RODOLFO GRAZIANI

1882 - 1955

  

Spunti da un testo pubblicato dal circolo Tiburtino Portonaccio di A.N di Giuseppe Rossi.

Rodolfo Graziani nacque l’11 agosto 1882 a Filettino, nella Valle dell’Aniene da famiglia numerosa che lo indirizzò a studi religiosi nel seminario di Subiaco. Rodolfo, al contrario della indicazione, mostrò invece amore per l’avventura, durante gli anni del liceo collegiale.  In lui si era sviluppata la tendenza alla carriera militare cancellando un eventuale sacerdozio a cui non aveva mai pensato: non era molto attratto dalla politica, anche se dal padre era stato educato ai principi monarchici.  A causa delle non floride finanze, non frequentò la scuola militare ma fece il servizio militare di leva nel plotone allievi ufficiali del 94° Fanteria in Roma. Il I° maggio 1904 fu nominato sottotenente e destinato al 92° a Viterbo. Pur candidato a un concorso pubblico, lo disdegnò per proseguire come ufficiale effettivo nel I° Reggimento Granatieri di Roma: era il 1906. Nel 1908 fu destinato in Eritrea, dove entrò in contatto con quel deserto che aveva già infiammato la sua fantasia di adolescente, e dove imparò in fretta l’arabo e il tigrino. Destinato al primo battaglione coloniale, con sede ad Adi Ugri, vi rimase quattro anni fino al suo incidente con un serpente velenoso che per oltre un anno lo vide combattere tra la vita e la morte. Nel 1913 sposò Ines Chionetti, amica d’infanzia, e sei mesi dopo era già in Cirenaica a combattere. L’unica figlia infatti nacque alla vigilia della partenza, dell’allora Capitano, per la Grande Guerra da cui rientrò con l’aureola dell’eroe. Più volte ferito, decorato al valore, promosso per meriti di guerra, citato nei bollettini militari e nei diari storici delle varie grandi unità a cui era appartenuto. Aveva 36 anni: il più giovane colonnello dell’Esercito Italiano!. Rientrato in Italia con il 61° Fanteria, che egli comandava in Macedonia, tornò a Parma, sede Reggimentale, dove prese contatto suo malgrado, con l’infuocato ambiente politico parmigiano dell’oltretorrente. A Parma il Colonnello Graziani venne segretamente condannato a morte dal comitato rivoluzionario, reo di aver assunto un’ atteggiamento risoluto contro gli sbandati, per ricondurli all’ordine.

1. La Repressione

Nell’ottobre del ’21, dopo due anni di distacco per riduzione quadri, e dopo alcuni tentativi di darsi al commercio con l’oriente, Graziani accettò la proposta, fattagli dall’allora Ministro della Guerra, di andare in Libia. Durante la guerra vennero chiusi tutti i presidi e di fatto il territorio era ritornato in mano agli arabi, ora però non più spalleggiati dai turchi. Graziani, destinato a Zuara, ebbe inizialmente funzioni puramente militari, ma quando le operazioni presero un raggio di grande ampiezza, divenne uno dei migliori esecutori della politica interna. Fino al 1929 egli, con il grado di Generale di Brigata, continuò ad esercitare funzioni politico-militari nella progressiva avanzata dapprima verso la Sirtica e poi verso il Fezzan. Nominato Vice-Governatore della Cirenaica tradusse in atto, con mano oltremodo ferma, le direttive impartitegli, riformando su nuove basi il corpo di truppe coloniali, imprimendo maggior vigore alle operazioni, stroncando ogni connivenza con i ribelli. Nel marzo 1934 il Generale Graziani consegnò la Cirenaica completamente pacificata ed etnicamente riordinata al nuovo Governatore Italo Balbo. Tale operazione gli valse, da parte del Ministro delle Colonie, la citazione quale benemerito della Patria nei due rami del Parlamento. Nel frattempo, nel ’32, era stato promosso Generale di C.D.A per “meriti speciali”; aveva allora 50 anni e venne destinato ad Udine. Alla fine del ’34 il nostro Governo, dopo molte esitazioni, decise di liquidare la situazione etiopica, divenuta sempre più acuta; e nel febbraio dell’anno successivo, Graziani ricevette l’ordine della sua nuova destinazione: Somalia come Governatore e Comandante supremo delle truppe del fronte Sud. Il 9 maggio del 1936 il Governo italiano proclamava l’annessione dell’Etiopia e la creazione dell’Impero e, quindici giorni dopo, il Maresciallo Badoglio, primo Viceré, rientrava in Italia lasciando la reggenza del Vicereame a Graziani suo successore, che nel contempo veniva nominato Maresciallo d’Italia. Con vigorose operazioni affermò saldamente il nostro dominio e fece compiere grandiosi lavori pubblici, che restano a tutt’oggi monumento delle capacità  e della volontà civilizzatrice dell’Italia fascista.

2.  L’attentato

Graziani era intento nei preparativi per la celebrazione della nascita del primogenito, erede al trono, del principe Umberto e la contemporanea celebrazione copta della Purificazione della Vergine. La tradizione voleva che il negus distribuisse, in quella data, una piastra a ciascun povero della città. Il Maresciallo, volendosi accattivare il favore della folla decise di destinare ben due talleri per ogni bisognoso. Alla cerimonia, fissata per la mattina del 19 febbraio, sarebbero stati invitati tutti i notabili in quel momento presenti ad Addis Abeba, l'intera popolazione e più di 2.500 indigenti. La folla era assiepata all'interno del recinto del Piccolo Ghebì, il parco della residenza del Viceré, dove Graziani sedeva in cima alla scalinata. Al suo fianco, quasi un segno premonitore del massacro che sarebbe seguito, l'Abuna Cirillo, uno dei quattro vescovi della chiesa copta, succeduto all'Abuna Petros, fucilato alcuni mesi prima. Per garantire l’ordine sono schierati 93 soldati e tre ufficiali. Sono le 12,20, e nel lento svolgersi della distribuzione un numero imprecisato di bombe a mano viene lanciato da un gruppo di braccia anonime, mischiatesi all'interno della folla. La prima detonazione non viene quasi percepita mentre la seconda sfiora ancora le autorità italiane. La terza colpisce in pieno il Viceré, esplodendo alle sue spalle e riempiendo il suo corpo di ferite. Graziani cade a terra, riverso in una pozza di sangue, mentre tutto intorno a lui si scatena la strage. Vengono lanciate altre bombe, 7 o 8 secondo i primi rapporti. Si contarono sette morti e una cinquantina di feriti. Fra di essi il generale Liotta, (Bersagliere) cui fu amputata una gamba e che perse la vista da un occhio, ma anche alcuni notabili etiopi, fra cui l'Abuna Cirillo, che con il proprio corpo coprì quello del Viceré, e due giornalisti.

Nel frattempo la situazione europea si era andata aggravando, e solo dopo lo scoppio della guerra, il 3 novembre ’39, il Maresciallo apprese dalla radio della sua nuova nomina a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Il suo potere rimase comunque limitato dal Maresciallo Badoglio in qualità di Capo di S.M. Generale da una parte, e  dal Sottosegretario alla Guerra dall’altra. Nonostante le limitazioni, Graziani si rese subito conto delle manchevolezze che caratterizzavano la nostra situazione militare, di cui parlò apertamente a Mussolini. Vi erano deficienze in ogni campo: delle “otto milioni di baionette, ne esistevano solo 1.300.000 e altrettanti fucili e moschetti mod. 1891 !!!”. L’esistenza della Milizia Nazionale, che non era mai stata tollerata dall’Esercito, e la creazione di numerosi altri Corpi armati, estranei all’Esercito, costituivano elementi che ne logoravano il prestigio e ne aggravavano la debolezza. -  L’Esercito era numeroso, ma con un armamento, un equipaggiamento, un addestramento certamente assai inferiori a quello che aveva vinto la Grande Guerra. La nostra industria bellica era debolissima, le nostre riserve di materie strategiche e di derrate non esistevano quasi più. 

da sx Graziani, De Bono, Vitt: Emanuele III, Badoglio"Questo deplorevole stato di cose dipendeva formalmente dal Capo del Governo, che per lunghi anni aveva esercitato le funzioni di Ministro delle tre Forze Armate; ma la responsabilità oggettiva ricade su Badoglio, il quale ricopriva tale incarico fin dal 1926 ed era, per legge, il consigliere militare del Capo del Governo"

 3.  L’Italia in guerra.

La guerra venne dichiarata il 10 giugno del ’40 al fronte Francese.. Le operazioni durarono tre giorni, ed il 24 giugno i francesi sottoscrissero l’armistizio. Ultimata la campagna, Graziani tornò a Roma, e la sera del 28, mentre era nella sua tenuta di Arcinazzo, ricevette una telefonata che gli annunciava la morte incidentale del Governatore e Comandante Superiore in Libia, Maresciallo  Balbo, avvenuta a Tobruch, e l’ordine di partire subito per assumerne la successione. Gli ordini erano precisi: invadere l’Egitto! Prendere Alessandria e il Canale. L’occupazione significava il dominio del Mediterraneo centro-orientale con prospettive politiche e militari illimitate. Conquistare Alessandria sarebbe stata per noi la vittoria; non conquistarla, la sconfitta più o meno lontana, ma sicura. Per compiere l’impresa, unica nella nostra storia millenaria per diventare realmente una grande potenza mediterranea, avremmo dovuto disporre di 5 o 6 divisioni fra corazzate  e motorizzate, mentre il nostro potenziale era di 73 divisioni armate con fucili mod. 1891: un “gregge” di uomini mal armati, destinati al massacro ed al campo di prigionia. L’offensiva prevista per il 15 luglio era impossibile a causa della mancanza dei mezzi più elementari non solo per combattere, ma anche per vivere nel deserto, e così egli ottenne un rinvio; ma il 25 agosto arrivava l’ordine da Mussolini di avanzare in Egitto. I tedeschi stavano per sbarcare in Inghilterra e, in vista delle trattative anglo-tedesche, noi saremmo rimasti fuori da ogni discussione se non avessimo avuto almeno un combattimento  con gli inglesi. La cosa molto strana fu che il nostro Governo rifiutò per ben tre volte (3 settembre, 4 e 28 ottobre 1940) l’aiuto da parte dell’alleato tedesco, che offriva non solo le divisioni corazzate, ma anche autocarri speciali per il deserto. La sera del 27 ottobre a Cirene, Graziani apprese dalla radio dell’attacco alla Grecia. Da quel momento fu chiaro che le truppe d’Africa venivano abbandonate alla loro sorte. La campagna andò di male, in peggio. Mussolini, constatando la gravità in cui si trovavano i nostri soldati, accettò l’offerta d’aiuto di Hitler; un’armata tedesca fu inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps, affidata ad un brillante ufficiale: Erwin Rommel. Nel frattempo Graziani chiese di essere esonerato da ogni incarico e lasciò la Libia l’11 febbraio 1941. Una successiva inchiesta contro di lui non portò ad alcun risultato.

4. Graziani nella R.S.I.

“... Ripristinando l’onore, metteremo mano alla costruzione delle nuove milizie del popolo italiano, modernamente armate, idealmente partecipi di una fede e di una volontà. Ufficiali e soldati ancora una volta il destino vi offre una possibilità e vi schiude le porte. La vostra risposta deciderà sulla sorte delle generazioni venture. Con l’aiuto di Dio e con la purezza dei nostri cuori, noi supereremo vittoriosamente la prova. Viva l’italia “ Graziani
 

Nel fatale settembre del 1943 cominciò per il Maresciallo Graziani una nuova esistenza  che lo vide assumere un compito realmente politico quale mai fino ad allora, direttamente sostenuto. Dopo la catastrofe dell’8 settembre egli ricevette, sia da Italiani che Tedeschi, l’invito ad assumere la carica di Ministro della Difesa del nuovo Governo che si stava ricostituendo. Il 9 settembre si costituirono le Forze Armate Repubblicane con ufficiali e sottufficiali di carriera esclusivamente volontari. Il 24 dello stesso mese il Duce firmò il decreto di nomina del Maresciallo a Ministro. La consacrazione di questo autentico Risorgimento repubblicano per l’Italia avvenne al teatro “Adriano” di Roma il 1° ottobre, quando Graziani, nel suo discorso ad oltre quattromila ufficiali e valorosi combattenti precisò che: 

“chi vi parla è il Maresciallo d’Italia il quale, durante la sua lunga vita di soldato, ha conosciuto la mala sorte, il sole della gloria e l’ombra della ingratitudine.  Adesso egli è chiamato dal destino a stringere intorno a se gli italiani per cancellare la macchia della vergogna con la quale l’infedeltà e il tradimento hanno deturpato la bandiera d’Italia”.

Graziani fece approvare da Mussolini un promemoria in cui si sosteneva l’opportunità che l’Esercito da costituire dovesse essere basato non solo sui volontari, ma anche sulla coscrizione, e costituito da grandi unità da addestrare - ex novo- in Germania; i quadri avrebbero dovuto essere tutti di ufficiali volontari a domanda e bisognava evitare ad ogni costo la guerra civile. Sulla base di tali propositi, furono siglati degli accordi con il comando supremo germanico che si concretizzarono il 16 ottobre: i tedeschi si impegnarono ad armare e istruire 4 Divisioni italiane, di cui una alpina, e successivamente altre 4; una nona, Divisione corazzata, doveva essere composta con personale italiano addestrato alla scuola di motorizzazione tedesca.  Tutta la legislazione che portò alla creazione delle FF.AA. era disgraziatamente apolitica e ben presto dovette cedere il passo ad alcuni ambienti fascisti, che portarono alla creazione della Guardia Nazionale Repubblicana, unità autonoma e con proprio bilancio, che doveva, secondo il progetto iniziale, comprendere semplicemente i Carabinieri rimasti volontari, con integrazioni per raggiungere la cifra di circa 30.000 uomini scelti. Invece la G.N.R. raggiunse la forza di 150.000 uomini; e in più si vennero a creare nelle varie Province le “Brigate Nere”, nelle quali furono inquadrati tutti gli iscritti al Partito che non erano ancora alle armi. Il valore dimostrato dai giovani marinai e soldati Repubblicani al servizio solo della Patria, in una lotta disperata, sotto il motto “Per l’Onore della Bandiera”, fu ed è titolo di gloria ed ampio riconoscimento non solo dall’alleato germanico, ma dal nemico stesso, che cavallerescamente volle manifestarlo.

(Ndr) Come nasce l'Esercito Repubblicano: Mussolini lo aveva annunciato il 18 settembre da radio Monaco, subito dopo la liberazione dal Gran Sasso, che avrebbe costituito al Nord un nuovo partito fascista e un nuovo ordine statale. Contemporaneamente viene dato incarico al generale Graziani di costituire il nuovo Esercito Repubblicano. Dal 27 settembre 1943, nasce ufficiosamente anche l’esercito della R.S.I. Ufficiosamente non Ufficialmente poiché è solo un pensiero sulla carta. Il decreto effettivo di costituzione porta la data di 1 mese dopo e abolisce il Regio Esercito dando valenza di costituzione del nuovo retroattivamente al 9 settembre (art. 1-2). Il nuovo esercito repubblicano finirà col contare (tenendo conto anche dei lavoratori militarizzati* ma qualcuno dice di più) oltre mezzo milione di uomini fra volontari e giovani di leva. Se da parte di molti ufficiali c’è una adesione ideologica, una vergogna per il voltafaccia del Re, non così è per la truppa. Se si considera che per ottenere un soldato appena presentabile ci vogliono almeno 6 mesi, qui si rischiava di veder finire la guerra prima di avere in linea le divisioni programmate. I soldati vanno vestiti, armati e rifocillati tre volte al giorno. Gli unici veramente in linea, per dirla su quella del fuoco, sono per diversi mesi quei pochi battaglioni passati armi e bagagli dal Regno alla Repubblica (ma sarebbe meglio dire al Reich non essendo neanche sotto l’autorità di Graziani) come il Principe Junio Valerio Borghese e la sua “Decima” o come il Maggiore Edoardo Sala che, con il III Btg del 185° Rgt Paracadutisti, già nel settembre combatteva in Calabria a fianco dei tedeschi ed altri specificati nel capitolo RSI. Ma sentiamo da “Ho difeso la Patria” di Graziani come si era giunti a questa scelta. Dal Febbraio del 41, da quel giorno che l'armata d'Africa si sciolse letteralmente nelle sabbie, di Graziani si erano perse le tracce. Se ne stava chiuso nella sua tenuta agricola in provincia di Frosinone ad allevare cavalli e non era per nulla informato, come dice lui, degli sviluppi della crisi politica. Nei giorni dell’armistizio era venuto ai ferri corti coi tedeschi per il furto di tutti i suoi automezzi. Quando chiese di essere ascoltato da Kesselring, gli venne risposto picche. Interno d’ambasciata tedesca (23 settembre 43): ......
Era la prima volta che li vedevo, Rahn e Wolff, urlavano come degli ossessi. Tirato per la giacchetta, dalle minacce di Rahn Graziani acconsentì a guidare un futuro esercito. Dal 23 settembre al 1 ottobre ebbi i primi contatti col Maresciallo Kesselring. Egli chiedeva tre cose: l’immediato disarmo dei carabinieri di Roma…… 30.000 uomini subito per il servizio lavoro… sgombero al nord di tutti gli ufficiali….un’altra richiesta era il giuramento del nuovo esercito sia al Duce che a Hitler.
Graziani non ci dice se questa volta pone le condizioni di accettazione in cambio del camion che gli hanno trafugato, sarebbe stata l’occasione per far fare ai tedeschi la stessa figura degli italiani, almeno sul piano formale (son quelle piccole soddisfazioni che valgono una vita). Depennate tutte le assurdità tedesche il 27 settembre Graziani si rivolge in Radio al popolo italiano e termina “…. Ripristinando l’onore, ......
Il 1 ottobre il Maresciallo Graziani parla al teatro Adriano a Roma davanti a 4000 ufficiali. Il suo discorso alla radio fa si che il Teatro Adriano abbia il tutto esaurito. Le foto ci mostrano la sfilata fino all’altare della patria dove Graziani è affiancato da Ricci sotto una insistente pioggerella. Nei giorni successivi 62.000 ufficiali sottoscrissero il giuramento di fedeltà alla R.S.I. Sempre dalle sue memorie. Il 13 ottobre partivo dal campo di Guidonia diretto al quartier generale del Fuhrer…entrati nel tema della ricostruzione delle Forze Armate proposi che venissero tratti dai campi di concentramento gli elementi volontari necessari per un certo numero di divisioni….. Il primo bando di arruolamento arrivò il 4 novembre con il richiamo alle armi delle classi 1924 e 1925 (il 23 era già coscritto dall’estate se non era scappato). I giovani si trovano ad un bivio e devono scegliere ne va dell'onore, della famiglia, della vita, degli affetti, non è facile. Molti scelgono di arruolarsi, altri lo evitano con l’esonero per i motivi più diversi, altri, non molti all’inizio, prendono la decisione di nascondersi, di darsi alla macchia. Chi si è presentato intanto vede il da farsi, per scappare fa sempre in tempo (se resta in Italia). Graziani, il 15 novembre, visti i vuoti decide di radiotrasmettere un messaggio di incitamento all’arruolamento "Giovani soldati! Voi non potete titubare nella scelta, voi che sentite fortemente battere nel vostro petto il cuore della Patria che vi chiama, e vi indica la giusta e vera via da seguire. Vi attendono le vostre bandiere e i vostri capi legittimi. Vi attendono anche gli alleati germanici a combattere ancora una volta al loro fianco e ci restituiranno così la fiducia tradita non dal popolo, ma da chi doveva tutelare l’integrità e la lealtà dei patti sacrosantamente sanciti".

(Le cose andarono di male in peggio e cosi si arrivò al 25 Aprile del 1945)

5.  La condanna

Le truppe anglo-americano erano alle porte di Milano e di molte altre città del nord del Paese. La notte tra il 29 e il 30 aprile del ’45 il Maresciallo Graziani si arrese presso il comando del IV Corpo d’Armata americano. Dopo circa un mese di prigionia presso il campo di Cinecittà in Roma, il 12 giugno fu trasferito in aereo ad Algeri, presso il campo P.O.W. 211, come prigioniero di guerra. Il suo periodo di prigionia in Algeria si concluse il 16 febbraio 1946 quando fu trasferito in Italia con l’appellativo di prigioniero di guerra e non di criminale di guerra, come invece amavano chiamarlo i suoi detrattori. Durante il periodo della detenzione (a Procida) Graziani scrisse e pubblicò tre volumi: “Ho difeso la patria”, “Africa settentrionale 1940-41”, “Libia redenta”. Il 5 giugno ’48 al Maresciallo giunse la citazione a comparire in giudizio per il 24 dello stesso mese davanti alla Corte d’Assise ordinaria. Alle ore 22.00 il presidente Gen. Di Corpo d’Armata Beraudo di Pralormo, del tribunale Militare Territoriale di Roma, dichiarò: “Rodolfo Graziani colpevole del reato di collaborazione militare con il tedesco posteriormente all’8 settembre 1943 e diminuita la pena per gravi lesioni riportate e per atti di valore morale e sociale, lo condanna alla pena di anni 19 di reclusione dei quali 13 e 8 mesi condonati”. Graziani fu dimesso dalle carceri nell’agosto del ’50 e, dopo una breve sosta a Roma, si trasferì ad Affile. 

Graziani durante il giuramento alla R.S.I6.  Gli ultimi anni

Nel 1952 maturò l'idea di prendere parte diretta nella politica portandovi il peso della sua enorme popolarità: ed il 15 ottobre chiese la tessera del Movimento Sociale Italiano entrandovi come semplice iscritto. Era tuttavia difficile, con il prestigio che lo circondava, che non divenisse punto di riferimento del partito.
Tanto era il suo carisma, che utilizzò la sua autorevole parola riconciliatrice per impedire la secessione di alcuni gruppi dell'Italia settentrionale. Ma le sue buone intenzioni furono ben presto travisate ed ostacolate: annoiato, accennò anche al ritiro, ma la sua figura, di importanza nazionale ed internazionale, doveva rimanere al di sopra di beghe di partito. Il M.S.I., temendo di perdere un punto di forza, lo convinse ad accettare la presidenza onoraria del movimento, insieme con il comandante Borghese. Ogni sua partecipazione in pubblico si tramutava in un bagno di folla entusiasta. Nei primi giorni del gennaio del 1954 si svolse a Viareggio il IV congresso nazionale del M.S.I. ed il Maresciallo, in qualità di Presidente onorario del movimento, inviò un suo messaggio che tracciava quella che sarebbe dovuta essere la linea politica generale da seguire e gli obiettivi su cui puntare al fine di rilanciare il movimento. Purtroppo il nobile messaggio, a lungo studiato, che conteneva la sintesi della sua lunga esperienza, destò pochissima impressione fra i congressisti, preoccupati solo della imminente elezione per il comitato centrale del partito. Il Maresciallo, resosi conto dello stato d'animo del partito, così differente dal suo, si ritrasse dalla vita del movimento e, in generale, dalla vita cosiddetta politica.
Morirà a Roma l'anno dopo.  

Nota critica: La biografia scarica tutte le responsabilità sulle ambiguità (purtroppo vere) del personaggio Badoglio dimenticando, che il suo (di Graziani) abbraccio al fascismo, al capo (se sbagliava tanto valeva scaricarlo prima del 25 luglio), i suoi errori e la carica che ricopriva di comandante di uomini, (chiunque sia in grado di ricevere e dare ordini)  non lo esoneravano dal rispondere delle proprie azioni.  Le continue sterzate di Fini ( o vita nuova)  forse porterà anche alla riscrittura  di questo tratteggio Biografico.

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