EMILIO DE BONO

1866-1944

           

Giuseppe Gaspare Emilo detto Emilio era nato il 19 marzo 1866 a Cassano d'Adda da Giovanni ed Emilia Bazzi (1839/1902) (sposerà lui Erminia Monti-Maironi nata a Torino il 8 ottobre 1869, morta a Roma il 12 novembre 1941). Il padre Giovanni (Brescia 3 marzo 1832/14 giugno 1896) figlio di Giuseppe e di Moghero Anna Maria aveva fatto la carriera militare nell'esercito sabaudo. De Bono era il più anziano quadrumviro proveniente dalla carriera militare effettiva e non dallo squadrismo di partito com'erano in genere gli altri gerarchi pur se ufficiali inferiori, ma congedati. Allievo del collegio militare di Milano nel 1878 e successivamente della Scuola militare, raggiunse il grado di sergente e nel 1883 quello di sottotenente del 12° reggimento bersaglieri. Nel 1884 prestò giuramento a Verona e iniziò così il suo lungo viaggio attraverso l’esercito italiano. Volontario nella campagna d’Eritrea nel 1887-88 con il grado di tenente, al suo rientro in Italia si sottopose ai corsi  della Scuola di Guerra alla fine della quale, nel 1896, fu tra i prescelti per il corso di abilitazione allo Stato Maggiore, idoneità che otterrà l’anno successivo. De Bono  prestò servizio in diverse unità militari e nel 1907 fu decorato con la croce di cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia e nominato C.S.M. della divisione di Novara, Qualche anno più tardi (1912) venne inviato in Libia come C.S.M di quella Intendenza con il compito di impiantare le basi logistiche a Misurata Marina; partecipò alla guerra italo-turca e fu nuovamente decorato “per l’intelligenza e lo zelo oltre che per l’adempimento dei doveri della sua carica”.  I suoi incarichi di S.M. continuarono anche allo scoppio del conflitto quando vi entrò con  lo staff del II C.d.A che operava sull’Isonzo. La sua grande aspirazione era però la direzione di un reggimento, meglio se di bersaglieri.  Per intercessione di un amico, che occupava un posto molto importante al Comando supremo, non solo la sua richiesta venne esaudita, ma egli ebbe anche l’incarico di "formare" tale reggimento, 15°, con tre battaglioni (già operativi) di milizia territoriale il 24 settembre 1915. Per la sua azione valorosa in trincea fu decorato con una medaglia d’argento al valor militare e nel 1916, questa volta per intercessione del duca d’Aosta, divenne comandante della brigata Trapani.

15° REGGIMENTO BERSAGLIERI: Nel gennaio 1915 in Aviano il deposito del 6° Bersaglieri costituisce 2 battaglioni di M.T., il 49° (XLIX) e 50° (L) che, dopo successivi trasferimenti a Bologna e a Peschiera, si uniscono ai primi di giugno, a Castiglione delle Stiviere, al 51° (LI) battaglione proveniente da Ancona, ove è sorto presso il deposito dell’11° bersaglieri. L’8 giugno 1915 viene con essi a formarsi, presso il XIII corpo d’armata (25a divisione), il 13° reggimento bersaglieri provvisorio di marcia. Dopo aver trascorso un breve periodo di addestramento e di istruzione, il 6 luglio si trasferiscono nella zona compresa tra Lonato e Desenzano. Il giorno 23 luglio, il 13° provvisorio è a Peschiera da dove, per ferrovia, il 25 raggiunge Cervignano del Friuli. Di lì i suoi battaglioni partono per diversa destinazione  fino al giorno in cui (24/9/1915) , di nuovo riuniti, formeranno il 1° reggimento bersaglieri bis sotto il comando di De Bono. Dal giorno 5 gennaio 1916 il reggimento assume la denominazione ufficiale di 15° bersaglieri. Il reggimento comunque  frazionato di nuovo mentre il LI prende contatto col mondo carnico fino ad aprile. Finisce qui il comando di De Bono trasferito ad altro incarico * .

De Bono Memorie 1935: le trincee -
"Inconcepibile e irrazionale il tracciato della nostra linea. Assurdo aver ottemperato alla imposizione di non cedere un palmo di terreno conquistato, (ott. nov. 1915 Frasche) se io avessi avuto il tempo necessario avrei corretto i più grossi difetti della linea, anche a costo di ritirarla in qualche punto. Fu oltremodo penoso e si prolungò (perdite dell'attacco 58 ufficiali e 1400 uomini) per tutto un giorno e una notte".

“Per quanto avessi, quando ero capo di S.M., visitato, si può dire, tutte le trincee del Corpo d’Armata, come comandante di truppe in attesa di combattere - non ho vergogna di confessarlo - io mi trovavo di fronte ad un problema nuovissimo che non mi era mai stato dato di risolvere, neppure teoricamente, prima di allora. Il non vedere, il non poter sentirsi alla mano i propri soldati; capire la difficoltà che vi sarebbe stata per accorrere tempestivamente e nella direzione più opportuna con le riserve, mi dava una certa sensazione di impotenza”.
“Questo grosso difetto che in qualche tratto (alla trincea dei Razzi lo ho constatato io) portava persino le due trincee avversarie a guardarsi le spalle; che in parecchi punti, come ho già detto, avvicinavano le linee opposte a meno di 50 metri traeva origine da un solo fatto: quello di avere troppo supinamente ottemperato alla imposizione di non cedere un palmo del terreno conquistato”.
“É inutile; bisogna avere il coraggio di confessarlo: nel 1915 eravamo ancora spaesati; la guerra che si combatteva non era quella che ci avevano insegnato. E questa è la principale ragione degli sviamenti e talvolta smarrimenti di Capi maggiori e minori”.

sunto da Istituto Enciclopedia Italiana Dizionario Biografico degli Italiani

Pur essendo stato nominato maggior generale per meriti di guerra a causa dei contrasti insorti con il comandante la divisione, fu destinato sul fronte albanese. Il fronte albanese non doveva però offrirgli quelle emozioni e quegli spunti utili alla sua carriera. L’inazione lo spinse a comporre un dialogo veneziano (Minuetto) e una rivista (Albaneide) per sollevare il morale della truppa e per fare opera di distrazione. “sapevo che generali di me meno anziani avevano già avuto l’incarico del comando di un corpo d’armata. Dovevo considerarmi saltato, silurato? Tutto questo non mi teneva i nervi a posto “. Rientrato in Italia dopo Caporetto, assunse il comando del IX corpo d’armata sul Grappa e nel giugno ottenne la commenda dell’Ordine Militare di Savoia per aver respinto un violento attacco austriaco. Alla fine della guerra venne nuovamente decorato e nel 1919 ebbe il comando del XXII C.d.A con giurisdizione su tutta la Carnia fino a Tarvisio.

Nel 1918, fra i soldati fiorì una leggenda. Si diceva che la popolazione della Val Cismon, occupata dagli austriaci, cantasse sottovoce un bellissimo inno patriottico. In un anelito di liberazione mani misteriose avevano scritto sui muri delle case : "Monte Grappa, tu sei la mia patria” e a questo primo verso si ispirò il generale Emilio De Bono per stendere gli endecasillabi dell'inno, che fu poi musicato dall'allora capitano Antonio Meneghetti. 

*O.d.G. dell'8 Aaprile 1916:Saluto del Col. EMILIO DE BONO ai Bersaglieri del 15° reggimento :

foto ricordo del commiatoUfficiali, Sottufficiali, Caporali e Bersaglieri!
Un decreto del Comando Superiore mi nomina Comandante della Brigata Trapani. E’ con grande dolore che io vi lascio, o miei cari bersaglieri, perché voi sapete che anche nella mia severità io vi voglio tutto il mio bene!. Vi ringrazio per quanto avete fatto allo scopo di tenere sempre alto l’onore del Corpo e del Reggimento: ringrazio in particolar modo i cari superstiti compagni che lassù alla trincea delle Frasche contribuirono a darmi la gioia del successo. Conservatevi disciplinati, valorosi. Fin che siamo in guerra unico vostro pensiero sia la vittoria, mediante la vittoria potrete tornare felici in seno alle vostre famiglie. Io vi auguro ogni felicità. Non dimenticatemi e non scordatevi mai di essere dei Bersaglieri, come non lo dimenticherà mai il vostro Colonnello

“... Certo a chi era lì alla frontiera ancora contestata venivano i traversi di bile nel vedere e sentire così frustrati tutti i nostri sanguinosi sacrifici”.  E in tale situazione che vive i momenti di Fiume e comincia a ragionare in termini politici, cosa che fino a quel momento non aveva mai fatto se non una piccola corrispondenza epistolare con Mussolini, direttore del Popolo d’Italia un giornale che offriva ospitalità ai problemi dei militari, soprattutto degli ufficiali. De Bono plaudiva istintivamente l’occupazione della città da parte di D’Annunzio e dei suoi legionari: Era un fatto d’importanza storica. Se non ci andava Lui chissà quando ci avremmo potuto mettere il piede! “Come soldato deploravo l’atto impulsivo dei reparti che avevano seguito il guerriero poeta; ma in cuor mio lo esaltavo. Ho passato notti poco tranquille con la coscienza in subbuglio. Vado, o non vado? Il pensiero della prossima inazione; le incertezze sempre crescenti per il prossimo avvenire; l’impresa superbamente patriottica; D’Annunzio stesso con il quale avevo combattuto alla 45 divisione.., tutto mi attraeva; ma vinse l’abito disciplinare e mi adoperai perché non avvenissero diserzioni tra i reparti (La guerra, pp. 310 a.). Dopo aver assunto nel marzo del 1920 il comando del corpo d’armata di Verona, De Bono nel giugno, chiese ed ottenne di "esser collocato in posizione ausiliaria speciale per ragioni sue personali e di carattere politico"; uno dei motivi va probabilmente individuato nel rifiuto del governo Nitti di disperdere "manu militari" gli scioperanti del Polesine, come lui proponeva. Lo ricorderà poi Balbo che lo avrà compagno virtuale di congiura anni dopo per il suo - sdegnoso atteggiamento allorché, per non accettare una transazione coi rossi che il Governo Nitti richiedeva - ".. aveva preferito lasciare i ruoli effettivi dell’esercito e porsi in posizione ausiliaria speciale” (I. Balbo, Diario 1922, p. 542). Sono comunque gli anni della smobilitazione, degli scioperi, della violenza e delle colpe che cadono tutte sui militari “ ... l’opera nostra svalutata, l’Esercito messo in non cale ancora peggio che prima della guerra; il disagio ... le incertezze del prossimo e del lontano avvenire. ... In fondo, in fondo questa guerra per me è stata una larga messe di affetti, profondi e sinceri, mietuti e dispensati”  Quattro anni dopo riprendendo quegli appunti “Dopo quell’epoca si sono maturati gli eventi che mi hanno portato dove sono. Riprenderò questi appunti della mia vita, perché rileggendo oggi quello che ho scritto fin qui ne sono rimasto soddisfatto (La guerra, pp. 313).

De Bono era uno fra i tanti generali usciti dal conflitto con carriere accelerate (che venivano poi, non servendo, azzerate) e parimenti i suoi contatti col movimento fascista sono labili: si rimproverava di esser rimasto troppo in disparte: « Io non conoscevo alcuno ed era mio torto ed una mia debolezza. … I capoccia fascisti mi accolgono bene; ma ... ma mi pare che temano di vedere in me un concorrente e perciò mi tengono volentieri alla larga  (Arch. centr. d. Stato, Segreteria particolare...). Tra il febbraio e il giugno 1922 scrisse su "Il Mondo" articoli fortemente conservatori che reclamavano aumenti di spese e di organico per l’esercito, ma nulla faceva presagire che sarebbe toccato a lui far nascere l’Esercito del fascismo, la Milizia.  Mussolini nell’estate 1922 puntava sull’elemento militare e voleva un ulteriore salto dopo il primo regolamento del gennaio. Organizzazione militare nei quadri, nel funzionamento e nello spirito, come un vero e proprio esercito d’occupazione o guardia nazionale, disciplinato in grado di parare ritorni di fiamma del populismo e sopravvivere fino alla completa sostituzione negli apparati di stato della vecchia classe politica. Era dunque necessario che al comando ci fosse anche un generale, un militare dello Stato. Nella riunione di agosto vennero scartati diversi nomi, sempre minori, e solo alla fine venne fatto il suo nome dietro il ricordo di chi lo aveva visto sfilare fra i tanti a una manifestazione a Milano, come un semplice gregario, confuso nella massa dei fascisti. La sua iscrizione al fascio è del Luglio 1922 (un ritardatario) !!, ma l’amicizia col Duca D’Aosta poteva giocare molto a suo favore. Quando il suo nome, insieme con quello di Balbo e De Vecchi, venne portato alla direzione del partito per la ratifica (ma loro non avevano alcun grado passabile), pochi lo conoscevano personalmente anche se il suo nome godeva di un certo prestigio e De Vecchi (foto a destra) si era dimostrato entusiasta della scelta. De VecchiIn settembre De Bono. preparò con De Vecchi il nuovo regolamento della milizia  che venne pubblicato il 3 ott. 1922 sul Popolo d’Italia !!!!. Intenti e preparativi della marcia si svolgevano pubblicamente solo ripartiti per capoluoghi (Udine, Cremona, Trento, Bolzano poi Napoli solo 4 giorni prima).

La presenza conclamata di un militare alla formazione di “un esercito di parte” provoca la reazione del Ministro della Guerra Soleri. Soleri sottopose il suo comportamento alla direzione generale, che confermò l’evidente violazione al regolamento di disciplina, per il che non rimaneva che deferire il generale ad un Consiglio di disciplina. Prima di farlo, scriveva Soleri, lo mandai a chiamare per riguardo al suo bel passato militare. Lo invitai a rassegnare le sue dimissioni, per evitargli quella misura. Gli aggiunsi che sarei stato lieto se avessi potuto tenere nel mio cassetto quelle dimissioni e che me ne sarei valso solo nel caso che il suo comportamento o le circostanze lo richiedessero » (Memorie, pp. 556 s.. Soleri nel secondo governo Facta, è ministro della guerra In tale veste scrive la proclamazione dello stato d'assedio che avrebbe permesso di bloccare i fascisti, ma il Re non lo firma, anzi chiama Mussolini a formare il nuovo governo).

.... Oggi siamo lieti che tutta Napoli, questa città che io chiamo la grande riserva di salvezza della nazione, ci accolga con un entusiasmo fresco, schietto, sincero, che fa bene al nostro cuore di uomini e di italiani; ragione per cui esigo che nessun incidente, neppure minimo, turbi la nostra adunata, poiché, oltre che delittuoso, sarebbe anche enormemente stupido: esigo che, ad adunata finita, tutti i fascisti che non sono di Napoli abbandonino in ordine perfetto la città. L'Italia intera guarda a questo nostro convegno perché - lasciatemelo dire senza quella vana modestia che qualche volta è il paravento degli imbecilli - non c'è nel dopoguerra europeo e mondiale un fenomeno più interessante, più originale, più potente del fascismo italiano. Voi certamente non potete pretendere da me quello che si costuma chiamare il grande discorso politico. Ne ho fatto uno a Udine, un altro a Cremona, un terzo a Milano. Ho quasi vergogna di parlare ancora. Ma data la situazione straordinariamente grave in cui ci troviamo, ritengo opportuno fissare con la massima precisione i termini del problema perché siano altrettanto nettamente chiarite le singole responsabilità. Insomma noi siamo al punto in cui la freccia si parte dall'arco, o la corda troppo tesa dell'arco si spezza! Voi ricordate che alla Camera italiana il mio amico Lupi ed io ponemmo i termini del dilemma, che non è soltanto fascista, ma italiano: legalità o illegalità? Conquiste parlamentari o insurrezione? Attraverso quali strade il Fascismo diventerà Stato? Perché noi vogliamo diventare Stato! Ebbene, il giorno 3 ottobre io avevo già risolto il dilemma. Quando io chiedo le elezioni, quando le chiedo a breve scadenza, quando le chiedo con una legge elettorale riformata, è evidente a chiunque che io ho già scelta una strada..... Degli uomini politici domandano che cosa desideriamo. Noi non siamo degli spiriti tortuosi e concitati. Noi parliamo schiettamente: facciamo del bene a chi ci fa del bene, del male a chi ci fa del male. Che cosa volete, o fascisti? Noi abbiamo risposto molto. Abbiamo chiesto al Governo semplicemente lo scioglimento di questa Camera, la riforma elettorale, le elezioni a breve scadenza. Abbiamo chiesto che lo Stato esca dalla sua neutralità grottesca, conservata tra le forze della nazione e le forze dell'antinazione. Abbiamo chiesto dei severi provvedimenti di indole finanziaria, abbiamo chiesto un rinvio dello sgombero della zona dalmata ed abbiamo chiesto cinque portafogli più il Commissariato dell'aviazione. Abbiamo chiesto precisamente il ministero degli Esteri, quello della Guerra, quello della Marina, quello del Lavoro e quello dei Lavori Pubblici. Io sono sicuro che nessuno di voi troverà eccessive queste nostre richieste. Ed a completarvi il quadro aggiungerò che in questa soluzione legalitaria era esclusa la mia diretta partecipazione al Governo... dal discorso di Mussolini a Napoli

Tra agosto e ottobre del 1922, rifiutate le dimissioni in bianco, ispezionò le legioni riportandone però una sensazione di incertezza e impreparazione che all’occorrenza potevano essere fatali. Ad una riunione di metà ottobre vide poi anche due suoi colleghi e compagni di corpo i generali Fara e Ceccherini da cui temette concorrenza. De Bono non condivideva la spontaneità delle squadre (a Bolzano il raduno si svolse fuori dalle direttive del comando generale)  “cosi non si fa la guerra e neppure la rivoluzione “ (Balbo, Diario, p. 164). Le cose andarono poi come andarono e la sua opera non ebbe alcuna influenza diretta sugli avvenimenti. Per il ministero della Guerra Mussolini scelse la normalità, Armando Diaz l'uomo della vittoria negata, cosa di cui De Bono ci rimase male, compensato infine dall’incarico di capo della Pubblica Sicurezza e a fine anno della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N). La sua opinione sul funzionamento della Milizia non era cambiato e la parola normalizzazione, sostenuta anche da Mussolini era verbo. Per tutto il 1923 De Bono inviò ai prefetti e ai comandi di zona della M.V.S.N. ordini precisi di controllo e centralizzazione delle squadre, per l’eliminazione dei contrasti e degli abusi.

Se fascisti o sedicenti tali, si legge in un telegramma del luglio 1923 della direzione di Pubblica Sicurezza, commettono azioni inconsulte o atti di provocazione e prepotenza si colpiscano senza riguardo gli autori o i ritenuti responsabili. Quando poi con la bandiera fascista si coprono beghe personali o camarille ai colpiscano senza indugio i responsabili, specialmente se capi (Arch. centr. dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di P.S., Divisione Affari Generali e Riservati, 1923, busta 47, circolare del 31 genn. 1923, firmata De Bono).

Mussolini voleva una milizia disciplinata, pronta soltanto al suo comando, svincolata dai legami politici regionali (i Ras), nei quali peraltro trovava la sua forza e la sua coesione. Mussolini poi puntava ad una divisione dei ruoli con l’esercito d’anima sabauda a cui sarebbero rimasti i compiti di difesa. Tanto che la proposta De Bono  di includere nella Milizia la premilitare rimase allora lettera morta. Ma la tempesta stava per arrivare col delitto Matteotti. Messo sotto accusa De Bono rassegnava le dimissioni. Mussolini, accettandole lo propose per la carica di governatore della Tripolitania.

Guardando da lontano (Libia) la situazione politica italiana, confidava al suo Diario tutte le perplessità e le preoccupazioni sul  marcio che continuava ad esserci nel partito e nella milizia, E lui non ci mette rimedio, scriveva il 22 giugno 1928. Richiamato in patria alla fine del 1928, De Bono fu nominato prima sottosegretario di Stato alle Colonie e nel settembre 1929 titolare di quel dicastero. Quando i rapporti col negus peggiorarono Mussolini pose mano a un progetto d’invasione. Alla fine del 1932 De Bono annotava nel suo diario: “Ho portato a Mussolini il progetto per un’eventuale azione in Abissinia. Gli è piaciuto. Comanderei al caso io. Sarebbe un bel canto del cigno! Dovrebbe essere pel 1935; ma io temo che non abbia ben calcolato spesa e conseguenze! Vedremo”. Ma questa non sarebbe stata la guerra degli italiani bensì quella delle camicie nere che Mussolini voleva testare. Dette infatti ordini precisi affinché la maggioranza dei soldati agli ordini di De Bono venisse dalla Milizia. Quando l’avanzata di De Bono si fermò Mussolini lo sostituì subito con Badoglio, il vecchio nemico. Mussolini aveva bisogno di rapidi successi militari che accrescessero il suo prestigio, mentre De Bono con la sua prudenza, non offriva più alcun tipo di garanzia in tal senso; inoltre non godeva la stima dello S.M. dell’esercito e dello stesso Badoglio. De Felice ha invece ipotizzato che la sostituzione del D. con Badoglio potesse essere dettata anche dalla necessità, conclusa la fase delle grandi operazioni militari, di contentare l’esercito, la Corona e gli ambienti tradizionalisti che si riconoscevano più volentieri in Badoglio, che per altro non faceva mistero di voler assumere il comando delle operazioni.  Quando Emilio De Bono sbarcò a Massaua, i preparativi fatti in loco erano assolutamente inadeguati allo scopo che era quello di regolare, una volta per sempre, il conto aperto dal 1896 (Adua). L'attrezzatura portuale, stradale, economica, militare dell'Eritrea doveva essere moltiplicata per cento e non in un lasso di tempo indefinito. Ma gli ostacoli, anche quelli che sembravano agli occhi degli scettici insormontabili, furono superati e nei termini di tempo stabiliti e rispetatti da De Bono. Ai primi di ottobre la grande macchina era pronta per scattare. La volontà di De Bono, la sua 50ennale esperienza, il suo sangue freddo, il suo giovanile ottimismo, furono gli elementi determinanti del successo del primo mese. L'obiettivo limitato e la certezza di operare secondo le raccomandazioni di Mussolini, che voleva aprire un tavolo negoziale fra le grandi potenze, lo portarono a consolidare le posizioni. Nello stesso tempo Mussolini lanciava la campagna di guerra nazionale che doveva essere condotta da tutto il paese e quindi anche dalle forze armate con un generale monarchico individuato nel solito Badoglio. Alla sua sostituzione non fece seguito più alcun incarico, anzi si rinfocolarono polemiche e accuse di malversazione che incrinarono il già debole rapporto col Duce (diari ....chi ha il coraggio di parlargli?). Mussolini d'altronde lo definiva apertamente un vecchio cretino. Otterrà un incarico di Ispettore delle Truppe d'Oltremare nel 1939 e poi comandante delle Armate Sud che equivalevano al niente su base operativa. In alcuni rapporti sulla condizione militare alla vigilia della guerra si esprimeva però criticamente, letteralmente ignorato dal comando supremo.

Dopo questo solo il 25 luglio 1943 e la sfiducia a Mussolini da quel seggio in Gran Consiglio che nessuno aveva avuto il coraggio di togliergli. Ma il suo, come diceva, non era un tradimento ma solo la constatazione che l'uomo Mussolini era finito. Era tanto sicuro che tornò a casa al Nord benché gli fosse consigliato di cambiare aria. Più che la vendetta di Mussolini contò quella dei tedeschi che lo portò davanti al plotone d'esecuzione a Verona l'11 gennaio 1944.  

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