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“Calabria Ora” – Mercoledì 15 marzo 2006 - pag. 6

 

DELITTO ALPI

Neri indagato


A seguito di una clamorosa decisione presa dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, uccisi in Somalia in un contesto che resta fitto di misteri ed intrighi internazionali, la Procura della Repubblica di Roma ha avviato indagini sul conto del magistrato Francesco Neri, sostituto procuratore generale a Reggio Calabria e titolare, in passato, di diverse indagini sul traffico di rifiuti tossici.
Si tratta, per la Procura di Roma, di un “atto dovuto” adottato in seguito ad una iniziativa della stessa Commissione parlamentare che ha trasmesso alla Procura i verbali con le dichiarazioni rese da Neri alla Commissione stessa. Infatti la Commissione d’inchiesta ha le stesse funzioni e gli stessi poteri che il nostro ordinamento riconosce alla magistratura, per cui le deposizioni rese sotto giuramento sono penalmente perseguibili se ritenute mendaci. E’ per questo che la Commissione parlamentare ha disposto «l’invio, ai sensi dell’art. 17 c. 2 del regolamento, degli atti alla Procura di Roma, cui compete la valutazione delle dichiarazioni rese come testi alla Commissione».
Il certificato
Del resto il “particolare” che ha fatto assumere tale decisione è tutt’altro che di poco conto ed attiene al presunto rinvenimento, nel corso di perquisizioni svolte su ordine della Procura di Reggio Calabria, di un certificato di morte di Ilaria Alpi. Tale documento si trovava, secondo quanto riferito da Neri alla Commissione, tra le carte dell’ingegnere Giorgio Comerio, personaggio al centro di ogni indagine che si occupi dello smaltimento illecito di rifiuti speciali. Ma sul punto non solo non sarebbero arrivati riscontri ma anzi corpose smentite, da qui la decisione di trasmettere i verbali alla Procura di Roma.
Ma vediamo di rivisitare l’intera intricata vicenda. Il primo ad occuparsene fu Agostino Cordova (del quale Neri era sicuramente il più stretto e fidato collaboratore), quando da poco si era insediato sulla poltrona di procuratore della repubblica presso il Tribunale di Palmi. L’attenzione per la Somalia e per la triangolazione armi-rifiuti tossici-riciclaggio di narcodollari gli venne destata dall’esito di alcune perquisizioni condotte in una loggia “spuria” fatte eseguire a La Spezia nell’ambito della maxi-indagine sulla massoneria deviata.
Molti di quei personaggi appena lumeggiati dall’inchiesta di Cordova li ritroveremo, ormai a distanza di oltre un decennio, nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi e Hrovatin nonché nelle carte che l’accompagnano.
Qui abbiamo scelto di interessarci della parte della citata relazione parlamentare che interessa direttamente le “cose” ed i “personaggi” calabresi. Infatti la relazione conclusiva messa a punto dai tecnici e dai consulenti della Commissione parlamentare presieduta da Carlo Taormina è stata depositata ai primi di questo mese, troppa bagarre intorno alle elezioni perché i media potessero dargli spazio e tempo. Una lacuna da colmare, almeno per quel segmento che riguarda una Calabria che si conferma sempre al crocevia di tanti misteri che inquinano il nostro Paese.
La “nave dei veleni”
Due sono, in particolari, i capitoli calabresi della Commissione d’inchiesta: l’indagine sulle “navi dei veleni” ed in particolare sullo spiaggiamento della Jolly Rosso nel litorale di Amantea ed il memoriale del pentito di ‘ndrangheta Francesco Fonti che tratteggia un ruolo di primo piano che le cosche avrebbero avuto nel traffico internazionale dei rifiuti nucleari.
La Commissione d’inchiesta, relativamente alla vicenda della Jolly Rosso evidenzia, nella sua relazione, di essersene occupata «a seguito, dell’uscita dell’articolo intitolato “Intrigo Rosso” sul settimanale l’Espresso del 16 dicembre 2004 a firma del giornalista Riccardo Bocca».
In tale articolo si ripercorre la vicenda relativa allo spiaggiamento della motonave Rosso ed alle inchieste che ne sono seguite ad opera dei magistrati della procura di Reggio Calabria e di Paola; prendendo le mosse dalle audizioni rese all’epoca alla Commissione sul Ciclo dei Rifiuti da tali magistrati, viene ricostruito un presunto intrigo internazionale comprendente politici, faccendieri, criminali, al centro del quale si pone la figura dell’ingegnere lombardo Giorgio Comerio, evidenziando poi collegamenti con l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
La Commissione ha per questo proceduto alla convocazione ed all’audizione di tutti i magistrati calabresi impegnati nelle varie inchieste sul caso, «al fine di acquisire gli elementi di approfondimento sulla questione, in special modo per i paventati collegamenti con la morte dei due giornalisti».
L’inchiesta di Paola
Ma la pista finisce qui perché la relazione evidenzia che Francesco Greco, in servizio presso la Procura di Paola, ha illustrato le risultanze delle indagini condotte sulla nave Rosso, premettendo di non avere «nel modo più assoluto neanche in termini di mera possibilità» elementi di collegamento tra la morte di Ilaria Alpi e l’indagine da lui coordinata.
Tuttavia dalla relazione emerge una utile ricostruzione delle indagini calabresi sul traffico dei rifiuti nucleari. Ai commissari, infatti, il pm Greco ha spiegato come nel corso delle indagini fosse emersa la figura di un certo Giorgio Comerio, un ingegnere che aveva elaborato un progetto per lo smaltimento di rifiuti tossici denominato “Odm” ed indicato da più parti come persona dedita a traffici di rifiuti radioattivi. Secondo il magistrato audito Comerio aveva sicuramente interessi economici in Somalia, come dimostravano i documenti acquisiti presso la sua abitazione a seguito di una perquisizione domiciliare disposta dalla Procura di Reggio Calabria; dalla lettura di tale documentazione emergevano una serie di accordi tesi all’interramento di “penetratori” contenenti rifiuti radioattivi.
La Commissione ha poi sentito Francesco Neri, sostituto procuratore generale a Reggio Calabria e titolare negli anni passati della principale indagine su Comerio. La relazione evidenzia che Neri «ha presentato Comerio come un abile e pericoloso faccendiere, operante a livelli istituzionali altissimi e responsabile dell’affondamento di più navi trasportanti materiale pericoloso (fenomeno delle cd. “navi a perdere”, ndr)». Senza entrare nel merito delle indagini condotte e dei fatti investigati, che paiono eccentrici rispetto alle nostre finalità, l’audizione ha assunto una certa centralità laddove il magistrato, nel rievocare la perquisizione operata presso lo studio di Comerio, ha dichiarato di avervi rinvenuto il certificato di morte di Ilaria Alpi.
« Appare evidente – aggiunge la relazione – che la circostanza, in uno ad altre evidenze prospettate alla Commissione dai magistrati auditi, per le quali l’ingegnere volgeva i propri interessi illeciti anche alla Somalia, che in ciò godeva della complicità di Alì Mahdi e che uno dei siti di interesse era la zona di Bosaso, si è immediatamente appalesata di sicuro interesse e di indispensabile approfondimento. Proprio per questo motivo la Commissione si è mossa nel senso di verificare l’importantissima affermazione, pervenendo tuttavia a nessun riscontro in tal senso».
L’Espresso indaga
In sostanza accade che le inchieste giornalistiche, condotte in particolare dal settimanale l’Espresso, sembravano potessero avvalorare un collegamento tra il duplice omicidio Alpi-Hrovatin e i risultati di una indagine su un traffico di rifiuti tossici, inizialmente condotta dal pm presso la Procura di Reggio Calabria, Francesco Neri (oggi alla Procura generale di quella sede), poi da questi in parte conclusa con richiesta di archiviazione e in parte trasmessa alla Procura della Repubblica di Paola, dove è confluita nell’indagine, di cui si occupa il pm Francesco Greco, che riguarda anche lo spiaggiamento della nave Rosso (già denominata Jolly Rosso).
Si legge ancora nella relazione conclusiva: «La Commissione ha ritenuto quindi, di approfondire il tema, pur se i primi scambi informativi con il pm Francesco Greco avevano portato ad escludere che vi fossero, almeno allo stato, elementi di collegamento tra l’inchiesta e il duplice omicidio. Per non lasciare peraltro nulla di intentato, la Commissione, il 25 gennaio 2005, ha proceduto alle audizioni dei magistrati interessati alle indagini: Greco ha confermato quanto già anticipato, ossia l’assenza di un collegamento tra la sua indagine e il caso Alpi, riservandosi, comunque, di informare la Commissione ove mai dovesse, in prosieguo di indagini, emergere una diversa situazione; Neri, invece, ha dichiarato che, quando era in servizio presso la Procura circondariale di Reggio Calabria, tra i documenti sequestrati a Giorgio Comerio (nel corso di una perquisizione effettuata nell’ambito dell’inchiesta sul traffico internazionale di rifiuti di cui egli ha chiesto l’archiviazione) era stata rinvenuta una cartella relativa alla Somalia contenente corrispondenza in fax intrattenuta dal Comerio con Alì Mahdi ed il suo plenipotenziario. In tale cartella sarebbe stato inserito anche copia del certificato di morte di Ilaria Alpi che (trattenendone ulteriore copia agli atti della sua inchiesta a Reggio Calabria), sarebbe stata da lui trasmesso, corredato della documentazione utile, a Pititto, pm che a Roma, all’epoca, si occupava dell’indagine sul duplice omicidio Alpi-Hrovatin».
La carta scomparsa
In conseguenza di tale dichiarazione, la Commissione parlamentare disponeva un’acquisizione documentale tramite i propri consulenti. Ma quando questi, il 21 gennaio 2005, si sono recati presso gli uffici giudiziari di Reggio Calabria non hanno rinvenuto negli atti messi a disposizione da quella Procura («pur avendo esaminato – annota la relazione – anche cartelle diverse da quella indicata da Neri come contenente i documenti di interesse») né la copia del certificato di morte della Alpi né la copia della lettera di trasmissione al pm di Roma.
« Seguiva – si legge ancora nella relazione della Commissione parlamentare – una fitta corrispondenza con il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria e con lo stesso Neri, all’esito della quale il Procuratore Capo di Reggio Calabria ha fatto conoscere che negli atti del fascicolo, già in carico a Neri, non vi è traccia del certificato di morte della Alpi né della lettera di trasmissione a Roma, e che una ricevuta postale riguardante l’inoltro a Roma di documenti in epoca coeva si riferisce a pratica del tutto diversa di esecuzione penale. Il fatto ha comportato la trasmissione, ai sensi dell’art. 17 c. 2 del regolamento degli atti alla Procura di Roma, cui compete la valutazione delle dichiarazioni rese come testi alla Commissione».
La patata bollente, di conseguenza, finisce nelle mani dei pubblici ministeri romani che dovranno sciogliere un nodo in ogni caso imbarazzante: Neri si è inventato tutto oppure quei documenti che collegherebbero l’indagine di Comerio all’omicidio Alpi esistevano ed ora sono scomparsi?

Paolo Pollichieni


Motonave Rosso una storia di veleni e misteri

La tempesta, lo spiaggiamento ad Amantea e le voci sul carico di scorie radioattive


La Spezia: 14 dicembre del ’90. La Jolly Rosso si appresta a rimettersi in navigazione per espletare un regolare servizio La Spezia-Malta (via Napoli), andata e ritorno. La nave viene quindi sottoposta alle usuali visite da parte delle Autorità preposte, che si concludono con il rilascio della certificazione di sicurezza e dotazione di armamento.
Ma alle ore 7 del 14 dicembre, durante il iaggio di ritorno da La Spezia, la porta-container viene coinvolta in un incidente in mare: a causa delle avverse condizioni meteo marine, un semi-rimorchio custodito nella bassa stiva rompe le rizze e va a sbattere contro lo scafo, creando una falla dalla quale entra acqua di mare. «L’intervento delle pompe in dotazione alla nave – secondo la testimonianza dei marinai a bordo – non riusciva a contrastare la quantità di acqua imbarcata cosicché non si poté evitare un considerevole sbandamento che causò l’ingovernabilità della nave». Quando la nave raggiunge un eccessivo grado di sbandamento, il comando di bordo, in accordo con le Autorità marittime, decide di abbandonare la nave per mettersi in salvo tramite gli elicotteri. Tale ricostruzione dei fatti trova riscontro nel giornale di bordo e nella denuncia di avvenimento straordinario, acquisito agli atti della Procura della Repubblica di Paola e nel rapporto della Capitaneria di Porto di Vibo Marina.
Ma andiamo alle accuse. In questi anni di interrogazioni parlamentari, inchieste giornalistiche e comizi elettorali di piazza, è stato registrato che la falla che ha causato lo spiaggiamento non sarebbe mai esistita, quindi la nave sarebbe stata piaggiata nel tentativo di provocarne l’affondamento per ordine della stessa società armatrice, o per tentare di frodare l’assicurazione o, al contrario, per occultare un presunto carico di scorie radioattive.
La nave, infatti, è stata trovata quasi vuota, mentre le operazioni di recupero sono state condotte sin dall’inizio sotto il vigile controllo delle Autorità. I pochi container trovati sulla nave, invece, sono stati tutti recuperati e smaltiti, come da atti ufficiali. Ad oggi, quindi, dopo quindici anni il presunto carico radioattivo non è stato trovato. Ad ogni modo, a distanza di 13 anni da quello spiaggiamento, sono spuntati fuori anche tre testimoni che avrebbero visto, durante quella notte di 15 anni fa, un viavai di camion che dalla nave trasportavano rifiuti in località demaniali per essere sotterrati. Tante le ragioni per cui il pm di Paola, Francesco Greco, ha chiesto un supplemento di indagini.


Magistrato d’assalto sempre in trincea

Dalla scuola di Cordova alle inchieste sulle “carrette”


Francesco Neri è nato a Savelli nel 1957. Professionalmente si è formato alla scuola di Agostino Cordova, alla Procura della Repubblica di Palmi. All’inizio degli anni ’90 è al suo fianco quando farà scattare l’operazione contro la “massomafia”. E’ proprio in quell’ambito che partono le inchieste sulle “carrette del mare”. Neri, già da tempo esperto in tema di ambiente e rifiuti, passa alla procura di Reggio e diventa pm all’ex circondariale. Inizia un complesso lavoro investigativo sull’affondamento di una serie di navi (è il caso della Jolly Rosso). Il sospetto di Neri è che al loro interno ci fossero rifiuti tossici e radioattivi e che attorno a questa vicenda, legata a nazioni europee e non, si sia mossa un’impressionante rete di faccendieri, trafficanti d’armi, agenti dei servizi segreti, uomini di governo e mafiosi. Tutti connessi da affari che in alcuni passaggi s’incrociano con la Somalia e gli eventi che il 20 marzo 1994 sono costati la vita a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Saranno sei anni di indagini serrate, stoppate dall’archiviazione del gip ma soprattutto da minacce, pressioni e dalla morte sospetta del capitano di corvetta Natale De Grazia, consulente chiave del magistrato, avvenuta il 12 dicembre 1995. Chi è stato vicino a Neri afferma senza mezzi termini che è stato abbandonato nel momento cruciale, quando servivano fondi per avviare le ricerche in fondo al mare.
Neri ha lavorato intensamente e spesso ha collaborato con le associazioni ambientaliste, che ne hanno sempre riconosciuto la preparazione e l’impegno. Ha capito subito che c’erano profondi legami tra l’indagine sulla cooperazione Italia-Somalia, che aveva scoperto un preoccupante affondamento di rifiuti a Bosaso e l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Ne aveva parlato con il Sismi, che era rimasto spiazzato dai risultati del suo lavoro e che comunque aveva collaborato molto con lui. Anche in questo caso non sono mancate minacce e pressioni. Uno dei suoi collaboratori, Domenico Porcelli, ha trovato una microspia nel suo ufficio. E’ stato allora che Neri ha parlato a cuore aperto col suo maestro Cordova, il quale ha informato della situazione anche il capo dello Stato. Neri ha spiegato di essersi trovato «davanti a una serie di coincidenze temporali», anche queste supportate da fatti e documenti, portate all’attenzione delle procure di Reggio e Roma.
A gennaio 2005 Francesco Neri è stato ascoltato dalla commissione parlamentare di inchiesta a palazzo San Macuto e ha ribadito quanto aveva già affermato anni prima aggiungendo che tra i documenti «spuntò anche il certificato di morte di Ilaria Alpi». Neri ha detto di aver inserito nel fascicolo processuale «18/31» il certificato di morte, trovato dopo una perquisizione fatta in casa di Giorgio Comerio. Il 27 gennaio, pochi giorni dopo la sua audizione, il presidente della commissione Alpi Carlo Taormina dichiara che il certificato non è stato trovato agli atti della procura di Reggio e annuncia un’indagine. Neri non commenta ma va avanti nel suo lavoro di magistrato in prima linea.
Arriviamo così al 9 maggio 2005, giorno in cui scatta l’operazione “Gioco d’azzardo”. Francesco Neri scoperchia un presunto intreccio di interessi tra Stato, mafia e politica meglio noto come il “verminaio” di Messina che coinvolge giudici, imprenditori, dirigenti di polizia, magistrati e politici. Le accuse: concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, corruzione, istigazione alla corruzione, concussione, rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale nei confronti di mafiosi. Finiscono in manette il giudice del tribunale fallimentare di Messina Giuseppe Savoca, il vicequestore della polizia Alfio Lombardo, l’ex sottosegretario al Tesoro nel secondo governo Amato Santino Pagano (ex Udeur). Un altro giudice, Vincenzo Barbaro, sostituto procuratore alla Dda, è stato raggiunto da un avviso di garanzia mentre stava andando a rappresentare l’accusa in un processo di mafia. Neri tenta di riscrivere una delle pagine più oscure del sistema politico-giudiziario-affaristico dello Stretto. E vuole sapere di più su un giro di soldi finiti in alcuni paradisi fiscali. Si tratterebbe di ingenti somme fatte transitare off shore attraverso triangolazioni giudiziarie degli stessi indagati. I capitali apparterrebbero a personaggi insospettabili preoccupati al pensiero che Neri possa risalire a loro.
E’ iniziata una nuova stagione di “veleni”? Speriamo di no. La Calabria e l’Italia hanno bisogno di vera Giustizia.

Gabriele Carchidi

 

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