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IL MOVIMENTO RELIGIOSO DEI BASILIANI
 

 

Grotte basiliane
Con questo nome furono definiti, a partire dall’XI secolo, alcuni ordini monastici di rito bizantino nati in vari paesi del mediterraneo.
In Calabria i monaci italo-greci apparvero fin dal VI secolo, all’epoca dell’imperatore Giustiniano, in particolare dalla Bulgaria e dalla Grecia, a causa delle guerre gotiche. Nel VII secolo, in seguito all’invasione araba della Siria e della Palestina,

molti monaci preferirono rifugiarsi in Italia per sfuggire alle persecuzioni. Una seconda ondata si ebbe nell’VIII secolo dall’Oriente e da Costantinopoli a causa delle lotte iconoclaste seguite all’editto dell’imperatore romano d’Oriente Leone III Isaurico (717-740) - capo anche della Chiesa orientale - e continuate dai suoi successori. Secondo questo editto dovevano essere distrutte tutte le immagini di qualsiasi genere (pitture, statue, affreschi, ecc.) raffiguranti Dio, la Madonna e i Santi e nessuno avrebbe potuto realizzarne di nuove. Si parla al riguardo di lotta iconoclasta (da eikòn, immagine, e klàzein, distruggere) che dall’anno dell’editto sconvolse quelle lontane contrade e costrinse i religiosi che non vollero accettare questa drastica imposizione al martirio oppure alla fuga nell’Impero d’Occidente. Leone III fu scomunicato dal Papa, ma continuò nel suo folle progetto con ferocia inaudita cosicché numerosi gruppi di monaci orientali cercarono rifugio nel Sud d’Italia e raggiunsero la Sicilia. Parte dei monaci passarono successivamente lo Stretto e si diffusero in Calabria dove prese avvio l’imponente fenomeno del monachesimo calabro-greco chiamato impropriamente basiliano. L’ultima immigrazione si ebbe dalla Sicilia nel IX-X secolo in seguito all’occupazione araba dell’isola, che determinò una concentrazione di monaci nella stessa Calabria, in Puglia e nella Basilicata, i quali sotto le direttive di San Nilo di Rossano (910-1004) raggiunsero una perfetta organizzazione in comunità. In effetti questi monaci potevano vivere in tre diversi modi: come “eremiti”, come “cenobiti” e “nella laura”, cioè come gruppi di eremiti che periodicamente si riuniscono assieme e aventi lo stesso superiore in comune.
I monaci basiliani furono i seguaci di San Basilio ò mègas – il grande, in greco - (330-379), arcivescovo di Cesarea e sostenitore della fede cattolica contro i vescovi ariani, venerato come uno dei primi padri della Chiesa greca, fondatore dell’omonimo monachesimo cenobitico. Egli impose ai monaci le norme della vita ascetica, dalla preghiera al lavoro. Ma già prima dei Basiliani, l’eremitismo era largamente praticato presso molte regioni dell’estremo Oriente e nei paesi ove si svilupparono le antiche civiltà medio orientali e mediterranee. In verità l’ordine monastico dei Basiliani non ha determinato regole fisse, ma ha costituito dei gruppi che oggigiorno sono definiti spontanei.

Il monachesimo italo-greco decadde nell’età angioina, a causa della condotta rigida e ostile dei nuovi dominatori. Nel 1579 la congregazione basiliana fu ricostituita da papa Gregorio XIII come ordinamento simile ai Benedettini. Nel 1866 una legge emanata dal nuovo regno d’Italia sciolse nuovamente l’ordine sebbene nel 1900 fu ricostituita ufficialmente l’attuale congregazione con l’approvazione di Leone XIII. Oggi l’Ordine ha ripreso a espandersi ed è presente in alcuni monasteri come Santa Maria di Grottaferrata, San Basile in Calabria, San Basile in Roma e il monastero di Piana degli Albanesi.

Mai un movimento religioso ha lasciato in Calabria, dove trovò condizioni spirituali e culturali ideali, un solco così profondo e duraturo. La presenza dei monaci basiliani è stata di grande importanza non solo dal punto di vista religioso, ma anche da quello economico-sociale. Intorno ad essi infatti si raccolsero numerose comunità di contadini che proprio dai Basiliani appresero tecniche migliori di coltivazione e a trarne il massimo prodotto, godendo di maggiore libertà e certamente di condizioni che non avrebbero mai avuto se fossero stati sottoposti ad un feudatario. Curarono il prosciugamento delle paludi e destinarono le terre incolte alla coltura dell’olivo, della vigna, del grano. Agevolando la piccola proprietà contadina resero addirittura di uso comune i due contratti di enfiteusi (diritto di godere di un fondo altrui con l’obbligo di apportarvi migliorie e di corrispondere periodicamente un canone). I Basiliani costituivano dappertutto punti di riferimento e una importante guida pratica e spirituale: «dissodamenti, messe a coltura, impianti di specie vegetali, organizzazione della produzione e degli scambi, insediamenti di nuclei abitativi con iniziali caratteristiche di tenui fattorie, coordinamento “politico” e culturale di queste popolazioni in nome e sotto l’egida di una forte identificazione religiosa» (p. Fiore da Cropani). Inoltre fondarono i casali, centri urbani di piccole entità, avendo ottenuto dai Basilei la facoltà di “conducere homines” nelle terre chieste ed ottenute in concessione. Fu una vera e propria rinascita caratterizzata anche da una vita sociale autonoma che dette adito all’organizzarsi dell’Universitas con la figura del Siundicos (Sindaco) che la rappresentava giuridicamente.
Il segno del loro passaggio è rappresentato dai numerosi eremi, cenobi e monasteri che essi sparsero nella regione, terreno particolarmente adatto a vivere l’ideale monastico da essi abbracciato. Scrive p. Fiore da Cropani: «fa congettura D. Apollinare nella Calabria aversene potuto contare al numero di 400». Egli stesso ne enumera 104 e di essi, alla sua epoca, 14 erano ancora in vita. Ai monaci basiliani sono dovute, infatti, alcune fra le più importanti opere architettoniche della Calabria, come la cattolica di Stilo e San Marco a Rossano oppure alcuni dei nomi d’origine greca fra le innumerevoli strade, fontane, villaggi, quali Pirgo, presso Grotteria, avente l’antico significato di “torre”.
Ma in Calabria è soprattutto dovuto ai Basiliani il così vivo e sentito culto della Madonna: la Madonna Achiropita di Rossano, la Madonna di Capocolonna, la Madonna greca di Isola Capo Rizzuto, quella di Romania a Tropea e molte altre ancora. Dopo la venerazione della Madonna, sotto vari titoli, emerse quella dei “Martiri”, profondamente radicata e fondamento valido per la fede, secondo il detto di Tertulliano: «Sanguis martyrum semen christianorum» (Apologetico, 50). Quando venivano importate le reliquie o i corpi di santi, furono in seguito erette chiese, santuari e cappelle. Dagli altari “rupestri” ai templi maestosi la pietà e l’arte camminarono a pari passo per educare le genti. Le motivazioni si spiegavano per un fatto puramente spirituale: il patrocinio di un santo, una grazia ricevuta, la protesta contro l’oppressione dei nemici, un fatto d’armi, un naufragio, una grave malattia, un beneficio da ottenere o qualcos’altro. Ogni paese per pia istituzione assunse il celeste patrocinio di un Santo, altri centri scelsero per Patrona o Protettrice la Vergine Maria sotto vari titoli.
Non vanno dimenticate le chiese di “rito greco” risalenti al secolo VIII, quando sotto Pipino, il Regno di Napoli, cacciati i Longobardi, fu diviso tra Greci e Franchi. Alcune popolazioni greche si trovarono in Italia in occasione delle guerre gotiche del secolo V, specialmente i Bulgari praticanti il rito greco cattolico, i quali restarono nella Valle del Mingardo per non ritornare più nelle loro sedi originarie. Questo rito si affermò fino al 1600. Molte altre cappellanie, sorte fra il secolo XIV e il XVI, restarono per lunghissimo tempo. Due ne furono i motivi: la profonda fede degli stessi fondatori (sub invocatione Sanctorum…) e la successione ereditaria unita al suffragio dell’anima dei fondatori e benefattori (donationis mortis causa… volens saluti animae suae providere, et deinde de suis bonis recte disponere ne aliqua discordia oratiur inter heredes).

Grotte Basiliane
Altro merito dei Basiliani è di aver disseminato la penisola di Icone: immagini di Madonne o scene della Passione dipinte a tempera a vivaci colori. Racchiuse in rudimentali costruzioni a giorno e situate agli angoli delle strade o sulle colonne d’ingresso delle chiesette, invitavano il viandante a fermarsi, a pregare e meditare.
E sempre ai Basiliani è dovuta la conservazione di codici, immagini sacre, opere d’arte e della cultura greco-latina, copiando e miniando in pergamena.
Le personalità più illustri di questo movimento sono: Elia il Giovane (820-903), nato ad Emma, al quale si deve la fondazione del monastero a Silane e di quello più famoso a Palmi che da lui prende il nome. Inoltre è sempre dovuto a lui il primo documento agiografico (cioè sullo studio della vita dei santi) della Calabria; Elia lo Spelota, nato a Reggio (865-960), il quale condusse una vita da eremita nella grotta di Melicuccà; Nicolò da Rossano (910-1004), fondatore del monastero greco di Grotteferrata, rinomato centro dell’Ordine; innumerevoli altri, fra cui Nicodemo di Mammola, Leo di Africo e Cristoforo di Colesano.

 

Basiliani e Benedettini in Tropea

di Giuseppe Chiapparo

 

Santa Maria dell'Isola
Fra i vari cenobi fondati da monaci basiliani in Calabria degno di menzione è quello che sorge sopra uno scoglio, adesso parzialmente circondato dal mare, sul lido della città di Tropea. Ivi i seguaci di S. Basilio attendevano al lavoro ed alla preghiera.
Quando i Basiliani abbandonarono i nostri luoghi, questo pittoresco Cenobio fu posto sotto la giurisdizione dell’Abate di Montecassino, come rilevasi da un Diploma, col quale Ruggero di Normanno nel 1090 confermò il possesso di detto Abate e dalle Bolle Pontificie che rilasciarono ai Benedettini prima Alessandro III, nel 1159, poi Innocenzo III, nel 1216.
In tutti i Diplomi e le Bolle di conferma di questa giurisdizione Cassinese si legge: S. MARIA de TROPEA, ma in una Bolla del ‘440 il papa Eugenio IV a tale denominazione aggiunse l’altra: DE INSULA.
Sulla porta della Basilica Cassinese, tra le altre iscrizioni, che ricordano i possedimenti della Badia, c’è questa: «S. MARIA de TROPEA cum omnibus pertinentibus suia».
In quei tempi dipendeva pure dalla Badia di Montecassino l’antichissima Chiesa di «S. Maria de Latinis», sita presso il luogo attualmente detto Calvario, oggi totalmente distrutta. Questa era la prima chiesa di rito latino fondata in Tropea e noi, dal nome di una fontana, la quale trovasi alla così detta «Calata dell’Isola» e che viene denominata anche oggi «Fontana dei Latini», opiniamo che gli abitanti di quel rione dovevano seguire il rito della Chiesa Latina, mentre i cittadini, che abitavano entro le mura della città, seguivano quello della Chiesa Greca.
I figli di S. Benedetto non soggiornarono mai in questo lembo di paradiso, ove asceti e solitari trovarono pace per lo spirito dolorante. Tennero le loro voci, fino a pochi anni fa, alcuni eremiti, l’ultimo dei quali «fra Benedetto da Drapia». Però il culto della ridente chiesetta, la quale fu consacrata il 23 aprile «anni dicati divo Giorgio 1397», è mantenuto da un sacerdote, a ciò preposto dall’Abate di Montecassino.
Narra una vecchia leggenda, riportata dal tropeano abate Sergio nelle sue «CRONACHE», che la statua della Sacra Famiglia, che si venera in quel santuario, giunse a Tropea per via di mare in modo prodigioso. Il vescovo e il magistrato disposero che il simulacro fosse conservato nel «MONASTERIUM SUPER INSULAM QUOD BASILIORUM ORDINIS ERAT SUB NOMINE Menna».
Il terremoto del 1905 fece crollare buona parte del Santuario, il quale fu poi ricostruito ed abbellito con le somme raccolte dal dinamico Can. Ab. D. Francesco De Maria allora rettore del Cenobio. Sotto la volta dei portici vi sono degli affreschi raffiguranti il Cenobio com’era prima e dopo il terremoto ed alla parete vi è una lapide con la seguente epigrafe, dettata dal Cantore Francesco Toraldo.
«Perchè viva nei posteri - La memoria del Can. Francesco De Maria - Rettore di questo Santuario - il cui genio - Tetragono alle telluriche convulsioni - Fece risorgere più splendido - Storico monumento - Di religione e di civiltà - Questo tempio e l’annesso romitorio - Rasi al suolo – dall’immane terremoto dell’8 settembre 1905».
Adesso rettore del santuario è il Can. Silvestro Raponsoli, il quale si prodiga per far divenire sempre più ferveroso il culto. Il 15 agosto di ogni anno si celebra la festa dell’assunta e per questa data affluiscono dai più lontani villaggi i fedeli. Le donne in atto di penitenza si riempiono il grembiale di sabbia e salgono con quel peso, in ginocchio, la lunga scala dello scoglio. Giunte sullo spianato depositano il fastidioso peso e continuano fin dentro la chiesetta a camminare in ginocchio e rimangono così prostrate finchè abbiano ascoltato la santa Messa. E’ uno spettacolo commovente di fede, che si ripeterà un’altra volta il giorno 8 settembre. In questa data si ripete annualmente per via di mare un pellegrinaggio di devoti che da Briatico si recano con le barche a vela latina al porto di Tropea. Poi le donne ascendono in ginocchio la scala che porta al pittoresco santuario ove, ai piedi dell’altare sciolgono i loro voti di amore e di fede verso la Madonna dell’Isola.


Il mistero del sito archeologico legato ai monaci Basiliani

Insediamento Rupestre degli Sbariati

 

Insediamento rupestre di Zungri
A partire dal XII secolo si determinò in Calabria una significativa immigrazione di gruppi etnici dall’Oriente (in larga misura religiosi) ed un arretramento degli insediamenti abitativi verso l’interno anche in rapporto alle incursioni arabe lungo le coste. Le aree interne garantivano quindi maggiore sicurezza e in Calabria si svilupparono insediamenti umani organizzati in grotte,
che testimoniano un particolare modello di vita sociale che ebbe come protagonisti i monaci “Basiliani”. Queste testimonianze trovano la più alta espressione a Zungri con l’Insediamento Rupestre degli Sbariati, sia per la vasta area sulla quale si sviluppa, circa 3000 metri quadri, sia perché risulta documentata una frequentazione del sito fino al XIV secolo, avendo integrato in molti casi le strutture ipogee (case-grotta scavate nella roccia), con manufatti epigei (strutture fuori terra) che contribuiscono ad arricchire, sul piano storiografico ed urbanistico/architettonico questo antico insediamento. Il villaggio rupestre di Zungri, datato dagli studiosi fra il XII ed il XIV secolo, è costituito da circa 100 case-grotta scavate nella roccia con ambienti monocellulari e bicellulari, alcuni anche a più piani. Il complesso rupestre si articola su un costone esposto a sud-est lungo uno dei versanti del fosso “Malopera”.
Chiaramente leggibile è l’impianto urbano dell’insediamento e la rete viaria che serve il sistema abitativo, articolandosi in percorsi e scalinate ricavate nella roccia, che da monte a valle conducono alle varie cellule abitative ipogee. Il complesso insediativi, di grande interesse scientifico, è ubicato ai margini dell’attuale centro abitato di Zungri, a pochi passi dal centro storico quasi a voler testimoniare una continuità
Insediamento rupestre di Zungri
ed un legame con le origini del ridente paese che oggi vediamo.

 

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