(Factorum ed dictorum memorabilium 4. 7 pr.) |
|
|
|
Premessa |
Osserviamo ora il vincolo dell'amicizia, potente, validissimo e per nessun rispetto inferiore a quello del sangue: anzi, ancor più sicuro e sperimentato in tanto, in quanto a stringere questo è un fatto fortuito, qual è la nascita, a stringere l'altro un atto volontario, determinato da una reale valutazione soggettiva. È così che senza biasimo si fa prima a sconfessare un parente che un amico, perché la prima rottura non è assolutamente esposta all'accusa d'iniquità, la seconda lo è sempre a quella di leggerezza: difatti, se la vita di un uomo, priva del presidio dell'amicizia, è destinata ad essere dolorosamente solitaria, un così necessario ausilio non va acquistato senza riflessione e, una volta ben assunto, non conviene che sia disprezzato. I veri amici si riconoscono specialmente nelle difficoltà nelle quali ogni reciproca offerta parte sempre da indefettibile benevolenza. Chi coltiva l'amicizia degli uomini fortunati lo fa più per adulazione che per affetto sincero, e fa sempre nascere il sospetto di voler chiedere più di quanto dia. Si aggiunga che gli uomini che hanno compromesso la loro fortuna sentono sempre più il bisogno di avere amici per trovarvi o protezione o conforto: perché tutto quel che si fa o avviene nei periodi di prosperità, avendo l'appoggio dell'aiuto divino, ha minor necessità di quello umano. Il ricordo dei posteri, dunque, conserva meglio i nomi di coloro che non abbandonarono gli amici nella sorte avversa che non di quanti li seguirono nella prospera. Nessuno parla più de gli amici di Sardanapalo, Oreste invece è conosciuto, oserei dire, più perché amico di Pilade che perché figlio di Agamennone: se è vero che l'amicizia dei primi si corruppe nella loro comune partecipazione a raffinatezze e bagordi, mentre lo spirito di fratellanza dei secondi, formatosi in difficili condizioni, brillò, pur sottoposto, come fu, a prove dure ed aspre. Ma a che toccare di esempi stranieri, quando mi è concesso di usarne patrii? |
I |
Si credette che Tiberio Gracco fosse stato nemico della patria, e non a torto, perché ne aveva posposto l'incolumità alla sua personale potenza. Val, tuttavia, la pena di sapere quanto fedele amico gli sia stato, pur in un progetto così deplorevole, Caio Blossio Cumano. Per quanto giudicato nemico della repubblica, suppliziato a morte, privato dell'onore della sepoltura, Tiberio ebbe sempre l'affetto di Blossio: difatti, poiché il senato ebbe dato incarico ai consoli Rupilio e Lenate di provvedere, secondo l'uso avito, contro i partigiani di Tiberio e Blossio si fu recato a chiedere perdono presso Lelio, principale consigliere dei consoli, e a giustificarsi adducendo di essergli stato amico, quando Lelio gli chiese: "E che? Se Gracco ti avesse ordinato di dar fuoco al tempio di Giove Ottimo Massimo, l'avresti fatto in nome di questa amicizia di cui fai vanto?", rispose: "Gracco non avrebbe mai dato un ordine simile!" Egli fece abbastanza, e fors'anche troppo: perché osò difendere il comportamento dell'amico, già condannato concordemente da tutto il senato. Ma quel che disse poi, costituì un atto di audacia molto più pericoloso: sottoposto ad uno stringente interrogatorio da Lelio, persistette incrollabilmente nel suo atteggiamento e rispose che avrebbe fatto anche questo, sol che il suo amico gliene avesse fatto un cenno. Se avesse taciuto, chi avrebbe potuto fargliene colpa? Chi non l'avrebbe considerato persino saggio, se avesse parlato adattandosi alle circostanze? Ma Blossio non volle proteggersi con un decoroso silenzio o con prudenti parole, per non abbandonare nemmeno minimamente il ricordo di quella sfortunata amicizia. |
II |
Nell'àmbito della stessa casa, ecco rampollare esempi di indefettibile amicizia ugualmente vigorosi: difatti, quando i progetti e le fortune di Caio Gracco erano già andati in rovina e si dava dovunque la caccia ai congiurati, rimasto solo ed indifeso, Gracco fu protetto soltanto dai due suoi amici Pomponio e Letorio, i quali gli fecero scudo con il loro corpo contro i proiettili degli avversari che piovevano da ogni parte. Di essi Pomponio, per lasciargli più facilmente una via di scampo, si frappose tra Caio e gli inseguitori a Porta Trigemina, sostenendo per qualche tempo un'aspra battaglia; né poté esserne cacciato se non dopo morto, trafitto da molte ferite: i nemici dovettero passare sul suo cadavere, ed anche ucciso egli concesse, io credo, malvolentieri il passaggio ai nemici di Gracco. Letorio, invece, si fermò sul ponte Sublicio e lo presidiò arditamente finché Gracco non vi passasse oltre; ormai sopraffatto da un nugolo di avversari e rivoltasi la spada contro il petto, con un salto s'inabissò nel Tevere e morendo volontariamente mostrò per un solo amico quello spirito di dedizione che Orazio Coclite aveva mostrato per la patria. Che valorosi soldati avrebbero potuto avere i Gracchi, se si fossero incamminati lungo la via percorsa dal loro padre o dal loro avo materno! Con quale impeto, con quale ostinato coraggio Blossio, Pomponio e Letorio avrebbero contribuito alle loro vittorie e ai loro trionfi, compagni di un'avventura pazzeosca così valorosi che, malgrado i sinistri auspìci, conservarono la loro condizione di amici, ergendosi, per ciò stesso, ad esempi quanto più disgraziati tanto più incrollabili di amicizia! |
III |
Lucio Regino, se fosse giudicato in base alla lealtà con cui occorre compiere un pubblico ufficio, dovrebbe essere aspramente colpito dagli strali infamanti dei posteri; ma se lo si valutasse sulla scorta del pegno di amicizia da lui fedelmente rispettato, dovrebbe esser lasciato al sicuro nell'ottimo porto di una lodevole consapevolezza: ché, tribuno della plebe. memore di una antica e stretta amicizia, liberò dal carcere Cepione, che vi era stato gettato come responsabile, a quanto pareva, della distruzione del nostro esercito ad opera dei Cimbri e dei Teutoni, e, non contento di esserglisi mostrato amico fino a questo punto, volle essergli compagno anche nell'esilio. Grande ed insuperabile tua potenza, o amicizia! Mentre da una parte la repubblica metteva le mani addosso a Cepione e dall'altra la tua destra lo liberava, mentre quella esigeva che fosse intoccabile e tu lo condannavi all'esilio - così blandamente usi dare i tuoi ordini -, Regino preferì la condanna alla sua magistratura. |
IV |
Mirabile questa tua opera, ma ancor più degna di lode è quella che segue: riconosci, infatti, fino a che punto tu abbia innalzato, senza alcuna offesa alla repubblica, l'indefettibile benevolenza di Volumnio verso un suo amico. Questi, appartenente all'ordine eqnestre, avendo avuto amichevoli rapporti con Marco Lucullo ed essendo stato costui ucciso da Marco Antonio perché aveva parteggiato per Bruto e Cassio, mentre gli sarebbe stato possibile fuggire facilmente, rimase abbracciato all'amico morto e pianse e gemette tanto, fino a provocarsi per troppo affetto la morte: difatti a causa dei suoi straordinari e continui lamenti fu trascinato alla presenza di Antonio. E poiché fu in suo cospetto, "Ordina" gli disse, "o generale, che io venga condotto accanto al cadavere di Lucullo ed ivi ucciso: non debbo sopravvivergli, perché sono stato io ad ispirargli la partecipazione a questa disgraziata campagna". Che di più fedele di questa benevolenza? Egli liberò da ogni odio del nemico la morte del suo amico, accusò sé stesso di avergli dato quel consiglio e, per renderlo più degno di pietà, si rese più odioso. E Antonio gli diede facilmente ascolto. Volumnio, condotto là dove aveva voluto esserlo, baciò appassionatamente la destra di Lucullo, ne raccolse e si portò al petto la testa recisa e quindi piegò il collo, offrendolo alla spada del vincitore. La Grecia dica pure che Teseo, associandosi ai nefandi amori di Piritoo, osò penetrare nel regno del padre Dite: è da sciocchi narrare fatti simili, è da stolti credervi. Vedere mescolarsi il sangue degli amici e le ferite intrecciate alle ferite ed un cadavere abbracciato a un altro: queste sono le vere prove dell'amicizia romaha, mentre quelle sono invenzioni false di un popolo pronto a mentire, somiglianti a mostruosi prodigi. |
V |
Anche Lucio Petronio rivendica il suo diritto di partecipare a tale lode, perché, avendo osato compiere pari gesta nel culto dell'amicizia, pari parte dev'essergliene attribuita. Nato da modestissima famiglia, era giunto con l'aiuto di Publio Celio all'ordine equestre e agli alti gradi dell'esercito. E poiché non gli era toccato di poter dimostrargli la sua gratitudine nella buona fortuna, lo fece con somma fedeltà quando essa gli volse le spalle. Celio era stato preposto dal console Ottavio a presidio di Piacenza. Quando questa fu presa dall'esercito di Cinna, egli, già vecchio e malfermo in salute, per non essere preso prigioniero dal nemico, si rivolse a Petronio pregandolo di ucciderlo. E Petronio, dopo aver inutilmente tentato di distoglierlo dal proposito, lo uccise che ancora stava pregandolo e contemporaneamente si suicidò per non sopravvivere a colui, cui doveva i suoi successi e la sua carriera. Così all'uno la vergogna, all'altro la pietà diedero motivo a morire. |
VI |
A Petronio va accostato Servio Terenzio, anche se a lui non toccò, come avrebbe desiderato, la ventura di morire per il proprio amico: il suo comportamento dev'essere valutato dalla nobiltà del gesto, non già dal fallimento del risultato, giacché, per quanto dipese da lui, da una parte egli sarebbe stato ucciso, dall'altra Decimo Bruto sarebbe sfuggito al pericolo di morte. Questi, fuggendo da Modena, appena venne a sapere che erano arrivati dei cavalieri di Antonio con l'ordine di ucciderlo, tentava di nascondersi in qualche luogo per sottrarsi al dovuto castigo; e allorché i sicari ebbero fatta irruzione, Terenzio, mentendo per fedeltà, finse, anche con l'aiuto delle tenebre, di essere Decimo Bruto e si offrì ai cavalieri per esserne trucidato. Ma riconosciuto da Furio, cui Antonio aveva dato l'incarico di uccidere Bruto, non poté col proprio sacrificio impedire l'uccisione dell'amico. Così, costretto dalla fortuna, dovette suo malgrado sopravvivergli. |
VII |
Da questa atmosfera crudele e penosa, fin qui creata dagli esempi di amicizia eroica, passiamo ora a visioni liete e serene, e, sottrattala ai casi ricchi di lacrime, gemiti e stragi, trasportiamola in una sede felice della quale è più degna, - splendida com'è - di simpatia, di gloria e di opulentissimi poteri. Sorgete, dunque, dai luoghi sacri alle ombre, tu da una parte, Decimo Lelio, tu dall'altra, Marco Agrippa, che aveste in sorte il primo il più grande degli amici tra gli uomii, il secondo il più grande degli amici tra gli dèi con l'ausilio di una salda determinazione e di favorevoli presagi, e traete alla luce con voi la folla tutta dei beati, che, onusta di lodi e di ricompense, ha militato seguendo voi nel sacro esercito degli amici leali: le generazioni venture, guardando al vostro coraggio, ai vostri strenui servigi, ai vostri incrollabili silenzi, alle vostre veglie ininterrotte a presidio del prestigio e della vita degli amici, alla vostra vigile benevolenza e agli scambievoli ricchissimi frutti di tali esempi, saranno non solo meglio disposte, ma anche più consapevoli, nel culto dell'amicizia, di quanto vi è in essa di sacro. |
|
|
Visitatori di questa pagina: