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Vi proponiamo una rarità assoluta: il magnifico e scandaloso Epodo di Colonia 7511, uno dei più sensazionali ritrovamenti dell'ultimo secolo. Scoperto in un papiro usato per avvolgere una mummia egiziana, identificato dopo dieci anni di studi da Fackelmann e pubblicato nel 1974 da Merkelbach e West, esso è stato attribuito con certezza quasi assoluta ad Archiloco, uno dei massimi esponenti della lirica greca arcaica (VII-VI secolo a.C.), anche perché palesemente riecheggiato da autori più tardi, soprattutto da Orazio (Epodo XI). Lo shock che la scoperta dell'epodo ha provocato nel mondo filologico è stato enorme: si va dal tentativo, in verità ingenuo, di negare la paternità archilochea del brano per offrire all'autore una garanzia di serietà morale - della quale il diretto interessato avrebbe con ogni probabilità fatto a meno -, alla scandalizzata affermazione dello stesso editore dell'epodo, Merkelbach, secondo il quale Archiloco sarebbe stato "ein schwer Psychopath" ("uno psicopatico grave": il che può essere, ma nulla toglie alla sua genialità), alla spiritosa trovata di Peter Green, che in un suo articolo (Times Literary Supplement, 14 marzo 1975, p. 272) intitola il brano "The Last Tango on Paros" ("Ultimo tango a Paros"). Di che stupirsi, d'altra parte, quando sappiamo da Eliano che l'anticonformismo di Archiloco riuscì a scandalizzare Crizia, il cinico leader dei Trenta Tiranni, teorico di una sorta di superomismo ante litteram? E, a questo proposito, è davvero un peccato che l'epodo sia stato scoperto molti anni dopo la morte di Nietzsche, che ne avrebbe probabilmente compresa l'essenza dionisiaca, senza le ottuse sovrastrutture socratiche tipiche di buona parte del mondo filologico e scolastico. La vicenda ivi narrata (probabilmente da Archiloco stesso ad uno o più amici: ma in quale contesto?) riporta alla tragica storia d'amore fra Archiloco ed una ragazza soprannominata Neobùle, con una tale precisione da destare in alcuni critici il sospetto che possa trattarsi di un falso costruito appositamente per dare una prova dell'effettiva realtà di questa torbida love story (da taluni messa in dubbio): ma tutto - il metro, la lingua, le citazioni omeriche, la cruda evidenza delle descrizioni, il livello stilistico, la probabile ambientazione nel kèpos (= giardino) del santuario di Era, luogo di convegno erotico delle coppiette di Paro, il riferimento a concezioni etiche arcaiche (ad esempio la convinzione che la ragazza di facili costumi sfiorisca precocemente) - tutto, dicevamo, riconduce al giambografo di Paro. Di questa vicenda ci sfuggono i contorni esatti, ma dalle indicazioni di altre fonti sembra di poter dedurre che Archiloco avrebbe abusato della sorellina minore di Neobùle (poco più che una bambina) per vendicarsi del tradimento della sorella maggiore, con cui era stato fidanzato. La storia si concluse - pare - con il suicidio delle due sorelle e del loro padre Licambe, irrimediabilmente diffamati dai giambi dello spietato poeta. E proprio a questa terribile storia sembra riferirsi il brano, da cui emana un fascino perverso ed inquietante: infatti, sebbene il giambo sia mutilo dell'inizio, è chiaro che il poeta vi descrive, con quella sconcertante naturalezza che è tipica del suo stile, la scena della seduzione ai danni di una vergine; quest'ultima dice di essere imparentata con Neobùle, ed è forte, per non dire inevitabile, la tentazione di riconoscere in lei la sorella minore; se questo è vero, siamo di fronte non soltanto ad un esempio straordinario della potenza della poesia archilochea, ma anche ad un documento storico-letterario di eccezionale importanza, che ci consente di gettar luce su alcune misteriose vicende relative alla vita di questo poeta "maledetto". |
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