ROMOLO GUERCIO

La corsa reggimentale non è soltanto un allenamento: soprattutto vuol essere una tradizione. Solo in caso di pioggia battente sarà sospesa.

           

Questo diceva un ordine del giorno, firmato dal Col. Guercio nel lontano 1955. Così la raccontava Leandro Bertuzzo Capofanfara negli anni successivi al 3° Bersaglieri di Milano. E così, tutte le mattine, sveglia alle 4,30: gli squilli argentini della tromba interrompevano sogni consolatori, cancellavano d'un botto illusioni sospese a mezz'aria, trattenute dall'umido respiro dei giovani addormentati. Alle prime note bisognava "schizzare" dalle brande senza indugi; occorreva lasciare quelle lenzuola a malapena asciugate dal calore del proprio corpo nel corso della breve notte, quelle coperte bagnate dal respiro divenuto ormai rugiada. Schizzare perché era lui stesso salendo la fune che dava personalmente la sveglia alle compagnie entrando ai vari piani nelle camerate attraverso le finestre. Ma allora non c'era tempo per pensare: nei tre minuti di cui disponevamo, riuscivamo a stento ad indossare il maglione da ginnastica, i pantaloni e le scarpe e già la tromba chiamava l'adunata. Dalle finestre spalancate, come d'incanto, apparivano grappoli di bersaglieri: si lasciavano scivolare lungo grosse funi, il più velocemente possibile, per non far "saggiare" alle proprie mani il morso delle scarpe del compagno che seguiva. 4,33: "presentazione dei reparti al colonnello. 4,35: la prima compagnia, di corsa, usciva dalla porta carraia: Corso Italia, capolinea del tram numero 3, parco Ravizza. .. Il passo veloce e ritmato dei bersaglieri risuonava sul!' asfalto, rimbalzava sui muri delle case, si diffondeva per le strade della città (Milano) addormentata. Dallo spiraglio di qualche finestra filtrava un tremulo raggio di luce: qualcuno sbirciava. Infatti il nostro passaggio indicava l'orario a quei cittadini obbligati dal lavoro ad affrontare la giornata prima del sorgere del sole. Dopo non più di mezz'ora dalla prima nota della sveglia, eravamo di ritorno nel cortile della caserma, ad affrontare la risalita delle funi per ritornare in camerata: era passata! Ora non sembrava neppure realtà.
Il comandante non aveva figli e, lasciata la moglie a Roma per dedicarsi maggiormente al suo reggimento, soleva dormire nella stessa brandina da campo usata in guerra (Spagna e Russia poi ilo Corpo di Liberazione Italiano) che lui stesso si preparava ogni sera nel suo ufficio, ai piedi della bandiera, e che al mattino dopo, regolarmente, smontava. La sua marcia celere del venerdì si effettuava di notte, per squadre singole e isolate. Ogni comandante di squadra riceveva dallo stesso colonnello, all'atto della partenza, una busta sigillata contenente l'itinerario da percorrere e l'orario per i punti di controllo transito. Al mattino dopo, al rientro dalla marcia, si salivano le funi, ci si cambiava in tenuta da ginnastica e, dopo una veloce colazione, si affrontava …. la reggimentale, manco a dirlo. Intanto, giorno dopo giorno, l'estate passava e l'autunno imminente rendeva ormai pungente l'aria del primo mattino. Con il naso appiccicato ai vetri delle finestre, ogni giorno, speravamo invano nell'arrivo della "pioggia battente". Finalmente, "un bel mattino", vedemmo una pioggerella fittissima, una coltre di goccioline quasi di nebbia, riempire lo spazio vuoto del cortile. Ci attraversò un brivido di piacevole speranza: già pregustavamo un' ritorno furtivo tra le lenzuola ancora tiepide: speravamo di rubare qualche minuto all' attenta sorveglianza dell'ufficiale di giornata,quando, inesorabilmente, la tromba suonò l'adunata.
Dovemmo precipitarci alle funi rigonfie ed indurite dall'acqua. In mezzo al cortile si intravvedeva a malapena la figura del colonnello, a capo doppiamente scoperto, per la mancanza dei capelli: ritto, davanti alle compagnie schierate, dichiarava imperterrito di non sentire assolutamente la pioggia "battere". Certo, abituato al grandinare dei proiettili sui campi di battaglia, quando comandava il 18° battaglione Goito nella guerra di liberazione, non poteva considerare "battente" quella pioggia ... Rientrammo bagnati fradici: lasciammo "impronte" d'acqua e di fango dovunque; quel giorno la "corvée" dovette faticare parecchio per fare pulizia. E venne novembre: già da venti giorni il reggimento si trovava trasferito a Novara; avevamo lasciato Milano con tanta tristezza: nel percorrere per l'ultima volta quelle strade così ben conosciute, per recarci dalla caserma alla stazione, tra un'ala generosa di folla, provammo una stretta nel cuore, un certo che di malinconia! Anche a Novara avevamo trovato un nugolo di popolo ad attenderci: corso Mazzini era tutto un tappeto di fiori! Ma l'ambientamento era difficile, diversa la città; le strade, allora scarsamente illuminate, la sera piombavano nella fitta nebbia, in un buio fatto di un bianco quasi opalescente, che rendeva le vie ancora più sconosciute. Ci venne in aiuto il nostro colonnello; già in precedenza aveva provveduto a far sistemare le corde lungo la facciata interna della caserma, e ordinò che alle 5 (Orario invernale) la tromba ci desse la sveglia. Subito dopo, l'adunata e, con il maglione da ciclista tirato su sino all' attaccatura dei capelli, eravamo pronti per esplorare la città semiaddormentata. Ma, la nebbia? Nessuna paura! Aveva provveduto anche a quello; ogni compagnia aveva in dotazione due lanterne, una bianca in testa al reparto ed una rossa in coda, come i treni.
Così conoscemmo le vie che portano all' ospedale militare, al cimitero, la lunga circonvallazione che avvolge un terzo della città sino a largo Leonardi, la salita di corso Roma, per finire aggrappati alle funi di una caserma ancora più alta di quella di Milano. Per alternare il passo alla corsa il colonnello ordinò che fossero dipinti in bianco dei segnali sui muri delle case: una freccia per il passo ed una freccia con due cerchi per la corsa; abbiamo dovuto attendere la primavera per riuscire a vederle!. Non altrettanto i proprietari di casa. La fervida mente del nostro comandante non aveva ancora esaurito tutte le sue idee. Con l'arrivo della "buona stagione" (per lui il mese di febbraio), decise che la "corsa reggimentale" per le vie della città, dovesse essere allietata dalla fanfara. Così, ogni mattina, la fanfara, in testa al reggimento, con note e moccoli dei residenti, cadenzava il ritmo della corsa con la musica più tradizionale del Corpo. Durante le notti tanto frequenti erano gli allarmi per il pronto intervento e così tempestive erano le adunate da costringerci ad andare a letto addirittura vestiti. Ufficiali e sottufficiali poi erano in costante stato d'allarme. Una sera, il colonnello avverti l'ufficiale di picchetto che usciva per recarsi al cinema Missori. La voce si sparse nei circoli e ci fu un certo rilassamento nei battaglioni, che caddero ignari nel tranello. Il comandante, invece, imboccata l'autostrada per Verona, sede del 25° battaglione, piombò all'improvviso nella caserma di Montorio e, fatto dare l'allarme, le compagnie, al comando dei soli sottufficiali di giornata, uscirono dalla caserma in pochi minuti, con armamenti e mezzi, raggiunti precipitosamente dai vari ufficiali, strappati di colpo dalle loro abitazioni. Arrivati lungo l'Adige dette ordine di guadare il fiume con tutti i cingolati. Avvennero cose spettacolari: bersaglieri che al centro del corso d'acqua spingevano le asmatiche cingolette Bren Carrier fino all'altra sponda. Un motociclista che aveva abbandonata la moto a causa di un principio d'incendio per un ritorno di fiamma, vide il suo colonnello togliersi il giubbotto di pelle e con esso precipitarsi urlando a smorzare l'incendio. Quel gesto galvanizzò tutto il battaglione. l bersaglieri gareggiarono in coraggio e temerarietà nel guado del fiume. Un altro motociclista, vista l'esitazione del suo collega, prese la rincorsa e saltò dritto, a tutto gas, in mezzo all'Adige, meritandosi così un elogio sull'ordine del giorno. In seguito anche il 18 e il 20° battaglione dovettero affrontare la stessa prova, attraversando il Ticino nella zona di Turbigo.
Scrisse vari libri sull'addestramento; propose ed ottenne dallo stato maggiore innovazioni nei reparti, come la costituzione di un plotone bersaglieri esploratori montati su carri armati M 24. Su uno di quei carri, il giorno in cui dovette per forza di legge cedere il comando del suo reggimento, egli salì a bordo e, guidandolo personalmente, a sirena spiegata, uscì dalla caserma. Nessuno lo vide più. Come Pontieri morirà prematuramente

Comandanti del 3° Reggimento Bersaglieri dal ‘40 al ‘56
02/10/1940 - 05/08/1942 colonnello Aminto Caretto
06/08/1942 - 14/12/1942 colonnello Ercole Felici
15/12/1942 - 21/12/1942 colonnello Luigi Longo
01/07/1943 - 08/09/1943 colonnello Luigi Demicheli
01/07/1946 - 30/11/1946 colonnello Remo Corradi
01/12/1946 - 04/11/1947 colonnello Luigi Demicheli
05/11/1947 - 04/01/1949 colonnello Bruno Bottai
05/01/1949 - 01/02/1950 colonnello Siro Bernabò
02/02/1950 - 30/09/1951 colonnello Alfonso Checchia
01/10/1951 - 31/10/1952 colonnello Tomaso Calise
01/11/1952 - 19/11/1953 colonnello Corrado Porzio
20/11/1953 - 20/01/1955 colonnello Francesco Caruso
21/11/1955 01/02/1956 colonnello Romolo Guercio

LA GUERRA DI LIBERAZIONE COL BATTAGLIONE GOITO
Ai Comandanti di battaglione. Ten. Col. Briatore, Ten. Col. Sampò, Maggiore Rossetti, Maggiore Guercio, al mio Aiutante Magg. Maggiore Rasero, a tutti i Comandanti di compagnie e subalterni dei battaglioni alpini “Piemonte” e “L’Aquila” e del battaglione bersaglieri “Goito” a tutti i sottufficiali, graduati, alpini e bersaglieri, che con tanto valore e tanti sacrifici, riportarono al sole della vittoria il tricolore della Patria, giunga il mio più affettuoso ricordo e l’espressione della mia più viva ed imperitura riconoscenza.

Gen. C.A. Galliano Scarpa già comandante del Reggimento fanteria speciale “Legnano”.


Il reggimento Fanteria speciale si costituisce il 1° ottobre 1944 in Piedimonte d'Alife per il Gruppo di Combattimento "Legnano", per trasformazione del 3° reggimento alpini al comando del colonnello degli alpini Galliano Scarpa. Lo costituiscono il battaglione alpini "Monte Granero", ottenuto per trasformazione dell'omonima batteria di artiglieria alpina, battaglione alpini "Montenero", già "Piemonte", battaglione bersaglieri "Goito" nel quale confluiscono i resti del 4° reggimento bersaglieri, compagnia cannoni controcarro da 57/50, ottenuta dal V battaglione controcarri, compagnia mortai da 76. L'ordinamento del reggimento viene più volte manipolato ed infine entra in linea con i battaglioni "Goito" bersaglieri, "Piemonte" alpini (già "Montenero") e "Abruzzi" di nuova costituzione che dal 25 novembre diviene "L'Aquila".

 

.... QUANTA STRADA E QUANTI SACRIFICI AVETE FATTO ... IN SILENZIO COME SEMPRE, SENZA RECLAME GIORNALISTICA, SPESSO IGNORATI DAGLI STESSI ITALIANI, AVETE RISALITO PASSO PASSO TUTTA LA PENISOLA, BAGNANDO DI SUDORE E DI SANGUE OGNI METRO DEL SUOLO PATRIO, AFFINCHÉ ESSO VENISSE RISCATTATO....

 

Il Maggiore comandante del battaglione ROMOLO GUERCIO

GRUPPO DI COMBATTIMENTO *LEGNANO* -REGGIMENTO FANTERIA SPECIALE
COMANDO BATTAGLIONE BERSAGLIERI *GOITO* P.M. 155, li 22 Maggio 1945
discorso del comandante
http://www.dalvolturnoacassino.it/LI/DOC/GOITO_maggiore_GUERCIO.pdf 


LA LIBERAZIONE DI BOLOGNA
I soldati del Cil vengono svestiti delle vecchie divise del Regio Esercito e dotate di abbigliamento inglese che non tragga in inganno con similari reparti del nord del neo ricostituito Esercito Repubblicano. Le divise non sono sempre bene accette ma agli alpini e ai bersaglieri è permesso montare le mostrine proprie e la o le penne.
Anche l’armamento è inglese e inglese diviene la tattica, per cui necessita un particolare addestramento. I mesi invernali in provincia di Benevento vengono utilizzati per manovre a fuoco anche se il clima è inclemente come nel resto d’Italia. A Dicembre 1944 salgono più a nord a Bracciano dove continua, sempre più duro, l’addestramento. Dopo una pausa in provincia di Siena il reggimento viene schierato in marzo in Val d’Idice (Passo della Raticosa), da dove si apre alla vista la pianura padana. Il 19 aprile c’è il sanguinoso attacco a q. 363 di Poggio Scanno. la quinta compagnia viene decimata e il plotone arditi arriva sulla quota con soli cinque uomini. Cadono, tra gli altri, il sergente maggiore Fausti, già decorato di medaglia d’argento al valor militare, e l’eroico sergente Luigi Sbaiz, reduce dal fronte russo: gravemente ferito, ordina a un suo bersagliere di recidergli l’arto semitroncato e, agitando il piumetto, col quale chiede di essere sepolto. A questo punto viene ordinato alla settima compagnia di scavalcare la quinta e i resti del plotone arditi e di proseguire verso Casola Canina e la via Emilia. La strada ormai è aperta, ancorché non sgombra. La linea Gotica non esiste più e il 21 il battaglione entra a Bologna da Porta Maggiore poco prima delle nove. Il maggiore Guercio ordina alla piccola fanfara di dar fiato alle trombe e in piazza Re Enzo squillano le note delle più trascinanti canzone bersaglieresche, in un repertorio terminato, tra le ovazioni, con il flic-floc a passo di corsa. Il 29 aprile il Goito è a Brescia e il 30 successivo a Bergamo.

L'UNIFORME

Da Rivista Marittima: verso la fine del 1945, il comandante del Battaglione Bersaglieri Goito, maggiore Romolo Guercio, apportò una personale variazione all’uniforme, imponendo l’uso del fez anche agli ufficiali subalterni, allo scopo di avvicinarli alla truppa: per quanto assolutamente non regolamentare, si trattò di un primo rudimentale segno del carattere davvero democratico delle Forze Armate del regime post-fascista, ottenuto attraverso il ricorso a un simbolo tradizionalmente condiviso. Non fu questo il solo intervento sull'uniforme di Romolo Guercio. Negli anni cercò di ridare alla figura del bersagliere una serie di regole mediate dall'antico e dai tempi moderni, tempi che erano passati attraverso una guerra e a una rivoluzione sia in campo tecnico che sociale. La si trova elencata alla pagina http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/tradizioni.htm


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