Mario Caracciolo di Feroleto |
(Fonte Anpi Roma)
Nato a Napoli nel 1880. Di nobile famiglia napoletana, ufficiale di carriera, alternò il comando di reparti (partecipando alle due guerre mondiali) agli studi e all'insegnamento di storia e arte militare. Diresse per alcuni anni la "Rivista di artiglieria e genio". Nel corso della seconda guerra mondiale ebbe il comando della IV, della II e, in ultimo, della V Armata. L'8/9 del 1943 fu tra i pochi generali che cercarono di sopperire con proprie iniziative alle carenze degli alti Comandi. La zona affidata alla sua armata, comprendente la Toscana, l'alto Lazio e La Spezia, fu quella che resistette più a lungo e più efficacemente ai tedeschi. A La Spezia gli alpini - sostenuti dallo stesso C. finché fu possibile tenere i collegamenti - impedirono ai nazisti di raggiungere la calata del porto prima che le navi dirette a Malta prendessero il largo. Elementi della Divisione "Ravenna" al comando del colonnello Frau, tennero Chiusi fino all'11 settembre; e sino a quella stessa data resistettero anche le posizioni di Radicofani, Abbadia San Salvatore e Piancastagnaio agli ordini del colonnello De Bonis. Nella lotta clandestina, la sua vicenda e quella e del suo Comando furono movimentate. Trasferendosi verso Orte, nei pressi di Amelia, si vide tagliata la strada da un reparto della III "Panzer" tedesca: nella scaramuccia che ne seguì, il generale si trovò a combattere insieme alle forze popolari. Era il 12 settembre : le notizie provenienti dal resto d'Italia, in mancanza di ulteriori disposizioni dall'alto lo indussero a sciogliere il Comando.
Quello stesso giorno raggiunse Roma e si pose a disposizione del generale Caviglia, collaborando poi col Comando della città aperta. Il 24 settembre riuscì a stento a sottrarsi all'arresto da parte dei tedeschi. Passato nella clandestinità (sul suo capo pendeva una taglia di 20.000 lire), entrò in contatto con il colonnello Montezemolo. Il suo contributo alla organizzazione del Fronte militare clandestino, che egli cercò di sviluppare anche in direzione dei "volontari" civili attraverso contatti con alcune personalità politiche antifasciste (tra le quali Gronchi), gli ottenne la proposta da parte di Montezemolo di assumere il comando delle forze clandestine operanti nell'Italia Centrale. Ma ancora prima che la proposta si concretasse, gli uomini della banda Koch, violando l'extra-terntorialità del monastero di San Sebastiano dove era rifugiato, lo trassero in arresto. Dalle mani dei fascisti passò in quelle delle SS tedesche nelle carceri di Verona, poi di Venezia e infine di Brescia, dove fu processato insieme con i generali Robotti, Gariboldi, Vecchiarelli e Rosi. Il Tribunale speciale fascista, sulla base di uno scritto durante la cui redazione era stato catturato
(e che egli pubblicherà, dopo la Liberazione, col titolo "E poi? La tragedia dell'esercito") lo condannò a morte, pena commutata in 15 anni di carcere perché mutilato di guerra. Nel periodo di detenzione. prima e dopo il processo, il generale ebbe contatti con la Resistenza, tramite reclusi politici e cappellani delle carceri nelle quali era detenuto, finché fu liberato dai partigiani, il 25 aprile del 1945. Nel dopoguerra pubblicò vari saggi, tra cui "Tradimento italiano o tedesco?" (1946), "Le sette carceri di un generale" (1948), "L'ultima vicenda della V Armata", studio apparso postumo sulla "Rivista Storica Italiana", 1957-1958. Morì a Roma nel 1954.