DOM ENELIO FRANZONI

“mi portano da quelli che non partono, perché ho chiesto di restare con loro”

 

 

Sei un matto, sei un santo, sei un cretino, hai fatto bene; ognuno dice la sua. Attraverso il cortile; mi portano davvero dall’altra parte. “Ragazzi, i russi hanno accettato la mia domanda.. ho chiesto di restare con voi”

Mons. Enelio Franzoni è nato a San Giorgio in Piano (BO) ed è stato ordinato sacerdote il 28 marzo 1936. Nel 1941 venne inviato come cappellano militare in Russia (C.S.I.R.), dove cadde prigioniero il 16 Dicembre 1942. Dopo il rimpatrio, nel 1946, gli venne affidata la Parrocchia di San Giovanni in Persiceto, poi quella di Crevalcore dal 1952 al 1967 e, infine, quella di Santa Maria delle Grazie in S.Pio V. Nel 1951 è stato insignito della medaglia d’oro al Valor Militare, per essersi prodigato, durante la guerra, nel salvare la vita dei propri commilitoni, anche a rischio della propria. 

Motivazione Medaglia Oro

“Cappellano addetto al comando di una Grande Unità, durante accaniti combattimenti recava volontariamente il conforto religioso ai reparti in linea. In caposaldo impegnato in strenua difesa contro schiaccianti forze nemiche, invitato dal Comandante ad allontanarsi, finché ne aveva la possibilità, rifiutava decisamente e, allorché i superstiti riuscirono a rompere il cerchio avversario, restava sul posto, con sublime altruismo per prodigare l’assistenza spirituale ai feriti intrasportabili. Caduto prigioniero e sottoposto a logorio fisico prodotto da fatiche e privazioni, noncurante di se stesso, con sovrumana forza d’animo, si prodigava per assolvere il suo apostolato. Con eroico sacrificio rifiutava per ben due volte il rimpatrio onde continuare tra le indicibili sofferenze dei campi di prigionia la sua opera che gli guadagnò stima, affetto, riconoscenza ed ammirazione da tutti. Animo eccelso votato al costante sacrificio per il bene altrui".  Fronte Russo, dicembre 1942 - Campo di prigionia, 1942/46. 

….. Presto a casa, ma a casa non si andava; stava tornando l’inverno (1945) e una crisi fortissima ci prese; voci si sparsero nel campo di prigionia russo: non sarebbe tornato nessuno; non avevamo accettato il loro messaggio e non si fidavano a mandarci a casa. Dio ci ha abbandonati, mi dicevano gli amici…. . Maggio 1946. Questa volta si parte davvero; siamo relegati al Corpus 2, ogni ora é buona per farci scendere in cortile per l’ultima volta. Cessate anche le perquisizioni….Ma torniamo a quei giorni di maggio. Passa il primo e non si parte. Il 2 una cosa sconvolgente: vengono a prelevare una trentina e li portano nel corpus (fabbricato) dirimpetto al nostro. Questi hanno la sensazione che non torneranno più a casa; molti gridano e attraverso il cortile volano messaggi disperati: dì a mia moglie che la ricorderò sempre... va a trovare mia madre… Io ascolto e il terzo giorno mi decido…. “mi portano da quelli che non partono..........ho chiesto di restare con voi”. Quello che successe fu una cosa meravigliosa; mi furono addosso con tanta gratitudine che fui ripagato subito di quella stretta che sentivo dentro e che si traduceva così: adesso che fine ci faranno fare?… C’era anche Henrich Gerlach, l’autore de «L’armata tradita», che scrisse poi in un suo libro «Odissea in rosso» di essere stato aiutato dalla mia scelta, quando anch’egli si trovò in un momento delicato della sua prigionia. Ma c’era un altro motivo per cui avevo chiesto di restare: la malattia di Giulio Leone. Giulio Leone era della mia stanza, la 48, vent’anni, alpino; si era ammalato pochi mesi prima del rientro. Passare tanti guai, superare tanti rischi ed ammalarsi a morte alla vigilia del rientro; era il colmo. Povero Giulio!… Il nostro incubo finì all’improvviso alle ore 12 del venerdì 7 giugno (1946). Ci sembrò di sognare quando i russi ci misero in fila e ci dissero: “Davai domòi”. Possibile? … Vladimir, Mosca, Odessa fino al 5 luglio, poi a Sighet fino al 9 agosto, il 14 a S. Valentino in Austria, il 22 agosto anche noi eravamo in Italia. Mai saputo il motivo perché non ci abbiano fatto rientrare con gli altri. E Giulio Leone? Giulio era partito; era con le migliaia di ragazzi morti e sepolti come lui chissà in quale balca, senza croce. ... ... I primi a salire sul nostro vagone (in Italia) sono stati i carabinieri; a me se n’é accostato uno che mi ha chiesto chi fosse il maggiore Berardi, e subito gli si é messo vicino. Ho saputo poi che al rientro di quelli del campo 160 erano successi dei tafferugli; Marchesi ad esempio si era tolto uno zoccolo e aveva picchiato sodo Piovano; altri ancora erano venuti alle mani contro quelli che risultavano filosovietici. Al nostro arrivo si volevano evitare simili scontri e furono subito piantonati Berardi e pochi altri. Che malinconia! tornavamo dopo aver visto per tanti anni la morte danzarci attorno e portarci via amici e amici e avevamo ancora voglia, quattro galli di manzoniana memoria, di beccarci fra di noi.  Il testo integrale http://itcleopardi.scuolaer.it/page.aspTipo=GENERICO&IDCategoria=1994&IDSezione=9586&IDOggetto=5050 

BRANO TRATTO DALLA CONFERENZA TENUTA DA MONS. ENELIO FRANZONI AL CIRCOLO UFFICIALI CENTRO STUDI STORICO -MILITARI “GEN. GINO BERNARDINI” IN BOLOGNA “UN CAPPELLANO IN RUSSIA”

 

…. Un collega, rivolgendosi al Vescovo Mons. Marra, voleva ironizzare: “…come può il buon Dio ascoltare insieme il cappellano che prega per i suoi di qua dalla trincea e il cappellano che prega per i suoi dall'altra parte della trincea….” Mons. Marra, lentamente, scuotendo il capo “… e voi; quei ragazzi, vorreste lasciarli soli?!…”  

Mons Franzoni si è spento in Bologna il 6 marzo 2007 all'età di 94 anni. la cerimonia funebre si è tenuta in San Felice alla presenza di un picchetto della Brigata Friuli e delle associazioni alpine e d'arma che gli furono compagne in Russia. Assenti notati Comune e Regione che inviano gente in sott'ordine. Lascia molti dei ricordi del tempo di guerra, come la cotta di lenzuola ricamata in grigioverde e  il calice in legno di betulla scolpito con un chiodo, all'ossario di Cargnacco di Udine.

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   Chi è il Cappellano militare?. E' un prete come tutti gli altri, si fa carico delle gioie, dolori, fatiche, speranze di quanti gli vengono affidati…: è la vicenda, fra le tante, di Don Primo Mazzolari e di Don Carlo Gnocchi. Cappellano militare può essere un tranquillo Padre Francescano che vive nel suo Convento (Padre Pio) e un giorno gli vien detto che dovrà deporre il saio per indossare la divisa grigioverde e andare in un Ospedale da Campo. …. Il Cappellano dunque non spara? Può capitare che il plotone veda cadere il tenente; c'è lo sbandamento; il Cappellano è lì; bisogna salvarli quei fanti; e l'unico modo è di prendere l'arma in pugno e di mettersi alla testa del plotone: e così fece Don Silvio Marchetti il 20 dicembre 1942 a Kantemirowka. Fu sopraffatto; fu ucciso; ma non importa; in quel momento egli doveva fare così. .. Ma l'arma vera, l'arma in dotazione, obbligatoria per il Cappellano in guerra, non è tanto la croce rossa cucita sul taschino della giubba, ma il Crocifisso, un Crocifisso vero, e l'altarino con il Calice. S. Caterina da Siena chiamava i preti “ministri del sangue” definizione che il Card. Giulio Bevilacqua applicava in particolare ai Cappellani militari; diceva: “Noi siamo i ministri del sangue; con quello di Cristo, il sangue di chi ci cade accanto, il nostro stesso sangue, nell'unico calice, per la redenzione del mondo.” Quando fra le due guerre, negli anni venti, il Governo italiano discusse l'opportunità o meno della presenza permanente del Cappellano nell'Esercito, qualcuno obiettò che in guerra il Cappellano non contribuisce a rafforzare i nervi del soldato per l'assalto: il Cappellano, al soldato ricorda troppo la mamma lontana: non aiuta il soldato a stringere i denti….Cappellano, ma tu, alla Patria vuoi bene sì o no?! Hai parlato di famiglia, di fede, ma la tua Patria dov'è?! Al Cappellano non è difficile rispondere: se esorto i soldati a compiere il loro dovere fino alla morte, lo faccio perché credo alla Patria che dobbiamo amare fino a dare la vita per lei. Il 26 dicembre 1941 cade nella battaglia di Petropawlowka Don Giovanni Mazzoni del 3° Reggimento Bersaglieri. Il 26 agosto 1942 Don Francesco Mazzocchi del II Battaglione Chimico. Il 16 dicembre 1942, sempre in combattimento, cade Don Felice Stroppiana, dell'81° Reggimento Fanteria della Divisione “Torino.”…Non è che questi Cappellani si siano gettati nella mischia per cercare la bella morte sia pure nel nome di Cristo: avevano qualcuno da salvare! A questo punto, una parentesi: Nel campo di prigionia in Russia, campo 74, scoppia il tifo petecchiale. Vengo chiamato da un alpino che sta morendo. “Cappellano, vedi come mi tocca morire! Guarda che squallore! Venendo in guerra, sapevo che potevo morire ma non in un lazzaretto di appestati; morire combattendo! Gridando! Gridando Viva l'Italia!”. Dovrei piangere ma non ne ho la forza; guardo; guardo con tutta la tenerezza quella vita, quella luce che si spegne. Ma l'alpino riprende a parlare: “Cappellano, è la stessa cosa: anche qui muoio per l'Italia.” La morte gli dischiude la mano; nella mano, il piccolo Tricolore che uso a dir messa. Quel giovane alpino aveva attinto dalla sua bandiera stretta forte durante l'agonia, la forza di morire con la dignità di un eroe. Ho conservato quella bandiera dall'aprile 1943 fino al settembre 1946 quando a Fossano la potei consegnare a sua madre. Bologna, 12 aprile 1996. Mons. Enelio Franzoni