L'articolo che segue è stato pubblicato sul numero di novembre 1997 della rivista Nuova Unità
Miro Bajramovic, ex-vicecomandante dell'unità paramilitare di Tomislav Mercep denominata "Pioggie d'autunno", testimonia dei crimini commessi da lui e dai suoi commilitoni nel 1991 a Pakrac, Gospic, Zagabria, Slano (vicino a Dubrovnik). La sua confessione, apparsa recentemente su Feral Tribune (1/9/1997) di Spalato ha smosso le acque della palude croata. Ne riportiamo qui alcuni stralci.
Ecco quanto dichiara Bajramovic, classe 1957, nato a Zenica in
Bosnia-Erzegovina e giunto a Zagabria, dove si è impegnato nell'industria
"Rade Koncar" ed ha avuto così la possibilità di laurearsi in
ingegneria:
«L'ordine era di ridurre il numero dei serbi! Io
personalmente ho ammazzato 72 persone (a Pakracka Poljana), tra cui 9
donne. Non facevamo nessuna distinzione, non chiedevamo nulla. Loro per
noi erano cetnici e nemici. Fu difficile compiere il primo passo, cioè
bruciare la prima casa ed ammazzare la prima persona. Poi tutto "va da
se'"... Conosco i nomi e cognomi di tutte le persone che ho ucciso...»
Continua poi nella descrizione della "lavorazione" dei prigionieri a
Pakracka Poljana (la piana di Pakrac): « I prigionieri li tenevamo nello
scantinato della scuola. Per loro i peggiori momenti erano le notti,
quando li "lavoravamo", il che significa cercare i peggiori metodi per
farli soffrire. Sapete qual è il metodo migliore? Bruciare il prigioniero
con la bombola a gas e poi cospargerlo con l'aceto. Questo lo si fa
particolarmente sui genitali e sul viso. Poi un altro metodo era
utilizzando l'induttore del telefono da campo. Si tratta di corrente
continua che non uccide, ma fa un brutto effetto... [qualcosa di simile
raccontava un militare italiano in Somalia, ndt.]. Si inserisce il
conduttore sul serbo e gli chiedi da dove viene. Lui risponde: "Da Dvor,
sul fiume Una". Poi tu chiami Dvor... Oppure ai prigionieri infilavamo un
grosso cavo nel sedere, lasciandoli così per ore, così non potevano
sedersi... Io non torturavo i prigionieri, li interrogavo soltanto, ma
c'erano di quelli che godevano in questo sadismo, come per esempio Munib
Suljic [nome musulmano, ndt.]...»
Bajramovic descrive poi l'uccisione della famiglia Zec a Zagabria,
padre, madre e figlia (accusa già mossa all'epoca ma insabbiata
dall'allora Ministro della Giustizia Seks) e di alcuni croati, tra
cui Marina Nuic, accusata di voler attentare addirittura alla vita di
Mercep. «Marina era una bellissima ragazza, dai capelli neri. È stata
torturata e stuprata da Munib Suljic e poi uccisa. Mi disse soltanto:
"Miro, fa' che mi uccidano subito". Io posso indicare dove è stata
sepolta, neanche i suoi genitori finora lo sanno. È sepolta nel luogo che
si chiama Janja Lipa, vicino alla piana di Pakrac. Vorrei incontrare i
suoi genitori perchè anch'io sono padre e vorrei sempre sapere tutto di
mia figlia... Andammo a Slano e lì liquidammo 13 serbi. Io ne ho uccisi
otto...
[Nota del traduttore:
Slano è una località vicino Dubrovnik e, come in tutte le
località dei dintorni, le squadracce facevano razzie e distruzioni.
Quando giunse
quella che era ancora l'Armata Popolare, le squadracce si rintanarono
nella città di Dubrovnik. I media ce li presentavano come i difensori
della città accerchiata e "bombardata" dall'Armata. Con tutti quei
"bombardamenti" doveva essere stata rasa al suolo. Ha visto qualcosa di
queste distruzioni l'ex-Ministro Sig.ra Boniver? Sapeva lei chi fossero i
cittadini condotti al di fuori della città e imbarcati sulla stessa nave
con la quale lei era arrivata?! Abbiamo letto, non io personalmente, delle
sue "lacrime di coccodrillo" versate nel libro su Dubrovnik da lei
pubblicato.
Prosegue il racconto di Bajramovic:] ...Tomislav Mercep era il comandante.
Lui non era presente alle esecuzioni, ma leggeva tutti i nostri rapporti.
Una volta disse: "Pulite stasera tutta 'sta merda", il che significava
trucidare i prigionieri... Io sono un grande credente, porto sulla mano
l'anello-rosario di Medjugorije [un altro dei luoghi dell'Erzegovina
tristemente noto ai serbi nella Guerra di Liberazione, dove "apparve"
negli anni '80 la Madonna - ndt.]. Iddio perdona tutto, ma fino ad un certo
limite [il nostro è stato condannato ad alcuni mesi di carcere per la
sparizione dei soldi sottratti ai serbi e non consegnati ai "capi" per
l'acquisto delle armi; oppure pensa alla malattia che lo sta uccidendo? -
ndt.] Credo di essere stato punito abbastanza per quello che ho fatto...
Cerco lavoro, uno qualunque, anche come manovale... Sarei soddisfatto se
ai miei bambini fosse assicurata l'esistenza. Anche i miei figli mangiano,
come quelli di Mercep, che ha due appartamenti a Zagabria e una casa
sull'isola di Brac, o il Suljic, che possiede ristoranti in Croazia...
[Richiamiamo l'attenzione del lettore sull'articolo "L'isola delle
tenebre", a proposito dell'isola di Brac, pubblicato da Nuova Unita'
all'inizio del 1997 - ndt.]
Ho molto riflettuto su quello che ho detto, pensando che questo
Stato si ricorderà di me. Spero che il Presidente Tudjman, dopo la mia
confessione, mi chiami e mi chieda: "Perchè tutto questo?". Gli dirò:
"Soltanto per i miei figli" (...)»
La confessione di Bajramovic non è soltanto un'autodifesa per i
crimini
commessi sui civili, "ma anche un atto d'accusa contro le alte sfere della
politica croata, Tudjman incluso, che prima hanno ordinato la pulizia
etnica e poi hanno protetto gli esecutori". Appunto per questo non sono
mancate le polemiche, le solite difese, con
frasi tipo: "Io non lo conosco... Il Bajramovic è un ubriacone..." e
varie controaccuse tra i politici stessi:
Josip Boljkovac, allora Ministro degli Interni, che già nel 1990
complottava contro l'Armata Popolare e che, sugli avvenimenti di Pakrac,
dice: "citare il mio nome è un lapsus";
l'Unione dei Combattenti Volontari Croati: "Quella testimonianza è una
grande menzogna";
la corte del Tribunale: "ci sono motivi di dubitare che alcuni crimini
sano stati commessi";
Ivan Stajduhar, capo della polizia di Karlovac (altra città croata
assai ben "ripulita"), su Mercep: "Mi offriva il suo aiuto, ma l'ho
respinto";
il Capo Gabinetto del Presidente Tudjman, e suo collaboratore, attaccato
da Mercep sulla rivista "Globus" e da questi definito "criminale":
"L'attacco di Mercep lo ritengo un attacco alla mia persona come politico
e collaboratore del Presidente".
Cosa ne pensa Tomislav Mercep?
La sua replica alle accuse si potrebbe dedurre anche solo da una frase
detta in tivu': "Risponderemo in un modo che potrà anche non essere
legale... Non deve più succedere che anche l'ultimo ubriacone accusi lo
Stato croato e la gente che ha sofferto per preservarlo..." e attaccando
direttamente Sarinic: "Il portavoce del Presidente cerca di distruggermi
politicamente. Sono una persona civile che vuole dimostrare la verità, ma
ora il bicchiere ha traboccato e non sopporterò più le
insinuazioni... I
volontari croati non sopporteranno più le umiliazioni... Ogni uomo che ha
partecipato alla difesa della Croazia è un mio amico, e aiuterò
ognuno
di loro fino all'ultima goccia del mio sangue, anche quando non hanno
ragione... Possono processarmi [in Croazia, ndt.], ma non condannarmi...
Processato è stato d'altronde anche Gesù Cristo, no?..."
Vogliamo ricordare ai lettori di Nuova Unità che, nel
tentativo di mostrare le verità anche "dall'altra parte", distribuivamo
articoli o dispacci come quello della Sicurezza dello Stato Croato,
inviato allo stesso Presidente Tudjman e altri capi di partiti, sul
ritiro di Mercep da
Vukovar, la cosiddetta "Stalingrado croata", per le malefatte e la
"pulizia" che lì si stava svolgendo. Tutti dimostrarono scarso interesse
per queste verità.
Ne aveva scritto qualcosa Il Piccolo di Trieste, nell'articolo
"Balcani, l'ultima: minaccia di morte la moglie di un giornalista di
Zagabria [che scriveva sull'uccisione della famiglia Zec, ndt.] - Stragi e
prodezze del rude deputato Mercep (...) Ci risiamo con Tomislav Mercep,
deputato alla Camera delle regioni del Sabor, e fortemente sospettato di
essere al centro di numerosi delitti contro la popolazione civile, specie
di etnia serba, perpetrati in Lika, Slavonia e altre località..."
Ricordiamo anche ai funzionari della RAI il filmato di Milena Gabanelli su Mixer, riguardo le
stragi di Vukovar, giornalista-reporter
allontanata poi per lunghi anni dalla televisione.
E Tudjman? Ora è preoccupato a preparare la sua successione,
giacchè
anche il suo braccio destro, il Ministro Susak, non gode di ottima salute.
Ogni tanto gli viene indirizzata qualche sgridata dal "gendarme del
mondo" perchè non collabora con il Tribunale dell'Aja, o qualche minaccia
di restrizioni economiche, oppure di esclusione da varie organizzazioni
appena nate (SI SA contro chi) e così via... Però tutto rimane
lì. Non
dimentichiamo che "Dio è con i croati" o "Gott mit uns"... con la
benedizione del Vaticano.
Un esame critico, uno dei migliori o forse anche l'unico, è di Jelena
Lovric, nell'editoriale su Glas Istre - Novi List del 9 settembre
scorso:
«La Croazia si è trovata la prima volta faccia a faccia con i
propri crimini. Credula nella sua difesa pulita, convinta che i suoi
croati non possono commettere dei crimini. Bajramovic ha costretto la
Croazia a confrontarsi con la verità. Finora, anche quando i croati erano
invitati a presentarsi davanti al Tribunale dell'Aja, venivano proclamati
eroi nazionali e dichiarati difensori della causa giusta. Qui non c'è
nessun eroismo. Il crimine commesso è chiaro, sporco e crudele... Il
racconto è raccapricciante perchè Bajramovic, provenendo dalle
viscere
del male, non dimostra nessun pentimento per aver ammazzato alcune decine
di persone. Lui è principalmente amareggiato perchè con le sue azioni
non si è arricchito come gli altri, non ha ottenuto materialmente niente.
La testimonianza di Bajramovic riguarda ogni croato. Essa è lo specchio
della Croazia, la Croazia che taceva e che, di nuovo, deve vergognarsi del
suo silenzio. Esterrefatti dal racconto di Bajramovic, ora tutti insieme -
il governo, l'opposizione, i media - reciteranno la parte di quelli che
non sapevano niente di tutto ciò.
Della liquidazione dei serbi di Croazia non sapevano nulla solo coloro
che non volevano sapere.»
Abbiamo voluto sottolineare alcune date, località e nomi proprio per ricordare, per l'ennesima volta: tutto quello che è successo e succede su quei territori non è forse un revanscismo di quelle stesse forze reazionarie, locali e straniere, che hanno voluto sottomettere un intero popolo e distruggere la Jugoslavia socialista?! Su questo ritorneremo in uno dei prossimi articoli. Qui ricordiamo soltanto e ancora una volta alcuni momenti raccapriccianti: la foto del 1942, scattata vicino a Banja Luka, in Bosnia. Ci sono gli ustascia croati e, tra di loro, un musulmano, che tengono in mano la testa mozzata di un serbo; e la foto del 1992, sempre in Bosnia, dove un mujahedin espone il suo macabro "trofeo", la testa di un serbo. Ed ora, in questo racconto... la storia si ripete.
Ivan Pavicevac (Roma, 23 settembre 1997)
NOTE del CRJ: