IL PARTIGIANO MIKE

Bongiorno  

 

Figlio di padre italo-americano e di madre torinese, Mike Bongiorno, il futuro re dei quiz, nasce a New York il 26 maggio 1924. E' giovanissimo quando si trasferisce in Italia: dalle sue parole “entrai all' istituto Rosmini, di via Nizza e vi restai fino alla terza liceo, salvo due anni all’Alfieri. Era l’estate del 43 e la mia scuola finiva. Mi buttai sui libri ed a settembre ottenni un bel sette: promosso”. La sua passione sportiva lo spinse qualche anno prima anche sulla pedana del salto in alto pur non essendo preparato ed attrezzato. Un giornalista della Stampa, Luigi Cavallero, lo vide e gli offrì una piccola collaborazione sulle notizie locali, che a Torino comprendevano il grande Calcio di Juve e Toro. “Dalle 21 sino all' una di notte lavoravo alla Stampa, rubando ore al sonno. Alla Stampa, approfittando del fatto che io sapevo l' inglese, ascoltavamo di nascosto Radio Londra e io la traducevo ai colleghi. Era un grande rischio". Scuola e giornalismo comunque convissero fino ai tragici giorni dell’armistizio quando gli venne consigliato di cambiare aria per le sue origini e per il suo passaporto. A Sauze d' Oulx, dove si era trasferito, oltre che sciare aveva incontrato la guerra clandestina e nello specifico le comunicazioni. “Tu devi unirti al nostro gruppo, mi dissero, ed io accettai portando messaggi a Torino e Milano. Avevamo previsto un' ultima missione ma qualcuno tradì così - ero a Crodo sopra Domodossola ed avrei dovuto attraversare a distanza di poche ore il confine - venimmo catturati dalla Gestapo” . Era il '44 e per Mike detto "il biondino" iniziava il tunnel di S. Vittore. Le prospettive di uscirne erano scarse ma il suo passaporto Usa, per ora, lo salvò. Faceva compagnia al noto giornalista Indro Montanelli (vedi sotto) e al Generale Della Rovere alias Bertoni. Dopo il carcere di Milano, Mike viene destinato all’internamento in Germania a Spithal (ma prima passa anche in altri campi come Bolzano) da dove viene scambiato, tramite la Croce Rossa nel '45, con prigionieri tedeschi detenuti dagli americani (lo scambio riguardava persone gravemente ammalate o mutilate, altro erano casi speciali). La vera motivazione resterà sempre sconosciuta. Nel '53 dopo aver lavorato per la stazione radiofonica del quotidiano "Il progresso italo-americano" fa ritorno in Italia dove si apre l’era della televisione e dei suoi quiz, che per anni ne furono la forza trainante. Il primo programma "Arrivi e partenze” va in onda il 3 gennaio 1954 alle 14.30.

Mike risulta citato come partigiano in un "Dizionario della Resistenza". (Editori Riuniti, Roma, 1995) di Massimo Rendina, comandante partigiano durante la lotta di Liberazione, docente universitario dal dopoguerra in poi e membro del Comitato scientifico dell'Istituto "Luigi Sturzo" per le ricerche storiche sulla Resistenza. Rendina è stato fatto segno di un tiro incrociato di reprimende e commenti ironici per le 15 righe in cui l'uomo-quiz viene innalzato agli onori della memoria storica in veste di staffetta. Troppe - hanno osservato subito i critici di sinistra - se paragonate alle cinque o sei assegnate ad alcune figure di primo piano della lotta partigiana. Assolutamente prive di fondamento le ha fatte apparire Il Corriere della Sera del 18-1-1996.

Renata Broggini – Passaggio in Svizzera – l’anno nascosto di Indro Montanelli, Feltrinelli Ed. Mike Bongiorno, staffetta dei partigiani.

Nel dopoguerra "idolo delle folle", Bongiorno - scriverà Montanelli - era allora "l'idolo di San Vittore, la manna di tutti noi galeotti", nonché "l'esemplare compagno, il servizievole e disinteressato amico": "Ti ricordi la mattina che per la prima volta entrasti nella mia cella, numero 132, quinto raggio? Ti fermasti sulla soglia con quel tuo viso di furetto, l'unico pulito fra tutti quelli nostri perché ancora non avevi la barba, mi guardasti con occhi cordiali e mi dicesti 'Bongiorno' 'Buon giorno!'. Ti risposi un po' stupito di quelle maniere insolitamente urbane. Al che ti mettesti a ridere e un poco arrossendo ribattesti: 'No, Bongiorno è il mio nome'. E io che sono superstizioso, subito pensai: 'Bè, costui ha l'aria di menar buono'. Intanto mi menasti buono perché proprio quella mattina ricevetti qualcosa che certamente, alcuni giorni prima, era stato un pollo arrosto. Magro. Ma pollo. E a portarmelo fosti proprio tu, che avevi, se non sbaglio, l'incombenza di raccogliere fra noi 'isolati' quella che molto eufemisticamente veniva chiamata 'la biancheria', e perché godevi di una certa libertà di circolazione dentro il 'raggio'. Di questa tua libertà io fui certamente uno dei più sfacciati profittatori. Non oso nemmeno fare il conto di tutti i biglietti di cui ti feci postino, di tutti gli intrallazzi di cui ti feci mezzano, di tutte le tresche di cui ti appioppai la pericolosa responsabilità. E non ricordo nemmeno se te ne ho mai ringraziato .. Lo faccio ora".
Parla Mike - "Indro Montanelli ed io, fino alla sua scomparsa, siamo stati molto amici, perché quando si è diviso il carcere insieme ci si affeziona molto. Pensate che io stesso gli ho fatto fare la prima trasmissione di commento ai fatti politici del giorno, cosa che non voleva fare perché diceva che non era in grado di stare davanti alle telecamere. Lo convinsi, e da quel momento in poi ebbe una rubrica fissa per parecchi anni. Ho conosciuto Indro nel momento in cui era 'chiuso' nell'infermeria del carcere di San Vittore. In quel periodo dopo 64 giorni di isolamento completo, di giorno mi facevano uscire dalla cella e mi affidavano vari incarichi, tra i quali anche lo svuotamento dei 'botoli' (i bisogni dei prigionieri). Anche la mia mamma era stata arrestata. Soffriva molto nel reparto femminile e aveva tanta paura per me. Le guardie carcerarie, che mi volevano mollo bene perché ero il più giovane e successivamente il prigioniero con la più lunga anzianità, escogitarono un trucco per farmi incontrare la mamma. Mi davano un bidone pieno d'acqua da portare nel carcere femminile. Per arrivarci dovevo attraversare
l'infermeria dove, come ho detto, incontravo Indro Montanelli. Questo fatto accadde più volte. Nell'infermeria c'erano anche altri personaggi che hanno fatto parte della storia che Indro ha raccontato, come il generale Zambon e la signora Gibson, cittadina americana. Guardavo con invidia i 'ricoverati' che essendo 'ammalati' avevano diritto a una dieta certamente migliore di quella che avevamo noi del sesto raggio. Montanelli qualche volta mi ha passato un pezzo del suo pane bianco e una volta anche un'ala di pollo. Nel reparto femminile era imprigionata anche la moglie di Indro e sapendo che io andavo nella sezione in cui stava, Indro mi pregava ogni volta che passavo, di portarle un messaggio. A parte il pericolo che correvo facendo finta di portare acqua nel reparto, portare anche un messaggio era ancora più pericoloso, ma io me lo mettevo in bocca e facevo la consegna. D'accordo con noi era anche la suora incaricata del reparto femminile, Enrichetta Alfieri che ora stanno beatificando. Un giorno, in cella, sento: 'Hanno fatto evadere il generale Zambon, l'americana e Montanelli ... sono venuti dei partigiani vestiti da SS, li hanno portati a Varese, poi in Svizzera. Che coraggio!'. Sono rimasto male. Perché non si sono ricordati di me? Come mai non mi hanno portato con loro? Da San Vittore sono finito in vari campi di concentramento, l'ultimo a Spital in Austria. Fortunatamente gli americani non abbandonano mai i loro cittadini, e così nel febbraio del 1945 sono stato oggetto di scambio. Prelevato dalla Croce Rossa, mi hanno portato a Marsiglia, poi in nave a New York. Ritornando alla mia amicizia con Indro, devo dire che sono rimasto molto male quando, rientrato in Italia nel 1955 ho iniziato Lascia o Raddoppia? Scrisse un articolo nel quale diceva: 'Caro Mike non ti montare la testa perché non durerai a lungo'. Errore grave, al quale riparò dopo alcuni anni dicendo: 'Complimenti Mike, durerai tutta la vita', e così è stato perché sono ancora qua."

Da una sua intervista col giornalista della Rai: Mollica: (passi) http://www.mollica.rai.it/bazar/mike/index.htm 
C'è una foto che ritrae il momento dell'inizio della tua carriera
Quella alla stazione statunitense in cui ero arrivato dopo lo scambio di prigionieri durante la Seconda Guerra Mondiale. Ho avuto la fortuna di salvarmi perché sono arrivato in America nel febbraio del '45 e la guerra è finita a maggio. Quindi sono uscito come un 'miracolato'. Ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile.
Cosa ti diceva in carcere Indro Montanelli ?
Mi dava dei messaggi da portare alla sua donna, a sua moglie… 'Maggiolino la chiamava'
(Maggie l'austriaca Margarethe Colins de Tarsienne, Matricola 3797, blocco "F" campo di Bolzano, deportata da Milano il 7/9/1944, liberata a Bolzano il 28/4/1945"). ed era nel carcere femminile. Avevano arrestato anche mia mamma perché volevano sapere da lei qualcosa sulla mia attività. La mamma ovviamente non parlava perché non sapeva niente. I secondini ogni tanto mi tiravano fuori dalla mia cella di notte e mi portavano fuori con un grosso bidone d'acqua: facevamo finta di portare l'acqua nel reparto femminile e in infermeria.S. Vittore dall'alto

Ancora oggi il conduttore televisivo invia ogni anno, al carcere di San Vittore una somma di denaro, in ricordo del periodo in cui vi fu ospite. In via Resia a Bolzano ora c’è un muro a segnare un rettangolo di 91 metri per 146 pieno di anonimi condomini. Grazie al lavoro dell’Aned, l’Associazione nazionale degli ex deportati e a Italo Ribaldi ha visto la luce il libro “Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.800 storie individuali”. Fra quelle storie quella dell’unico “triangolo azzurro” internato nel campo: uno “straniero civile nemico”, l’allora cittadino americano Mike Bongiorno matricola 2264

A seconda del colore, si distinguevano diverse categorie di internati

I politici avevano un triangolo rosso con una lettera all'interno che precisava la nazionalità (salvo per i tedeschi).
Gli ebrei politici portavano un triangolo rosso (con la punta verso l'alto) con sovrapposto un triangolo giallo (con la punta verso il basso).  Gli ebrei comuni avevano una stella (formata da due triangoli gialli)
I Bibelforscher o Testimoni di Geova un triangolo color malva/viola. Gli internati criminali comuni avevano un triangolo verde. Gli asociali un triangolo nero.
I contaminatori della razza portavano un triangolo nero sovrapposto ad un triangolo giallo
Gli omosessuali un triangolo rosa. Gli zingari un triangolo bruno
Gli apolidi, i nemici civili stranieri e gli emigrati (repubblicani spagnoli) un triangolo azzurro.

 

Pag 65 e seguenti  de "la versione di Mike" -  LA LIBERAZIONE (immagini tratte dal libro)….

Charlie era un altro di quei personaggi enigmatici e misteriosi che ho incontrato nei campi di prigionia . Quando arrivammo insieme a New York con la nave per lo scambio, lui fu immediatamente arrestato e portato a Ellis Island per gli interrogatori, e non ne seppi mai più nulla, eccetto quando 1'FBI, che mi aveva segretamente seguito per verificare la mia vera identità e chissà magari anche per la famosa frase "Corvo tre" che dissi con troppa leggerezza, mi chiese se immaginavo cosa avessero fatto al mio amico Kimball. lo dissi di no, il che era vero, e a loro volta mi risposero con un certo disdegno: "Be' dimenticatelo!".  Non posso che pensare che a bordo della nave, nel gruppo di prigionieri che erano stati scambiati come me, ci fossero alcuni personaggi incaricati di svolgere attività spionistiche per il nemico. Infatti gli ufficiali addetti all'immigrazione a Ellis Island se ne accorsero presto e l'FBI iniziò a stare molto attenta per verificare bene l'identità di tutti i rimpatriati.
Pochi giorni prima di Capodanno, a Spittal ci fu una visita di controllo della Croce Rossa. Stavano già trattando il futuro scambio di prigionieri. Difatti nei primi giorni di gennaio fui convocato dal comandante del campo. Mi fece accomodare, mi offrì anche lui come quello di San Vittore un caffè e una sigaretta, e io a mia volta gli offrii una delle mie che avevo trovato nel pacco, che lui accettò molto volentieri perché erano sigarette inglesi, molto più buone di quelle che aveva lui e che giravano per il campo. Erano le famose Players, quelle con l'immagine di un marinaio sulla scatola.
In un perfetto inglese l'ufficiale mi disse: "Mister Mickey Bongiorno, you are very lucky! You are number one on our list of prisoners exchange", Mi stava dicendo che ero il primo della lista nello scambio di prigionieri, e che dovevo ritenermi molto fortunato. Era una notizia talmente sconvolgente che mi sentii quasi preso in giro. Gliela chiesi, con coraggio, se era uno scherzo, e vista l'atmosfera cordiale gli domandai anche come mai parlasse un inglese così perfetto. "Eh ... mio caro" mi rispose, "io ero studente alla Yale University e sono uno di quei ragazzi stupidi che credevano di aver ragione quando hanno lasciato 1'America per venire a combattere per Hitler." Studente a Torino
"Ma adesso cosa succederà di voi?"
Lui mi guardò preoccupato. "Sono curioso di saperlo anch'io, e penso che molto presto lo scopriremo." Ormai anche i tedeschi sapevano che la loro fine era prossima e molti si stavano già organizzando la fuga.
Mi preparai per partire da Spittal. In una lettera scritta in fretta e furia a mia mamma, che lei ricevette parecchio tempo dopo la fine della guerra quando ormai ero già sano e salvo in America, così scrivevo: "Lascio questa sera il campo avendo avuto la fortuna, la straordinaria grazia dal Signore, di essere sulla lista del trasporto di prigionieri americani che lascia in questi giorni l'Europa per l'America. lo vado verso la libertà e quasi non so capacitarmi di questa enorme grazia che ho avuto. Le mie preghiere sono state esaudite. Non puoi immaginare quanto sono eccitato e felice. Una fortuna che capita a pochi, una grazia che ogni prigioniero attende per anni".
La liberazione e l'ombra di Ellis Island
Non dimenticherò mai quella notte di gennaio del 1945, faceva un freddo pazzesco. Nevicava che Dio la mandava. Venne a prendermi nella mia baracca un sergente austriaco, e con un cenno mi indicò di raccogliere tutti i miei oggetti personali, che erano composti dallo sbrindellato sacchetto di San Vittore e dal pacco ricevuto in regalo dalla Croce Rossa. "Vieni, andiamo alla stazione, fra poco arriverà un treno. E quel treno è molto importante per te" mi disse.  Salutai in fretta e furia, emozionato, tutti i miei compagni di baracca che a quell' ora della notte si trovavano nel dormiveglia. "E gli altri" chiesi al sergente sottovoce "non vengono con me?"
"Non ti preoccupare, a loro provvederemo dopo."
Solo adesso riesco a capire l'immenso valore di quel messaggio dell'aprile del '44 che il CLN aveva mandato via radio agli agenti alleati in Svizzera, informandoli del mio arresto. Sin da quel giorno, gli agenti del dipartimento di Stato americano si erano adoperati per tirarmi fuori dai guai. Arrivammo alla stazione del piccolo paesino di Spittal, e il sergente mi diede il permesso di accomodarmi davanti alla stufa della sala d'aspetto. Ero completamente livido, avevo percorso come minimo un paio di chilometri sotto una fitta nevicata, spingendo il carrettino con le mie mercanzie. Sentii arrivare da lontano il fischio di una locomotiva. L'austriaco mi fece cenno di muovermi. Mi disse anche di non avere paura. Che il mio calvario stava per finire. Anche lui parlava un po' di inglese.
Vidi entrare in stazione un lungo treno bianco. Forse perché mi trovavo in uno strano stato tra l'emozione, la fatica il freddo acuto, mi sembrò quasi un miraggio. Era proprio bianchissimo, e con le insegne della Croce Rossa che brillavano magicamente, dipinte su ogni vagone. Fu una scena davvero favolosa vedere entrare quei vagoni che non finivano mai nella piccola stazioncina sotto la neve, con quel fischio quasi musicale, e le luci che dondolavano sotto il vento. Mi vedo la scena ancora davanti agli occhi: la neve fittissima, la locomotiva fumante, e poi i tanti, interminabili vagoni bianchi illuminati. .
Il sergente mi aiutò a salire nella carrozza, e poi fece una cosa che non dimenticherò mai. Era un omone grande e grosso, un tipico contadino delle montagne. Chissà, forse era anche un padre di famiglia con un figlio della mia età. Di punto in bianco mi abbracciò, stringendomi forte, e mi disse: "Va'ragazzo .. vai.
Entrai nella carrozza e fui preso subito in consegna da una crocerossina che mi accompagnò in uno scompartimento dove iniziai a soffrire terribilmente per la prima volta il caldo. Improvvisamente, da dieci gradi sotto zero con i piedi e le mani intorpidite dal freddo ero passato a trenta gradi! Dopo il doloroso scongelamento, cullato dal treno riuscii a addormentarmi. Dopo parecchie ore di viaggio il treno si fermò a Salisburgo, dove mi portarono al vecchio castello di Laufen, che era stato trasformato in campo per prigionieri e veniva utilizzato soprattutto come punto di aggregazione e smistamento per le operazioni di scambio e di rimpatrio.
Mi portarono in una palestra affollatissima, dove c'erano tanti altri prigionieri nella mia stessa situazione che dormivano tutti per terra sdraiati sulla paglia. Nel frattempo io mi ero preso una di quelle influenze che non dimenticherò mai più, per via di quella camminata sotto la neve a Spittal. Venne un dottore che mi diede delle aspirine mentre io lo pregavo di non riferire a nessuno che avevo la febbre così alta.
Non ero ancora convinto di essere salvo e avevo una gran paura che mi rimandassero indietro perché ero ammalato. Dopo un paio di giorni al castello, con mia grande sorpresa arrivarono una cinquantina di prigionieri che venivano dal mio stesso campo di Spittal. Ci baciammo e abbracciammo per la gioia di ritrovarci insieme, soprattutto con l'amico Charlie Kimball, il bostoniano di Cannes. Mi chiedo ancora perché ero stato fatto viaggiare da solo anziché insieme agli altri. Quelli al castello furono giorni confusi, mi sentivo in una specie di limbo, e provavo uno strano stato d'animo sospeso tra la febbre, l'eccitazione e la speranza di essere ormai vicino alla libertà. C'era un trambusto continuo, tutti gridavano, saltavano e urlavano e io diventavo matto perché cercavo la quiete. C'erano addirittura dei soldati afroamericani che suonavano i tamburi e che cantavano continuamente a squarciagola.
A metà gennaio lasciai il castello per la Svizzera, sempre con un treno della Croce Rossa.
Il treno si fermò al confine di San Gallo, mi fecero attraversare tutta la carrozza e scendere dagli scalini di testa, che erano già in territorio svizzero, mentre il resto del treno sarebbe rimasto in mano tedesca.
Scesi sulla banchina, tutto frastornato, e non dimenticherò mai il gesto di una pia donna dell'Esercito della Salvezza che andava vestita all'antica con il cappellino e i nastri attorno al collo. Mi si avvicinò e mi donò una mela! Non ne avevo vista una da mesi e mesi, e anche se era cosa da poco la apprezzai moltissimo. Nel momento in cui misi piede a terra sentii per la prima volta che "forse" la mia vita era definitivamente salva.  Dico forse perché fu ancora una tale odissea tutto il mio viaggio per arrivare negli Stati Uniti, che finché non misi piede a New York non credetti mai fino in fondo di essere libero.
Stazionammo qualche giorno in un campo appositamente messo in piedi per il nostro scambio a Kreuzlingen, sul lago di Costanza. Alla radio Italiana in Usa rubrica di cucina
Qui la Croce Rossa americana aveva il completo controllo della situazione e ricordo che sbrigarono tutte le pratiche burocratiche in accordo con il dipartimento di Stato americano per verificare la nostra destinazione e fare tutti gli accertamenti necessari sulla nostra identità. Poiché ero ovviamente senza un soldo, ricevetti dal governo americano un prestito "ufficiale" per le necessità più urgenti, con l'impegno di restituirlo appena mi fosse stato possibile. Riuscii a saldare il mio debito nel 1955, appena prima del mio debutto con Lascia o raddoppia. Dopo qualche giorno ci misero di nuovo in treno e questa volta attraversammo tutta la Svizzera. C'erano parecchi vagoni, e tutti noi che venivamo dal campo di Spittal, circa una cinquantina, eravamo stati raggruppati insieme.
Arrivati al confine con la Francia ci fu la consegna agli alleati. Diretti versò il porto di Marsiglia attraversammo tutti i campi di battaglia da dove erano salite (Provenza) le truppe guidate dal generale Patch durante l'Operazione Dragoon, quando a supporto delle operazioni in Normandia gli alleati avevano lanciato (agosto 1944) l'invasione del Sud della Francia.
C'erano dappertutto cannoni, carri armati e camion abbandonati ancora in mezzo ai campi. Ovunque paesi distrutti, ma la gente vedendo le insegne della Croce Rossa sul treno ci salutava festosamente perché capiva che era un trasporto di prigionieri che stava tornando a casa.  Arrivati al porto di Marsiglia ci aspettava una nave con la passerella appoggiata a terra. Era la S.S. Gripsholm. Un'enorme imbarcazione da crociera svedese-americana, tutta dipinta di azzurro e di giallo, che era stata trasformata appositamente per trasportare i prigionieri e per svolgere il lavoro dei viaggi scambio e dei rimpatri.
Fecero l'appello e salimmo uno per uno. Fu un'emozione incredibile perché capivo che forse finalmente ce l'avevo fatta. E poi, vidi e sentii una cosa che. ancora oggi mi emoziona, e che ricordo come il simbolo di tutto il mio viaggio verso la libertà. Sul ponte della nave c'era un' orchestrina di neri che eseguiva la musica di Glenn Miller. La sua musica era molto popolare negli Usa perché si trattava di un genere nuovo e poi anche perché il povero Glenn Miller, in uno spostamento da un campo all'altro per intrattenere i militari americani durante la guerra, era precipitato con l'aereo ed era morto. Mentre salivo sulla nave l' orchestrina stava suonando un pezzo molto famoso, Moonlight Serenade. 
Questo motivo mi ha seguito per tutta la vita, e chiedo scusa se divento per un istante funereo, ma vorrei che fosse eseguito nel giorno in cui lascerò questa terra per andare dove, grazie all'intervento degli alleati, ha potuto tardare il mio appuntamento. Mi fermai sul ponte per guardare verso il molo e seguire le operazioni di imbarco. Volevo anche capire chi erano tutti quei personaggi misteriosi che occupavano durante il viaggio la maggior parte dei vagoni, il cui accesso era assolutamente proibito. Appena li vidi mi venne la pelle d'oca. Si trattava di grandi invalidi di guerra. La maggior parte di quelli che salivano sulla nave erano accompagnati perché erano ciechi. Molti altri addirittura erano senza gambe. Con orrore vidi anche quelli che chiamavano i "basket cases", i casi da cestino. Li chiamavano così perché erano ridotti a dei tronchi, salvati per miracolo.
Il giorno dopo, la mattina dell'8 febbraio del 1945, la Gripsholm levò le ancore da Marsiglia e partimmo per attraversare l'Atlantico. Fu un viaggio particolarmente rischioso perché il comandante ci aveva avvisato che lungo il nostro percorso bazzicavano ancora molti U-Boat, i sottomarini dei tedeschi, che non ci avrebbero pensato due volte a silurare la nostra nave scambio. Come se non bastasse, praticamente per tutto il viaggio ci fu una tempesta con onde così alte che arrivavano addirittura sul ponte di comando. Tutti quelli che erano sulla nave stavano male. lo però avevo scoperto, insieme al mio pseudoamico Charlie Kimball, che camminare velocemente sul ponte più alto senza fermarsi aiutava a non stare troppo male. A bordo c'erano dei medici che sorvegliavano la nostra alimentazione, sapendo che per mesi avevamo avuto cibo molto povero e soprattutto scarso, e quindi sarebbe stato molto pericoloso rimpinzarsi senza controllo. Penso che quelle poche vomitate che ho fatto sul ponte non fossero dovute al mal di mare ma alla foga con cui mi ero imbottito di cose buone che mi mancavano da mesi. Arrivammo mercoledì 21 febbraio del 1945 nella baia di New York dopo tredici giorni di viaggio.
Ci furono scene di felicità delirante, soprattutto quando avvistammo e poi passammo vicino alla Statua della Libertà. Eravamo tutti assiepati sul bordo della nave, feriti, ciechi, ammalati, deperiti dalla sottoalimentazione, e nessuno riusciva a trattenere le lacrime dalla gioia. Passammo anche di fianco a Ellis Island, l'isola dove sbarcavano gli immigrati, e il mio pensiero corse verso nonno Michelangelo che era arrivato lì prima di me più di cinquant'anni prima.  Ellis Island durante la guerra era stata trasformata in ospedale per i feriti; inoltre vi si svolgevano le verifiche e gli interrogatori condotti dall'FBI ai militari e ai civili sospetti che rientravano dall'Europa o dal Pacifico. In alcuni viaggi scambio precedenti al nostro erano scoppiati dei gravi scandali perché vennero scoperti degli agenti nazisti che si facevano passare per civili americani. Da allora il dipartimento di Stato aveva intensificato i controlli, e l'isolotto era passato a svolgere anche la funzione di carcere.
La Gripsholm attraccò proprio di fronte a Manhattan, al Pier F di Jersey City. Appena messa la nave in sicurezza al molo, salirono gli agenti dell' FBI e gli ufficiali d'immigrazione e iniziarono gli interrogatori. lo venni esaminato direttamente sulla nave, ma mi ero spaventato perché prima di me vidi parecchia gente che veniva automaticamente trasportata a Ellis Island. Temevo di andarci anch'io, e sapevo che sarebbe stato un altro incubo.  Il mio interrogatorio durò fino a tarda notte, ma grazie a Dio mi mandarono via. Seppi in seguito che ciò fu possibile anche grazie alle rimostranze di mio padre che, avendo letto il mio nome sul "New York Times" nella lista ufficiale delle liberazioni comunicata dal dipartimento di Stato, aveva scritto alla Croce Rossa, garantendo sulla mia identità e dichiarandomi come suo figlio, con una residenza ufficiale e la reperibilità per ogni evenienza. 

La versione di Mike-Mike Bongiorno  Ed. Mondadori 2007 (collana Ingrandimenti)

“Quando mi trasferirono da qui a Ravensbruek, dei miei compagni d’allora che mi salutavano non ho più rivisto nessuno”


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