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“Calabria Ora” – Lunedì 24 settembre 2007 - pag. 11

 

Affondamento del Rigel
Un mistero da vent’anni


Dietro la vicenda l’ombra del traffico di rifiuti tossici e armi

Mare piatto, ottime condizioni meteorologiche, nessuna traccia di impatto con altre imbarcazioni, eppure il 21 settembre di 20 anni fa affondava, a venti miglia sud-est da capo Spartivento al largo delle coste di Reggio Calabria nel mar Ionio, la nave da carico di 3000 tonnellate battente bandiera maltese, Rigel. Una vicenda rimasta ancora più oscura in ragione del collegamento stabilito con lo spiaggiamento della motonave Rosso (ex Jolly Rosso) della compagnia Ignazio Messina, avvenuto sulle coste cosentine nel dicembre di tre anni dopo. Una vicenda su cui ha indagato la procura reggina sotto la direzione del procuratore Francesco Neri fino al 2000. A bloccare l’inchiesta l’improvvisa morte del capitano di corvetta Natale De Grazia, punta di diamante del pool investigativo Ecomafie della Procura di Reggio Calabria, colpito da un improvviso e fatale malore il 13 dicembre 1995 durante il viaggio che lo conduceva a La Spezia per interrogare l’equipaggio della motonave Rosso, tratto interamente in salvo dopo lo spiaggiamento.
Poi l’archiviazione del processo, intervenuta nel 2000. Il collegamento tra i due fatti sarebbe ascrivibile ad un appunto rinvenuto nell’agenda dell’ingegnere lombardo Giorgio Comerio, titolare della società Oceanic Disposal management (CDM) intercettato dagli investigatori nell’ambito dell’inchiesta reggina relativa ad affondamenti dolosi, smaltimento di rifiuti nocivi e trasporto di sostanze tossiche. La stessa inchiesta, in ragione di inattesi epiloghi, sarà poi trasferita alla Direzione Distrettuale Antimafia.
E’ il pubblico ministero Alberto Cisterna, infatti, al cospetto della commissione parlamentare Rifiuti, a dichiarare che alcuni esponenti delle ‘ndrine della provincia reggina, residenti in territorio tedesco ma referenti di cosche joniche, sarebbero state interessate da forme di collaborazione con società tedesche. Ciò lasciava presumere che esistesse un nesso tra gli inabissamenti di navi cariche di rifiuti e un traffico di armi destinate alle cosche dell’Aspromonte.
Dunque l’affondamento della Rigel potrebbe costituire un tassello di un puzzle che, secondo l’ipotesi più battuta dagli inquirenti, avrebbe potuto far capo al trasporto di scorie radioattive in un contesto di traffico internazionale di rifiuti nucleari che avrebbe come protagonisti industriali, politici e trafficanti di armi. La maglia del mistero si infittisce e si articola quando la stessa commissione Rifiuti dichiara di avere accertato l’esistenza di attività di trivellazione e inabissamento in mare di container, al largo della costa nord orientale della Somalia, paese con cui l’Italia, come anche altri paesi dell’Europa, avrebbe accordi per il trasporto di scorie radioattive.
A ciò si aggiunga che in Italia solo il 15% di rifiuti viene smaltito legalmente, e tutto il resto è interrato o gettato in fiumi e laghi, e che sono state numerose le dubbie operazioni finanziarie e svariati i progetti finti e inutili che avrebbero caratterizzato gli interventi italiani di cooperazione internazionale proprio nel corno d’Africa.
Tutti elementi, strettamente legati al traffico internazionale di armi in cambio di acque o siti in cui scaricare rifiuti tossici, posti in evidenza dall’inchiesta giornalistica condotta da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che, poco prima di essere uccisi nell’agguato del 20 marzo 1994 a Mogadiscio, intervistarono il sultano di Bosaso, sede del principale porto della Somalia e gestore del tratto di costa individuato come uno dei siti preferenziali dello scarico di rifiuti tossici della ditta Comerio.
Ma torniamo in Calabria, da dove siamo partiti. La vicenda dell’affondamento della nave maltese Rigel. Un mistero che ancora oggi rimane tale, dal momento che la sua storia presenta elementi rimasti inspiegabili. Un sos mai lanciato, destinatari sconosciuti di un carico di 40 vetture contenenti merci varie e diretto a Cipro, perdita di tracce dei 18 membri dell’equipaggio tutti tratti in salvo dalla nave mercantile jugoslava Karpen diretta al porto di Gabes in Tunisia che, per altro, non avrebbe risposto alle chiamate via radio della capitaneria di porto di Reggio Calabria e Messina. Insolita anche la durata del viaggio del cargo che, partito dal porto di Marina di Carrara il 9 settembre 1987, avrebbe impiegato 12 giorni per percorrere 800 miglia e raggiungere il mar Ionio, con presunte soste in mare aperto, non risultando un loro approdo successivo in altri porti italiani.
A ciò si aggiunga che, stando alla cronaca, il relitto della nave maltese Rigel non è mai stato individuato. Le indagini cominciarono nella città toscana. In qualità di sede dell’ultimo porto di partenza, la procura di Massa Carrara era quella territorialmente competente. Ma l’indagine si è poi estesa alla procura di Reggio Calabria, coinvolgendo, negli anni successivi, anche la procura di Paola e della città ligure di La Spezia, il cui porto decantato da Shelley e Wagner come il golfo dei poeti, è divenuto tristemente noto come il golfo dei veleni. Ed è proprio l’affondamento di queste navi dei veleni ad unire i destini di Liguria e Calabria specie a seguito dello spiaggiamento della motonave Rosso, partita dal porto di La Spezia e arenatasi sulle spiagge di Amantea, in provincia di Cosenza, il 14 dicembre del 1990.
Uno spiaggiamento che potrebbe essere legato all’affondamento della motonave Rigel di tre anni prima. Dai primi rilievi effettuati dalla procura di Paola nell’inchiesta diretta dal procuratore Franco Greco emersero tracce di rifiuti tossici trasportati dalla nave Rosso. Nell’ambito della vicenda “Rigel”, avvolta nel mistero, dunque, si sono intrecciati avvenimenti successivi legati al fenomeno che ha visto colare a picco nel mar Mediterraneo circa 50 navi nel periodo compreso tra gli anni ottanta e gli anni novanta.
A denunciare le caratteristiche comuni alle vicende di affondamento di queste imbarcazioni, soprannominate le navi dei veleni, il dossier di Legambiente e Wwf del 2004 in cui si evidenziava l’utilizzo di mezzi vecchi di oltre trent’anni inabissatisi in punti di particolare profondità con conseguente difficoltà di recupero del relitto. L’inchiesta si è estesa e numerose sono le procure di tutta Italia ancora impegnate sul fronte dell’indagini. L’obiettivo è quello di ricostruire complessi traffici illeciti, di portata internazionale, perseguiti attraverso una grave forma di inquinamento delle acque e dell’ambiente.

Anna Salvo


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