LA SECONDA GUERRA MONDIALE

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Maria Pasquinelli, la maestra d'Italiano

 

Sono nata a Firenze con altri due miei fratelli, in via delle Panche. Mia madre era bergamasca e di questa gente io ho la spregiudicata schiettezza. Mio padre invece era marchigiano, di Jesi (Il padre aveva lavorato nei campi della grande guerra per recuperare le salme, che sarebbero andate a formare il sacrario di Redipuglia e lei spesso lo seguiva)

I polesani (di Pola) che tanto hanno creduto e riposto fede nella Patria, sono al massimo della disperazione dopo la notizia del trattato * di pace. Improvvisamente, dalla folla assiepata in Via Carducci per la rassegna militare britannica, esce una giovane donna che estrae dalla borsetta una rivoltella e spara tre colpi, in rapida successione, contro il generale inglese Robin W. De Winton. I soldati britannici rimangono per un lungo momento sbigottiti e tardano a reagire: solo uno di loro si avvicina a Maria Pasquinelli, la disarma e l'arresta. 

Volantino di rivendicazione che fu trovato addosso a Maria Pasquinelli al momento dell'arresto dopo l'uccisione del comandante inglese della piazza Robin W. De Winton...”da carpe diem”

"Seguendo l'esempio dei 600.000 Caduti nella guerra di redenzione 1915-18, sensibile come Sauro all'appello di Oberdan, cui si aggiungono le invocazioni strazianti di migliaia di Giuliani infoibati dagli Jugoslavi, dal settembre 1943 a tutt'oggi, solo perché rei di italianità, a Pola irrorata dal sangue di Sauro, capitale dell'Istria martire, riconfermo l'indissolubilità del vincolo che lega la madre Patria alle italianissime terre di Zara, di Fiume, della Venezia Giulia, eroici nostri baluardi contro il panslavismo minacciante tutta la civiltà occidentale. Mi ribello, con il proposito fermo, di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi, i quali, alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d'Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o, con la più fredda consapevolezza che è correità, al giogo jugoslavo, oggi sinonimo per le nostre genti, indomabilmente italiane, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio"

palazzo di Diocleziano a  Spalato

Dalle sue parole. Quanto tempo è rimasta in carcere? «Ho fatto tre anni a Perugia, sei o sette mesi a Venezia e il resto dei 17 anni, sette mesi e 20 giorni a Santa Verdiana a Firenze. Sono uscita nel '64, il 22 settembre». Da allora Maria, che ha 90 anni, vive a Bergamo con una sorella. 

Laureata in pedagogia, allo scoppio della 2a guerra mondiale diventa crocerossina e viene mandata in Cirenaica con i nostri combattenti: rimpatriata, probabilmente per indisciplina, viene mandata a Spalato ad insegnare. Sono gli anni più difficili per la comunità italiana che subisce le minacce degli slavi, sia rossi che neri che hanno obiettivi diversi per il dopoguerra in quella fetta di Dalmazia italiana.  Dopo l’8 settembre, la lotta è tutti contro tutti per diversi giorni. A Cattaro la divisione "Emilia" combatté per tre giorni contro i tedeschi. A Ragusa i tedeschi entrarono il 10 dopo alcuni scontri. A Spalato i partigiani precedettero i tedeschi e vi rimasero dal 10 al 27, lo stesso a Zara. Nei 17 giorni che restarono a Spalato i partigiani Titini si diedero da fare annunciando a cose fatte la fucilazione di circa 30 persone in due turni. I tedeschi, ripresisi dalla defezione italiana, controllavano ora le città e le vie di comunicazione più importanti. A Treglia (Trlj) decimavano gli ufficiali della divisione "Bergamo" per aver trattato con i partigiani ed aver loro ceduto armi e magazzini. Gli altri erano già sui vagoni per i lager. Il palazzo di Diocleziano a SplitIl 9 ottobre Maria Pasquinelli otteneva dal Comando Piazza tedesco di procedere alla riesumazione ed al riconoscimento delle salme dei condannati a morte dal Tribunale militare partigiano. Da “tre” fosse alla fine sortirono i cadaveri di 115 persone. A controllare la situazione non sono ora solo i tedeschi ma anche gli Ustascia, tenuti fuori dagli italiani per oltre 2 anni e coi quali hanno anche loro conti da regolare. I ns. creditori più importanti erano quindi saliti a 3, Titini, Ustascia e Tedeschi. Pure Maria in quei 17 giorni viene prelevata dai partigiani di Tito, ma di quello non ama parlare. Quando la situazione si “normalizza” tenta con mezzi di fortuna, in un lungo e pericoloso viaggio, di raggiungere Trieste. Qui il suo operato non si discosta da quello di Spalato e da quello del padre. Il lavoro di recupero non manca certo. Il suo essere italiana, in un territorio che i tedeschi hanno già destinato a provincia del Reich infastidisce i comandi. Maria cerca collegamenti con tutte le formazioni armate, siano esse repubblicane o partigiane come la Osoppo, purchè italiane. Qualcuno si disse aveva un canale diretto di contatto e informazioni col governo del Sud, la marina Repubblicana di Borghese e quella ormai inesistente anglo-italiana?. Questa in parte una delle cause che portarono allo scontro fisico fra la Osoppo e il IX Corpus sloveno di Tito, da cui scaturì anche la successiva strage di Porzus del gennaio 45 (vedi altro capitolo). La guerra ha infine termine ma non la sua. A Trieste si installa nel marzo del '46 il nuovo Governatore, il Generale inglese Sir Terence Airey, che si rivelerà filo-italiano. L’Italia firma il trattato di pace* e consegna tutta la Dalmazia e l’Istria agli Jugoslavi (con dentro gli italiani). Solo Trieste mantiene quello status sospeso di Amministrazione provvisoria militare in zona A (anglo-americana) comprendente Trieste e i cinque piccoli comuni contermini di Duino-Aurisina, Sgònico, Monrupino, San Dorligo e Muggia, e l'altra, la Zona B, è divisa dagli Jugoslavi in due unità amministrative: la Kòpršcina (area di Koper = Capodistria, poi slovena) e la Bùjština (area di Buie, croata) rompendo di fatto l'etnia istriana, la più consistente dopo l'Italiana. Anche oggi, dopo le note vicende "UNITARIE" del vicino confinante, il confine fra sloveni e croati passa di qui.

A celebrare Tito ormai restano (oggi 2010) solo gli Italiani (una granparte) che vedono in lui ancora un faro politico, una guida spirituale al recupero dell'unità nazionale, costi quel che costi.

Foiba: imbutoio

Vignetta di Forattini

Il processo a Maria Pasquinelli segue tempi anglosassoni non italiani e dopo due mesi è emessa la condanna a morte. Anche il suo difensore, l'avvocato Luigi Giannini, medaglia d'argento al valor militare, che cerca per lei delle attenuanti viene smentito da Maria. A chiedere la grazia che lei non vuole ci pensano le altre donne di Trieste. Un giornalista inglese scrive di lei: "molti sono colpevoli del dramma istriano. La popolazione non trova nessuno che la comprenda". La rivolta degli studenti viene soffocata dalle truppe del GMA che destituiscono anche il rettore. La pena commutata in ergastolo verrà scontata in Italia. Passerà in carcere 17 anni per aver ucciso un Inglese (quando (oggi) per un italiano non te ne danno neanche 5). Incomincia l'esodo degli Italiani di Pola. Partiranno 25.000 abitanti su 32.000. Assieme ai Polesi, emigreranno dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia occupate dagli Jugoslavi 350.000 persone, lasciando case e averi. Altre 20.000 sono risultate vittime della ferocia jugoslava, uccise e precipitate nelle foibe. I profughi istriani e dalmati saranno accolti con viva ostilità in Italia dalla sinistra temendo la loro testimonianza sulla realtà del radioso mondo di Tito. Anche De Gasperi (primo fra gli irredenti) e i democristiani considerano con disappunto l'esodo istriano-dalmato, perché lo spopolamento dell'Istria ne compromette l'italianità, dando vigore alla pretesa jugoslava di attribuirsela per sempre.  http://xoomer.virgilio.it/adriacus/archivio/pasquinelli2.html            

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