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Le foibe raccontate dai partigiani (a cura dell' A.N.P.I. - Roma).
"Patria indipendente" rivista dell' A.N.P.I. del 27 febbraio 2005: foibe, esodo e persecuzione antislava.
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- Le foibe raccontate dai partigiani (a cura dell' A.N.P.I. - Roma).
- La storia (1866-1960): dall'irredentismo triestino all'esodo italiano dall'Istria e dalla Croazia.
- Le guerre d'indipendenza e l'irredentismo italiano e slavo.
- La Grande Guerra e l'annessione dell'Istria.
- Il fascismo e l'italianizzazione delle minoranze.
- L'Italia attacca la Jugoslavia; l'occupazione fascista in Slovenia.
- Le violenze del '43 in Istria.
- L'occupazione jugoslava del Litorale e le foibe.
- Dopoguerra e esodo degli italiani dall'Istria e dalla Croazia.
La
storia (1866-1960): dall'irredentismo triestino all'esodo italiano dall'Istria e
dalla Croazia.
Quando
si parla di foibe, l'attenzione si polarizza immediatamente sulle tragiche
vicende dell'autunno del 1943 e della primavera del 1945, in Istria e nella
Venezia Giulia, segnate dagli eccidi compiuti dalle milizie jugoslave e da non
pochi civili sloveni e croati contro gli italiani, ma ciò non basta per
comprendere il significato profondo di tali eventi, che devono essere situati in
un più ampio contesto temporale. L'impostazione storiografica di lungo periodo
è quella più idonea per capire quanto avvenuto al confine orientale tra il
1943 e il 1945. E', infatti, nei primi anni Sessanta dell'Ottocento che
incomincia a delinearsi consapevolmente il problema del confine orientale del
neocostituito Regno d'Italia.
Le
guerre d'indipendenza e l'irredentismo italiano e slavo.
Nel
periodo tra la II e la III guerra d'indipendenza si discute appassionatamente la
questione del giusto confine orientale, tale ritenuto, per i più, se
comprendente, oltre ai vecchi domini veneziani nella penisola istriana, anche
Gorizia e Trieste, cioè le terre italiane appartenenti all'impero asburgico.
La delusione del 1866, con l'annessione del solo Veneto,
comprendente parte del Friuli, fa nascere l'"irredentismo". Nel
medesimo periodo veniva sviluppandosi rapidamente anche un duplice risorgimento,
spirituale e materiale, delle popolazioni slave residenti nel Litorale, poiché
tanto gli sloveni quanto i croati, in ciò guidati dal clero cattolico, avevano
iniziato a scoprire e a consolidare la propria identità nazionale da un lato e
a battersi per il miglioramento delle condizioni economiche dall'altro; da qui,
pertanto, l'avvio di uno scontro sempre più acceso sul piano etnico e sociale,
dal momento che la componente italiana, che deteneva una posizione di assoluta
supremazia anche a livello censuario, aveva il controllo della vita
amministrativa e politica locale. L'afflusso
sempre più consistente di manodopera slava dall'interno dell'Impero verso una
città in grande espansione come Trieste e l'ascesa materiale e culturale degli
abitanti croati e sloveni della regione determina una miscela esplosiva
costituita da una crescente consapevolezza nazionale in entrambe le etnie
conviventi nell'allora Litorale; una contrapposizione drastica sul versante
religioso; un conflitto di classe tra una borghesia consolidata e un movimento
contadino e proletario in ascesa e, per finire, un contrasto tra città, a larga
dominanza italiana, e campagna, quasi ovunque abitata da slavi. Ciò
determinava la fusione della questione sociale con quella nazionale, rendendo
ancor più drammatico il conflitto.
La
Grande Guerra e l'annessione dell'Istria.
Va,
peraltro, rilevato che sul versante italiano si può inizialmente parlare di un
nazionalismo difensivo, mentre dall'altra parte è evidente un nazionalismo
offensivo, rivendicante la liquidazione dell'elemento italiano e lo sbocco al
mare con una Trieste trasformata nella capitale morale e materiale della
Slovenia, la creazione di una grande Slovenia fino al Cividalese e alla Carnia,
sia pure entro la compagine imperiale, che non poteva non preoccupare e spingere
a un ulteriore arroccamento la dirigenza liberal-nazionale italiana. A ciò
s'aggiunga il graduale raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra Italia e
Austria-Ungheria in seguito alla progressiva competizione economica e
commerciale nei Balcani e ai nuovi orientamenti internazionali dei governi di
Roma, l'affermazione di un aggressivo nazionalismo anche imperialista in Italia,
il ribollire sempre meno controllabile delle tensioni nazionali nell'Impero e si
comprenderà come allo scoppio della guerra nel 1914 e all'entrata in essa
dell'Italia l'anno dopo, gli spiriti da entrambe le parti fossero
sufficientemente accesi e predisposti a uno scontro anche armato per risolvere
la questione dell'appartenenza nazionale e statuale della Venezia Giulia.
Lo Stato Maggiore imperiale, esperto nel gestire truppe
di varia provenienza etnica, non a caso scelse di schierare sul fronte isontino
milizie in prevalenza slovene e croate, oltre che carinziane e tirolesi, sapendo
di poter contare sul loro sentimento antiitaliano. Il conflitto etnico era,
dunque, esplicito e radicale, combattuto con le armi in pugno ben prima del
1941. I trattati di pace postbellici, gli accordi di Rapallo (1920) prima e di
Roma (1924) poi, dando una sistemazione del confine orientale confacente agli
interessi italiani, incorporavano, però, nel Regno un consistente numero di
sloveni e croati, cui la classe dirigente liberale, seguendo i consigli di
Francesco Salata, assicurò i fondamentali diritti di tutela della propria
identità nazionale. In particolare il Trattato di Rapallo, firmato nel
1920 tra il regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, ebbe
l’effetto di un fiammifero sulla benzina. Il Trattato accolse in pieno le
esigenze italiane e amputò un quarto abbondante dell’area ritenuta dagli
sloveni come proprio "territorio etnico".
Il
fascismo e l'italianizzazione delle minoranze.
Con
l'avvento del fascismo (che allontana Salata) vi fu una politica di
snazionalizzazione antislava, che rientrava in un più ampio e complessivo
processo di italianizzazione di tutte le minoranze "alloglotte",
incluse quelle germanofone sudtirolesi e francofone valdostane. Nella Venezia
Giulia vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene
e croate, le scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti
ad emigrare, vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici
impieghi. All’eliminazione politica delle minoranze, si accompagnò da parte
del regime mussoliniano un’azione che aveva l’intento di arrivare alla
bonifica etnica della Venezia Giulia. Anche attraverso la repressione nei
confronti del clero, che rappresentava un importante momento di sintesi della
coscienza nazionale delle minoranze. Tappe fondamentali dell’addomesticamento
della Chiesa di confine furono la rimozione dell’arcivescovo di Gorizia,
Francesco Borgia Sedej, e del vescovo di Trieste, Luigi Fogar. I loro successori
applicarono le direttive "romanizzatrici" del Vaticano, anche
attraverso l’abolizione dell’uso della lingua slovena nella liturgia e nella
catechesi. D'altra parte il concordato del 1929 con il Vaticano tolse una
potente arma d'opposizione al clero sloveno e croato, che non poteva non
riconoscere talune benemerenze a un regime ora alleato del Papa. La
prima conseguenza di questo programma di distruzione integrale delle identità
fu la fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia: secondo stime
jugoslave emigrarono 105 mila sloveni e croati. Ma soprattutto si consolidò,
agli occhi di queste minoranze, un fortissimo sentimento anti italiano,
l’equivalenza tra Italia e fascismo che portò la maggioranza degli sloveni al
rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano. Come reazione, si
radicalizzarono gli obiettivi delle organizzazioni clandestine slovene che,
verso la metà degli anni Trenta, abbandonarono le rivendicazioni di autonomia
culturale nell’ambito dello Stato italiano per puntare invece al distacco
dall’Italia dei territori considerati loro. Un’azione che trovò
l’appoggio del Partito comunista italiano.
L'Italia
attacca la Jugoslavia; l'occupazione fascista in Slovenia.
In
un tale contesto lo scoppio della seconda guerra mondiale e l'attacco
italo-tedesco alla Jugoslavia nella primavera del 1941 che seguiva
all'improvviso rovesciamento di alleanze del governo di Belgrado come
conseguenza di un vero e proprio colpo di Stato a favore dei nemici dell'Asse
portarono ulteriori elementi di complicazione a una situazione già complessa e
travagliata. La
dissoluzione del regno dei Karageorgevic portò alla costituzione di una
provincia di Lubiana, annessa al regno d'Italia, sia pure con un certo grado di
autonomia, e allo spostamento ad est del confine orientale nazionale con il
conseguente inglobamento di altri sloveni e croati. Di vera e propria resistenza
slava non si può parlare fino al luglio del '41. Dopo tale data ebbe inizio una
guerriglia non solo nazionale e patriottica, ma anche ideologica, alla quale le
forze di occupazione italiana risposero con una feroce repressione, bruciando
case, sequestrando beni e uccidendo partigiani e civili o rinchiudendoli in
campi di concentramento. I campi di concentramento e deportazione
italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar,
ecc.), e molti furono dislocati anche in Italia. Vi morirono oltre 7.000
persone. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche
"zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini
Le
violenze del '43 in Istria.
L'8
settembre 1943, con la scomparsa quasi istantanea delle istituzioni militari e
civili nazionali nell'area giuliana, creò un vuoto di potere nel quale il
movimento partigiano sloveno e croato, ormai egemonizzato dalla componente
comunista, fu pronto a inserirsi, scatenando un'ondata di terrore, che, se in
qualche misura può anche esser vista come esplosione di furori contadini a
lungo repressi nell'Istria interna, fu in sostanza il risultato di un'operazione
predisposta dall'alto, a partire da Tito, che mirava a colpire tutti quelli che
in qualche modo rappresentavano lo Stato italiano e l'apparato fascista o che si
sapeva risolutamente contrari a un'annessione alla Jugoslavia, pur se
antifascisti dichiarati.
L'occupazione
jugoslava del Litorale e le foibe.
Il
culmine lo si raggiunse nella primavera del 1945 al crollo del III Reich con la
conseguente occupazione jugoslava del Litorale Adriatico (Adriatisches
Kustenland), in pratica staccato dalla RSI e governato dai proconsoli della
Germania hitleriana. I
quaranta giorni dell'occupazione titina di Gorizia e di Trieste dove, in seguito
a un accordo interalleato, subentrò l'amministrazione militare angloamericana,
mentre l'Istria rimase definitivamente alla Jugoslavia furono caratterizzati da
un'applicazione su vasta scala della pratica del terrore, gestita con estrema
abilità ed efficacia anche sul piano psicologico dai servizi segreti jugoslavi,
che operarono con la massima determinazione per cancellare ogni traccia della
presenza istituzionale italiana sul territorio, colpendo in modo sistematico
ogni possibile opposizione in chiave nazionale e ideologica, arrestando,
deportando nelle carceri e nei campi di prigionia (tra i quali va
ricordato quello di Borovnica), infoibando o comunque
sopprimendo in tutta la Venezia Giulia occupata, nella zona di Trieste,
nel Goriziano e nel Capodistriano, migliaia di
avversari, in prevalenza italiani (non solo fascisti, ma anche esponenti del Cln
che si opponevano all'annessione) e pure sloveni e croati, creando ad arte un
velo di mistero e di segretezza sulla loro scomparsa al fine di provocare
un'atmosfera di paura generalizzata e di tensione e inquietudine diffusa.
Il partito comunista italiano di Trieste, uscito nel settembre '44 dal C.L.N.,
appoggiò le mire slave.
Dopoguerra
e esodo degli italiani dall'Istria e dalla Croazia.
Nel
’47 la situazione peggiorò perché le autorità jugoslave, in contrasto con
il mandato di occuparsi solo dell’amministrazione provvisoria della zona B,
cercarono di forzare l’annessione con una politica di fatti compiuti.
Tentarono di «costringere gli italiani ad aderire alla soluzione jugoslava,
facendo anche uso dell’intimidazione e della violenza. Un disegno - affermano
gli storici - dal quale traspare palese l’intento di liberarsi degli italiani
in quanto ritenuti irriducibili alle istanze del nuovo potere. Da parte
jugoslava si vide con crescente favore l’abbandono degli italiani della loro
terra d’origine». Intanto nel '48, dopo la rottura tra il movimento titino e
il Cominform, erano esplose le tensioni tra i comunisti italiani e quelli
jugoslavi. Numerosi esponenti del Pci, la maggior parte dei quali erano accorsi
in Jugoslavia attirati dal mito dell’edificazione del socialismo, subirono il
carcere, la deportazione e l’esilio. Gli scoppi di violenza che avvenirono
durante le elezioni del 1950, e successivamente la crisi triestina nel ’53,
fecero il resto. Il risultato fu l’esodo dai territori istriani di migliaia di
italiani: 27 mila nelle aree oggi soggette alla sovranità slovena, dai 200 ai
300 mila dalla Croazia.
La
guerra con la Jugoslavia fu voluta da Hitler, che perseguiva il disegno di
penetrazione della Germania nei Balcani. L'Italia si accodò, e ne ricevette
benefici territoriali (l'annessione della provincia di Lubiana in Slovenia, il
controllo del Regno di Croazia e il protettorato del Montenegro). Il conflitto
vero e proprio iniziò il 6 aprile del '41 e durò soltanto undici giorni. Il 12
aprile la bandiera nazista sventolava a Belgrado e il 17 l'esercito jugoslavo
firmava la capitolazione. Il regime di occupazione italiana fu duro e crudele;
molti partigiani e civili furono uccisi o internati in campi di concentramento.
Già a luglio in Jugoslavia nacque la Resistenza, che diede un grande contributo
agli Alleati alla cacciata dei tedeschi dalla penisola (anche se ci furono
scontri fraticidi tra le varie formazioni partigiane e i titini si macchiarono
di terribili violenze - le foibe - nei confronti degli italiani nella Venezia
Giulia, nel settembre-ottobre 1943 e soprattutto nella primavera del '45). Con l'8
settembre, le forze militari italiane presenti nella regione si disgregarono in
modo fulmineo. Anche molti militari italiani si unirono ai partigiani slavi.
-"Patria indipendente" rivista dell' A.N.P.I. del 27 febbraio 2005: foibe, esodo e persecuzione antislava.
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