La catha selvarega

Me nono me contea che 'l era un branco de can selvareghi rabiosi, che girea de not par i nostri paesi magnando carne de tute le sort: i sbranea un po' de tut. Le fameie che avanzea un po' de carne, i la atachea su la porta e i zighea: "Caza selvarega, vien a torte la to carne !", parché i avea paura che sto branco de can rabiosi i ghe magnesse le bestie e anca lori. Ghe n'era an on che 'l vivea su la montagna e non 'l avea paura de sta cazza selvarega. Na not però sti can randagi i è arivadi da le so parti sgrafandoghe la porta, e lu serandosse dentro el se ha salvà. El dì dopo el se ha fat insegnar dai veci, par sconderse dai can, de far an bus in mezo al fien. La not i can i fa ritorno e non i trova nient da magnar. La matina el vien fora dal fien tut content e el verde la porta de casa. E cossa védelo ? Con gran oror el cata an cadavere picà sula porta !

Mio nonno mi raccontava che era una muta di cani selvatici e rabbiosi che girava di notte per i nostri paesi mangiando carne di tutte le sorti: sbranavano di tutto. Le famiglie che avanzavano un po' di carne, l'attaccavano sulla porta e gridavano: "Caccia selvaggia, vieni prenderti la tua carne", perché avevano paura di questa muta di cani rabbiosi, che potesse mangiare gli animali e anche loro stessi. C'era una volta un uomo che viveva sulla montagna e non aveva paura di questa caccia selvaggia. Una notte però questi cani randagi sono arrivati dalle sue parti graffiandogli la porta, e lui chiudendosi dentro si è salvato. Il giorno dopo si è fatto suggerire dai vecchi, per nascondersi dai cani, di praticare un buco in mezzo al fieno. Quella notte i cani sono tornati e non hanno trovato niente da mangiare. Il mattino egli viene fuori dal fieno tutto contento e apre la porta di casa. E cosa vede ? Con grande orrore trova un cadavere appeso alla porta !

[Villabruna di Feltre (BL), ott. 1992; Gina, a. 65, contad.; E. Ricci]