento e modalità di sottoposizione degli atti al controllo, quali atti normativi di integrazione ed attuazione della disciplina legislativa ordinaria, intesa quale legge di principi (Legge n. 142/1990).
Le Regioni a statuto speciale e, con particolare riferimento alla Regione Sicilia, che come sappiamo gode di potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento amministrativo degli enti locali e, quindi anche in materia di controllo sui relativi atti (artt. 15 e 16 dello Statuto Siciliano, fonte di rango costituzionale ai sensi dell’art. 116 Cost., riconfermata anche dalla legge cost. n. 3/2001), è intervenuta con propria legge regionale, la legge 3 dicembre 1991, n. 44, successivamente modificata dall’art. 4 della legge regionale 7 luglio 1997, n. 23, istituendo il Comitato Regionale di controllo sugli atti delle province e dei comuni siciliani e disciplinandone, in maniera esclusiva, organica e completa, l’esercizio di tale funzione di rilevanza costituzionale.
Quanto illustrato brevemente nei paragrafi precedenti risulta essere stato il quadro normativo sui controlli di legittimità degli atti, prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3/2001.
Mantenendo il giusto rigore metodologico imposto dall’analisi esegetica delle norme, a questo punto, l’interprete giuridico deve chiedersi, quale effetto nell’ordinamento complessivo ha sortito l’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione.
Innanzitutto un dato immediatamente si rileva: l’eliminazione, per effetto abrogativo, dell’art. 130 Cost. e la permanenza, o meglio, attuale vigenza, delle leggi ordinarie e regionali sul controllo di legittimità, di fatto ha determinato una cd. antinomia normativa.
Tale antinomia normativa è generata dalla abrogazione di una norma di fonte gerarchicamente superiore (costituzione) e dalla vigenza, per non abrogazione, di una norma di fonte gerarchicamente inferiore (legge ordinaria – legge regionale).
Che l’abrogazione dell’art. 130 Cost. è un dato reale, nessuno può dubitare; infatti tale effetto è intervenuto con legge costituzionale posteriore (legge cost. n. 3/2001). Ma altrettanto reale è l’attuale vigenza delle legge ordinarie e regionali sui controlli. Chi sostiene il contrario su tale ultimo punto, fa forza su un presunto istituto di caducazione di norme di legge, dimenticando o forse ancor peggio, ignorando che la cessazione della vigenza di una norma di legge ordinaria può avvenire soltanto con due rimedi, l’abrogazione e l’annullamento (abrogazione per referendum popolare ai sensi dell’art. 75 Cost.; abrogazione di competenza del legislatore ordinario ai sensi dell’art. 76 Cost.; l’annullamento di competenza dell’organo giurisdizionale costituzionale ai sensi dell’art. 136 Cost.).
A tal punto sarebbe più lecito sostenere che l’antinomia sussiste non tra l’art. 130 Cost. e le leggi ordinarie e regionali sui controlli, bensì tra la legge costituzionale n. 3/2001 e, soprattutto, tra l’art. 117 Cost. e la legge ordinaria e le leggi regionali sui controlli.
Infatti, dobbiamo sostenere che, l’abrogazione dell’art. 130 Cost. ha di fatto determinato una effettiva mancata previsione di un organo regionale che svolga il controllo di legittimità sugli atti dei Comuni e delle Province; in sostanza, il controllo preventivo di legittimità non è più previsto a livello di normazione costituzionale e, pertanto, non può essere più considerato affidato alla potestà legislativa ordinaria prevederlo, bensì affidato alla competenza esclusiva delle Regioni; infatti, l’art. 117 della Cost. nella sua nuova formulazione, prevede che le regioni hanno potestà legislativa primaria in materia. Saranno, pertanto, le Regioni a prevedere l’istituzione della funzione di controllo o meno.
Ma il punto che a noi interessa è quello di verificare se, con l’intervenuta delegificazione costituzionale del controllo e la vigenza a livello normativo ordinario (legge ordinaria) o a livello normativo regionale (legge regionale) della funzione di controllo, determina o meno antinomia.
La risposta sembra evidente; infatti, non può sussistere antinomia normativa tra una norma costituzionale eliminata dall’ordinamento ed una norma di legge primaria (ordinaria dello stato o regionale). A tal punto, la considerazione logica che l’antinomia sussista non tra l’art. 130 Cost. e la legge ordinaria sui controlli, bensì tra quest’ultima e l’art. 117 Cost.
Pertanto, seguendo il percorso logico del processo esegetico intrapreso, possiamo sino a questo punto sostenere:
Quale è la soluzione per la composizione delle antinomie normative tra norma con vigenza cessata (art. 130 Cost.) ovvero con vigenza sopravvenuta (nuovo art. 117 Cost.) e normativa di fonte gerarchicamente subordinata (Legge 267/2000 e L.r. n. 44/91)?
La dottrina costituzionalistica più accreditata (V. Crisafulli), indica, in generale per la risoluzione delle antinomie normative, l’applicazione di tre diversi criteri:
Il criterio cronologico postula che la legge posteriore abroga la legge anteriore (lex posterior abrogat anteriori – art. 15 Cod.Civ.). L’effetto dell’applicazione di tale criterio è l’abrogazione delle norme antecedenti contrastanti, ma tale effetto è possibile esclusivamente tra norme di legge di fonte gerarchica pari ordinata (cd. successione di leggi nel tempo).
Il criterio gerarchico e della competenza prevedono, rispettivamente che l’antinomia tra norme di diverso rango o grado viene composta mediante annullamento della legge di grado inferiore, mentre in caso di norme emanate da due diversi organi, con l’annullamento della norma emanata dall’organo incompetente.
Il criterio gerarchico risulta essere, pertanto, l’unico applicabile al caso specifico. In tale caso, pertanto, soltanto l’effetto abrogativo di una legge ordinaria dello Stato o l’annullamento della corte costituzionale della norma di legge ordinaria (art. 126, 127 e 128 T.U.E.L.) per illegittimità costituzionale sopravvenuta con il nuovo art. 117 Cost. potrà risolvere l’antinomia. Nelle more dell’intervento legislativo o del giudice costituzionale, permane la vigenza e l’effettività della normativa statale sui controlli.
Infatti, il giudizio di legittimità costituzionale sull’art. 126 e ss. del D.Lgs. n. 267/2000, dovrebbe verificare, innanzitutto, se in materia di controllo di legittimità sugli atti, l’art. 117 Cost. prevede, o meno, una potestà legislativa delle Regioni ovvero dello Stato. Nel primo caso, sussisterebbe una illegittimità costituzionale dell’art. 126 D.lgs. 267/2000, in quanto materia sottratta alla competenza legislativa dello Stato. Qualora, invece, il giudice costituzionale, ravvisasse nell’art. 117, comma 2°, lettera p), dove viene attribuita competenza legislativa statale esclusiva in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, ricompressa anche l’attività di controllo degli atti, in quanto anch’essa attinente attività degli organi di governo degli Enti, allora in tale ipotesi, non soltanto cadrebbe ogni ritenuta illegittimità, ma addirittura ogni ipotesi di antinomia normativa.
Per quanto attiene, invece, specificatamente la vigenza dei controlli in Sicilia, la legge regionale siciliana sui controlli (L.r. 44/91), essendo stata emanata in forza della già posseduta potestà legislativa esclusiva della Regione in materia, ed oggi ancor di più confermata dall’art. 117 Cost., non si verrebbe a determinare alcuna antinomia, bensì una piena vigenza ed effettività della normativa regionale sui controlli, sino a quando, lo stesso legislatore regionale non intenderà pervenire, in piena autonomia, oggi di fatto pienamente concessa dalla abrogazione dell’art. 130 Cost., alla scelta di eliminare, con propria legge abrogativa, ogni forma di controllo di legittimità sugli atti degli enti locali dell’isola.
Riassumendo, abbiamo le seguenti soluzioni:
REGIONI A STATUTO ORDINARIO:
REGIONI A STATUTO SPECIALE (SICILIA):
Com’è noto il governo nazionale, stante l’evidente impasse determinato dall’intervento costituzionale sui controlli di legittimità sugli atti, è intervenuto con un recente Decreto Legge 22 febbraio 2002, n. 13, recante "Disposizioni urgenti concernenti la funzionalità degli enti locali".
All’art. 1, comma 1°, si legge "Ai soli fini dell’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’esercizio finanziario 2002, l’ipotesi di scioglimento di cui all’art. 141, al comma 1, lettera c), del d.lgs. 18/8/2000, n. 267 è disciplinata secondo le disposizioni del presente articolo.
Il comma 2° dispone "Trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia predisposto dalla giunta il relativo schema, il prefetto nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, il prefetto assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente e inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio".
Il terzo comma, così, chiude l’art, 1:" Fermo restando per le finalità previste dal presente decreto che spetta agli statuti degli enti locali disciplinare le modalità di nomina del commissario per la predisposizione dello schema e per l’approvazione del bilancio, nell’ipotesi di cui all’art. 141, comma 2, del d.lgs. 18/8/2000, n. 267, alla predetta nomina provvede il prefetto nei soli casi in cui lo statuto dell’ente non preveda diversamente."
L’intervento normativo, sostanzialmente, mira a colmare, in modo direi alquanto maldestro, un presunto vuoto normativo in materia di controlli sugli organi e interventi sostitutivi. Infatti, a prescindere dal fatto che si interviene addirittura con legge temporanea (…Ai soli fini dell’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’esercizio finanziario 2002……..) modificando il Decreto Legislativo n. 267/2000 e, pertanto, snaturando la stessa funzione del Testo Unico, ma il rimedio è finalizzato a colmare la presunta caducazione di un organo di controllo, che lo stesso Testo Unico, invece, mantiene in vita, e sempre nella presunzione di fondo, dell’eliminazione di ogni controllo sia sugli atti che sugli organi degli enti locali.
Il terzo comma, risulta addirittura incomprensibile. Infatti, attribuisce allo statuto comunale la disciplina delle modalità di esercizio del controllo sugli organi e, soltanto, in caso di mancata previsione statutaria si prevede l’intervento del prefetto. Appare chiaro il "pasticcio" normativo, forse determinato dalla fretta di intervenire.
La norma sembra attribuire una competenza statutaria in materia di disciplina dei controlli sugli organi, in evidente contrasto con la norma costituzionale che, invece, l’attribuisce alla competenza legislativa regionale (art. 117 Cost.). Inoltre, nessuna norma del Testo Unico prevedeva una competenza statutaria nella disciplina dei controlli sugli organi. D’altronde come si poteva concepire una norma che desse al controllato la competenza a disciplinare le modalità del controllo su se stesso!
Ancora una volta si determina, comunque, una netta diversità tra l’ordinamento nazionale e l’ordinamento regionale siciliano. Infatti, pur con norma temporanea, l’art. 141 del T.U., viene di fatto modificato con atto avente forza di legge ordinaria e, pertanto, l’intervento sostitutivo nell’ambito dei controlli sugli organi degli enti locali delle Regioni a statuto ordinario, viene di fatto, e soltanto per l’anno 2002, esercitato dal prefetto. Per quanto attiene gli enti locali siciliani, si ritiene per le ovvie considerazioni sopra fatte, che la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia ordinamentale sugli enti locali, (art. 15 dello Statuto Siciliano), impedisce l’applicabilità del decreto legge citato in Sicilia, con l’effetto della piena vigenza, anche per quanto attiene i controlli sugli organi, della legislazione regionale in materia (Legge regionale 3 dicembre 1991, n. 44 – art. 24 e successivi).
Senza alcuna pretesa, si ritiene che il ragionamento giuridico appena fatto possa determinare, in chi desidera porsi dinnanzi al problema posto con serietà, una riflessione più attenta e meditata o, comunque, spero lo stimolo ad un approccio di tipo giuridico per le decisioni da adottare in ogni ente sulla sottoposizione o meno degli atti al controllo preventivo obbligatorio di legittimità.
Dr. Mario Trombetta – Segretario Direttore Generale del Comune di Zafferana Etnea (CT)