L'articolo che segue e' apparso su "il manifesto" del 3 Ottobre 1998, giorno della beatificazione di Alojzije Stepinac da parte del papa di Roma:


REVISIONISMO STORICO

L'arcivescovo Stepinac, altro che martire

MARCO AURELIO RIVELLI *

Costituito il 10 aprile 1941 lo Stato Indipendente Croato, cioè il regime ustascia di Ante Pavelic, fu immediatamente posta in atto una mostruosa crociata volta al totale sterminio dei serbi ortodossi, degli ebrei e dei Rom, gli zingari. Nel corso di quattro anni vennero sterminati all'incirca un milione di esseri umani in una maniera così feroce che non ha avuto eguali, per le modalità, in tutto il corso della seconda guerra mondiale. Se l'atroce sterminio di sei milioni di ebrei avvenne nel chiuso dei campi, e per i più la constatazione dell'Olocausto ebbe luogo solo alla fine del conflitto, i massacri ustascia furono invece posti in atto con la maggiore pubblicità di fronte agli occhi di tutti: nelle strade, nelle piazze, nelle campagne. I torturatori si facevano un vanto di essere ripresi dalle macchine fotografiche nell'atto di uccidere le vittime. Mentre i vescovi tedeschi sostennero sempre di essere stati all'oscuro degli avvenimenti, lo stesso non si può dire dell'episcopato croato, dell'"Ambasciatore Vaticano", Monsignor Ramiro Marcone e dell'Arcivescovo Stepinac. Il numero delle vittime varia da settecentomila ad un milione. L'Enciclopedia Britannica riporta settecentomila, secondo il rapporto redatto dal Sottosegretario di Stato Usa Stuart Eizenstadt nel giugno 1998, inerente l'oro predato alle vittime degli ustascia e nascosto - secondo il rapporto stesso - in Vaticano, sono sempre settecentomila, per l'autore si aggirano intorno al milione. Andrjia Artukovic, Ministro degli Interni dello Stato Croato Indipendente e capo di tutti i campi di sterminio, affermò al suo processo che nel solo campo di Jasenovac i trucidati furono settecentomila. L'orrore della crociata diventa ancora più fosco quando si considera la partecipazione fisica ai massacri di centinaia di preti e frati, in particolare i monaci francescani. Secondo la politica ustascia, i serbi dovevano essere tutti convertiti al cattolicesimo. Il Ministro Mile Budak affermò a proposito dei serbi "... un terzo lo convertiremo, un terzo lo uccideremo, un terzo verrà rimandato in Serbia".

A capo del campo di sterminio di Jasenovac, vi fu per un certo periodo il frate francescano, Filipovic-Majstorovic, detto Frà Satana. Al suo processo si vantò di aver ucciso oltre quarantamila prigionieri. Gli successe alla guida del campo un altro religioso. Nel mio saggio indico i nomi di circa 160 religiosi, colpevoli di partecipazione diretta all'eccidio, ma furono molti di più. Il Resto del Carlino, quotidiano bolognese, in due articoli del 18 e 22 settembre 1941, in pieno periodo fascista, pubblicò a firma di Corrado Zoli due articoli nei quali, inorridito, narrava gli eccidi commessi dai francescani. Altre testimonianze oculari, quelle degli appartenenti all'esercito italiano, la maggior parte delle quali accessibili a tutti conservate negli archivi dello Stato Maggiore - Ufficio Storico.

L'Arcivescovo Alojs Stepinac accolse con calore l'arrivo di Ante Pavelic, il Poglavnik (duce), ordinando che fosse cantato il Te Deum in tutte le chiese dello stato e diffondendo una lettera pastorale che incitava ad appoggiare il nuovo Stato perché esso "... rappresenta la Santa Chiesa Cattolica ...". La Pastorale di totale appoggio al regime di Pavelic vedeva la luce quando già le prime notizie di massacri si erano diffuse e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri Italiano e genero del Duce, annotava nel suo diario, il 28 aprile 1941, "... spoliazioni, rapine, uccisioni sono all'ordine del giorno". Il 26 giugno 1941, Ante Pavelic, che aveva già al suo attivo il massacro di 180 mila tra serbi ed ebrei, compresi tre vescovi e oltre cento pope ortodossi, concedeva udienza all'episcopato cattolico e, anche in quell'occasione, Stepinac non mancava di esternare lodi per il Poglavnik come documentato dai periodici cattolici, "Katolicki List" e "Hrvatski Narod" del 30 giugno 1941. Da ricordare che il 17 maggio precedente, Ante Pavelic, accompagnato da 120 ustascia in divisa, era stato ricevuto a Roma da Papa Pio XII. Alla fine dell'anno, l'Arcivescovo, che precedentemente con altri 11 religiosi cattolici era stato nominato deputato al Parlamento Croato, riceve la carica di capo dei cappellani delle Forze Ustascia. Più tardi riceverà anche un'altra onorificenza ustascia. Superfluo aggiungere che mai condannerà le efferatezze compiute davanti ai suoi occhi da individui con i quali per quattro lunghi anni intratterrà cordiali rapporti.

Nell'aprile del 1945, gli ustascia in fuga depositano, per ordine di Pavelic, tutti gli atti e i documenti governativi, oltre ad oro gioielli e preziosi rubati alle vittime serbe ed ebree, nell'Arcivescovado di Zagabria, dove verranno nascosti e scoperti dopo alcuni mesi dalle autorità del Nuovo Stato Jugoslavo.

Stepinac non punì mai - naturalmente in maniera ecclesiastica - i sacerdoti che si erano resi colpevoli di delitti, non proibì ai cappellani ustascia di continuare - quanto meno - ad essere testimoni di crimini, né vietò alla stampa cattolica la continua esaltazione del regime e delle sue leggi, e tanto meno censurò pubblicamente un regime reo di siffatte scelleratezze. Qualche apologeta ha scritto in questi giorni che Stepinac elevò alcune proteste contro, si badi bene, le modalità della conversioni ma non,l'affermo recisamente contro i massacri. Mi chiedo se, di fronte ad un eccidio di tale proporzione e nefandezza, per di più non isolato ma commisto ad infiniti altri si possa tacere e non esprimere lo sdegno di uomo di chiesa verso tali assassini. Mi chiedo come si possa assistere a cerimonie cui presenziano criminali conclamati e i loro capi senza rendersi conto di dare con la propria presenza un sostegno di fatto a quel regime sanguinario. Da non dimenticare che il sostegno fu anche dato, dopo la costituzione del Nuovo Stato Jugoslavo alla fine della guerra, alle attività clandestine di terrorismo condotte dagli ustascia che si erano dati alla macchia e dei quali benedì, dentro l'Arcivescovado, alcuni gagliardetti. Infatti, rientrato clandestinamente a Zagabria l'ex capo della polizia ustascia, Lisak, al fine di svolgere un'attività di terrorismo contro la Federazione, appena composta, l'Arcivescovo lo nascose nel suo palazzo, come dichiarato durante il processo dallo stesso Lisak.

Stepinac non fu certamente un martire. Lo stesso Tito chiese a Monsignor Patrizio Hurley, rappresentante ufficiale del Vaticano, di richiamare a Roma l'Arcivescovo, non desiderando una rottura con la Santa Sede, altrimenti avrebbe dovuto arrestarlo, come riportato dall'Unità del 7 novembre 1946 in relazione ad un colloquio fra Tito e Togliatti.

No. Stepinac non fu un martire. Chi scrive, pur avendo visionato migliaia di atti, non ne ha mai trovato uno dove l'Arcivescovo manifestasse la sua pietà per i tanti innocenti trucidati, fra i quali i migliaia di donne e bambini; non ha mai trovato la fiera condanna del Presule per l'uccisione barbara dei vescovi e dei preti ortodossi, nonché dei rabbini: sarebbe stato un gesto di carità cristiana di amore verso il prossimo in un contesto dove imperversava il "Male". No. Questo, Alojis Stepinac non lo fece. Seguitò le sue frequentazioni con i criminali, che in seguito, aiutò a fuggire. Condannato a sedici anni di carcere, fu posto, dopo quattro anni di detenzione, agli arresti domiciliari nel suo paese natale. Morì nel suo letto. Pochi giorni or sono il Centro Simon Wiesenthal ha chiesto al Papa di soprassedere alla beatificazione fino a che non fossero stati meglio accertati i fatti.

Oggi, a Zagabria, Giovanni Paolo II beatifica Alojis Stepinac. Nella teologia cattolica, la santità è il complesso delle perfezioni morali. Propria di Dio in senso assoluto, e, in grado diverso, delle persone che hanno riprodotto in qualche modo la perfezione divina e che hanno modellato la loro vita ad imitazione di quella. Non ci sembra il caso del Cardinale Stepinac.

* Autore di "Le Génocide occulté, Etat Indépendant de Croatie 1941-1945", edito in questi giorni da l'Age d'Homme-Losanna e presentato a Parigi una settimana fa.


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