INTINERARIO CRITICO

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Quando Lauro Bolondi, nel 1966, dopo gli anno della scuola e le preziose esperienze nel soggiorno milanese presso l'Accademia di Brera, è tornato a Reggio ed ha esposto le sue opere nella Sala del Capitano del popolo, sembravano volersi sottoporre all'esame di noi, suoi concittadini che non potevano non pensare, quasi istintivamente, alla tradizione dei nostri paesaggisti della seconda metà dell'800, da Giovanni Fontanesi ad Allesandro Prampolini ad Alfonso Beccaluva, a Paolo Ferretti, che avevano saputo tradurre in serene visioni di spazi, di luci e di colori, senza ardui problemi e complicati sofismi, l'immediatezza della nostra introduzione della realtà.

La mostra di Bolondi ebbe allora un meritato successo di pubblico e di stampa.

Un esimio collega (Giulio Fornaciari) scriveva allora: "Non so sinceramente quali riconoscimenti, o premi, o affermazioni abbiamo meritato passate manifestazioni di mostre cui il Bolondi ha partecipato... ma provvidenzialmente egli ha sortito il privilegio di poter esprimere con il pennello la sua sensibilità in nobilissima devozione all'arte ed al vero.

E', la sua, un'arte del tutto personale, che si giova di una gamma cromatica non squillante nè esagitata, ma serenamente composita in contrasti mai violenti eppure evidenti. Sembra che un'aura di pacata malinconia investa spesso i suoi cieli, che non hanno il fulgore abbagliante nell'incombente  grigiore cari a tanti impressionisti. E così anche dal verde  dei campi e dei prati, che inclina frequentemente alla tonalità spenta, e così nelle nude rocce delle sue montagne che si stagliano nette e vibranti, in una luce come filtrata attraverso impasti e velature.

Nello stesso tempo il piglio del pittore è deciso e sintetico, senza preziosismi, senza pentimenti. Una pittura, insomma, istintiva, ma nello stesso tempo, estremamente eloquente che per virtù propria raggiunge nitidi valori tecnici ed estetici di immediato fascino."

Noi, da parte nostra, scrivevamo allora: "Questi di Lauro Bolondi sono paesaggi Padani e collinari sotto limpidi cieli, con tonalità in cui predominano il verde, l'azzurrino, e certi impasti ocracei che sembrano voler fissare agli elementi concreti del paesaggio immagini di sogno. Vicino è una pittura che può ancora dirsi legata alla tradizione, ma squisitamente sensibile alla tecnica più moderna: ne risultano immagini vive, che colpiscono senza astrusi problemi interpretativi..."

"Colpiscono" dicevamo allora; oggi possiamo aggiungere che commuovono, osservando come l'esperienza e i successi, numerosi e prestigiosi, ottenuti in questo trentennio, abbiamo come maturato ed impreziosito il suo mondo di accostarsi alla realtà oggettiva e farla sua. Lo spazio, gli ampi spazi in cui egli si immerge sono la forma a priori della luce che li rende suoi (quindi anche nostri) con la magia dei colori.

La sua pennellata è sempre sicura, senza pentimenti e senza soluzione di continuità, dalle marcate evidenze di primi piani alle sfumature lontane che sembrano (e sono) aspirazioni all'infinito e preannuncio della sua conquista.

gli accordi cromatici sono così caldi, spontanei, essenziali, tanto da apparire come materia, indipendentemente dalla "cosa" rappresentata, che arriva a noi per vie interne, rendendoci così partecipi direttamente della creatività dell'artista.

C'è quasi un'astrazione del tempo: tanto che non sono molte, e quasi sempre marginali, le presenze dell'uomo, della sua vita nelle sue cose, negli strumenti del suo lavoro; forse perché anche questi sono ridotti alle categorie predominanti del rapporto spaziale e delle emozione cromatica e luminosa che fonde ogni presenza e la rende coeva alla terra, alla vegetazione che si rinnova per la partecipazione panica dell'uomo al mistero del tutto.

Quando però affronta anche i particolari di una natura morta, di un gruppo di case nei particolari che servono all'uomo (un viottolo, una scala, alcune porte, un rigagnolo, rustici), non c'è mai la preoccupazione fotografica, ma la certezza interiore di cogliere l'essenziale, di cui la tecnica è sempre e solo uno strumento che, con il trascorrere degli anni, si è un pò impreziosito, è diventato più sicuro ed efficace, più frequente, di motivi poetici sempre nuovi. La visita alle più preziose collezioni d'arte e lo studio approfondito dei capolavori ivi custoditi; le esperienze nuove di bellezza di natura in ogni angolo d'Italia ed all'estero con le quali Bolondi si è misurato in questi decenni  di lavoro, non hanno mutato il segno inconfondibile di una pittura che è arte vera e profonda perché sa dare, di nuovo, all'"oggetto" che offre alla nostra commossa ammirazione, soltanto il calore di un rinnovato, intimo consenso,... che è un pò come quella patina leggera dei marmi e dei bronzi antichi, che ci aiuta a sentire ed a capire il valore universale e perenne .

ALCIDE SPAGGIARI