LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 

 STRAGI 1943/44- 1a parte

Le stragi naziste sul fronte meridionale
- Terra bruciata - di Gabriella Gribaudi

…. Gli alleati sbarcarono il giorno successivo alla firma dell’armistizio, per cui i tedeschi si trovarono a combattere contro di loro e nello stesso tempo a occupare il territorio, coincidenza che sicuramente aumentò il livello della violenza. Tutta questa zona della Campania e del basso Lazio era stata definita dai tedeschi “zona di occupazione”, come pure Trieste. Essendo una zona di fronte il governo civile italiano venne esautorato; diverso il caso dell’Italia del nord dove c’era la Repubblica Sociale (questa settimane dopo, solo gli organi decentrati e locali del vecchio ordine continuavano a governare il territorio oltre la linea Gustav) che, con tutti i limiti di un governo violento e alleato coi tedeschi, conservò però una parvenza di giurisdizione civile. Nelle zone di operazione venivano invece applicate le leggi di guerra tedesche, che poi sono quelle di un esercito di occupazione, perciò qualsiasi atto di disobbedienza della popolazione civile diventava passibile di fucilazione con estrema facilità. In alcune zone di fronte, per esempio, se si prevedeva che ci fosse una battaglia o si dovevano fare delle fortificazioni o c’erano delle particolari posizioni tedesche da difendere, si faceva evacuare la popolazione con un decreto, così, dall’oggi al domani. Sulla fascia costiera di Napoli la gente fu costretta ad evacuare nel giro di poche ore per un raggio che inizialmente era di tre chilometri. I racconti parlano di persone cacciate dalle case, di camion che le raccoglievano per portarle via, di gente che piangeva, che scappava portandosi sulla testa quello che riusciva a salvare, di donne che non trovavano i bambini. Chi non ubbidiva all’ordine di evacuazione e tornava nei luoghi di combattimento dell’esercito tedesco poteva essere considerato una spia e quindi ucciso seduta stante. Sul fronte meridionale questa è stata una delle maggiori cause di morti civili: anche le donne sorprese in zona di evacuazione potevano venire uccise.Eccidio Barletta Il maggior numero di morti è stato comunque fra i contadini; in genere, se costretti ad andare via, non potevano portarsi le bestie, sempre che i tedeschi non gliele avessero già requisite o uccise. Così i contadini si nascondevano per poi tornare per dar da mangiare agli animali o per portarli via nottetempo. In questo modo ne sono morti tantissimi. Nella zona di Mondragone gli uomini fucilati per motivi del genere sono stati una cinquantina. (Lutz KLINKHAMMER, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Roma 1997).
 

LE STRAGI NAZISTE DAL 1943 AL 1945

Prima ancora che si potesse organizzare una resistenza all'ex alleato, l'Italia aveva subito una serie si stragi ed uccisioni indiscriminate a cui nemmeno un governo "virtualmente legittimato" del Nord aveva potuto opporsi. La ragione è molto semplice: anche se Mussolini viene liberato il 12 settembre del 43 dovrà trascorrere un mese e mezzo per avere una parvenza di potere e decisionalità e quasi altrettanto al Governo del Sud per dichiarare formale belligeranza al Reich e ai fascisti. Nel frattempo, sia contro i soldati italiani sparsi in Europa che contro i civili che si trovavano nelle immediate vicinanze del fronte viene esercitato da parte della Wehrmacht, delle SS e della Goering il pugno inflessibile della occupazione. Ne fanno le spese il territorio campano immediata retrovia dello sbarco di Salerno, che abbiamo già visto nella scheda Avalanche e, in misura minore la Puglia fra Taranto, Bari e Foggia con un centinaio di morti (a BARLETTA in data 9 settembre, In seguito a un tentativo di resistenza, peraltro non riuscito, sono massacrati in piazza 33 cittadini presi a caso. Tra questi 2 netturbini e 11 vigili urbani ritenuti responsabili dell'ordine pubblico, vedi foto sopra) che salgono a 150 con quelli della Basilicata (Solo a RIONERO IN VULTURE (Pz) dal 16 al 24 settembre vengono massacrati 17 contadini, rei di aver sottratto alla requisizione generi alimentari, nascosti nelle case). Un colpo di coda c'era già stato in Sicilia a Castiglione con 16 vittime e 20 feriti gravi alla vigilia dell'abbandono dell'isola e con un governo alleato (Badoglio) formalmente in carica ed operativo. Le vicende successive, precipitate dopo l'8 settembre, non permetteranno alcuna indagine a posteriori. Quanti furono i caduti in Campania anche con il successivo spostamento del Fronte al Garigliano è difficile stabilirlo. Faremo quindi una stima in base a dati raccolti e incrociati su internet che parlano di una cifra fra i 600 e i 900 (a gonfiare le cifre ci sono spesso le vittime civili dei bombardamenti aerei americani, ora alleati, che facevano più morti dei tedeschi). Fra questi molti militari come quelli del 16° reggimento costiero a Mondragone che rifiutò di deporre le armi e il suo comandante, Col. Ferraiulo che con 10 suoi ufficiali venne fucilato. La guarnigione di Nola si oppose alla divisione corazzata Goering, con l'uccisione del comandante del presidio, Col. Ruberto, e di 9 ufficiali del 48° artiglieria. Sempre l'11 settembre i tedeschi fucilarono a Castellammare di Stabia, il comandante del presidio, Col. Olivieri, e tre altri ufficiali. A solo titolo indicativo si citano le stragi di CASALUCE (Caserta) del 13/9 con 14 vittime, di ACERRA (Napoli) del 2/3 ottobre 1943 con 87 vittime, di BELLONA (Caserta) del 6 ottobre 1943 con 54 vittime e di CAIAZZO (Caserta) del 13 ottobre 1943 con 22 vittime. Ad ACERRA In seguito al ferimento di un maresciallo tedesco, preposto alla requisizione di automezzi privati, per rappresaglia viene incendiato l'intero paese, senza nessun preavviso. http://www.deportati.it/static/pdf/TR/2000/giugno/20.pdf Si spara a chi tenta di uscire dalle case durante l'incendio. Di Boves (Cuneo) al nord si è già parlato ma non dei 16 Ebrei uccisi a Meina sul lago maggiore il 22 settembre e degli altri rastrellati a Baveno negli stessi giorni che portano il totale delle vittime oltre 50  http://www.anpi.it/novara_verbania/storia/settembre.htm#arona . Per "ripulire" la provincia arriva una delle quattro divisioni SS costituitesi all'uopo: la "1a Leibstandarte Adolf Hitler". L’"Adolf Hitler" ha il preciso compito di eliminare gli ebrei. Oltre agli elenchi e alle schede tenute aggiornate dai fascisti dal 1938 in poi, a fornire alla SS tutti i dati necessari per individuare e catturare gli ebrei, ci pensano le spie che, per lucro o per acquisire meriti di fronte ai nazisti, "vendono" gli ebrei e le loro famiglie. Non vengono elencati qui sotto gli episodi che comportarono un numero minore di vittime, quelli che hanno avuto luogo all'estero, inquadrabili nei fatti dell'8 settembre e in genere quelli della frontiera orientale inquadrabili in scontri armati veri e propri fra fazioni partigiane e tedesche. Nel riquadro sottostante, nel numero delle vittime, oltre ai civili sono inclusi partigiani catturati dopo scontri e manovre che interessavano vaste aree. Testi Riassunti o rielaborati da http://www.anfim.it/index.html Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria

(il database qui esposto anche se approssimativo e da verificare non contempla come detto le azioni minori e/o con un numero di vittime inferiore a 15 !!!. Per documentazione carente non è stato possibile molte volte disgiungere fra vittime civili e partigiani o presunti partigiani. Come appare evidente in molti letterali si trattava di vere e proprie battaglie campali, anche se squilibrate fra due eserciti opposti, il più delle volte nate da rappresaglia per uccisioni di soldati tedeschi isolati. Per una approfondita ricerca bisogna rifarsi a un tentativo di classificazione con molti errori dell'università di Pisa al sito http://www.stm.unipi.it/stragi/Guerra_ai_Civili.htm  ). Le date sono comunque indicative perche la strage prendeva il via da rastrellamenti che duravano giorni se non settimane

DATA LOCALITA' DATA LOCALITA'
VITTIME NOTE VITTIME NOTE

5/6-10-1943

Lanciano

19-10-1943

Pietransieri Roccaraso

div.

Iniziò il 5 ottobre 43 con l'attacco ad alcuni camion della Wehrmacht. Dopo la feroce uccisione del partigiano La Barba, che aveva partecipato all'azione, la rivolta si propagò in tutta la cittadina con una forte partecipazione popolare e di soldati ed ufficiali:- un ruolo importante ebbe il generale Mercadante. La rivolta fu soffocata dai nazisti che subirono però perdite elevate: quarantasette uomini. Lanciano è liberata dagli Alleati il 3 dicembre e, da quel giorno fino al giugno 1944, i tedeschi per vendetta la bombardarono quasi quotidianamente. I morti sono oltre 1.000. Città dichiarata Martire e decorata di Medaglia d'Oro al V.M..

128

 

Localita Lemmari: I tedeschi in ritirata incendiano e distruggono l'intero paese. Si ordina la deportazione in massa dell'intera popolazione che non può portare via nulla di tutto ciò che possedeva. 128, 34 bambini, 53 donne e 41 uomini in gran parte anziani che non potevano camminare con la massa o che non riuscivano a tenere il passo, vengono massacrati sul posto e durante il trasferimento. Città Martire e Medaglia d'Oro al V.M..
       

28-12-1943

Cardito

30-12-1943

Francavilla al Mare

42

Quando il fronte si attestò a Cassino e Vallerotonda, in particolare la sua frazione di Cardito, divenne una importante retrovia. La popolazione subì sia le angherie delle truppe tedesche, che si resero responsabili di una strage effettuata il 28 dicembre 1943 in località Collelungo con l’uccisione di 42 persone, sia le violenze delle truppe marocchine. Senza motivo, per puro sadismo, un reparto motorizzato di Alpenjëger tedeschi, incrociando una colonna di profughi, per la maggior parte donne, bambini e vecchi che trascinavano le loro povere masserizie, li mitraglia.

20

Nella zona si organizza da subito una resistenza anche con la costituzione di una banda armata, tra le prime a nascere in Italia. La città viene sistematicamente minata tanto da dover disporre lo sgombero poiché il 90% dei fabbricati non è più in piedi. In seguito al ritrovamento del cadavere di un soldato tedesco, per rappresaglia vengono trucidati in Contrada S. Cecilia 20 paesani, catturati nelle pochissime case ancora in piedi. I loro cadaveri, per disprezzo, vengono gettati in un letamaio.

31-12-1943

Boves 2a

10-1-1944

Peveragno

59

 

Boves è il simbolo della prima strage tedesca in Italia dopo l'armistizio: il 19 settembre sono 24 i morti lasciati sul terreno dalla rappresaglia della divisione SS tedesca Leibstandarte "Adolf Hitler" e 350 le case bruciate. Un secondo eccidio avviene durante il rastrellamento per debellare gli attivissimi partigiani "colpisti" della zona tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944: un'altra volta il paese bruciato e 59 vittime tra civili e partigiani (ma altri dati indicano 157).

29

 

In piena mattina, mentre il paese era affollato per il mercato settimanale, le SS irrompono nella piazza e aprono il fuoco sulla folla dei contadini, I caduti sono 29. Le case vengono poi incendiate e distrutte. Non si può trovare nessuna ragione plausibile per questo eccidio.

18-3-1944

Monchio

20-3-1944

Cervarolo

129

Dopo giorni di schermaglie nella zona di Montefiorino, intervenne l’ufficio germanico di collegamento per l’Emilia che fece affluire sull’Appennino modenese un reparto di paracadutisti della Divisionecorazzata Herman Goering, comandato dal capitano dicavalleria, Kurt Cristian von Loeben, accompagnato dareparti della G.N.R. di Modena che circondò la valle del Dragone. Alle prime luci dell’alba del 18 marzo gliabitanti della valle furono svegliati dai colpi di tre cannoni che i tedeschi, dalla Rocca di Montefiorino, sparavano su Susano, Costrignano e Monchio. Muovendo da Montefiorino, da Savoniero e probabilmente anche da Palavano anche i reparti germanici motorizzati si misero in marcia verso i paesi da distruggere. I diversi reparti si erano suddivisi le frazioni e le borgate dove dovevano effettuare le stragi.I paracadutisti della Goering ed elementi della gendarmeria iniziarono la spietata caccia all’uomo. Le povere vittime, tutti inermi cittadini, vennero passate per le armi nei luoghi in cui venivano sorpresi. Una parte di essi fu incolonnata, caricata di armi, munizioni e di beni razziati ed avviata verso Monchio dove, nel pomeriggio, venne “giustiziata”. A Susano, che allora contava circa 250 persone, avvennero le prime uccisioni.Anche gli abitanti di Monchio convinti di non aver nulla da nascondere, non tentarono di fuggire e di na-scondersi nei boschi. Don Luigi Braglia, parroco del paese: «Sono le sette del mattino quando comincia il saccheggio e l’orribile strage. Entrano nelle case, spezzano le stoviglie e mandano in frantumi i vetri con i grossi fucili;fanno uscire le donne e i bambini, fanno una scorreria nelle camere, rubano qua e là ciò che loro aggrada, scaricando gli uomini che avevano nel frattempo tenuti fermi sotto la minaccia delle armi e quindi li avviano alla piazzetta in prossimità del cimitero vecchio dove vennero passati per le armi».Quando se ne andarono lasciarono dietro di se 129 cadaveri: 71 a Monchio, 34 a Costrignano e 24 a Susano. la sentenza di condanna degli autori della strage di Monchio

http://www.luna-nuova.it/Blog/Il%20dibattito%20%C3%A8%20aperto/Articoli%20in%20PDF/38Ottobre2011-LaStrageRicordata.pdf 

27

(Frazione del Comune di Villa Minozzo - Reggio Emilia). Ci siamo spostati di pochi km da Monchio.Paracadutisti della divisione di SS "Herman Goering", al comando del capitano Hartwing, distruggono il paese dopo averlo interamente depredato e dopo aver massacrato donne e bambini. Gli uomini superstiti vengono ammassati in un cortile, denudati, lasciati per ore nella neve. Alla fine 27 di essi vengono fucilati.

22-3-1944

Montalto di Cessapalombo

27

Macerata: 27 giovanissimi partigiani, tra i quali alcuni ragazzi di 15/16 anni, si arrendono alle "brigate nere" durante un rastrellamento in cambio della promessa di aver salva la vita. Vengono tutti immediatamente fucilati.

24-3-1944

Fosse Ardeatine

335

 

Pretesto dell'eccidio è stato l'attentato partigiano, avvenuto il giorno prima in via Rasella ai danni del battaglione Bozen, nel quale rimasero uccisi 33 soldati tedeschi; il comando germanico stabilì nella misura di 10 italiani per ogni tedesco caduto. Vedi scheda

28-3-1944

Montemaggio

31-3-1944

Ranne Gragnano

19

(Va d'Elsa - Siena). Le "Brigate nere" catturano 17 giovani che non si erano presentati ai bandi di richiamo alle armi e, senza nessuna parvenza di processo, li fucilano in piazza, davanti alla popolazione radunata. Altri due, che avevano tentata la fuga, sono stati inseguiti ed uccisi.

32

Gorizia: Reparti della "Decima Mas" e un gruppo di SS sorprendono 23 ex militari italiani e disarmati, provenienti dal XIII Reggimento fanteria "Isonzo", che si erano fermati per rifocillarsi. Solo 3 riescono a fuggire. L'unico ufficiale, un sottotenente, viene immediatamente impiccato con filo di ferro, I 22 soldati, uniti a 10 anziani del luogo, vengono trucidati a raffiche di mitra mentre, incolonnati, marciano verso la vicina Anhvo.

31-3-1944

7-4-1944

Acquasanta

Rieti

7-4-1944

Opicina Trieste

72

Per rappresaglia, avendo la popolazione locale fornito viveri a una brigata partigiana, i tedeschi rastrellano 72 abitanti e li uccidono a raffiche di mitra, dopo averli divisi in gruppi di dieci.

36

 

Il battaglione Brandenburg era una formazione operativa del controspionaggio militare (Abwehr) paragonabile alle unità di commandos alleati subordinata al comando supremo della Wehrmacht (OKW Abwehr II). Nelle sue file militarono anche numerosi soldati stranieri,francesi, spagnoli, tedeschi nati e vissuti all’estero, uomini con padronanza di lingue straniere da impiegare in azioni oltre le linee. Col progredire della guerra la loro attività si ridusse ad azioni antipartigiane e spesso il personale di lingua straniera fu impiegato nella raccolta di informazioni in abito civile o in „controbande“, travestito da partigiano. Il battaglione operò in collaborazione con forze di polizia e camice nere nelle province di Teramo, Ascoli e nel Lazio e più tardi in Toscana, in Romagna e in Valle d’Aosta. In particolare esso condusse una serie di dure operazioni di rastrellamento nell’Italia centrale e in quest‘area fu responsabile delle stragi di Montemonaco, Acquasanta e nell‘area di San Ginesio nelle Marche nel marzo 1944. Insieme ad unità di polizia effettuò una lunga serie di rastrellamenti tra il 29 marzo e il 1 maggio 1944 in provincia di Rieti, tra le quali il rastrellamento del Monte Tancia durante il quale numerosi civili furono vittime di un massacro, e nelle province di Macerata, Ascoli Piceno e Perugia.

3-4-1944

Cumiana Torino

58

Per rappresaglia, dopo un breve combattimento con gruppi di partigiani, i tedeschi, non avendone catturato nessuno, si scagliano contro la popolazione del luogo. 58 cittadini che erano rimasti nelle loro case, vengono catturati, ammassati in un porcile e qui massacrati a colpi di mitra e di bombe a mano.

7-4-1944

Casteldelci

39

(Pesaro) Le SS per rappresaglia, non avendo potuto catturare un gruppo di Partigiani, avvisati dalla popolazione e riparati in montagna, massacrano a Fragheto (frazione di Casteldelci) 39 contadini, tra cui alcune donne e molti bambini. Nella strage viene sterminata l'intera famiglia Gabrielli, composta di 9 adulti e di un bambino di pochi mesi.

7-4-1944

Benedicta

13-4-1944

Vallucciole Stia (Ar)

175

 
Alla " Benedicta ", antico convento trasformato in cascinale, situato sul Brio dell'Arpescella, era sistemata l'intendenza della terza brigata "Garibaldi". Il 6 aprile è deciso un radicale rastrellamento operato da truppe tedesche, con l'impiego di oltre 5000 uomini, artiglieria e aerei. La battaglia è cruenta e si conclude con la sconfitta delle truppe partigiane. All'alba del 7 aprile inizia la feroce rappresaglia sui prigionieri, 97 giovanissimi sono fucilati nei pressi del Convento a gruppi di 5. Altri 78 vengono massacrati in varie località della zona (Alessandrino) raggiungendo la cifra di 175 caduti. Dei 368 prigionieri, 191 giunsero sicuramente a Mathausen: 144 morirono, 30 sopravvissero sino alla liberazione. Funesta appendice della tragedia delle Benedicta fu l’eccidio del Turchino ad opera dei soldati della Kriegsmarine e della SS, avvenuto la mattina del 19 maggio 1944 e durante il quale furono fucilati 59 martiri VEDI SOTTO

 

108

 

Per meglio predisporre l'azione d rastrellamento, i tedeschi cercavano anzitutto di localizzare le formazioni partigiane eventualmente presenti nella zona e, a tale scopo, oltre a raccogliere informazioni dalle autorità fasciste mandavano in avanscoperta nuclei di esploratori per segnare gli itinerari e gli obiettivi delle stragi. Fu appunto uno di questi nuclei, composto da 3 SS travestite da partigiani che, il pomeriggio del 12 aprile 1944, viaggiando a bordo di un'auto civile venne intercettato in località Molin di Bucchio (presso Stia) da una squadra della "Faliero Pucci" scesa a rifornirsi di farina. Ingaggiato il combattimento, due dei tedeschi vennero uccisi sul posto, ma il terzo riuscì a fuggire gettandosi nella boscaglia. I! Comando tedesco non tardò a sfruttare quel pretesto per scatenare l'attacco cercando di farlo apparire una già di per sé mostruosa rappresaglia: all'alba de! 13 aprile reparti tedeschi e italiani, già pronti da alcuni giorni, investirono la zona di Stia, compiendovi una terrificante strage con epicentro a Vallucciole, ma poi estesasi a Stia, a il Castagno (San Godenzo) e in tutte le località circostanti

13-4-1944

Bibbiena

29

(Arezzo): Reparti di SS di passaggio distruggono totalmente il villaggio dopo averlo saccheggiato. Raccolgono poi tutti gli uomini validi e ne massacrano 29 a raffiche di mitra.

17-4-1944

Resistenza in Umbria Mosciano-Collecroce Colfiorito

27-4-1944

30

Recoaro Terme
In seguito all'uccisione di un tedesco sorpreso a rubare, vengono interamente incendiate e distrutte le contrade di Carnale, Storti e Pace. Le case rase al suolo sono 70.

25

Dal 17 aprile e per tre settimane: forze tedesche e fasciste investono una vasta area compresa tra Colfiorito, Nocera Umbra e Gualdo Tadino, sbandando completamente la IV Brigata Garibaldi di Foligno. Tra il 17 e il 23 aprile nelle frazioni di Colle Croce, Mosciano, Serre e Sorifa unità SS tedesche massacrano circa 24 civili. 120 persone, rastrellate nel territorio comunale di Nocera Umbra, vengono deportate nel campo di concentramento di Cinecittà a Roma.

Nei Diari "MEMORIE DI UN RIBELLE"

ADELIO E FAUSTA FIORE

ISTITUTO PER LA STORIA
DELL’UMBRIA CONTEMPORANEA
EDITORIALE UMBRA

  Ernesto Melis è capitano dei bersaglieri, ferito in Libia e sorpreso dall’armistizio mentre era istruttore all’Accademia di Modena. Di origine sarda, militare di carriera, apparteneva ad una famiglia di servitori dello stato; probabilmente monarchico, voleva tener fede al giuramento prestato. Raggiunge, con due colleghi, suo padre a Spoleto (il direttore della prigione della Rocca) e assume senza esitazione, come per un piano preordinato, l’iniziativa del reclutamento e del reperimento delle armi. Ma i partigiani umbri non sono soli, aggregano soldati ed ufficiali italiani sbandati, raccolgono militari britannici e sudafricani fuggiti dai campi di prigionia (Colfiorito), detenuti antifascisti slavi ed italiani. Solo dalla Rocca di Spoleto ne evadono (con il favore del direttore) circa un centinaio. Prende corpo la brigata sopra la Val Nerina e i monti Sibillini. E. Melis, si trasferisce con altri partigiani a Gavelli, sulla Nera.  In questo periodo Melis subisce i ricatti dei fascisti, che , con bandi affissi nei paesi della montagna, lo avvertono della rappresaglia contro i familiari (il padre non era fuggito), se continuerà nelle sue imprese partigiane. Fra gli evasi c'è il tenente slavo Dobrich Milan, che dapprima si unisce alla formazione del capitano Melis per poi staccarsi per andare a fondare, con l'aiuto della famiglia Del Sero, alcuni gruppi partigiani denominati "Banda dei Monti Martani" Secondo una tattica geniale le forze, organizzate a squadre, operano su vaste aree, con grande mobilità e autonomia d’iniziativa, richiamando e disperdendo così ingenti reparti fascisti e della Gestapo.

22-4-1944

Gubbio

5-5-1944

Mommio e Sessalbo

40

Prima di abbandonare la città, reparti di truppe tedesche, per pura ferocia, senza. alcuna giustificazione plausibile, massacrano 40 ostaggi a raffiche di mitra, dopo averli costretti a scavarsi la fossa.

22

 

(Fivizzano - Massa) La gran parte della Popolazione di Mommio, avvertita dai partigiani, abbandonò la Frazione, prima del rastrellamento nazista. Ma 6 abitanti vollero rimanere nelle loro case e furono fucilati. Nella vicina località di Sassalbo 16 abitanti di sesso maschile furono fucilati sulla piazza del paese, I superstiti delle due località, rientrati dai rifugi, spensero gli incendi, sotterrarono i loro congiunti sterminati e raggiunsero le formazioni partigiane sui monti.

15-5-1944

Arcevia

8/9-5-1944

Novara

65

A 64 chilometri da Ancona, su di una altura nota come Monte S. Angelo, avviene uno scontro tra truppe tedesche e pochi partigiani. Per rappresaglia i tedeschi si scagliano contro la popolazione inerme della zona circostante. Tutte le case vengono incendiate e in esse trovano la morte donne e bambini.

15

CHESIO 6 partigiani scesi in paese sono intercettati da un reparto della "Tagliamento". Un partigiano, Elio Sanmarchi, rimane ucciso nella sparatoria altri suoi cinque compagni vengono feriti e catturati. A nulla servono le accorate preghiere del Sacerdote del paese intervenuto che offre la propria vita in cambio della loro. Dinanzi alla Chiesa della Madonna della Cravetta, nella piazzetta, don Giacoletti è costretto ad assistere all'eccidio degli altri 5 giovani partigiani Bariselli Nardino, Bionda Enrico, D'Angelo Nicola, Morandi Rodolfo e Sozzi Giovanni. Il giorno dopo a Forno, in Valstrona sempre la Tagliamento: ospedaletto garibaldino. Reparti della " Tagliamento " nelle prime ore del 9 maggio del 1944 arrivano al piccolo ospedale, probabilmente guidati da spie. I sanitari nella speranza di aver salva la vita anche dei degenti non fanno resistenza.Interviene pure don Giulio Zolla, prevosto di Forno, che, rivolgendosi all'ufficiale fascista, il tenente Filippi lo prega di risparmiare la vita " a quei figlioli " e gli ricorda che ovunque e in ogni tempo, il vero soldato ha il dovere di richiamarsi al senso di umanità ( o alla convenzione di Ginevra se ci si dichiara in guerra). Il tenente Filippi risponde al Prevosto: " Non vi sarà spargimento di sangue " ma appena si allontana il parroco fa disporre medico, infermieri e partigiani feriti contro il muro con le mani legate e li fa mitragliare. nel tragico episodio perdono la vita nove persone: Casalburo Vito, Castaldi Gianni, Carrà Adriano, Comoli Luigino, De Micheli Bruno, De Micheli Piero, Godi Aurelio, Meneghini Gino, Meneghini Piero
Francesco Tumiati Sottotenente Carrista
Nato a Ferrara nel 1921 caduto a Cantiano (Pesaro) il 17 maggio 1944. Studente in Legge presta servizio militare nella specialità carrista. Accorso quale semplice partigiano nelle file di una Brigata Garibaldina, raggiungeva, per valore dimostrato, il grado di comandante di distaccamento. Coraggioso fino alla temerità e sorretto da ardente fede anche nei più difficili momenti, mai vacillò innanzi al pericolo e, dopo avere strenuamente sostenuto per 18 giorni la cruenta pressione di un poderoso rastrellamento tedesco, cadeva nelle mani del nemico. Sottoposto a rapido giudizio, manteneva il più fiero contegno e, sdegnosamente rifiutando di avere salva la vita a prezzo di vile tradimento, affrontava con la serenità degli eroi il plotone di esecuzione offrendo il petto al piombo nemico che troncava la sua balda giovinezza.
Medaglia Oro ALLA MEMORIA Audace patriota appartenente ad un gruppo di bande armate operanti sul fronte della resistenza, si distingueva per attività, coraggio ed alto rendimento. Incurante dei gravi rischi cui continuamente si esponeva, portava a compimento, brillantemente, tutte le missioni operative affidategli facendo rifulgere le sue doti di ardito combattente della libertà ed assoluta dedizione alla causa nazionale. Arrestato dalla sbirraglia nemica durante un’azione di sabotaggio, sopportava con fierezza nelle celle di tormento di via Tasso le barbare torture inflittegli senza nulla rivelare sull’organizzazione di cui faceva parte. Condannato a morte affrontava serenamente l’estremo sacrificio, pago di aver fatto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l’olocausto della vita. Roma, settembre 1943 - 1944
 

19-5-1944

Passo del Turchino

27-5-1944

Ritirata da Roma

59

Si tratta di un colle attraversato dall'omonimo passo dell'Appennino Ligure, che mette in comunicazione tra loro le valli del torrente Leiro (Riviera di Ponente) e quella della Stura, in provincia di Alessandria. È stato un luogo spesso usato dai tedeschi e dai fascisti per fucilare i prigionieri del carcere di Marassi (Genova) o cittadini catturati nelle vicinanze. Il 19 maggio 1944 sono qui portati 59 detenuti politici provenienti dai rastrellamenti della "Benedicta". Su di una grande fossa vengono messe delle tavole e i prigionieri fatti passare su di esse a due a due. In quel momento vengono mitragliati e precipitano tutti nella Fossa Comune.

http://www.gabrielelunati.com/?p=160  Benedicta

59

 
27 maggio AGOSTA - Madonna della Pace
La mattina del 26 maggio 1944, le truppe naziste in ritirata dalla Valle dell'Aniene, a seguito dell'uccisione di uno dei loro, certamente avvenuta in conflitto con gruppi di partigiani, operanti nella zona dei Comuni di Canterano, Rocca Canterano Subiaco, Cervara di Roma e Agosta effettuavano un vasto e rapido rastrellamento nei campi e nei casolari.15 persone, fra le quali un uomo di 78 anni, furono raggruppate a 500 metri dalla frazione "Madonna della Pace" del Comune di Agosta, mitragliati e poi abbandonati, morti e agonizzanti, in un lago di sangue.
4 giugno LA STORTA (Borgata di Roma)
14 detenuti del carcere di Via Tasso appena abbandonato dai tedeschi in fuga, tutti torturati e fisicamente distrutti, vengono assassinati a colpi di mitra al quattordicesimo chilometro della Via Cassia. Tra i Martiri c'è il vecchio sindacalista Bruno Buozzi.

20-5-1944

Peternel  ora Slovenia    

46

 

Il 20 maggio 1944 il generale Ludwig Kubler, comandante della Wehrmacht dell’Adriatisches Kustenland – ordinò il rastrellamento della zona collinare del Collio presidiato da circa 300 uomini per metà garibaldini dei battaglioni “Mazzini” e “Mameli” e per metà sloveni del “Briski Beneski Odred”. Nell’operazione vennero impiegate alcune migliaia di tedeschi che, alle prime luci dell’alba del 22 maggio 1944 davano inizio alla battaglia. I partigiani del “Mazzini”, al comando di Mario Fantini “Sasso”, e quelli del battaglione sloveno bloccarono l’avanzata dei reparti tedeschi e, sfruttando la posizione sulla cima delle colline, riuscirono a respingere per oltre otto ore le truppe attaccanti. Nel primo pomeriggio l’arrivo di rinforzi tedeschi e lo scarso munizionamento costrinsero i partigiani al ripiegamento. Dopo lo sganciamento dei partigiani i tedeschi si sfogarono contro la popolazione civile. A Peternel rinchiusero gli abitanti del paese nella locale osteria ed appiccarono il fuoco allo stabile, bruciando vive 22 persone. A Cerovo furono fucilati dieci civili e vennero incendiati il villaggio di Slauce e molte case di Cursò, Nebola e Mulinut. I tedeschi dovettero riconoscere nel loro bollettino di guerra di aver subito la perdita di 169 uomini mentre da parte partigiana si registrarono 14 caduti: 7 del battaglione “Mazzini”, 1 del “Mameli” e 6 del “Briski Beneski Odred”.

4-6-1944

Capistrello

33

Mentre Roma veniva liberata, il 4 giugno 1944, a Capistrello si consumava la tragedia: trentatre esseri umani, furono assassinati e buttati nelle buche prodotte dal bombardamento presso la stazione. I tedeschi sono in ritirata, ma non tutti i reparti sono in linea (ciò a volte la dice molto di più sulle prospettive di un conflitto). Nella seconda metà di maggio alcune unità della 5ª divisione cacciatori da montagna da Sora sono penetrati nella Valle Roveto e si dedicano ai rastrellamenti antipartigiani. Le cose si sono subito messe male quando addosso a un contadino viene rinvenuto un volantino inneggiante alla resistenza. In breve le canne delle carabine e degli Schmeisser tengono sotto controllo 33 uomini. La colonna viene condotta sotto la minaccia delle armi verso la stazione ferroviaria di Capistrello bombardata dagli aerei alleati qualche giorno prima e con voragini enormi. Uno alla volta quegli uomini vengono portati sul bordo di una buca e freddati con una raffica. Quei militari della Wehrmacht non li vedrà più nessuno, inghiottiti dalla storia. La strage è scoperta solo il 9 giugno. Uno dei responsabili del massacro è il caporale Siegfried Oelschlegel, che alla fine della guerra ha preso i voti ed è diventato parroco a Monaco di Baviera.

7-6-1944

Filetto (Aq)              la guerra nell'Aquilano

11-6-1944

Onna (Aq) http://www.bafileaq.it/Cavalieri/lago%20della%20memoria.htm

17

 
In seguito al ritrovamento del cadavere di un soldato tedesco ucciso dai partigiani, un reparto della 114° divisione tedesca cacciatori, comandato dal capitano austriaco Matthias Deffregger (diventerà Vescovo) si precipita sul paese, saccheggia le case e trascina oltre 200 abitanti a un chilometro, sulla via di Camarda.Dopo molte ore di attesa, a mezzanotte, con una mitragliatrice i nazisti cominciano a sparare sulla massa. La folla, con la forza della disperazione, si scaglia sui soldati e molti riescono a fuggire nei boschi. Sul terreno rimangono 17 cadaveri

16

 
Il pomeriggio dell’11 giugno ‘44 alcuni soldati tedeschi provenienti dalla strada di Monticchio si dirigevano verso Onna rastrellando giovani e vecchi. I familiari dei sequestrati, ritenendo che l’imminente rappresaglia fosse in rapporto con una colluttazione avvenuta qualche giorno presero con la forza la madre ed la sorella di costui, consegnandole ai tedeschi quale contropartita per la liberazione degli ostaggi. Ma i tedeschi rinchiusi tutti in casa Ludovici minarono lo stabile provocando il crollo dell’edificio sulle 16 vittime.

13-6-1944

Forno di Massa

14-6-1944

Niccioleta Cecina

149

L'operazione fu condotta dalla 3a Compagnia della 135a Festung Brigade, alla quale erano subordinati i reparti italiani della Xa MAS di La Spezia, al comando del Ten. Umberto Bertozzi di Cologno (PR). i tedeschi dichiararono:n. 149 partigiani uccisi, n. 51 catturati, n. 10 case distrutte, n. 7 feriti nelle forze tedesche (fonte Prof. Vemi"). Come già successo tante volte si vociferava che quelli (giugno 44) fossero gli ultimi giorni di guerra e che fosse arrivata l’ora della rivolta generale. Le brigate partigiane scesero a Forno, chiave di volta di Massa Carrara presidiandola per giorni, dal 9/6 al 13 nonostante si fosse capito che il messaggio era male interpretato. Il comandante ex bersagliere Marcello Garosi e gli altri comandanti decisero di rimanere, preparandosi ad accogliere la reazione dei tedeschi. Il 12 giugno, la brigata partigiana contava ancora 450 uomini armati e altri 200 da armare. Il passo di Colonnata, che era d'importanza strategica, venne presidiato da un distaccamento che la sera del 12 giugno non venne raggiunto dai rifornimenti. I partigiani allora abbandonarono la posizione per poche ore per potersi rifocillare, senza attendere il cambio. Fu fatale: all'alba del 13 un migliaio di soldati appartenenti alle SS, alla X Mas e alla Guardia Nazionale Repubblicana di La Spezia mossero contro Forno appoggiati da due semoventi. In particolare i militi della X Mas il battaglione San Marco ebbero la fortuna di trovare il passo di Colonnata sgombro e di poter così operare un accerchiamento. All’alba del 13 Forno venne circondata ed iniziava un violento combattimento tra fascisti e partigiani che alla fine dovettero ritirarsi perdendo anche il comandante Tito. Le unità tedesche del maggiore Walter Raeder, bruciarono il paese mentre molti venivano rinchiusi nella ex stazione dei Carabinieri. I partigiani lamentavano 70 morti e 15 prigionieri. Così l'eccidio viene descritto da Emidio Mosti:" prima del tramonto, furono prelevati settantadue giovani e trasportati a piedi, fuori del paese, in località Sant’Anna, nei pressi di una chiesetta sul pendio lungo il fiume Frigido. In paese, intanto, venti persone ferite finirono miseramente in un rogo ardente ancora dentro la caserma dei carabinieri. Fu questo l’inizio di una vera ecatombe: infatti, quasi contemporaneamente, sul ciglione del fiume, a Sant’Anna, i nazifascisti consumavano uno dei più efferati crimini. A gruppi di otto o nove alla volta, quei settantadue giovani venivano falciati da scariche ravvicinate (circa da 4 m). I loro corpi straziati rotolavano sanguinanti sul greto del Frigido, da un’altezza di poco più di tre metri, in una fossa comune." Il comandante Marcello Garosi che per una ferita ad una gamba non aveva preso direttamente parte alle ultime azioni era alloggiato fuori dal paese: tentò più volte di raggiungere i compagni assediati al cotonificio ma venne respinto e infine ferito gravemente. Continuò a sparare contro i nemici, infine conservò l'ultima pallottola per sé, per non cadere vivo nelle loro mani. Così Garosi, detto "Tito", morì in località Pizzacuto alle 9.30, poco distante dal cotonificio. 72 giovani del luogo vennero fucilati sull'argine del Frigido, i partigiani presi prigionieri vennero rinchiusi nella caserma dei carabinieri e arsi vivi. Altre 400 persone vennero avviate verso i campi di concentramento in Germania e le loro case furono saccheggiate e date alle fiamme.

77

Anche qui come a Forno l’idea che la guerra fosse finita spingeva la gente a rischi maggiori di quanti potessero gestirne, con i tedeschi nel pieno delle loro forze, non spese a contrastare gli Alleati. A Niccioleta, con la sua miniera (comprensorio Larderello) facevano capo diverse forniture strategiche che facevano gola a partigiani e tedeschi. Il 3 giugno 1944 un distaccamento di partigiani comandati da Vincenzo Checcucci entrò in Niccioleta. Il 13 giugno oltre 300 fra soldati tedeschi e milizie fasciste accerchiarono e attaccarono il paese di Niccioleta. Il rastrellamento porto alla cattura di 120 uomini. I minatori di Niccioleta passarono la notte nel teatro di Castelnuovo e la mattina furono divisi in tre gruppi: uno destinato alla fucilazione, uno alla deportazione e uno ad essere rimandato a casa. Escluso questi ultimi gli altri (77) vennero accompagnati nei pressi di una centrale geotermica, dove i soffioni erano stati liberati dai tubi e producevano un rumore fortissimo. Vennero fatti entrare in una specie di piccolo anfiteatro naturale e abbattuti a raffiche di mitra. Ai settantasette minatori si aggiunsero quattro partigiani provenienti da Volterra, tutti ex ufficiali dell'esercito. Il tenente Blok, delle SS, artefice del rastrellamento di Niccioleta, riceverà per questo un riconoscimento al valor militare dai suoi superiori.

7-6-1944

Vicovaro. Eccidio Pratarelle

30

La sera del 7 giugno 1944, gli abitanti di Vicovaro che ormai da tempo si erano rifugiati in località Pratarelle per sfuggire alle truppe naziste in ritirata, furono sorpresi dal presidio tedesco di Vicovaro che iniziarono ad incendiare le capanne e ad uccidere donne e bambini, I morti sono 30.

20-6-1944

PIAN D'ALBERO Figline (Firenze)

18

 

La notte tra il 19 e 20giugno 1944 i nazisti attaccano una casa colonica in cui si trovano giovani partigiani. Ha inizio un furibondo scontro a fuoco. Nel ritirarsi i nazisti incendiano la cascina e si trascinano dietro 18 partigiani. Giunti vicino ad Incisa, scelgono un campo isolato, dove, lungo un viottolo, ci sono18 ulivi subito destinati a forche per i giovani partigiani. lasciati esposti per tre giorni a S. Andrea in Campiglia
  Roma: Durante il periodo fascista veniva usato per le condanne di fucilazione emesse dai Tribunali Speciali Fascisti. Non si conosce il numero esatto delle esecuzioni che durarono sino al 3/6/1 944.

20-6-1944

Pogallo Fondo Toce Baveno

I luoghi: FORTE BRAVETTA

300

16 giugno, ALPE FORNA', 7 + 6 morti del 12 e 14 giugno
17 giugno, PIZZO MARONA, 11 morti + 10 di Aurano
18 giugno, FALMENTA, 4 morti
18 giugno, POGALLO, 18 morti
20 giugno, FONDOTOCE, 42 morti
21 giugno, BAVENO, 17 morti
22 giugno, ALPE CASAROLO, 11 morti
23 giugno, FINERO, 15 morti
27 giugno, BEURA-CARDEZZA, 9 morti

Val Grande Novara: Un rastrellamento effettuato da un una intera divisione tedesca (forza partigiana sopravvalutata) investe varie vallate dell’Ossola a partire dal 11 giugno. A Ponte Casletto, verso mezzogiorno, la situazione peggiora. I tedeschi costringono i partigiani ad arretrare, riescono ad attraversare la passerella dell’acqua e iniziano a salire verso Cicogna. Verso sera i partigiani del Valdossola (circa 280 uomini) con una cinquantina di prigionieri iniziano a salire verso Corte del Bosco. Le divergenze fra i comandanti delle tre unità partigiane e la scarsità di informazioni non permette un coordinamento per sganciarsi dai tedeschi, anche dopo il lancio previsto di armi e viveri da parte degli alleati. Gli aerei tedeschi sparano sugli uomini nascosti nel bosco intorno all’Alpe Brusà. Poi il tempo si guasta e la visibilità ridotta consente agli uomini di Muneghina di iniziare la marcia verso la Bocchetta di Terza per scendere in Val Cannobina. Sono solo 200 partigiani (un gruppo ha deciso di seguire Superti). Il tempo è pessimo e anche la situazione è drammatica, perché i tedeschi hanno raggiunto il fondovalle e la popolazione, terrorizzata, non aiuta i partigiani che non conoscono la zona. La colonna di Muneghina giunge presso Finero; a Pian di Sale incrocia i tedeschi: alle 3,30, inizia una tremenda battaglia. Alla fine, mentre il tempo si guasta di nuovo, Muneghina ordina agli uomini di disperdersi per meglio sottrarsi alla caccia nemica. Il gruppo che si era staccato dalla colonna nel vallone di Finero sta intanto cercando di rientrare in Val Grande, ma deve fare i conti con la presenza ormai massiccia dei tedeschi. Anche qui ci sono nemici: i partigiani si arrendono. Consegnati ai fascisti della Muti, verranno portati a Malesco, torturati e poi trasportati a Intra. E’ la fine per tutti i gruppi isolati. All’alba del 20 giugno gli uomini d Superti si rimettono in moto: la prima parte del percorso sotto le strette del Casè e Cima Pedum è massacrante, il terreno è impervio e privo di sentieri. C’è nebbia e questo impedisce ai tedeschi di vederli. Arrivano di nuovo all’Alpe Campo e poi nei pressi dell’Alpe Portaiola, dove si preparano per passare il torrente. Sono uomini stremati dalla fatica e dalla fame. Di colpo la nebbia si alza. I tedeschi piazzati all’Alpe Portaiola li vedono e iniziano a sparare. E’ una strage: non meno di trenta partigiani muoiono.I superstiti si disperdono alla disperata ricerca della salvezza. Anche a quelli della Giovine Italia non va meglio. Il 15 giugno la battaglia riprende tra la Colma e il Pian Cavallone. Gli attacchi dei tedeschi sono respinti per tre volte, poi dal campo sportivo di Intra inizieranno ad arrivare i colpi del mortaio da 149 e le sorti dello scontro cambieranno. All’arrivo della notte la battaglia è finita: i partigiani devono ritirarsi. Flaim si porterà al Pian Vadà per tenere i contatti con la Cesare Battisti; Guido e altri uomini, tra cui i feriti e i disarmati rientrano nel fondovalle per tenersi buoni per un’altra volta; Rolando con pochi altri salirà alla Marona per contrastare l’avanzata tedesca. Il bilancio del rastrellamento è tragico. Tra i partigiani si contano circa 300 morti. 150/160 sono caduti in combattimento; 150 sono stati eliminati tra il 17 e il 27 giugno dopo essere stati catturati. Le perdite del nemico sono valutabili in 200/250 morti e almeno altrettanti feriti. Ingenti danni sono stati provocati alle case, agli alpeggi e ai rifugi. Esecuzioni avvenute durante quei tragici giorni a sinistra

22-6-1944

La Bettola Vezzano

22-6-1944

Gubbio

32

(Località di Vezzano - Reggio Emilia) In seguito al tentativo fatto dai Partigiani di sabotare un ponte a qualche chilometro dal paese, le SS compiono un rastrellamento generale degli abitanti e massacrano 32 di essi, tra cui molte donne e bambini, prima mitragliandoli e quindi bruciandoli nella trattoria che da il nome alla località. Per ultimo viene gettato nel rogo un bambino di 18 mesi, ancora vivo.

40

 
Qui, il 22 giugno 1944, vennero fucilati da un plotone di esecuzione della 114 Jäger Division 40 cittadini per rappresaglia, dopo l’uccisione, nel pomeriggio del 20 giugno, di un ufficiale medico tedesco ed il ferimento di un altro in un bar cittadino da parte di componenti una pattuglia dei Gap. Di ostaggi ne erano stati rastrellati 160,  ma l' intervento del vescovo Ubaldi riuscì a limitare l'eccidio. A quei 40 fu ordinato di scavarsi la fossa e poi avvenne l'esecuzione a raffiche di mitragliatrice. La comunità cittadina, già prostrata dalla guerra e dal gran numero di morti, rimane sconvolta e subito si divide nell'attribuzione delle responsabilità della strage. Sono accusati sia il movimento partigiano eugubino, sia qualche fascista ritenuto responsabile di delazione.

26-6-1944

Falzano di Cortona

29-6-1944

Civitella Val di Chiana (Arezzo)

15

 

Il 26 giugno tre soldati nazisti, con la minaccia delle armi, obbligano il Fattore della tenuta "Crocioni dell'Aiuola", a consegnar loro una cavalla ed alcune botti di vino. Mentre stanno uscendo dalla fattoria i nazisti s'imbattono con una pattuglia partigiana ed ha luogo uno scontro a fuoco, che si conclude con l'uccisione di due germanici, mentre il terzo riesce a fuggire. Nella mattina del 27 giugno i genieri nazisti ritornano nella località, uccidono alcune persone e, infine, fanno saltare con la dinamite la Fattoria e le case adiacenti. Undici uomini rastrellati vengono chiusi in una delle case coloniche destinate alla distruzione e periscono sotto le macerie. La strage sulla quale verte il procedimento, per la quale sono chiamati alla sbarra Herbert Stommel e Josef Scheungraber, entrambi del 1918, contumaci in quanto mai si sono presentati in aula, avvenne in due giorni. I primi a cadere, fucilati, il 26 del giugno del 1944, furono quattro uomini, rastrellati nei boschi, Pasquale Attoniti, trentasei anni, Domenico Baldoni, 19, Pasquale Bassini, 24, e Marco Nici, di 17. Ci furono poi altre vittime, in altre fucilazioni singole. Iniziava così la rappresaglia contro i partigiani. Poi toccò agli undici.

230

Il 18 giugno 1944 arrivò nel paese di Civitella un gruppo di partigiani, entrati nel circolo ricreativo vi trovarono quattro soldati tedeschi. Nello scontro che ne seguì due dei tedeschi rimasero uccisi, gli altri invece riuscirono a scappare e a raggiungere dei commilitoni più a valle. Dopo questi fatti la popolazione di Civitella abbandonò in massa il paese. Il 29 di giugno a Civitella si festeggiavano i santi Pietro e Paolo, e per le assicurazioni avute dai tedeschi quasi tutti gli abitanti rientrarono in paese. In realtà era una trappola: la notte vari reparti circondarono Civitella, Cornia e San Pancrazio. A S. Pancrazio circondano il Castello/Fattoria Pierangeli e in un grande scantinato riuniscono i 74 paesani. Dopo aver depredato le loro case, vengono tutti uccisi. Nel giugno del '44 l'area fra Civitella, Monte San Savino e Bucine contò oltre 230 vittime 109 a Civitella, 50 a Cornia e 74 a S.Pancrazio. Durante la messa della mattina a Civitella i soldati irruppero in chiesa e fecero uscire tutti, dividendo gli uomini dalle donne e i bambini. Poi, dopo aver indossato dei grembiuli per non macchiare le divise, iniziarono a uccidere gli uomini a gruppi di cinque con un colpo alla nuca. Don Lazzeri, arciprete, pur potendo facilmente sottrarsi alla morte scelse di condividere la sorte dei suoi parrocchiani, per questo è stato insignito della medaglia d'oro al valor civile. Un ufficiale nazista ucciderà uno dei suoi soldati perchè si era rifiutato di partecipare al massacro. Il paese venne poi dato alle fiamme, e così morirono anche quelli che si erano nascosti nelle cantine e nelle soffitte. Oltre cento furono i morti nella piazza di Civitella, fra gli uomini pochissimi scamparono. Responsabile della strage Max Josef Milde della banda musicale della divisione Herman Goering.

29-6-1944

Guardistallo Montescudaio Pisa

60

Nella notte tra il 28 ed il 29 giugno, il distaccamento "Gattoli" della III Brigata Garibaldi si sta spostando da Montescudaio, verso l'abitato di Casale Marittimo, su indicazione del Cln di Livorno, con l'intento di occuparlo prima dell'arrivo degli Alleati. I partigiani, un centinaio, intorno alle 6 del mattino si imbattono in località Brucia in una colonna di tedeschi nel corso dell'attraversamento della Guardistallo-Cecina. Ne nasce uno scontro a fuoco che causa la morte di 11 partigiani e di un militare tedesco. I partigiani sono costretti a ripiegare nei boschi e nelle campagne circostanti. La reazione tedesca si scatena contro le abitazioni del vicino centro abitato: gli uomini del paese sono rastrellati e fucilati, altri civili (tra cui le donne) sono uccisi perché accennano a fuggire, un altro grosso contingente di abitanti di Guardistallo si salva grazie all'intervento del parroco don Mazzetto Rafanelli. La sera le truppe tedesche lasciano il paese: gli americani vi arrivano il giorno successivo, 30 giugno. In un primo momento si pensò fossero uomini della XVI PanzerGrenadier SS "ReichsFührer" e sul reparto di Raeder, da poco giunto sul fronte italiano. In realtà, gli autori sono uomini della XIX Divisone da Campo della Luftwäffe.

20/29-6-1944

Montemignaio

16

Dopo le stragi d’aprile contro le popolazioni civili a Vallucciole (108 morti), a Partina e a Moscaio di Banzena (in totale 37 morti), il 14-15 giugno fu la volta di Chiusi della Verna dove furono uccise 10 persone, quindi saccheggiate e devastate le case. Il 20 toccò a Montemignaio, dove vennero uccisi 11 uomini; il 29 ancora a Montemignaio, in località Carbonettoli, dove nazisti e repubblichini catturarono, seviziarono e massacrarono altre 5 persone. Lo stesso giorno a Castel San Niccolò, in località Cetica, vennero fucilati 13 civili, mentre una decina di partigiani moriva in combattimento.

25-6-1944

Genova - Fossoli 12 luglio (vedi scheda)    

67

Dopo le vicende della primavera (Benedica e Turchino) non era consigliabile compiere ulteriori rastrellamenti e esecuzioni a Genova La violenza delle reazione Partigiana convinceva il locale comando tedesco che la città era una polveriera, pronta ad esplodere ad ogni istante sotto qualsiasi provocazione. Perciò quando, in un bar di Via del Campo, il 25 giugno altri sei militi nazisti (della Kriegsmarine, fanteria di marina particolarmente odiata dai genovesi) lasciarono la vita per lo scoppio di un candelotto di tritolo, gli alti Ufficiali germanici restarono indecisi sul da farsi, non avendo il coraggio di applicare la regola del dieci per uno. Probabilmente a deciderli fu il ferimento di un Ufficiale avvenuto il 5 luglio. Il conto era presto fatto: sei tedeschi uccisi più un ufficiale ferito facevano settanta Italiani da fucilare. Friedrich Engel, Comandante tedesco delle SS di Genova  non volle rompere definitivamente con la città e risparmiò i carcerati di Marassi, preferendo girare l’ordine di esecuzione al lager di Fossoli, che veniva reputato abbastanza lontano perché la notizia dell’esecuzione di massa non arrivasse fino a Genova. Ecco il motivo dell'eccidio dei 67 del 12 luglio a Fossoli. Tuttavia per salvare la faccia, a Genova fu diffuso un comunicato, in data 6 luglio, in cui si dava per già avvenuta la rappresaglia.

 

 

25-6-1944

Cavriglia Ar

lug/ago/set-44

Provincia di Vicenza

200

 

Anche in relazione a questi sviluppi delle operazioni militari si determinano tre grandi aree di massacri : 1) area aretina, 29 giugno: stragi di Civitella della Chiana, Cornia e S.Pancrazio (203 vittime); 3 luglio: strage di S. Giustino Valdarno - Loro Ciuffenna (47 vittime); 4 luglio: stragi di Castelnuovo dei Sabbioni e Meleto (200 vittime); 14 luglio: strage di S. Polo-Arezzo (48 vittime); 2) area pisana: 14 giugno: strage di Niccioleta - Castelnuovo Val di Cecina (77 vittime); 29 giugno: strage di Guardistallo (63 vittime); 22 luglio: strage di S. Miniato (42 vittime);23 luglio: strage di Piavola-Buti (19 vittime); 23 luglio: strage del Padule di Fucecchio (185 vittime); 3) area della Versilia-apuane: 3-4 agosto: Pontremoli e Zeri; 11 agosto. Massarosa ; 12 agosto: S.Anna di Stazzema (570 vittime); 19 agosto: Fivizzano (300 vittime) .
 

Ugo Jona, Presidente Onorario ANFIM http://www.anfim.it/wai/rapprstrecc.htm

Ndr: Dopo l’abbandono di Roma del 4 giugno, l’alto Lazio e la Bassa Toscana sono diventate retrovia immediata del fronte. Qui la guerra ristagnerà per diversi mesi e si sposterà oltre Firenze solo alla fine di Agosto del 44 per attestarsi sulla linea invernale Gotica degli Appennini fino ai giorni della liberazione dell'aprile del 1945. In tale situazione il comportamento dei tedeschi si fa spietato nei confronti della popolazione civile.

Alle prime luci dell'alba del 4 luglio del 1944 le frazioni di Castelnuovo dei Sabbioni e di Meleto Valdarno sono accerchiate ed invase da formazioni di SS naziste in assetto di guerra guidate da scherani repubblichini e favorite nel loro avanzare dal buio notturno. Sono esattamente le ore 6 antimeridiane di una torrida estate quando l'orda degli Unni invasori assalta le case, abbatte le porte d'ingresso e penetra nelle abitazioni, rastrella gli uomini, ordina alle donne e ai fanciulli di uscire subito all'aperto ed infine ruba e devasta ad una ad una quelle povere abitazioni di lavoratori. Fanno allontanare le donne dicendo loro:"Qui da noi fare grande luce"..73 uomini vengono mitragliati e sul mucchio dei morti e dei feriti vengono ammassati mobili e suppellettili presi dalle case. Il tutto è cosparso di benzina e incendiato. I parroci di Castelnuovo dei Sabbioni e di Meleto che implorano pietà per i loro greggi condividono la stessa sorte dei destinati al macello, mentre esplicano nel conforto della fede. Dalla frazione di Castelnuovo dei Sabbioni subito dopo la strage il branco di turpi assassini raggiunge la vicina borgata di Massa dei Sabbioni e di San Martino. A Massa dei Sabbioni le SS scannano il parroco Don Morini ed un giovane parrocchiano con le baionette, e ne gettano i poveri corpi in un fienile già dato alle fiamme. A San Martino le SS assassinano quattro uomini. Perpetrate le stragi l'orda nazista pone mobilio ed altri materiali sui poveri cumuli di uomini, il tutto irrorato di benzina ed incendiato, affinché il tutto diventasse cenere, per togliere ad ogni famiglia privata dei propri cari la possibilità del conforto della tomba sulla quale piangere e pregare. Soltanto nel pomeriggio del 12 luglio il comando militare germanico del Valdarno concede il permesso di dare sepoltura ai trucidati, ma l'opera degli sventurati familiari e dei volontari fu difficile e ben dura insieme. A Castelnuovo dei Sabbioni vengono accertati i resti di 75 uomini, che per le condizioni in cui si trovano vengono riuniti in un'unica tomba nel locale cimitero. A Meleto Valdarno i 97 uomini destinati al supplizio sono stati suddivisi dall'orda nazista in varie aie di case coloniche della frazione e ivi vengono falciati dalla mitraglia. Sotto i corpi straziati vengono accumulati legname, versata benzina e il tutto dato alle fiamme. A Castelnuovo soltanto nel pomeriggio del 12 luglio è possibile ai familiari degli uccisi cominciare l'opera di rimozione dei corpi per il riconoscimento e la sepoltura. Soltanto 50 cadaveri parzialmente divorati dal fuoco e in avanzato stato di decomposizione sono riconosciuti e consegnati alle rispettive famiglie. I restanti 47 sono in una massa indissociabile, che verrà pietosamente seppellita in fossa comune nel locale cimitero. 178 sono i morti della criminale ed assurda rappresaglia nazista del 4 luglio 1944 nelle due frazioni  del comune di Cavriglia. Con le fucilazioni dei giorni successivi la cifra supererà i 200.

Direttiva Kesselring, comandante supremo in Italia, ai suoi sottoposti : «la lotta contro i partigiani deve essere combattuta con tutti i mezzi a nostra disposizione e con la massima severità. Io proteggerò quei comandanti che dovessero eccedere nei loro metodi di lotta ai partigiani. In questo caso suona bene il detto: meglio sbagliare la scelta del metodo, ma eseguire gli ordini, che essere negligenti o non eseguirli affatto. Soltanto la massima prontezza e la massima severità nelle punizioni saranno valido deterrente per stroncare sul nascere altri oltraggi o per impedire la loro espansione. Tutti i civili implicati nelle operazioni antipartigiane che saranno arrestati nel corso delle rappresaglie saranno portati nei campi di concentramento….» (Da “Una città occupata”, Vol. II, di Luca Valente, Schio, 2000).

I paesi di collina e di montagna e le centinaia di contrade sparse sui versanti montuosi dell’Alto Vicentino accolsero, aiutarono e sostennero gli sbandati, i renitenti e i primi gruppi di “ribelli”. Condivisero la loro vita e la loro condizione tanti giovani contadini e montanar. il gruppo di Fontanelle di Conco finì in modo negativo la sua esperienza stroncato da un rastrellamento l’11 gennaio 1944, già indebolito da una dolorosa divisione interna che si era conclusa il 30 dicembre 1943 con l’uccisione di quattro esponenti comunisti. I numerosi rastrellamenti del mese di marzo 44 non influirono sulla crescita impetuosa delle pattuglie e sulle numerose azioni militari. Sui monti del Vicentino si misero in azione nella primavera e agli inizi dell’estate la brigata Stella, la brigata Apolloni, la Brigata Vicenza (poi Pasubio), la brigata Mazzini, la brigata Sette Comuni, la brigata Italia Libera, la brigata Matteotti e tanti battaglioni. La Provincia di Vicenza, ricca di fabbriche essenziali per la produzione bellica (Schio, Valdagno, Arzignano, Vicenza, Montecchio Maggiore, Bassano) e di campagne fertili, era molto importante per la Germania. La stessa posizione geografica, a confine con Trento e Belluno (con Bolzano e l’Alto Adige costituivano l’Alpenvorland, regione annessa al grande Reich) e le vie di comunicazione con il Trentino (Piccole Dolomiti, Val Leogra, Astico, Altopiano, Val Brenta) costituivano fattori di estremo interesse e di valore strategico. Kesselring, comandante supremo delle truppe tedesche operanti in Italia e nel sud-ovest europeo, nel settembre 1944 portò il comando proprio ai piedi delle Piccole Dolomiti, alle Fonti Centrali di Recoaro.In luglio, per ordine del generale Wolff, capo delle SS e comandante di polizia in Italia, il capitano Büschmeyer, del 263° Battaglione Russo, venne nominato comandante di sicurezza del Settore Vicenza-Nord, comprendente Recoaro, Valdagno, Schio, Arzignano, Piovene Rocchette, Arsiero, Marano Vicentino, Thiene, Marostica, Bassano del Grappa e Asiago, con il compito di reprimere il movimento partigiano e di guidare la lotta alle bande; a sua disposizione furono messe tutte le unità militari germaniche del settore. Nella Valle del Chiampo si era affermata la brigata “Vicenza” (divenuta brigata e divisione “Pasubio” in agosto). Dopo aver fucilato a Valdagno il 3 luglio sette dirigenti della Resistenza politica, catturati dai fascisti e messi nelle loro mani, i tedeschi investirono con un massiccio rastrellamento l’alta Valle dell’Agno, la Valle del Chiampo e l’alta Valle dell’Alpone. Dal 5 al 13 luglio misero a ferro e a fuoco intere contrade di Castelvecchio, Marana, Altissimo, Crespadoro, S.Pietro Mussolino e Vestenanova. L’obiettivo era duplice: agganciare e distruggere le formazioni partigiane e terrorizzare la popolazione: Gli effetti per gli abitanti dei centri montani furono devastanti: decine di vittime civili, abitazioni incendiate, stalle e fienili distrutti, animali requisiti. Fu un duro colpo per la brigata “Vicenza”. Dal 12 al 14 agosto toccò alla Val Posina e l’Altopiano di Folgaria; il 6 e 7 settembre l’Altopiano di Asiago (Granezza - Bosco Nero); dal 31 agosto all’8 settembre il Cansiglio e l’Alpago;dal 9 al 16 settembre le Valli dell’Agno, del Chiampo, dell’Alpone, dell’Illasi e la Lessinia veronese fino al Monte Baldo; dal 20 al 26 settembre il Massiccio del Grappa, dal 27 al 29 settembre l’Alta Carnia, con Nimis, Attimis e Faedi date alle fiamme. limitandoci ai fatti maggiori il numero dei caduti supera i 100.La fiducia popolare ebbe anche sbandamenti favoriti da personaggi come Marozin comamndante la Pasubio. Maria Stoppele così descrisse la discussa figura di Giuseppe Marozin: «Torturava i prigionieri. Spesso tagliava prima le guance per riuscire a "lavorare" meglio con la pinza all’interno della bocca. E quando non erano i denti, staccava le unghie. Alla fine portava quei disgraziati (spesso anche partigiani ritenuti traditori, nda) giù ad un laghetto e gli sparava il colpo di grazia».

GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA
ISPETTORATO POLIZIA FERROVIARIA

UFFICIO POLIZIA SEZ. II P.D.C. 709, li 19/5 1944 / XXII POL 3714.C/1474/44.VI.45. ferr.

OGGETTO: Attentati sovversivi in
Provincia di Reggio Emilia

AL COMANDO GENERALE DELLA G.N.R.
- Servizio Politico -
P.d.C. 707
A seguito nota Pol/3714.C.1431.44VI.45. ferr. del 11 andante, per opportuna conoscenza si comunica che dopo il massacro dei 12 militi, i banditi della regione svaligiavano a Cerredolo (R. Emilia) l'Ufficio Postale, la sede del Banco di S. Prospero e quella di un'altra località, facendo un bottino di circa 100.000 lire. Veniva pure saccheggiato parte del grano custodito nell'ammasso. -

Alcuni militi, appartenenti a classi giovani, che si trovavano di presidio in dette località, venivano catturati e successivamente rilasciati dopo essere stati bastonati a sangue e spogliati dei loro vestiti. -

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Da Istoreco Le dinamiche dell’attacco partigiano
«Nella notte del 4 maggio un distaccamento di partigiani modenesi, portatosi a Cerredolo, attaccò il presidio della GNR, forte di circa 20 uomini, accantonato presso i locali dell’ammasso. I partigiani riuscirono a sopraffarlo dopo una certa resistenza degli assediati, dodici dei quali vennero uccisi mentre i rimanenti, dopo essere stati privati delle armi e della divisa, vennero rilasciati in libertà. Gli attaccanti asportarono dall’ammasso 25 quintali di grano e si ritirarono verso il territorio modenese».
A Cerredolo, frazione del comune di Toano, in provincia di Reggio Emilia, al confine tra le province modenese e reggiana, a breve distanza da Montefiorino, a partire dal marzo ‘44, durante il rastrellamento tedesco a seguito della strage di Monchio, Susano e Costrignano, era stato costituito un presidio, che aveva occupato i locali dell’ammasso granario e che contava una ventina di militi. La costituzione di un presidio GNR a Cerredolo, fin dalla primavera del ‘44, corrispondeva a una serie di motivazioni, a scala differenziata; la prima di carattere generale, relativa al consolidamento e al controllo del territorio che, già prima dell’inizio della guerra era garantito dalla presenza di una caserma di Carabinieri; una seconda, sostanzialmente strategico-militare, imperniata intorno alla difesa della strada delle Radici, unitamente ai presidi di Frassinoro, Montefiorino e Piandelagotti; il terzo ordine di motivazioni era, invece, relativo alla difesa del grano conferito all’ammasso nell’edificio dell’ammasso, che - anche dal punto di vista simbolico - coincideva alla roccaforte del presidio GNR . In data 26 marzo si trovano nel presidio di Cerredolo 39 militi, tutti tra i 33 e i 54 anni, nessuno nativo di Cerredolo, ma provenienti per lo più dai paesi vicini di Toano e San Cassiano; altri invece muovono da Ciano d’Enza, al comando del tenente Licata, che impone al paese una sostanziale disciplina e rigore sul territorio, sia per quanto riguarda gli orari di coprifuoco, che per quanto concerne un minuzioso controllo dell’ordine pubblico. Verso la fine di marzo i militi si riducono a una trentina fino ad assottigliarsi a venti, al momento dell’attacco partigiano.


L’attacco all’ammasso di Cerredolo costituisce una tra le azioni partigiane nodali prima della conquista del presidio fascista di Montefiorino e la proclamazione della libera Repubblica di Montefiorino nell’estate ‘44, sia per la contiguità territoriale dei due avamposti incastonati sullo spartiacque reggiano - modenese del Secchia - costituendone un obiettivo strategico di spicco - sia per la rilevanza della postazione che garantiva il vettovagliamento alimentare per le formazioni partigiane della zona e la possibile distribuzione di notevoli quantitativi di grano alla popolazione.
L’azione, preparata accuratamente dai principali esponenti della resistenza modenese, a cui partecipano - tra gli altri - il futuro comandante del corpo d’armata Centro Emilia Armando (Mario Ricci) - che riunificò i comandi partigiani di Reggio e Modena - il commissario politico Davide (Osvaldo Poppi), alcuni comandanti di formazioni minori attivi nel versante reggiano - modenese, come Nello Pini (da Palagano, Frassinoro, Rubbiano, a Montefiorino) conta la partecipazione di circa un centinaio di uomini. Nella notte tra il 3 e il 4 maggio, la formazione partigiana che ben conosceva e padroneggiava il territorio, scendendo lungo il Secchia, con un movimento a tenaglia accerchia Cerredolo, isolandolo con posti di blocco a monte e a valle, interrompendo le comunicazioni telegrafiche con il capoluogo reggiano e con i forti presidi a valle (Sassuolo, in primis), prendendo anzitutto in ostaggio impiegate e direttore dell’Ufficio postale del paese e minando, per di più, il ponte. Inizia, così, una lunga schermaglia armata tra i militi asserragliati nel presidio e le squadre partigiane, dislocate in vari punti strategici dell’edificio, che condurranno a termine un vero e proprio assalto del presidio8. La percezione del lungo assalto nel presidio diventa una memoria di un evento interminabile, difficilmente collocabile in un tempo definito. L’ammasso viene infine letteralmente espugnato, appicando fuoco alle porte e alle feritoie laterali ; poi, penetrati nei locali (i partigiani) spoglia(ro)no tutti i militari radunandoli nel dormitorio dell’ammasso».
Pur nella concitazione generale, il piano d’azione prevede un’attenta selezione dei militi, riconosciuti e identificati anche per l’atteggiamento e il comportamento tenuto in paese sino ad allora. Nel frattempo, allo stesso modo, avviene un’ulteriore incursione partigiana presso le abitazioni del segretario del Fascio locale Pietro Paglia che rimane nascosto sotto il letto senza farsi trovare, e del sarto Arturo Paglia, viene catturato e portato all’ammasso. In base a tale criterio, non tutti i militi vengono fucilati, ma viene fatta una selezione per età. Si decide di passare per le armi dodici adulti, mentre sette giovani, spogliati, vengono lasciati liberi.
Oltre al regolamento di antichi conti aperti all’interno della comunità, si procede così a un’azione simbolica di forte deterrenza rispetto alla ricostituzione del presidio locale istituito per l’ordine pubblico e il controllo politico in paese. Al riconoscimento delle vittime del presidio, secondo il grado militare, compreso il civile Arturo Paglia, considerato uomo mite e incapace di violenza, procede il Comando di Castelnuovo Monti con una precisa nota di segnalazione di attività delle bande armate. Nella nota trasmessa alla segreteria generale si parla di sopraffazione del presidio di Cerredolo con un bottino cospicuo di circa 25 quintali di grano in 60 sacchi, portati verso la zona di Montefiorino.
Il giorno successivo la GNR reggiana provvederà immediatamente a trasportare tutti i corpi dei militi trucidati a Reggio, allestendo una camera ardente nella Federazione Fascista repubblicana di Reggio, mentre il 6 maggio si svolgono i funerali ufficiali, con massimo rilievo pubblico. L’unico funerale pubblico svoltosi a Cerredolo sarà proprio quello di Arturo Paglia, repubblichino prelevato dalla propria abitazione, condotto e fucilato all’ammasso assieme ai militi del presidio. Secondo uno schema consueto, all’azione di offensiva al presidio viene fatta seguire immediatamente un’azione di rappresaglia e di epurazione. Il giorno dopo, accanto all’ammasso, quattro giovani, militari lombardi, provenienti dalle province di Cremona e dal Comasco e fuggiti dal fronte di Montecassino, in procinto di rientrare alle proprie case vengono catturati in prossimità del Castello di Toano, a seguito di una delazione. Sono giustiziati, pur innocenti, con l’accusa di essere elementi facenti parte di bande di ribelli. Per quanto riguarda il comune di Toano, l’offensiva partigiana iniziata con l’attacco e l’annientamento del presidio di Cerredolo, si concluderà a giugno con il ritiro dei militi della GNR e l’occupazione partigiana.
 

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