Com'è la vita in carcere?

La V B IGEA dell’Istituto "J. Nizzola" di Trezzo sull’Adda ha incontrato la redazione di Magazine 2

 

"Com’è la vita in carcere? Questa è la domanda che ci siamo posti sapendo che era stato organizzato per noi un incontro con i detenuti della casa circondariale di San Vittore, a Milano.

Essendo un’esperienza totalmente nuova è stata indispensabile una preparazione iniziale.

Il prof. Giubilei ha impiegato alcune ore di lezione per fare in modo che fossimo pronti mostrandoci Campo corto e Magazine 2, cioé il film e la rivista ideati e realizzati dagli stessi detenuti.

Campo corto è un film breve ma intenso che in soli 32 minuti trasmette le emozioni suscitate da un campionato di calcio immaginario, interminabile, giocato all'interno della "piscina", che è lo spazio chiuso tra quattro mura di cemento dove i detenuti passano l'ora d'aria. Un cortometraggio di successo, presentato al Noir Festival di Courmayeur e alla Biennale Cinema di Venezia, nonostante sia stato prodotto solamente con una videocamera. Dalla visione è nato un acceso dibattito, incentrato sulle problematiche di convivenza dei carcerati in uno spazio così limitato.

Di Magazine 2 ci ha colpito soprattutto il paradosso legato al nome: un periodico nato in una realtà in cui il tempo scorre sempre uniformemente; e il 2, il numero civico del carcere. Il giornale, che esiste da sette anni, è stato fatto con l’intenzione di permettere un punto di contatto tra due mondi, quello del carcere e quello esterno ad esso, completamente diversi.

Siamo quindi arrivati al giorno della visita preparati e con tante domande.

Una volta seduti al tavolo ci siamo guardati intorno e abbiamo notato che nel corridoio appena percorso le porte delle celle erano tutte aperte. Abbiamo chiesto perché e ci è stato risposto che i detenuti della sezione penale, con sentenze già pronunciate, hanno qualche "libertà" in più rispetto agli altri, come quella di poter "passeggiare" nel corridoio durante il giorno.

Con noi c’erano diversi carcerati con pene di differente gravità, uno degli psicologi del carcere, Emilia Patruno (la direttrice della rivista), e un avvocato amico del prof. Giubilei.

Dopo una breve conversazione iniziale svolta in modo amichevole, che ci ha permesso di "rompere il ghiaccio", abbiamo potuto soddisfare alcune delle nostre curiosità riguardanti la vita nel carcere, le possibilità di cambiamento, l’utilità della condanna e il possibile reinserimento dei detenuti, una volta scontata la pena, nella vita di tutti i giorni.

La classe intera pensa che il carcere, così com’è strutturato attualmente, non permette il completo reinserimento di chi ha sbagliato e ha pagato per i propri errori nella società, e che le condizioni di vita al suo interno, se la si può definire vita, sono pessime e insostenibili.

I detenuti con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato la propria esperienza: che cosa li ha portati a commettere i reati, come sono stati "scoperti" e in che modo si sono adattati a quest’ambiente, ma soprattutto se si sono pentiti o meno di ciò che hanno fatto. Abbiamo osservato che non tutti si sono pentiti e che qualcuno avrebbe commesso di nuovo gli stessi errori.

La visita al carcere di San Vittore ci ha cambiato molto in quanto un conto è vedere un film e documentarsi in merito alle condizioni di vita dei detenuti negli istituti di pena in Italia, un altro è guardare con i propri occhi, ascoltare direttamente coloro che stanno scontando una pena.

Siamo andati via con la promessa di scrivere ai nostri "nuovi amici" e con il loro giuramento che una volta usciti dal carcere avrebbero fatto del tutto per non tornarci.

Il giorno dopo in classe abbiamo discusso molto e siamo arrivati ad una conclusione comune che, per quanto banale, rappresenta un punto d’incontro: chi ha sbagliato deve scontare una pena proporzionata all’errore commesso, ma questa deve essere costruttiva e non distruttiva!"