CICERONE
Post reditum in senatu |
a cura di "Thundereye" |
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[1]
Se, o senatori, per i vostri infiniti servigi nei confronti miei, di
mio fratello e dei miei figli vi ringrazierò in maniera inadeguata,
vi prego e vi supplico di non ritenere questo da attribuire alla mia
natura piuttosto che alla grandezza dei vostri benefici. Infatti quale
fertilità di ingegno, quale abbondanza di eloquenza può essere tanto
grande, quale linguaggio tanto divino e straordinario con il quale
qualcuno possa, non dico abbracciare tutte quante le vostre
benemerenze nei nostri confronti parlando, ma passarle in rassegna
enumerandole? Voi che avete restituito a me il mio amatissimo
fratello, al mio tenerissimo fratello me, ai nostri figli i genitori,
a noi i nostri figli,la dignità, l'ordine, la prosperità,
l'illustrissima repubblica, la patria, della quale niente può esserci
più caro, infine avete restituito proprio noi a noi stessi. [2]
E se dobbiamo considerare i nostri genitori i più cari a noi, poiché
da loro ci è stata data la vita, il patrimonio, la libertà, il
diritto di cittadinanza, se proviamo affetto per gli dèi immortali,
per la cui benevolenza abbiamo mantenuto queste cose e ci siamo
arricchiti con altri benefici, se teniamo in gran conto il popolo
romano, per i cui onori siamo posti nel più nobile dei consigli e nel
più alto grado di dignità e in questa cittadella di tutte le terre,
se onoriamo questo stesso ordine del Senato, dal quale spesso siamo
stati onorati con magnifici decreti, allora è di certo immenso ed
infinito, ciò che a voi dobbiamo, voi che ci avete restituito con un
colpo solo con il vostro straordinario zelo e all'unanimità, tutti i
favori dei nostri genitori, i doni degli dèi immortali, gli onori del
popolo romano e le vostre molteplici decisioni nei miei confronti,
affinché, poiché dobbiamo molto a voi, una grande gratitudine al
popolo romano, infiniti ringraziamenti ai genitori ed ogni cosa agli
dèi immortali, prima abbiamo avuto queste cose separatamente per
mezzo di quelli, ora invece le abbiamo riconquistate tutte insieme
grazie a voi. [3] Perciò, o senatori, mi sembra d'aver
ottenuto un qualcosa che si avvicini all'immortalità, grazie a voi,
cosa che non dev'essere neanche desiderata da un uomo. Verrà mai il
tempo in cui s'estinguerà il ricordo e la fama delle vostre
benemerenze nei miei confronti? Voi che, proprio mentre eravate tenuti
bloccati con la violenza, con le armi, col terrore e con minacce, non
molto tempo dopo la mia partenza, all'unanimità mi avete richiamato
su proposta di Lucio Ninnio, uomo coraggiosissimo e virtuosissimo, il
più fedele e il meno restio, qualora si fosse giunti allo scontro,
difensore della mia causa che quell'anno fatale ebbe. Dopo che non vi
fu conferita la facoltà di emettere decreti a causa di quel tribuno
della plebe, che non potendo denigrare lo Stato esponendosi in prima
persona, si servì della malvagità di un altro, mai avete smesso di
intercedere per me, e non avete mai smesso di impetrare la mia
salvezza a quei consoli, che pur l'avevano contrabbandata. [4]
Perciò fu grazie al vostro impegno e alla vostra autorevolezza che
proprio quell'anno che io avrei preferito fatale a me piuttosto che
alla mia patria, annoverasse otto tribuni, che, da una parte
promulgassero una legge per il mio ritorno dall'esilio, e dall'altra
costantemente la proponessero a voi. Infatti i consoli scrupolosi e
rispettosi delle leggi, erano ostacolati da una legge, non quella che
era stata presentata sul mio conto, bensì da quella che riguardava
loro stessi, quando il mio nemico Clodio promulgò un articolo, che,
sarei tornato in patria solo qualora fossero tornati in vita i
responsabili della rovina, per poco sventata, di Roma. Con questo
provvedimento fece trasparire entrambe le cose: sia che sentiva la
loro mancanza sia che lo stato sarebbe stato in grave pericolo, se,
dopo che i nemici e gli assassini dello Stato fossero tornati in vita,
io non fossi tornato. Perciò proprio in quell'anno, dopo che me n'ero
andato, quando il primo cittadino difendeva la propria vita non con la
protezione delle leggi, ma con quella delle proprie pareti domestiche,
quando lo stato era senza consoli e non solo era stato privato degli
eterni genitori(=le leggi), ma persino dei guardiani annuali(=i
consoli), quando vi era impedito esprimere le vostre opinioni, quando
fu letta l'origine della mia proscrizione, mai avete dubitato che il
mio ritorno coincidesse, a conti fatti, con la salvezza di tutti. [5]
Ma in seguito, per la straordinaria e mirabile virtù del console
Publio Lentulo, iniziaste a distinguere, il primo di Gennaio, una luce
nello Stato fuori dalla caligine e dalle tenebre dell'anno precedente,
quando l'estrema meritevolezza di Quinto Metello, uomo nobilissimo ed
eccellente, quando la virtù e la lealtà dei pretori e di quasi tutti
i tribuni della plebe, era giunta in aiuto allo Stato, quando si
ritenne che Gneo Pompeo, l'uomo più illustre di tutti i popoli, di
tutti i tempi e di ogni memoria per virtù, gloria e imprese compiute,
sarebbe potuto venire agevolmente in Senato senza pericolo, allora la
vostra unanimità sul mio caso fu così grande che, pur non essendoci
fisicamente, la mia dignità era già tornata in patria. [6] E
proprio in quel mese vi siete potuti fare un'idea sulla differenza tra
me e i miei nemici. Ho abbandonato la mia causa affinchè lo Stato,a
causa mia, non si macchiasse dal sangue dei cittadini; quelli
pensarono di impedire il mio ritorno, non con i voti del popolo
romano, ma con un fiume di sangue. Perciò poi non avete dato risposte
ai cittadini, agli alleati, o ai sovrani. I giudici non presero
nessuna decisione, i cittadini non andarono a votare, questo ordine
senatoriale non emise alcuna dichiarazione con la sua autorità;
vedevate il foro silenzioso, la Curia muta, la città tacita e divisa.
[7] E proprio in questa occasione dopo che si era allontanato
colui che, con il vostro sostegno, si era opposto al massacro e al
fuoco, avete visto uomini che correvano in tutta quanta la città con
la spada e le fiaccole, le case dei magistrati attaccate, i templi
degli dèi bruciati, i fasci di un uomo ammirabile e celebre console
infranti, l'onesta persona di un tribuno della plebe coraggioso e
virtuoso non colpita o oltraggiata, ma passata a fil di spada. Per
questa strage alcuni magistrati allarmati, in parte per paura della
morte, in parte per la disperazione nei confronti dello Stato, presero
le distanze dalla mia causa; ma rimasero gli altri, che né il terrore
né la violenza, né la speranza né la paura, né le promesse né le
minacce, né le armi né le fiaccole allontanarono dalla vostra
autorità, dalla dignità del popolo romano e dalla mia salvezza. [8]
Il principe Publio Lentulo, genitore e dio della nostra vita e sorte,
della nostra memoria e del nostro nome, pensò che avrebbe dimostrato
una qual prova di virtù, un qual segno della sua indole, un qual
lustro del proprio consolato, se avesse restituito me a me stesso, ai
miei amici, a voi e allo Stato. Questi, come fu designato console, mai
esitò ad esprimere la propria degna opinione sulla mia causa e sullo
Stato. Quando fu posto il "veto" dal tribuno della plebe,
quando fu letto quell'ammirabile articolo affinchè nessuno riferisse
nulla a voi, né emettesse decreti, affinchè nessuno sollevasse
alcuna discussione, né parlasse, affinchè nessuno votasse a favore,
né partecipasse alla redazione di un decreto, ritenne tutto ciò che
ho appena detto una proscrizione e non una legge per la quale un
cittadino che si era reso benemerito nei confronti dello Stato per
nome, senza alcun processo fosse strappato allo stato e al senato allo
stesso tempo. ma non dirò come entrò in carica: cosa fece prima,
cos'altro fece in generale, se non per aver salvato me, per fissare la
vostra dignità e autorità per l'avvenire? [9] O dèi
immortali! Quale grande beneficio mi sembra che mi abbiate concesso,
facendo console Publio Lentulo quest'anno! Quanto di più mi avreste
dato, se lo fosse stato l'anno prima! Infatti non avrei avuto bisogno
della medicina di un console, se non fossi caduto per un colpo
inflittomi da un console. Ho udito spesso da un uomo assai saggio
nonché cittadino virtuosissimo, Quinto Catulo, che non di frequente
c'era un console disonesto, ma mai, in verità, dalla fondazione di
Roma, ce ne furono due allo stesso tempo, eccezion fatta per il
periodo di Cinna. Perciò Catulo era solito affermare che la mia causa
sarebbe sempre stata salda, finché ci fosse stato anche un solo
console virtuoso nello Stato. Cosa che aveva giustamente affermato, se
la condizione di un duplice consolato, che in precedenza non c'era mai
stata nello Stato, fosse potuta rimanere perenne e duratura. E se
Quinto Metello, fosse stato console a me avverso a quel tempo, avete
qualche dubbio su quale sarebbe stato il suo sentimento nei confronti
della mia salvezza, ora che vedete che fu promotore e sostenitore del
provvedimento per la mia riabilitazione. [10] Ma ci furono due
consoli, le cui menti meschine, abbiette, corrotte, ottenebrate e
grette non furono in grado né di badare né di sostenere, né di
assumere la stessa denominazione di consolato, lo splendore di
quell'onore, l'importanza di una tanto grande autorità; essi non
furono consoli, ma mercanti nelle province e venditori della vostra
dignità. Uno di questi pretendeva indietro da me, alla presenza di
molti, Catilina, suo amico, l'altro reclamò Cetego, suo cugino; i due
uomini più scellerati a memoria d'uomo, i quali non chiamerò consoli
ma ladri, non solo soprattutto mi abbandonarono in una causa relativa
allo stato e al consolato, ma mi tradirono e mi contrastarono, e
vollero che fossi spogliato della mia dignità non solo con tutto il
loro aiuto, ma anche con il vostro e degli altri ordini statali. [11]
Uno di questi, tuttavia, non ingannò nè me nè qualcun altro.
Infatti chi mai nutrirebbe alcuna speranza di alcun bene in lui, il
cui primo periodo della vita era stato apertamente sottomesso ai
desideri di tutti, il quale non aveva neanche potuto allontanare dalla
parte più inviolabile del corpo la corrotta smoderatezza degli
uomini? Questo che, dopo aver consumato il suo patrimonio non meno
rapidamente che in seguito lo Stato, fece fronte alla sua povertà e
la sua dissolutezza con il proprio lenocinio, questo che, se non si
fosse rifugiato presso l'altare del tribunato, non sarebbe potuto nè
potuto sfuggire alla autorità del pretore nè alla moltitudine dei
suoi creditori, nè alla confisca dei suoi beni, se non avesse
avanzato in questa carica la proposta di legge sulla guerra contro i
pirati, lui stesso sarebbe, in verità, ricorso alla pirateria, spinto
dalla povertà e dalla sfrontatezza, certamente con minor danno per lo
Stato, di quando rimase all'interno delle nostre mura come un nemico
scellerato e un ladro; poiché costui ispezionava e assolveva un
compito, il tribuno della plebe avanzò una legge affinchè non
tenesse in considerazione gli auspici, affinchè non si opponesse
nell'assemblea o nei comizi, affinchè non gli fosse permesso porre il
veto ad una legge, affinchè la legge Elia e la legge Fufia, che i
nostri antenati vollero che fossero sicurissimi sostegni per lo Stato
contro gli ardenti spiriti tribunizi, non avessero valore. [12]
E lui stesso poi, dopo l'arrivo di una moltitudine malvestita di
uomini virtuosi dal Campidoglio per supplicarlo, e dopo che i più
nobili giovani e tutti quanti i cavalieri romani si erano gettati ai
piedi di questo dissolutissimo profittatore, con quale espressione,
quel crapulone ricciuto, respinse non solo le lacrime dei cittadini,
ma anche le preghiere della patria! E non fu soddisfatto di questo, ma
irruppe addirittura in assemblea e disse queste cose, che, se il suo
uomo Catilina fosse tornato in vita, non avrebbe osato dire, e cioè
che avrebbe punito i cavalieri romani per le none di Dicembre, che
erano trascorse sotto il mio consolato e per il colle Capitolino. E
non disse solo questo, ma chiamò quelli che gli andavano bene, in
particolare, da console autoritario, espulse dalla città Lucio Lamia,
cavaliere romano, uomo di eccellente dignità e molto attento alla mia
salvezza in nome della nostra amicizia, e allo Stato per la
salvaguardia dei suoi beni. E dopo che voi avevate deciso di vestirvi
a lutto e tutti voi vi eravate cambiati e tutti gli uomini virtuosi lo
avevano già fatto prima, costui cosparso di profumo con la toga
orlata, che in quel tempo tutti i pretori e gli edili avevano
disprezzato, derise la vostra veste squallida e il dolore di una
città assai riconoscente e, cosa che nessun tiranno mai aveva fatto,
fece in modo da non dire nulla, sul fatto che apertamente piangeste
sulla vostra sventura, e da decretare che non piangeste pubblicamente
i lutti della patria. [13] E dopo che in verità nel Circo
Flaminio era stato condotto nell'assemblea non dal tribuno della plebe
come console, ma da un ladro come il capo dei pirati, avanzò per
primo come uomo di quale autorevolezza! sbronzo, intorpidito e pieno
di dissolutezza, con i capelli unti e ben ordinati, con occhi pesanti,
guance cadenti e con voce rauca e da ubriaco, ed egli, una seria
autorità, disse che era fortemente dispiaciuto, poiché ci si era
rivolti contro cittadini innocenti. Dove quest'autorità ci è rimasta
nascosta tanto a lungo? Perché la tanto straordinaria virtù di
questo ricciolino indugiò così a lungo in orge e gozzoviglie?
Infatti l'altro uomo, Cesonio Calvenzio, fin dall'adolescenza ha
bazzicato il foro, sebbene oltre questa falsa e astuta austerità,
nulla gli desse prestigio, nè la conoscenza della legge, nè la
disinvoltura nel parlare, nè la perizia nell'arte militare, nè la
diligenza di conoscere gli uomini, nè la generosità; e dopo che,
mentre stava passando, avevi notato quanto incivile, rozzo e austero
fosse, benché avessi potuto considerarlo incolto e scortese, tuttavia
non lo ritenevi licenzioso e dissoluto. [14] Avresti pensato
che non ci fosse nessuna differenza a fermarti nel foro con costui o
con un pezzo di legno: lo avresti detto stupido, insipido, muto,
balordo, un vero animale, un Cappàdoce appena portato via da una
torma di schiavi in vendita. Eppure, sempre lui, quanto vizioso,
quanto depravato, quanto sregolato in casa, con i suoi piaceri goduti
non secondo, ma contro natura (=non accolti dalla porta, ma fatti
entrare dal retro)! Quando poi comincia a studiare lettere e, rozzo
bestione qual è, a filosofare con i maestrucoli greci, allora fa
l'epicureo, non però dedicandosi in modo approfondito a quella
filosofia, qualunque essa sia, ma attirato dalla sola parola
"piacere". Prende i suoi maestri, d'altra parte, non da
codesti sciocchi (= gli Stoici) che discutono giornate intere sul
dovere e sulla virtù, che esortano al lavoro, all'attività, ad
affrontare i pericoli per la patria, ma ha per maestri coloro (= gli
Epicurei) che affermano che nessun'ora deve essere priva di piacere e
che in ogni parte del corpo bisogna che ci sia sempre qualche
godimento e qualche voluttà. [15] Egli usa costoro come
sovrintendenti delle proprie dissolutezze; questi infatti ricercano e
fiutano ogni voluttà; essi sono i preparatori e gli allestitori del
banchetto e loro stessi valutano e stimano i piaceri ed espongono il
proprio parere e il proprio giudizio su quanto sembri opportuno
concedere a ciascun desiderio. Costui, divenuto abile nelle loro arti
disprezzò a tal punto questa città così saggia, da ritenere che
tutte le sue dissolutezze e le sue atrocità potessero rimanere
nascoste, purché avesse mostrato il suo volto importuno nel foro.
Costui non mi ingannò in nessun modo, infatti ero venuto a
conoscenza, per la parentela coi Pisoni, quanto lontano la parentela
materna di sangue Transalpino lo avesse portato, piuttosto ingannò
voi e il popolo romano non con la sua saggezza nè con la sua
eloquenza, sebbene spesso accada in molti casi, ma con il suo viso
rugoso e con l'aggrottar delle sopracciglia. [16] Lucio Pisone,
proprio tu hai osato tramare con Aulo Gabinio per la mia rovina, con
quello sguardo (per non dire con quello stato d'animo), con
quell'espressione (per non menzionare la tua condotta di vita), con
tanta arroganza, (infatti non potrei affermare "con tante
imprese")? E l'odore dei suoi unguenti, l'alito che odorava di
vino, il suo volto segnato dalle tracce di un
"arricciacapelli", non ti portavano a pensare che poiché tu
eri stato effettivamente simile a lui nella circostanza, non saresti
stato in grado di servirti più a lungo della copertura del volto per
nascondere tali atrocità? Hai osato far lega con costui per
abbandonare per l'alleanza delle province, la dignità consolare, la
condizione attuale dello Stato, l'autorità del Senato, le fortune di
un cittadino ottimamente benemerito? Sotto il tuo consolato in accordo
con i tuoi ordini e comandi non fu forse lecito al senato del popolo
romano venire in aiuto allo Stato, non solo con i propri voti o la
propria autorità, ma neanche con il proprio dolore e con abito
luttuoso? [17] Ti ritenevi forse console di Capua, così
com'eri a quel tempo, città che era stata un tempo la dimora della
tua superbia, o forse di Roma, dove tutti,prima che voi foste eletti
consoli, obbedivano al Senato? Tu, dopo esserti fatto avanti con quel
tuo compagno, osasti affermare nel Circo Flaminio che tu eri sempre
stato misericordioso? Con questa affermazione dimostravi quindi che il
senato e tutti gli uomini virtuosi erano stati crudeli, dopo che io
avevo allontanato la rovina dalla patria? Tu, misericordioso, me, tuo
socio, che nei tuoi comizi avevi fatto principale sorvegliante della
centuria che vota per prima, a cui alle Calende di Gennaio avevi
chiesto il parere per terzo, consegnasti legato ai nemici dello Stato,
tu hai scacciato con parole superbissime e crudelissime mio genero, un
tuo congiunto, e una tua parente, mia figlia, dalle tue ginocchia; e
tu stesso con singolare umanità e misericordia, quando io insieme con
lo Stato ero decaduto non a causa di un "colpo" tribunizio,
bensì consolare, sei stato di tanta scelleratezza e intemperanza che
non hai permesso che trascorresse neanche un'ora tra la mia rovina e
il tuo guadagno, finchè almeno non fossero cessati il lamento e il
gemito della città! [18] Non era ancora risaputa la fine della
repubblica quando ti si pagava il prezzo dei funerali; esattamente
nello stesso istante la mia casa veniva saccheggiata e data alle
fiamme, e i miei beni venivano trafugati dalla mia casa sul Palatino a
quella del console lì vicino, e dalla mia villa di Tuscolo a quella
dell'altro console, altrettanto prospiciente alla mia; mentre - in un
Foro sgombro non solo di cittadini virtuosi, ma anche liberi, e dunque
praticamente delegittimato - i mercenari che noi tutti conosciamo
appoggiavano col loro voto la proposta di quel risaputo furfante,
mentre il popolo di Roma era completamente all'oscuro di cosa stesse
accadendo, mentre il Senato era completamente esautorato l'erario, le
province, le legioni, insomma tutte le leve del potere imperiale
venivano in pratica rese in omaggio a due consoli della peggior
feccia. Ma voi, o consoli, avete rimediato, con la vostra virtù, alle
rovine perpetrate da tali consoli, contando sulla grande lealtà e
senso di responsabilità propri dei tribuni della plebe e dei pretori.
[19] Che cosa potrei dire di un grand'uomo qual è Tito Annio,
o chi mai potrebbe trovare parole adeguate all'altezza di un cittadino
così esemplare? Costui era ben consapevole delle alternative: qualora
avesse ancora un senso ricorrere alle leggi, un cittadino scellerato,
o direi piuttosto un vero e proprio "nemico in patria"
doveva essere abbattuto coi mezzi appunto di un'azione giudiziaria; ma
qualora la violenza scavalcasse, esautorandole, le procedure
giudiziarie, allora bisognava rispondere all'audacia col valore, alla
follia distruttiva col coraggio, alla temerarietà con la risolutezza
politica, alla prepotenza di un pugno di scellerati con truppe
regolari, insomma: alla violenza con la violenza. In base a tali
alternative, Tito Annio Milone propese innanzitutto per una citazione
in giudizio con l'accusa di violenza ai danni dello Stato; ma poi,
quando si rese conto che ogni procedura giudiziaria era stata da
quello esautorata, ha fatto in modo ch'egli non fosse in grado di
mandare ad effetto i suoi propositi avvalendosi dell'arma della
violenza. Costui dunque ci ha insegnato che né le nostre famiglie,
né i templi, né il Foro né tantomeno la Curia potevano essere
difese dall'assalto di una banda di briganti che cova nel seno della
nostra stessa Patria senza dar fondo a tutto il nostro valore, o senza
ricorrere all'utilizzo di ingenti risorse e truppe. Costui infine è
stato il primo, dopo il mio allontanamento, a stornare il terrore dai
cittadini onesti, a smantellare la speranza di uomini senza scrupoli,
ad allontanare il timore dall'ordine senatorio, a scongiurare il
pericolo che la città cadesse in servaggio. [20] Publio
Sestio, seguendo anch'egli tale condotta con pari valore, coraggio e
lealtà, considerò di non dover mai sottrarsi ad alcuna ostilità, ad
alcuna prepotenza, ad alcuno scontro - anche a costo della vita - pur
di difendere la mia causa, la vostra autorità, l'assetto statale.
Costui, secondo il senso di responsabilità a lui tipico, rimise la
causa del senato - attaccata dai discorsi infuocati di uomini malvagi
e senza scrupoli - nelle mani del popolo, di modo che nulla apparisse
godere del favore popolare tanto quanto il vostro nome, e nulla,
alfine, divenisse caro all'intera comunità tanto quanto l'autorità
del vostro ordine. Costui inoltre, da una parte ha preso le mie difese
con tutti i mezzi a lui possibili in quanto tribuno della plebe;
dall'altra mi ha appoggiato con ogni altra sorta di favori, alla
stregua di un fratello. Io infatti ho ricevuto conforto e sostegno dai
suoi clienti, dai suoi liberti, dalla sua servitù, dalle sue risorse
e dalle sue lettere, al punto che costui appariva essere non solo il
mio punto d'appoggio nella sventura, ma addirittura egli stesso
"compagno di sventura". [21] Avete già constatato le
amorevoli attenzioni degli altri nei miei confronti: quanto Gaio
Cestilio m'abbia avuto a cuore, quanta devozione abbia mostrato nei
vostri confronti, quanta fermezza abbia rivelato nel sostenere la mia
causa. Passando a Marco Cispio: che cosa non ha fatto per me! Mi rendo
ben conto di quanto io sia debitore a lui, a suo padre e a suo
fratello; nonostante io avessi fatto loro un torto in una questione
privata, costoro hanno messo da parte il risentimento personale,
rispettando la memoria del mio buon operato politico. Inoltre, Tito
Fadio, ch'è stato il mio questore e Marco Curzio, del cui padre io
sono stato questore, non mi sono venuti meno in questa mia disgrazia,
mostrando attaccamento e affetto nei miei riguardi, nonché coraggio.
Gaio Messio infine ha speso molte parole in mia difesa, sia in nome
dell'amicizia che ci legava che in nome della salvezza dello Stato; e,
a prescindere da ciò, sin da principio pubblicò una proposta di
legge concernente la mia salvezza. [22] Se Quinto Fabrizio
fosse riuscito a portare a termine - nonostante la violenza delle armi
- i suoi tentativi di risolvere la mia situazione di fare a mio
riguardo, io sarei stato reintegrato nella mia condizione civile e
giuridica già nel mese di gennaio. Tuttavia, mentre la sua
inclinazione lo spingeva a venirmi in aiuto, da una parte la violenza
degli avversari politici lo ostacolava, dall'altra, il rispetto per la
vostra autorevolezza lo dissuadeva. Inoltre, quale sia stata la
disposizione d'animo dei pretori nei miei confronti, l'avete potuto
ben appurare, allorquando Lucio Cecilio, sul versante privato, molto
s'adoperò per offrirmi aiuto con tutti i mezzi che aveva a
disposizione, mentre sul versante politico, avanzò una proposta di
legge inerente al mio ritorno, in accordo con la quasi unanimità dei
suoi colleghi di parte, impedendo, inoltre, ai saccheggiatori delle
mie proprietà di procedere per vie legali. Infine, Marco Calidio -
non appena eletto - mostrò chiaramente, con la sua dichiarazione di
voto, quanto gli stesse a cuore la mia salvezza. [23] Tutte le
massime attenzioni di Gaio Septimio, Quinto Valerio, Publio Crasso,
Sesto Quintilio e di Gaio Cornuto furono rivolte sia nei miei
confronti che in quelli dello Stato. Pur ricordando queste cose con
piacere, tuttavia a malincuore non tralascio le azioni di nessuno
commesse in modo scellerato contro di me. Non è il momento però di
ricordare gli oltraggi, che, nonostante sia in grado di vendicare,
tuttavia preferirei dimenticare. Ad un altro obiettivo deve mirare la
mia intera esistenza: contraccambiare il favore a coloro che si sono
comportate bene nei miei confronti, proteggere le amicizie provate col
fuoco, muovere guerra ai miei nemici più evidenti, perdonare gli
amici pusillanimi, punire i traditori, alleviare il dolore del mio
allontanamento con la dignità del mio rimpatrio. [24] Ora,
anche se l'unico compito che mi resta in tutta la mia vita fosse
null'altro che manifestare la mia riconoscenza nei confronti di coloro
che hanno sollecitato, organizzato e realizzato le condizioni del mio
ritorno in patria, ciononostante stimerei davvero insufficiente la
vita che mi resta non solo per dar prova appunto di riconoscenza, ma
anche solo per fare menzione del beneficio che mi avete accordato. E,
infatti, quale occasione io stesso - e tutti coloro che mi
appartengono - avremo mai per rendere adeguato merito a quest'uomo e
ai suoi figli? Quale capacità di memoria, quale facoltà
d'intelletto, quale deferenza potrebbero mai contraccambiare in modo
adeguato tali e tanti benefici a me concessi? Costui è stato il primo
a mostrarmi amicizia e fiducia di console quando la situazione era per
me oramai disperata; è stato costui a trarmi fuori dalla morte verso
una nuova vita, dalla disperazione alla speranza, dalla rovina alla
salvezza! Costui ha mostrato, nei miei confronti, tanto affetto, e
tanto senso di responsabilità nei confronti dello Stato da trovare il
modo non solo di risolvere la mia disgrazia, ma anche di farne per me
motivo di onore. E allora, poteva mai accadermi qualcosa di più
onorevole e straordinario del fatto che voi - su sua proposta -
abbiate decretato che dall'intera Italia tutti coloro che avessero a
cuore la salvezza dello Stato qui convenissero con l'unico scopo di
reintegrarmi nella mia dignità e di difendermi, quand'ero già un
uomo finito? Ovvero che il senato spronasse tutti costoro e l'intera
Italia a mobilitarsi per la difesa di uno solo, con una veemente
propaganda che trova solo tre precedenti dalla fondazione di Roma,
ovvero ogni qual volta il console di turno l'ebbe utilizzata a
vantaggio stavolta dell'intero Stato e rivolgendosi ai soli astanti? [25]
Cosa potevo lasciare di più glorioso ai miei posteri del fatto che il
Senato giudicasse che un cittadino che non aveva preso le mie difese,
non desiderasse la salvezza dello Stato? Dunque la vostra
autorevolezza e l'eminente dignità del console ha così tanto valore
che uno che non si presenti in tribunale pensa di commettere un'
ignominia e un delitto. E lo stesso console, dopo che quella
incredibile moltitudine e praticamente la stessa Italia era giunta a
Roma, vi convocò numerosi nel Campidoglio. E in quel tempo avete
potuto farvi un'idea di quanta rilevanza avessero la bontà di indole
e la vera nobiltà d'animo. Infatti Quinto Metello, mio avversario e
fratello di un mio avversario, vista l'aria che tirava, lasciò da
parte tutti i suoi rancori nei miei confronti; Publio Servilio, uomo
tanto insigne quanto valoroso e per giunta mio caro amico, lo
richiamò con una qual divina solennità sia della sua autorevolezza
sia del suo discorso alle gesta e alle virtù della sua stirpe e della
sua famiglia, come avesse in consiglio sia suo fratello dagli inferi,
compartecipe dei miei affari, sia tutti i Metelli, uomini eccellenti,
quasi evocati dall'Acheronte, e fra questi quel famoso Metello di
Numidia, la cui partenza un tempo fu spiacevole per tutti, ma a lui
stesso non sembrò neanche dolorosa. [26] Perciò egli si fece
avanti non solo come difensore del mio richiamo dall'esilio, lui che
prima di questo grandissimo favore era sempre stato mio avversario, ma
anche come garante della mia dignità. Dunque in quel giorno, quando
voi eravate riuniti nel senato in quattrocentodiciassette e tutti i
magistrati erano presenti, uno solo dissentì, lui che aveva creduto
che con la sua legge anche i congiurati sarebbero potuti resuscitare
dagli inferi. E in quel giorno, dopo che avevate ritenuto con molte e
autorevoli parole che lo Stato era stato salvato dalle mie decisioni,
lo stesso console si preoccupò che le stesse cose fossero pronunciate
il giorno seguente dai capi della città, e quando egli difese la mia
causa parlando con grandissima eleganza e, al cospetto dell'intera
Italia che lo udiva, fece in modo che nessuno potesse udire la voce
ostile e pungente di qualche mercenario o uomo corrotto. [27] E
a queste azioni voi stessi aggiungeste non solo gli appoggi per il mio
richiamo, ma anche il restante lustro della mia dignità: decretaste
che nessuno lo impedisse in nessun modo; se qualcuno infatti lo avesse
impedito, lo avreste tollerato con difficoltà e a malincuore; quello
sarebbe quindi risultato nemico dello Stato, del benessere dei
virtuosi e della concordia dei cittadini e all'istante ve ne sarebbe
giunta notizia; e, nonostante mi calunniassero a lungo, approvaste il
mio ritorno. Perché? Per ringraziare quelli venuti perfino dai
municipi? Perché? Perché fino a quel giorno, tornate le cose a
posto, venisse chiesto loro che si riunissero con egual fervore?
Infine perché richiamare quel giorno che Publio Lentulo stabilì come
compleanno mio, di mio fratello e dei nostri figli, non solo per la
nostra memoria, ma anche per l’eterno ricordo del tempo? Nel quale
giorno nei nostri comizi centuriati, che i nostri antenati vollero
fortissimamente che fossero detti e considerati "comizi
giusti", mi richiamò in patria, affinché le stesse centurie che
mi avevano eletto console, confermassero il mio consolato. [28]
In questo giorno, quale cittadino, che lo ritenesse lecito, di
qualsiasi età o stato fisico fosse, non dette il proprio voto per il
mio richiamo dall'esilio? Quando mai avete visto una tale discesa in
campo, un tale splendore dell'Italia intera e di ogni classe sociale?
Quando mai avete visto autori di una proposta di legge, scrutinatori e
ispettori di quel prestigio? Perciò per la straordinaria e divina
concessione di Publio Lentulo non siamo stati richiamati in patria
come un gruppo di cittadini illustrissimi, ma ricondotti in trionfo da
magnifici destrieri su un cocchio dorato. [29] Potrò mai
sembrare abbastanza riconoscente nei confronti di Gneo Pompeo? Il
quale disse non soltanto a voi, che la pensavate tutti allo stesso
modo, ma anche a tutti i cittadini che la salvezza del popolo Romano
era stata mantenuta grazie a me e coincideva con la mia; questi
affidò inoltre la mia causa a persone sagge, informò quelli che non
sapevano e allo stesso tempo represse i malvagi con la sua
autorevolezza, spronò gli uomini valenti e non solo esortò il popolo
Romano a prendere le mie difese come si fa per un fratello o per un
genitore, ma addirittura lo supplicò; quando lui stesso era costretto
in casa dalla paura della lotta e del sangue, allora chiese ai tribuni
precedenti che proponessero e ottenessero il mio rimpatrio; costui in
una colonia recentemente fondata, mentre reggeva la carica di
magistrato, nella quale non si era procurato nessun oppositore,
contrassegnò la violenza e la crudeltà della legge eccezionale con
l'autorevolezza di uomini onestissimi e con lettere pubbliche e,
divenuto princeps, pensò di implorare aiuto di tutta l'Italia per il
mio richiamo; poiché lui stesso era stato sempre un mio carissimo
amico, si adoperò inoltre per rendere amici nei miei confronti anche
i suoi congiunti. [30] E d'altra parte con quali servizi potrei
ricompensare i favori di Tito Annio? Del quale la condotta e il
pensiero complessivi e infine tutto il tribunato non sono stati altro
che una costante, duratura, forte e insormontabile difesa della mia
causa. E che dire di Publio Sestio? Il quale mostrò il suo
attaccamento e il suo impegno nei miei confronti, non solo con la
sofferenza interiore, ma anche con le ferite del corpo. In verità a
ciascuno di voi, o senatori, ho reso e renderò sempre grazie. Ho
ringraziato all'inizio voi nel complesso, come ho potuto, ma non
potrò mai (in nessun modo) ringraziarvi abbastanza elegantemente. E
nonostante abbia ricevuto (siano a me) favori particolari da molte
persone, favori che non posso far passare sotto silenzio, tuttavia non
mi è possibile, coi tempi che corrono, accingermi a menzionare i
benefici ricevuti dai singoli; infatti sarebbe difficile non
tralasciare qualcuno, e sarebbe empio farlo. Io, o senatori, devo
mostrare riverenza quasi divina per tutti voi. Ma come nei confronti
degli stessi dèi immortali siamo soliti venerare e pregare non sempre
gli stessi, ma altre volte ci rivolgiamo ad altri, così nei confronti
degli uomini che si sono resi mirabilmente meritevoli nei miei
confronti, dedicherò tutta la mia vita a celebrare ciò che hanno
fatto per me e mostrar loro riconoscenza. [31] Ma in questo
giorno ho deciso che devo ringraziare i magistrati singolarmente e in
particolare una persona, che per il mio ritorno si era recato nei
municipi e nelle colonie, aveva pregato supplice il popolo Romano e
aveva espresso quel mio parere che seguiste restituendomi la dignità.
Voi mi avete onorato quando ero nel pieno dei miei poteri, mi avete
difeso, finchè vi è stato possibile, quando ero in difficoltà con
il mutamento della veste e quasi come una vostra disgrazia. A mia
memoria i senatori neanche in caso di propria disgrazia solevano
mutare d'abito; nei confronti della mia disgrazia invece il Senato
mutò la veste finchè lo consentirono gli editti di coloro che
privarono la mia condizione di disgrazia non solo della loro difesa,
ma perfino delle vostre preghiere per il mio ritorno. [32] E
quando ero in tali circostanze, vedendo che dovevo combattere da
privato cittadino con lo stesso schieramento che da console avevo
sconfitto, non con le armi ma con la vostra autorità, ho riflettuto
molto. Il console aveva detto in assemblea che avrebbe punito i
cavalieri Romani per gli avvenimenti del Campidoglio; alcuni sono
stati chiamati per nome, altri citati in giudizio, altri ancora
allontanati. Gli accessi ai templi erano stati negati non solo con
presidi e con la forza, ma perfino con la loro distruzione. L'altro
console affinchè non solo abbandonasse me e lo Stato, ma addirittura
ci consegnasse ai nemici dello Stato, li aveva legati a sè con
promesse di ricompense. C'era un altro uomo alle porte che ebbe una
carica per molti anni e un grande esercito. Non dico che fosse un mio
nemico, ma so che restò zitto quando si diceva che lo fosse. [33]
Nella repubblica due fazioni si profilavano: l’una, a quanto pare,
che voleva la mia morte, a causa dell’odio che nutriva nei miei
confronti, l’altra che prendeva le mie difese, ma senza convinzione,
dato che presagiva uno scontro mortale. Inoltre, coloro che davano
mostra di volermi morto esasperavano, sotto questo rispetto, il timore
di uno scontro, poiché mai cercarono di smorzare il sospetto e la
preoccupazione dei cittadini ritrattando i propri malevoli propositi.
Per la qual cosa, quando mi resi conto che il senato era oramai stato
privato dei suoi rappresentanti più illustri, che io ero fatto
vittima, da un lato, di attacchi, dall’altro di tradimenti, dall’altro
ancora di "derelizione" da parte dei magistrati, che
venivano arruolati nominalmente servi, sotto il pretesto di
censire/istituire corporazioni, che tutte le truppe di Catilina,
praticamente sotto gli stessi capibanda, riacquistavano speranza di
mettere a ferro e fuoco la compagine statale, che i cavalieri romani e
i municipi tremavano per il timore, rispettivamente, d’essere
proscritti e devastati: insomma tutti erano presi dal timore di uno
scontro mortale; quando mi resi conto di ciò, dicevo, io avrei ben
potuto, ripeto, avrei ben potuto, o senatori, difendermi con la forza
delle armi, seguendo del resto il consiglio di molti tra gli uomini
più valorosi e coraggiosi di allora, né mi mancava la mia tipica
risolutezza che avete avuto modo in altre occasioni di conoscere.
Eppure, mi rendevo altresì conto che se avessi sconfitto il mio
nemico d’allora, sarei stato costretto a sconfiggerne in seguito
molti altri, troppi; al contrario, se fossi stato sconfitto, molti
cittadini onesti sarebbero giocoforza andati incontro la morte per
causa mia, accompagnandomi, ma anche seguendomi nella stessa. Mi
rendevo infine conto che i vendicatori del sangue versato dai tribuni
erano pronti e risoluti, e che il risarcimento di una mia eventuale
morte era riservato piuttosto al giudizio della posterità. [34]
Dopo che come console avevo difeso, senza il ricorso alle armi,
l'incolumità generale, non volli difendere la mia con le armi da
privato cittadino, e preferii che uomini virtuosi piangessero la mia
sorte piuttosto che disperarmi io per le loro. E se fossi stato ucciso
io solo, mi sarebbe sembrato vergognoso, se invece fossi stato ucciso
con molti altri, sarebbe stato micidiale per lo Stato. E se avessi
pensato che la pena che mi ero proposto sarebbe durata in eterno, io
stesso mi sarei condannato con la morte piuttosto che con una
sofferenza perpetua. Ma quando mi accorsi che io non sarei rimasto
lontano da questa città più a lungo dello stesso governo, e io,
poichè quello era stato bandito, pensai di non dover più rimanere,
ma non appena quello fu richiamato contemporaneamente mi portò con
sè. Insieme a me rimasero lontani dalla città le leggi, i processi,
il potere dei magistrati, l'autorità del Senato, la libertà, e anche
l'abbondanza delle messi, ogni buon senso di dèi ed uomini, i
sentimenti religiosi. Se tutte queste cose fossero rimaste lontane per
sempre, piangerei le vostre sorti piuttosto che lamentare la mia; se
invece una buona volta fossero state ristabilite, capirei di dover
tornare insieme con esse. [35] E di questa mia sensazione
questo stesso Gneo Plancio, che fu difensore della mia vita, è il
testimone più fidato; lui che, dopo aver abbandonato gli onori e i
privilegi provinciali, impiegò tutta la sua carica di questore per
sostenermi e salvarmi. Questi, se fosse stato questore quando io ero
console, sarebbe stato come un figlio per me; ora invece certamente
per me sarà come un padre, dal momento che fu questore non del mio
potere, ma del mio dolore. [36] E perciò, o senatori, dal
momento che sono stato richiamato nello Stato insieme con il governo,
nel difenderlo non solo non ridurrò per niente la mia precedente
libertà, ma addirittura la accrescerò. E infatti se la difendevo
già un tempo quando cioè lo Stato mi doveva qualcosa, cosa dovrei
fare ora che io devo moltissimo allo Stato? Infatti cosa c'è che
possa abbattere o indebolire il mio animo, di cui vedete che la stessa
disgrazia è un testimone non solo di nessuna colpa, ma anche di
benefici quasi divini nei confronti dello Stato? Infatti mi fu
arrecato danno, perchè avevo difeso la città, danno che fu tollerato
però dalla mia volontà affinchè lo Stato, che io avevo difeso, non
si trovasse, proprio a causa mia, in un serio pericolo. [37] E
non furono, come nel caso di Publio Popilio, uomo nobilissimo, i miei
figli adolescenti, o una moltitudine di persone a me vicine a pregare
il popolo Romano in mio favore, e neanche poi un figlio di stimata
adolescenza, come nel caso di Quinto Metello, uomo straordinario e
illustre; non furono Lucio e Caio Metello, ex-consoli, né i loro
figli, e nemmeno Quinto Metello Nepote, che in quel tempo aspirava al
consolato, né i Luculli, né i Servilii, né gli Scipioni, né i
figli dei Metelli in lacrime e vestiti a lutto a supplicare il popolo
Romano, bensì si è trovato un unico amico, che ha mostrato un amore
quasi filiale nei miei confronti, che mi ha consigliato come farebbe
un padre, con affetto da fratello (e fratello poi lo era davvero), con
la sua veste luttuosa, con lacrime e con preghiere quotidiane indusse
a rievocare il rimpianto del mio nome e a rivendicare la memoria delle
mie imprese. Questi, dopo aver stabilito che, se non mi avesse
riportato qui con i vostri voti, si sarebbe abbandonato alla medesima
sorte e avrebbe reclamato per sè lo stesso domicilio sia di vita che
di morte, tuttavia mai ebbe timore né della grandezza della faccenda,
né del fatto che era solo, né della violenza e delle armi nemiche. [38]
Un altro protettore nonché difensore assiduo della mia sorte, con un
coraggio ed un amore estremi, fu Gaio Pisone, che era mio genero;
questi disprezzò le minacce dei miei nemici, l'ostilità del console,
mio socio e suo parente, che da questore trascurò il Ponto e la
Bitinia per la mia salvezza. Il Senato non ha mai emesso alcun decreto
su Publio Popilio, e mai in questa assemblea è stato menzionato
Quinto Metello; quelli furono poi richiamati, dopo che i loro nemici
erano stati uccisi, grazie alle richieste dei tribuni, ma per uno di
loro che obbediva al Senato, un altro fuggiva dalla violenza e dal
massacro. Infatti appunto Caio Mario, che, a memoria d'uomo, fu il
terzo prima di me ad essere stato espulso come ex-console a seguito di
uno sconvolgimento politico, non solo non fu richiamato dal Senato, ma
addirittura quasi tutto il Senato fu distrutto dal suo ritorno. E
circa questi casi non ci fu nessun consenso dei magistrati , nessun
appello del popolo Romano per difendere lo Stato, nessuna sommossa
dell'Italia e nessun decreto di municipi e colonie. [39]
Perciò, dal momento che la vostra autorevolezza mi ha convocato, il
popolo Romano mi ha richiamato, lo Stato mi ha implorato e
praticamente l'intera Italia mi ha riportato indietro sulle proprie
spalle, o Senatori, non farò in modo che, poiché mi sono state
restituite queste cose che non sono state in mio potere, io stesso non
possegga cose che non sono in grado di garantire, tanto più che,
poiché ho riconquistato cose che avevo perso, farò in modo di non
perdere mai il mio valore e la mia fiducia nei vostri confronti. |
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