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“Calabria Ora” – Venerdì 14 novembre 2008 - pag. 31

 

La criminalità cambia strategia

Il promontorio di Capo Vaticano, balcone sul mare che si affaccia sulle Isole Eolie e che lo scrittore Giuseppe Berto definì come uno dei luoghi più belli del mondo, tanto da sceglierlo come sua dimora terrena ed eterna, l’altra mattina sembrava un lembo libanese. Tre auto ed un escavatore incendiati, una casa annerita dalle fiamme, volti segnati dalla paura. Tutto a causa di un raid notturno portato a termine con spavalderia da criminali incalliti.
Episodi, insomma, che pur avendo connotazioni diverse sono da ricondurre alla criminalità organizzata che mira ad imporre la sua legge, a colpire chi non la vuole osservare. Poiché, cosa che ancora non è stato recepito, il mafioso ha cambiato strategia. Non si presenta più a chiederti il pizzo, sei tu che devi andare a trovarlo. La mafia ti manda dei messaggi che devi saper cogliere, altrimenti passa all’attacco. Ti colpisce anche solo per avvertirti, per relegarti al silenzio preventivamente al compimento dell’atto mafioso. Bisogna capire la mafia e saper agire per contrastarla. Bisogna cambiare strategia, invertire le fasi, quella del giorno dopo con quella del giorno prima, considerato che si va di male in peggio.
Si sa ormai che quello è un territorio cuscinetto, schiacciato a nord dalla cosca di Tropea, a sud da quella di Limbadi. Non siamo tra coloro che invocano la presenza dell’esercito o delle ronde notturne benedette dal governo delle leggi “ad personam” che lascia in panne le forze dell’ordine o minaccia i giudici (guarda caso coloro che combattono la criminalità e che vogliono che la legge venga applicata nei confronti di tutti). Servono invece interventi mirati. Una riforma del codice penale e delle procedure, una riorganizzazione dello Stato sul territorio.
Concentriamoci proprio su quest’ultimo aspetto. A Tropea c’è un posto fisso di Polizia sottodimensionato di uomini e mezzi al punto che di notte non può dedicarsi al controllo del territorio, mentre a Spilinga, pur esistendo una Stazione dei carabinieri, nonostante gli sforzi non si riesce a coprire una zona così vasta che dalla marina arriva a Monte Poro, con centinaia e centinaia di imprese turistiche e commerciali. Gli appelli per l’istituzione di un Commissariato e di una caserma dei carabinieri nel territorio di Capo Vaticano finora sono caduti nel vuoto. Che s’incominci a ripeterli come un ritornello, un giorno e il giorno dopo ancora. Non è la soluzione del problema, ma è un inizio. Poi ci si deve chiedere cosa fanno altri organismi dello Stato verso quei cittadini che magari hanno trovato il coraggio di denunciare e di resistere. «Non è bello – diceva l’altro giorno un commerciante – vederti passeggiare davanti in tono ironico o minaccioso colui che hai denunciato, pronto a colpirti di nuovo». Già, non è bello. E non è bello neppure chiedere l’accesso al fondo antiraket per il risarcimento dei danni subiti e vedersi rispondere dall’Alto commissario che l’indennizzo non rientra tra ciò che la legge prende in considerazione, perché si dovrebbe dire il nome e il cognome di colui che ha commesso il reato a suo danno, così come è accaduto per un commerciante del luogo a cui hanno incendiato l’esercizio. Ma nessuno si era fatto avanti, era lui che doveva trovare il capobastone della zona e chiedere “protezione”. Nessuno, a quest’ultimo, aveva mai chiesto esplicitamente il pizzo, ma nel suo piccolo faceva antimafia pur non sapendolo: non amava acquistare merce mafiosa, parlava ad alta voce e sosteneva con le parole ed i fatti che «un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Gliel’hanno fatta pagare e lo Stato gli ha voltato le spalle trattandolo, a torto, come uno della schiera dei reticenti, di quelli a cui il pizzo viene chiesto esplicitamente prima dell’attentato, ma che non denunciano. Preoccupante.
Preoccupante come quello che è accaduto a Franco Saragò, esempio lampante della mafia che cambia strategia. Che prepara una malefatta, e che sa bene chi è pronto a denunciarla. E chi è pronto a denunciarla deve essere ricondotto al silenzio.

Michele Garrì

 

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