Ettore Muti

Gim dagli occhi verdi

(1902 - 1943)

 

           

     
Muti nasce a Ravenna il 22 maggio 1902 primogenito di Cesare (impiegato del Comune) e di Celestina (rimasta vedova a 36 anni). Rimasto orfano all'età di 13 anni, si sente soffocato dalle premure del gineceo (due sorelle Linda e Maria) di casa. Era l'anno della guerra e Muti se ne va di casa per comparire in Cadore nelle retrovie del fronte. Scoperto e rimandato a casa se ne sta buono per due anni poi con documenti falsi si ripresenta.  A 15 anni riesce ad arruolarsi nel 6° fanteria e l'anno dopo (18) è sul Piave con gli arditi. Una notte (16 anni ma ne dimostrava di più) aveva compiuto un'impresa eccezionale: guadare il Piave e costituire una testa di ponte sull'opposta sponda col suo reparto.  Solo 22 di 800 uomini del reparto ritorneranno dai micidiali combattimenti. Romagnolo fino al midollo, spavaldo e generoso, poco colto ma intelligente, indipendente e imprevedibile, coraggiosissimo, visse sempre in prima persona i successivi roventi anni. Nel 1919 è tra i legionari di Fiume. La città viene messa sotto blocco, e Muti diventa il più famoso degli "scorridori" che si occupano di far entrare i viveri in città, forzando di notte i blocchi, e trafugandoli dai depositi del Regio Esercito. L impresa più famosa fu il furto di una mandria di muli, che venne "offerta" a D'Annunzio con una spettacolare parata. D'Annunzio lo ammette ad una delle famose e balzane prove di coraggio che qui si tenevano: buttarsi dal balcone più alto di un palazzo di 5 piani (15 m) su un telone da pompieri. Muti stravince la prova gettandosi addirittura dal tetto dell'edificio. Il Vate lo battezza allora “Jim dagli occhi verdi” e lo nomina capo dei "corsari", incaricati di assaltare piroscafi in transito per il sostentamento della città. Muti si distingue con la cattura del Cogne, nel settembre 1920. Dopo essersi nascosti per una notte intera nel tubo dell'elica, Muti e altri sei "pirati" si impadroniscono della nave diretta in Argentina e la portano in porto a Fiume, dove sarà rilasciata dietro riscatto di 12 milioni di lire. Dal 1922 diventa insieme a Frignani e Morigi capo dello squadrismo ravennate. Famosa la bravata di Sant'Arcangelo di Romagna: durante una riunione di capi socialisti Muti, da solo, a rischio di linciaggio, irrompe nella sala sfondando una finestra e facendo precipitare il lampadario. Protetto ora dall'oscurità trafuga la bandiera rossa e fugge nella notte. Ama le corse e le scazzottate ma sopratutto le donne. Nel 1924 è nominato console della Milizia. Il 13 settembre 1927 nella Piazza Vittorio Emanuele di Ravenna, Lorenzo Massaroli indirizza contro di lui tre colpi ferendolo al braccio e al basso ventre. Girato l'angolo, il destino vuole che ad incontrare l'attentatore sia l'amicocamerata Renzo Morigi, futuro oro a Los Angeles (1932) nel tiro con la pistola.  

Un giorno si presentò a casa del Presidente della Cassa di Risparmio e gli chiese, quasi con noncuranza, la mano della figlia, la bionda, alta e formosa Fernanda Mazzotti. «Se me la dà, -disse allo sbigottito genitore- va bene; se non me la dà, me la sposo lo stesso».

Muti si ristabilirà, anche dalla preoccupante ferita al basso ventre e, nel tempo degli assi del volante (Bordino, Brilliperi, Nuvolari, Ascari) prenderà di nuovo a correre, ad oltre cento all’ora, sulla sua Bugatti azzurra nel rettifilo del Savio sull'Adriatica dove andava anche a correre Enzo Ferrari. «La morte continuava a sfiorarlo, e lui ne godeva», scriverà qualcuno. Ebbe incidenti di cui, uno, particolarmente spettacolare, con l’Alfa Romeo. Non era solo un appassionato corridore motociclista ed automobilista: amava anche i fiori, i prati, il giardinaggio ed era un grande donnaiolo.

Da dagospia. Si racconta anche che la sua carriera di pilota d'aereo sia nata su un treno da Trieste a Roma. In una discussione con Ufficiali Inglesi, sull’aeronautica, lui si qualificò pilota quando non lo era. La discussione finì a pugni e finì anche davanti agli ambasciatori, ma lui divenne pilota o quasi. Detto e fatto dopo 200 ore di volo e dopo aver ridotto a mal partito diversi aerei ottenne il brevetto.  A 34 anni con il grado di tenente pilota si distingue prima in Etiopia poi in Spagna (Bombardero, uno dei suoi soprannome, sarà medaglia d’Oro). In Etiopia in mancanza di duelli aerei si lanciava sulla contraerea finendone sforacchiato o atterrava ad Addis Abeba, ancora in mano al Negus, con a fianco Ciano che aveva cambiato colore. Badoglio, che non aveva gradito quel gesto ordinò gli arresti di rigore per Muti, ordine che Mussolini naturalmente annullò. Oltre all'oro di Spagna, ben dieci medaglie d'argento e numerose altre italiane e straniere, ornavano la sua giubba azzurra.

 

 La sposerà, Fernanda e a lei sarà comunque sempre legato. Il bellissimo Muti era famoso anche per non tenere a freno la lingua, nemmeno con Mussolini. Una volta accadde che Muti fosse oggetto di attenzioni imbarazzanti da parte di uno sceicco arabo in visita. Dopo aver reagito con una raffica di botte nei confronti di questo, Il Duce lo rimproverò e gli disse :”Volete spiegarmi perché certe cose non succedono a me?”. Al che Muti lo guardò in faccia e con una risatina replicò :”Ma vu an sì miga un bell’oman coma me!” (Ma voi non siete mica un bell’uomo come me).

     
Al ritorno dalla grande guerra, indignato per le aggressioni sovversive ai reduci (quelle che, secondo Sandro Pertini, furono il più assurdo e tragico errore delle sinistre nel primo dopoguerra), lasciò i repubblicani e si iscrisse al Fascio nei primi mesi del 1921, appunto come reazione contro la canea che insultava e scherniva gli ex-combattenti. D’altronde anche Pietro Nenni, allora direttore del "Giornale del Mattino", era stato tra i fondatori del Fascio di Bologna ed uno dei cinque componenti della Giunta esecutiva di quel Fascio con Guido Bergamo, Zanetti Dino, Fontanesi Renzo e Pedrini Adelmo (cfr. "Il Popolo d’Italia", pag. 3, dell’11-4-1919). Italo Balbo, nel suo "Diario 1922", elogia Ettore Muti per il coraggio dimostrato nei molteplici scontri di quel drammatico periodo, dalla battaglia di borgo San Rocco alle lotte e rappresaglie di Fornace Zarattini, S. Zaccaria, Pievequinta, Coccolia, Cervia, Porto Corsini, San Marino... alle incursioni a Mezzano, S. Alberto, Fusignano, Villarsa. Si ricorda la memorabile ardimentosa impresa del marzo '19 quando, appreso che a S. Arcangelo di Romagna era in corso una riunione di tutte le sezioni socialiste della zona, Muti, con tre amici in moto e sidecar, si recò sul posto, entrò nel circolo, spense con un colpo di pistola il lume a carburo, staccò la bandiera rossa dalla parete e, fra lo sbigottimento dei numerosi avversari presenti, dopo aver sparato un altro colpo in aria, balzò sulla moto e se ne ritornò spavaldamente a Ravenna col trofeo strappato.  

     
Balbo, che s'intendeva di piloti, lo apprezzava e lo definiva “irripetibile Stradivario” del volo. Anche a Tirana nel 1939 atterra per primo. Nel 1939 Mussolini lo chiama alla segreteria nazionale del PNF per sostituire l'imbolsito Starace. La sua nomina desta stupore perché se gli sono unanimemente riconosciute doti militari e coraggio inesauribile, meno evidenti sono le sue capacità politiche, amministrative e "diplomatiche". Muti non era adatto per le scrivanie...".  

Il giorno stesso della nomina Muti telefonò a Ravenna all’amico federale: "Ven cun de pèn rumagnol e cun di grassul..." ("Vieni con del pane romagnolo e con dei ciccioli.."). Fra le tante battute dell’epoca circola anche questa: "Appena nominato Muti manda un telegramma a Mussolini: "Duce, guiderò il partito secondo le vostre direttive e renderò gli italiani come voi li volete, Muti".

Ricordo di un aviere poi partigiano “ .... il comandante era capace di gesti d’ira e di gesti generosi in egual misura. Sfasciava spesso gli aerei, era turbolento ma coraggioso, parlava sovente della famiglia ma altrettanto sovente cambiava amica, si trovava meglio in mezzo ai soldati semplici che fra i colleghi (gli ufficiali lo snobbavano). Qualche volta criticava senza mezzi termini quelli di Roma”.  Ricordo di Davide Lajolo Ufficiale camicia nera in Spagna e futuro direttore del quotidiano comunista l’Unità: dal Voltagabbana. (Al termine di una scazzottata coi tedeschi per questioni di donne: si era a Logrono in Spagna dove Lajolo era ufficiale delle Camicie Nere). ....  eravamo tornati ai nostri tavoli…quando la porta s’aprì .. erano 5 o 6 nostri aviatori. Davanti giganteggiava un giovane maggiore bruno con un viso aperto e il sorriso cordiale.. . era Ettore Muti. Si sedette al tavolo, si fece raccontare dove avevamo buscato tante ammaccature “l’importante è farsi rispettare. Darle e prenderle vale anche per i nemici e gli alleati” fece l’occhiolino… poi il discorso passò alla guerra…Quella sera era in vena di parlare franco. ... secondo lui si sarebbe dovuto cambiare capitale,” un po' di ritorno alle origini non guasterebbe, il ricordo di quello che erano allora ('22), farebbe bene anche ai gerarchi d’oggi che si credono tutti aquile perché le portano sul berretto… Mussolini lo sa. I ricchi non andranno mai verso i poveri se non per far loro l’elemosina, e qui a rischiare, non sono venuti”.  E’ nell’aria una ispezione ad Ancona di Muti, segretario del P.N.F.. Qui Lajolo dirige il giornale della federazione. Ciò che galvanizzò maggiormente noi giovani fu la nomina di Muti alla segreteria…l’iniezione di un uomo di coraggio ci pareva salutare. L’ispezione arriva ..”Il duce mi ha dato carta bianca e io sono del parere che soltanto affidando il partito ai legionari potremo fare qualcosa di serio…hai sempre la malattia del giornalismo !?. (rivolto a Lajolo). Va bene allora ti manderò a dirigere un vero giornale” il fatto che avesse almeno rotto gli atteggiamenti alla Starace era già considerato un passo avanti. Qualcuno dei profittatori aveva finalmente paura.. certi dignitari ora stavano sul chi vive. In noi aumentava in quei giorni la speranza di poter andare più in là nel rinnovamento.. Sui nostri giornali battevamo il ferro accentuando la polemica sociale, indicando finalmente con nomi e cognomi quei profittatori…

Muti avrebbe poi avuto anche amici  giustiziati dai fascisti e lui stesso una fine misteriosa. 
Nominalmente rimane segretario del PNF fino all'ottobre del 1940 (verrà sostituito da Adelchi Serena), ma dal 1° giugno è già a bordo per prendere parte attiva alla guerra. Fu a Rodi come base di azioni di bombardamento sugli impianti portuali di Haifa (Palestina),
poi la mirabile impresa aviatoria spinta sino alle isole petrolifere del Barhein, nel golfo Persico: un volo* di 4500 chilometri !!!, in parte notturno e su territorio nemico (vedi sotto). 

 

 

dal sito del Quirinale: Medaglia d'oro al valor militare a MUTI Ettore Maggiore di cpl. Pilota

Oltre all’oro vantava l’Ordine Militare di Savoia, 3 promozioni per merito di guerra, 10 medaglie d’Argento al V. M., 4 di bronzo al V. M., 5 Croci di Guerra, la Medaglia d’Oro spagnola, le Croci di Guerra tedesche di Prima e Seconda Classe, ecc :

motivo del conferimento Ufficiale superiore pilota, volontario fra i primi in una missione di guerra combattuta per l’affermazione dei più alti ideali fascisti, si distingueva per eccezionale attività bellica svolta con ammirevole fervore e con dedizione assoluta. Già distintosi precedentemente per valore e coraggio e sempre pronto ad ogni più rischiosa missione, eseguiva nel periodo di un anno oltre 160 azioni di bombardamento colpendo efficacemente il nemico nei più lontani e vitali obiettivi. Più volte attaccato dai caccia avversari, durante l’espletamento della sua ardimentosa attività di bombardiere, impegnava, per tredici volte aspro combattimento in condizioni di assoluta inferiorità, riuscendo sempre a respingere gli attacchi e conducendone due vittoriosamente con l’abbattimento in fiamme di due apparecchi avversari. Cielo di Spagna, aprile 1937 - aprile 1938.

Badoglio e Muti

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Alla vigilia del 25 luglio (1943) Muti è praticamente assente dalla vita politica italiana. Da tempo conviveva con una ballerina (polacca) di una compagnia di riviste, Edith Fucherova, ma che fosse innocuo Badoglio non lo pensava (ancora oggi si continua a favoleggiare da destra a sinistra, naturalmente con obiettivi opposti, i primi per una questione d'onore o per invidia di Badoglio, i secondi per giustificare l'uccisione di un golpista in nuce). Enzo Capaldo
Poco prima della mezzanotte del 23 agosto 1943 una piccola colonna di automezzi dei Reali Carabinieri parte dall’autocentro del Ministero dell'Interno: un'autovettura, un autocarro, un’ambulanza. A bordo un tenente dell’Arma (Taddei), un maresciallo in borghese (Ricci), un uomo in tuta kaki di cui nessuno saprà mai il nome - basso, stempiato, sulla quarantina, con accento napoletano
(probabilmente era l'agente di PS Francesco Abate da Ammazzate quel fascista di Arrigo Petacco, ed. Mondatori),   - e una dozzina di carabinieri armati di moschetto. Escono da una Roma deserta nella notte (vige il coprifuoco), percorrono la via Aurelia, raggiungono Maccarese. Nella periferia della cittadina lasciano l’ambulanza, che attenda il loro ritorno, e sostano alla locale stazione dei carabinieri.
 
Viene svegliato il maresciallo che la comanda, al quale il tenente chiede due militi perché facciano da guida alla comitiva fino a Fregene. Salgono sull'auto i carabinieri Contiero e Frau; la colonna riparte silenziosa nel buio, sguscia per la campagna e si ferma davanti alla piccola caserma dei carabinieri di Fregene. La comanda il brigadiere Barolat, che viene tirato giù dal letto e invitato ad unirsi alla comitiva. Perché? Risponde brusco il tenente: “Abbiamo l'ordine di arrestare Ettore Muti e lei deve condurci alla sua abitazione”. Meraviglia dell'assonnato brigadiere. Con tutto quello schieramento di forze ? Non era più semplice mandare un piantone a chiamarlo, come era stato fatto altre volte? «No», è la risposta. «Questa volta la cosa è diversa». E in effetti fu una «cosa diversa». Dopo aver imbarcato il brigadiere, autovettura ed autocarro proseguono per la strada sterrata che conduce alla pineta di Fregene, ai cui margini sorge, piuttosto isolata, la bassa villetta ad un piano che è la residenza di Muti. Fermate le macchine ad una certa distanza e spenti i motori, gli uomini vengono fatti proseguire a piedi, in colonna e in silenzio, fino alla costruzione. «Abita qui» dice il brigadiere. Bene, risponde l'ufficiale, e ordina di circondare la casa imbracciando i moschetti e di bussare alla porta. L'ordine viene eseguito, ma nella villa tutti dormono e ci vorrà qualche minuto perché la porta venga aperta.
Assonnato compare sull’uscio l'attendente di Muti, che stupefatto chiede al brigadiere Barolat, da lui ben conosciuto, il perché di quell’insolita visita alle due di notte. Ma la meraviglia gli passa di colpo quando un gruppetto di armati, tenente in testa, fa irruzione nell'interno.
«Ho un mandato di cattura per Ettore Muti. Svegliatelo e fate presto!» spiega secco il tenente. Muti era in camera da letto, e non era solo. Svegliato forse dal trambusto, compare sulla porta dell’ingresso a torso nudo, con i soli pantaloni del pigiama. Compaiono anche gli altri pochi abitanti della villetta: Concetta Verità, la cameriera, e Roberto Rivalta, un vecchio amico di famiglia di Muti. Questi si guarda intorno, apparentemente tranquillo, accenna un sorriso al brigadiere che conosce, chiede che cosa si voglia da lui. Risponde senza complimenti il tenente Taddei: «Ho l'ordine di arrestarla. Si vesta e venga con noi». Sguardo sbalordito di Muti, poi una scrollata di spalle:«Va bene, mi vesto e vengo subito». Il tenente lo rincorre mentre si dirige verso la camera da letto. Muti incomincia a seccarsi: «Tenente, so vestirmi anche da solo». E poi, spiega, nella camera c'è un'altra persona. Ma l'altro insiste e si giustifica: «Ho l’ordine di non perderla di vista neppure un minuto». Eseguita rapidamente la vestizione, Muti allunga il braccio nell’interno dell'armadio in cui pende la sua giacca di tenente colonnello pilota dell'Aeronautica, con quattro file di decorazioni sul petto. Il solerte carabiniere non gradisce, osserva che farebbe meglio a vestirsi in borghese, tanto (ma su questo particolare le versioni non concordano) «le sue medaglie ora non servono». Muti indossa ugualmente la sua giubba gloriosa, si fa preparare un borsa con un po' di biancheria e parte con l'ufficiale e con gli altri, verso la notte nera di morte. Invece di prendere la strada che conduce a Fregene, sulla quale erano rimasti gli automezzi, la comitiva si dirige a piedi, in colonna, nella direzione opposta: quella che porta alla pineta. In testa alcuni carabinieri, nel mezzo Muti affiancato dal Maresciallo Ricci e dal carabiniere Frau immediatamente alle sue spalle, a due passi di distanza, il misterioso uomo in tuta kaki; e in coda, un po' distanziato, il tenente con gli altri carabinieri. Alcuni minuti di marcia silenziosa nei viottoli della pineta; poi Muti si ferma. Evidentemente l'illogica direzione verso cui lo stanno portando fa nascere in lui qualche sospetto. Ma non ha tempo per approfondirlo. Nella notte fonda del bosco si ode un fischio, poi un altro, poi la sua voce che grida: «Ma insomma, che fate? Sono un italiano!» Il tutto viene sommerso da alcuni scoppi di bombe a mano, raffiche di mitra, confuso fuoco di fucileria. Due, tre minuti di bolgia infernale, al termine della quale Ettore Muti giace al suolo, nell'immobilità della morte. Erano circa le tre di notte del 24 agosto 1943….. su un messaggio scritto da Badoglio al capo della polizia Senise, che Senise nega di aver ricevuto e che non è stato trovato (ma c'era bisogno di scriverlo?): «Muti è sempre una minaccia. Il successo è possibile solo con un meticoloso lavoro di preparazione. Vostra eccellenza mi ha perfettamente compreso».
 

Ben diversamente venne, dopo l'8 settembre, sfruttato il suo nome a sproposito e contro lo stesso intendimento della famiglia e della moglie per dare il nome a fanatiche bande e brigate di cui lui non non avrebbe mai fatto parte. Ci fermiamo qui (andate avanti voi) su un fatto che è divenuto a tutti gli effetti un giallo nazionale (uno dei tanti della repubblica del silenzio) e che richiederebbe ai fini storici ulteriore tempo prezioso.

Il duca d'Aosta si complimenta con Muti. Non è Muti ad essere piccolo è il duca che è alto*L'idea del bombardamento alle Isole del Barhein nasce a Superaereo: Muti accetta immediatamente la proposta e chiede il sostegno del Gen. Pricolo, capo di S.M. della Regia Aeronautica, che gli promette quattro S 82 a condizione che il piano di volo venga attentamente studiato. Viaggiare con oltre 3 tonn. di sovraccarico non era impresa semplice, considerando la bassa velocità di crociera consentita (meno di 300 km/h) una semplice brezza contraria di 30 km/h avrebbe significato terminare la missione in pieno deserto arabico. A queste difficoltà oggettive se ne aggiunse una di natura politica, l'incolumità di Muti, segretario del PNF preoccupava i vertici più della contraerea nemica. Quando Pricolo esternò tale preoccupazione al Duce, ebbe la seguente risposta "se Muti pensa di potercela fare, lasciatelo fare” La conferma tecnica della fattibilità da parte del Gen. Bernasconi diede il via ufficiale alla missione. I velivoli decollati da Ciampino il 14 ottobre 1940 atterrano a Gadurrà (Rodi) e nei giorni seguenti effettuano le simulazioni con fusti d’acqua a bordo. Tuttavia il vantaggio offerto dalla pista,ossia il decollo immediato a livello mare verso est, viene annullato da un forte vento da Ovest. La pista è in direzione est-ovest ed i velivoli si troverebbero col vento in poppa. Bisogna invece decollare col vento in prua ossia verso le colline e poi virare di 180°: bisogna inoltre decollare al tramonto di un giorno di luna piena ossia il 18. Con carichi via via crescenti per l'ultima virata sopra le colline bisogna dare fuori giri ai motori ben oltre il limite previsto dalle prescrizioni tecniche. Avrebbero retto i motori ? Seguiamo ora il racconto della missione che ne fa uno dei protagonisti: il Cap. Paolo Moci: 

 http://www.dodecaneso.org/aeroporti3.htm

     
«Dopo il decollo, quando in formazione completa iniziavamo la navigazione in salita verso il Libano, mi accorsi che ero tutto sudato come se fossi uscito da una sauna! Ma ero sereno, rilassato e soddisfatto: ce l’avevamo fatta!..Alle ore 18,35 raggiungiamo la quota ottimale di navigazione: metri 3.000. Sopraggiunge presto la notte. Intravediamo sulla nostra sinistra l’isola di Cipro e correggiamo la rotta per la presenza di forte vento da Ovest. In quel momento stavamo volando sopra un banco di nubi a carattere temporalesco: lampi frequenti illuminavano vistosamente per un attimo il dorso dei cumuli nell’oscurità della notte, poi tornava il buio. Poco dopo la luna si presentava alla nostra vista e di colpo aumentava la visibilità. La presenza delle nubi l’aveva occultata fino quel momento, alle 20.00~riconosciamo Beirut, e venti minuti dopo Damasco: questo è l’ultimo punto di riferimento, dopo di che deserto, fino alle coste dell’obiettivo. Navigazione tranquilla per un certo tempo e poi saliamo a quota: metri 3500, per superare formazioni cumuliformi. Poco dopo, alle ore 22,30 Federigi (l’ex bersagliere) informa di aver perduto il contatto visivo con la formazione. Per agevolare i gregari nel tenerci d’occhio durante il volo notturno avevo fatto dipingere sulle nostre ali due grossi rombi bianchi, illuminati con due lampade che rendevano visibili l’aereo anche da lontano. Avevo anche previsto, in caso di perdita di contatto visivo, una procedura di ricongiungimento, consistente in un’emissione radio del capo pattuglia, a potenza di antenna ridotta, che avrebbe consentito ai gregari. dotati di radiofaro di ricollegarsi nuovamente con noi. Non mi preoccupavano né gli avvistamenti né le intercettazioni radio nemiche, perché avevo calcolato che, dopo le prime ore di volo, salvo nella zona d’arrivo, non avremmo dovuto incontrare caccia avversari. Alle 22,40 Federigi. aiutato dalla nostra trasmissione, è nuovamente in formazione. La visibilità è diminuita per l’aumento della foschia, tanto che Federigi e Zanetti perdono il contatto con la formazione. Ma 20 minuti dopo con la solita procedura, sono di nuovo in pattuglia. Alle ore 24.20 siamo sulla costa del Golfo Persico, e riconosciamo Dohat-Az-Zar. dirigiamo verso l’obiettivo. Alle ore 01,90 aumenta ancora la foschia, riduciamo a quota di 1000 metri per non perdere il contatto con il terreno. Alle ore 0,30 ancora emissione d’antenna per agevolare il velivolo n. 4 (Federigi) a mantenere la formazione. La visibilità è effettivamente scarsa. Per questo scendiamo a quota 1500 metri e così possiamo riconoscere la città di EI Katiff. Alle ore 02.00 con l’aiuto di alcuni fari in funzione, riconosciamo le isole Bahrein e un quarto d’ora dopo siamo su Manaua. Alle ore 02.20 tiriamo sulla raffineria, ben identificata perché illuminata a giorno. Anche Manaua e Mubarrak sono illuminate. Roma dalla cabina di puntamento vede i bagliori delle esplosioni delle nostre bombe sulla raffineria e dintorni. Per garantire la simultaneità del tiro delle bombe dei gregari con le nostre, usammo l'accorgimento di accendere una luce molto appariscente sulla cabina di puntamento nell’attimo dello sgancio del primo grappolo di bombe. Lanciammo sull’obiettivo 132 bombe da 15 Kg !!!. l’una, cioè bombe relativamente piccole per consiglio dei tecnici della nostra Direzione Generale delle Armi e delle Munizioni: essi le ritennero più adatte, essendo numerose a provocare danni diffusi agli impianti da colpire. In effetti, dalle informazioni successive venimmo a conoscenza dopo qualche giorno, di aver provocato seri danni alle strutture di raffinazione. L’aeroporto di Manaua, sentendo aeroplani in volo, non pensò nemmeno per un attimo all’ipotesi che fossero nemici ed accese le luci della pista per agevolare l’atterraggio ma le chiuse immediatamente subito dopo il nostro bombardamento. Dirigiamo quindi in rotta per Massaua (a destra Africa Orientale) e lentamente riprendiamo quota. La visibilità è notevolmente migliorata. Alle 6.20. vediamo davanti a noi una serie di catene montuose con andamento generale Nord-Sud. Sono le montagne che ci separano dalla costa del mar Rosso, sotto i noi, sul terreno i primi rari segni di vegetazione. Sul nostro traverso a destra, verso Nord, c’è la Mecca e Medina. Eravamo tranquilli: i motori andavano bene e non avevamo nessuna intenzione di scendere per cogliere.., qualche fiore del deserto. Alle ore 7,30 siamo sulla verticale della costa: sotto di noi c’è l’abitato di Wakla e riconosciamo l’isoletta di Simer.  Rinunciamo a dirigere su Massaua e poggiamo verso Zula  perché l’aeroporto di quella città è sotto bombardamento (Massaua). La presenza di forze aeree avversarie in zona ci suggerisce di portarci subito in volo radente sul mare per evitare, se possibile, sgraditi incontri con i caccia nemici: i nostri aerei sarebbero sicuramente perdenti in un combattimento con i «Gloster Gladiator» che vi stavano operando. Alle ore 8.25 siamo sull’isola di Gahbihu del gruppo delle Dahlak e dopo 20 minuti atterriamo a Zula. Il vento favorevole nel primo tratto del volo ci consente di giungere all’atterraggio con una sufficiente riserva di benzina; avevamo chi più e chi meno un’autonomia residua di circa 30 minuti. In mattinata abbiamo la visita del Duca d’Aosta che si trattiene con noi un paio d’ore».  

"Se Muti pensa di potercela fare, lasciatelo fare” Mussolini

 

Gli equipaggi ritorneranno poi in patria via Libia sorvolando il Sudan inglese e facendo scalo a Kufra: 

 

Per saperne di più http://members.xoom.virgilio.it/aurora/11inserto.htm 
http://www.mursia.com/testimonianze/ettore_muti.htm  Gim Il gerarca scomodo
 

 

SM 82 che vola con le insegne tedesche

   
 

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