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COMUNICATO STAMPA
Roma/Reggio Calabria, 3.12.2004
 

IL 4 DICEMBRE LEGAMBIENTE DICE

NO AL CARBONE

NO ALLA RICONVERSIONE A CARBONE
DELLA CENTRALE ENEL DI ROSSANO CALABRO

C’è una critica piuttosto becera rivolta spesso agli ambientalisti che li vorrebbe nemici del progresso e della tecnologia, fautori di un ritorno al passato o addirittura, secondo la metafora più usata, “di un ritorno ai tempi della candela”. Ebbene, la giornata di domani contro il carbone, promossa da Legambiente, è la più forte e clamorosa smentita di quell’assunto. Il 4 dicembre Legambiente griderà forte in tutta Italia il suo NO all’uso del carbone, dando voce alle centinaia di comitati spontanei sorti in tutta Italia contro la riconversione delle centrali esistenti. Il nostro Paese si starebbe preparando infatti a una sorta di riconversione tecnologica al contrario di dimensioni epocali per ridurre la dipendenza dal petrolio come fonte di produzione di energia elettrica. Mentre gli altri Paesi infatti si attrezzano con un massiccio ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, l’Italia sta pensando a un raddoppio secco della produzione di energia da carbone che passerrebbe nel giro di tre anni, secondo quanto affermato dall’amministratore delegato dell’Enel, dal 22% al 50%. E questo sarebbe il vero e proprio ritorno al passato, altro che quello degli ambientalisti. Piuttosto che entrare nel terzo millennio l’Italia, sull’onda delle scelte di politica energetica del Governo Berlusconi, si starebbe apprestando insomma a un assurdo ritorno all’ottocento promuovendo a piene mani il ricorso al combustibile più inquinante che ci sia. Mentre infatti buona parte del mondo occidentale, quello tecnologicamente più avanzato, sta lavorando per affrontare le scadenze che ci impone il Protocollo di Kyoto e che entrerà definitivamente in vigore il prossimo 16 febbraio, l’Italia continua a produrre allegramente anidride carbonica (CO2), il gas principale responsabile dell’effetto serra, senza preoccuparsi né degli effetti planetari di una scelta del genere né degli effetti economici per le tasche di tutti i contribuenti. Secondo quanto previsto dal Protocollo di Kyoto infatti l’Italia dovrà ridurre le emissioni annuali di gas serra del 6,5% entro il periodo 2008-2012 rispetto a quelle del 1990, pena il pagamento di salatissime multe. In realtà invece nel 2003 le nostre emissioni erano già cresciute del 10% e il ricorso al carbone non farà che aumentare a dismisura questa percentuale. Chi pagherà le multe di Kyoto? Ma soprattutto, quali saranno gli effetti di questa scelta sui mutamenti climatici, sull’aumento delle temperature medie, la desertificazione del suolo, la moltiplicazione dei fenomeni meteorologici estremi come alluvioni e siccità?
La scelta del carbone è una scelta vecchia, che ricorda i romanzi di Dickens più che quelli di fantascienza, buona forse a far risparmiare un po’ di quattrini ai gestori che potranno contare nell’immediato su un combustibile più economico, ma drammatica per le tasche e il futuro di tutti i cittadini. E’ una scelta che abbasserà la competitività del nostro sistema industriale che, invece che investire sull’innovazione tecnologica, si rivolgerà sempre più a soluzioni impiantistiche del passato. E’ una scelta che ci allontanerà drammaticamente dagli obiettivi di Kyoto.
Ed è una scelta infine che contribuirà allo sfruttamento dei minatori nei principali paesi produttori di carbone dove normalmente le condizioni di lavoro sono ben al di sotto degli standard minimi in termini di sicurezza, salute e diritti dei lavoratori. E’ notizia di qualche giorno fa dell’ennesimo incidente che ha portato alla morte di oltre cento lavoratori in una miniera della Cina, un paese che fa registrare oltre 6000 morti fra i minatori in un solo anno.
Vent’anni fa in Calabria, la centrale a carbone di Gioia Tauro fu il banco di prova di un movimento largo e composito, associazioni ambientaliste, amministrazioni comunali, cittadini e studenti, che fu "costretto" a ragionare sul problema della centralità dell’energia per lo sviluppo e sulla necessità da una parte di rifiutare modelli imposti e dall’altra di proporne uno diverso e "autocentrato".
Allora si oppose un deciso NO al "mostro carbonifero", ma si andò oltre proponendo un piano di sviluppo alternativo per la Piana di Gioia Tauro che partiva proprio dal settore energetico, ma puntava a farne un laboratorio per la ricerca e la formazione nel campo delle energie alternative.
E oggi come allora il movimento ambientalista non propone per la Calabria "l’autoarchia energetica". Se negli anni ’80 la nostra regione esportava circa i 2/3 dell’energia prodotta, oggi, nonostante la dinamica dei consumi sia aumentata, la produzione regionale risulta eccedente del 42% e si continua ad esportare più del 20% dell’energia prodotta.
Ma la Centrale termoelettrica di Rossano Calabro, (costituita da quattro sezioni da 320 MW ciascuna, che sono state ripotenziate con la costruzione di quattro turbogas da 114 MW ciascuno, per una potenza complessiva di 1.736 MW), non ha prodotto nemmeno il 50% di quello che poteva produrre, e già l’ENEL pensa di trasformarla in una centrale a carbone.
Non è stato finora possibile avere dei dati certi sugli effetti dell’inquinamento prodotto dalla centrale che funzionava a gas metano e olio combustibile, e già si pensa a trasformarla in una centrale a carbone, ottenendo due effetti combinati: da un lato l’"affare" della trasformazione e dall’altro l’inquinamento della zona dovuta all’utilizzo del carbone.
Ma perché, dunque, perdere ancora una volta la possibilità di affrancarsi da un modello di sviluppo imposto e (fatta salva la "funzione-paese" che la nostra regione è chiamata a svolgere secondo il Piano Energetico) non ripensare la Calabria come un possibile laboratorio nazionale per la ricerca sulle fonti energetiche alternative?
Passare, più in generale, dal petrolio al carbone sarebbe allora come passare dalla padella alla brace. Il nostro Paese può aspirare invece a scelte più moderne, tecnologicamente più avanzate. La sfida del futuro sull’approvigionamento energetico intelligente si combatte con l’eolico, il fotovoltaico e l’uso razionale dell’energia. L’unica strada da percorrere è quella quindi verso misure efficaci che diminuiscano i consumi energetici, industriali e residenziali e incentivino le vere fonti rinnovabili, riducendo progressivamente il ricorso al carbone fino al suo completo abbandono. Perchè dire No al carbone significa dire sì a un futuro più moderno e più pulito.

Lidia Liotta
 
Roberto Della Seta
Presidente Regionale Legambiente Calabria
 
Presidente Nazionale Legambiente
     
L'Ufficio Stampa Legambiente Calabria
 
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