Giovanni Bertoni
Capitano nei Bersaglieri alias Generale Fortebraccio Della Rovere alias ..... |
C’è chi ha cercato di ricostruire, al di fuori della vicenda narrata da Montanelli, la vera storia di Giovanni Bertoni. Come e più del film mi è apparsa incredibile, fino al punto da non distinguere più fra finzione reale, letteraria e cinematografica. Non conosco l’autore del brano sottostante tratto da http://www.abruzzomio.it/ilgiornalino/pag30a.htm e non posso controllarne la fonte e la veridicità. Quello che vi riassumo astrae da una narrazione storica usuale in questa sezione come in altre, fatte di certezze, per calarsi in quell’aerea grigia dove si confondono sogni, fantasie e realtà. In pochi altri casi ho tenuto che sappiate che qui le verità non sono assolute e che difficilmente le scoprirete, anche quando si dovessero aprire archivi, per ora sconosciuti. Conoscendo tempi e luoghi, uomini e sentimenti partiamo alla scoperta critica del nostro personaggio (o dei personaggi) Giovanni Bertoni alias .. alias. integrando il pezzo con passi dall'intervista di Gianni Riotta a Montanelli, in calce alla Edizione Bur (1995) de " Il Generale Della Rovere" che cerca di chiarire romanzo, sceneggiatura, film e biografia !?. con una appendice (non nel libro) sconosciuta ai più. Un vero infiltrato è esistito, ma era un capitano di Fregata, Jerzy Kulczychy Sas, medaglia d'oro della resistenza, morto anche lui a Cibeno come il falso Generale e tirato in ballo proprio nell'appendice Riotta.
Bertoni nasce ad Alessandria il 9 aprile 1894 dal capitano di fanteria Ubaldo Bertoni (futuro comandante della Nunziatella) e da Teresita Rizzo. Lui stesso è avviato alla carriera militare, ma la abbandona (dopo la grande guerra) quando raggiunge il grado di capitano dei bersaglieri per seguire gli istinti della sua vocazione vera: quella del truffatore. Nulla si sa di lui per molti anni, anni in cui può essere stato richiamato per varie esigenze, dalla Spagna all’Etiopia o per nessuna per motivi disciplinari. Quando scoppia il nuovo conflitto non ha più l’età del fronte, per qualsiasi campagna, ma per un servizio sedentario si. Passata l’euforia iniziale ci si dimentica probabilmente però di lui. Se avesse frequentato il partito un incarico, anche modesto, non glielo avrebbe levato nessuno (dopo averglielo imposto). Il 25 luglio 43 e la situazione successiva fanno probabilmente piazza pulita di ogni freno inibitorio (non fu l'unico e neanche il primo). Un grande mercato di uomini e cose, in una situazione di irregolarità e illegalità si apre a chi è bravo ad approfittarne. Ladri, prostitute, delatori, contrabbandieri, etc.. fanno da corollario a quello che resta della nazione. Se al sud le prospettive sono buone, al nord sono anche migliori. Bertoni sbarca (arriva) a Genova sotto mentite spoglie. Si finge, ma non fatica, ufficiale della GNR introdotto nei servizi della RSI in grado di contattare e far fuggire reclusi. Da perfetto millantatore vanta amicizie potenti, succhia denaro a tutti, agli ingenui e ai disperati, dissangua i parenti dei rastrellati. Gli industriali gli danno soldi "per la Resistenza", ma sicuramente se ne fa dare anche per proteggerli dai nuovi padroni. Il gioco non dura molto. A dirigere l'ufficio politico della questura di Genova c'e Veneziani, un poliziotto della vecchia scuola a cui è giunta una soffiata (Un vero generale avrebbe dovuto sbarcare nottetempo per coordinare la resistenza ma si disse che lo sbarco fallisse e lui ucciso. L'arresto contemporaneo di Bertoni, la sua camaleontica capacità di calarsi in diversi personaggi ne fanno un predestinato al doppiogioco che ha in mente Veneziani. Quando viene tradotto in Questura e davanti a Veneziani improvvisa di nuovo una sua recita si sente rispondere « Basta, Bertoni. Sappiamo tutto di te. Il tuo fascicolo è pieno zeppo di carognate. La commedia è finita». Giovanni Bertoni si accorse di avere di fronte un osso duro e alzò le braccia in segno di resa. Il truffatore che gli stava davanti era troppo geniale per essere sprecato a marcire nel fondo di una cella. Una vecchia abitudine di polizia è rivoltare il criminale come i calzini e usarlo a proprio piacimento. Alla base di questi giochi c'è però sempre un ricatto e una ricompensa. Il ricatto, possiamo immaginarlo, passare mesi nelle patrie galere sempre in bilico di una rappresaglia tedesca che sfoltisca le celle. La ricompensa, il denaro che come sembra non basta mai a un giocatore incallito e perdente come Bertoni per soffiate sui partigiani. Veneziani fece sedere Bertoni e gli fece la proposta. Niente galera, ma un lavoro a tempo pieno, ben retribuito.
Il Bertoni del libro di Montanelli pag 57: - Colloquio con parenti di arrestati .... Avreste preferito sapere il contrario ?.. Che venivano picchiati a sangue, che dormivano in dieci in una cella, ch'erano stati stivati in un vagone piombato diretto in Polonia ?..Lo avreste preferito ?. No, non lo avreste preferito. Grazie al maggiore Grimaldi, ve ne stavate tranquilli, la notte dormivate, eravate quasi felici quando mi portavate i pacchi. "Mi raccomando, maggiore, glielo faccia avere subito.. C'è la maglia pesante: soffre molto il freddo.. C'é la marmellata di pesche che gli piace tanto ..C'è il salame.. il salame che non piace a nessuno... " Per questo mi davate del denaro, è vero ?. Ma in cambio io vi davo la speranza.. vedremo se starete meglio, ora che lei, signora Riva, ha denunziato lo sciacallo, perchè suo marito è stato fucilato.. come se lo avessi fucilato io ... Avanti signori, dite.. Dite che sono una carogna, che vi ho tradito e ingannato. Ditelo! - |
Il "nuovo generale" giocoforza accetta. Lo rinchiudono in una cella, a Marassi, mescolato ai politici. In una cella era rinchiuso il giovane ufficiale Mario V. sospettato di essere il collegamento tra l'organizzazione militare clandestina della Liguria e quella di Roma. Il prigioniero era stato interrogato, minacciato, picchiato, ma dalla sua bocca non era uscita una parola. Una sera si trovò con un nuovo compagno di cella: il generale Giovanni Fortebraccio Della Rovere. Erano sulla stessa barricata. Due uomini della Resistenza che si preparavano a morire per la causa. Il generale rispettava le regole del gioco e non chiedeva mai al giovane subalterno particolari della sua attività clandestina. Dava solo consigli: «Resisti, sii forte» e nello stesso tempo vantava le pedine che aveva anche nel carcere di Marassi. Lui aveva già mandato qualche messaggio, per far sapere che non aveva parlato. «Se potessi farlo anch'io...!» disse un giorno M.V. Era fatta, caduto in trappola. Finché un giorno il giovane ufficiale chiese a Della Rovere: «Generale, potrebbe mandarmi fuori un biglietto?». «Quanti ne vuoi» rispose. Nei bigliettini di M.V. c'erano i nomi del colonnello Montezemolo e di altri che finiscono poi nelle mani di Kappler alle Ardeatine. Il capo delle SD di Milano, polizia segreta tedesca, lo reclama per una operazione di scardinamento. Alla fine di marzo del 44, erano di fronte nell'ufficio di Veneziani, a Genova, il generale Della Rovere e il funzionario della squadra politica della questura milanese dottor Luca Ostèria, un poliziotto scaltrito dalle esperienze di addetto alla segreteria del consiglio dei ministri dal 1927 al 1943, abituato alle trappole e agli agguati (esperto dell’infiltrazione in territorio ostile, così lo definisce un recente libro). Ostèria era da mesi in contatto con la Resistenza e il suo nome di battaglia era "dottor Ugo". Aveva più volte rischiato la vita per salvare condannati a morte. Il fatto che Rauff avesse affidato proprio a lui il compito di convincere il sedicente generale ad accettare la difficile missione dimostra che Ostèria, lavorando sul filo del rischio, era riuscito a conservare la fiducia dei nazisti.
Ma Della Rovere, questo non lo sapeva: aveva di fronte un uomo più scaltro e determinato di lui. Luca Ostèria ha così ricostruito il suo incontro: «Quando mi fu presentato mi trovai di fronte un uomo di circa cinquant'anni, vestito elegantemente di nero, con guanti bianchi e monocolo. Gli espressi subito il desiderio del colonnello Rauff e lui accettò con entusiasmo. Mi raggiunse a Milano la mattina seguente nel mio ufficio, in corso del Littorio 1/A. Avendo avuto disposizioni di trattarlo come un vero generale, io gli feci assegnare una camera con bagno all'albergo "Ambasciatori" in Galleria del Corso, sotto il nome di Giovanni Della Rovere di Ubaldo, generale di corpo d'armata in aspettativa. Gli consegnai inoltre un documento bilingue firmato dal colonnello Rauff e dall'ispettore generale di PS Aldo Pagani. Al Bertoni fu inoltre fissato un assegno mensile di seimila lire nonché il rimborso delle spese che avrebbe sostenuto per svolgere la sua attività. Fu anche stabilito che non avrebbe dovuto avere contatti con gli alti ufficiali tedeschi. Doveva consegnare a me i suoi rapporti ed io avrei provveduto a smistarli alla segretaria del maggiore Teodoro Saeweke, signora Morgante, che doveva tradurli in tedesco».
LA FUGA DI MONTANELLI .. con una vettura mi condussero non al poligono, ma a S. Vittore, la prigione di Milano dove mi rinchiusero in una cella nel reparto isolati. Era il peggio di quella prigione, ma a me parve il paradiso. Le guardie erano italiane e subito si prestarono a farmi da postini dal di fuori. Una infinità di amici, che oramai erano liberi di circolare per il carcere, vennero a trovarmi e mi dissero che, poche ore dopo il mio arrivo, anche Maggie (la moglie) era arrivata, che stava in compagnia delle altre nel reparto controllato dalle monache. Anche con lei cominciò subito un’attiva corrispondenza, e io la sentii su di morale, serena e decisa. Io ebbi subito una grandissima assistenza, poiché era risultato che in seguito ai miei interrogatori nessun arresto era stato operato, il che testimoniava che avevo fatto il mio dovere. Il CLN aveva in carcere i suoi delegati e libri, sigarette, giornali, vettovaglie giungevano regolarmente. Ma soprattutto funzionavano le guardie, che erano completamente dalla nostra parte e cinque delle quali furono per punizione deportate in Germania. Esse mi aprivano, quando potevano, la porta e mi davano così il modo di vedere altri detenuti. Fu in una di queste escursioni che mi capitò la più gran fortuna della mia vita, sotto forma di punizione. Un giorno andai infatti a portare del cibo a un povero ebreo. Il caporale Himmler, il boia del carcere, mi sorprese e mi affibbiò una dozzina di scudisciate, l’ultima delle quali mi colpì sulla pancia e mi lesionò il fegato. Il giorno dopo ero tutto verde in faccia. E questo consentì al dottore italiano del carcere, che era un mio amico e che da parecchio aspettava l’occasione di poterlo fare, di dichiararmi ammalato e di mandarmi in infermeria......Il miracoloso salvatore era il signore che aveva accompagnato Mamma lì dentro e su cui non posso darti, pel momento, spiegazioni. Mi trattò con affetto e con vera amicizia. Io mi misi nelle sue mani. Lui promise di fare il possibile per tirar fuori anche me e, per quanto la cosa apparisse complicata, sperava di riuscire. Intanto la realtà era questa: che due volte la settimana potevamo vedere mamma e ricevere tutto ciò di cui si aveva bisogno. Le partenze per il campo di concentramento (Fossoli) cominciarono. Si diceva che chi andava al campo era sottratto alla minaccia di morte, ma aveva la prospettiva di essere deportato in Germania. Chi restava, invece, poteva essere fucilato da un momento all’altro come ostaggio. Noi avevamo in prospettiva - sia pure incerta - la possibilità di essere salvati da quel bravo signore. L’importante era che il salvataggio arrivasse prima della fucilazione. Messi alla scelta, il gen. Zambon e io decidemmo di rischiare e di rimanere con l’aiuto del nostro uomo che infatti ci fece cancellare dalla lista dei partenti. Subito dopo cominciarono le fucilazioni. Tutti i miei compagni di infermeria, compreso il mio vicino di letto e amico carissimo Gasparini, furono a uno a uno prelevati e condotti al macello. Ma anche da Fossoli giunse notizia che pure i deportati erano stati massacrati. Non c’era tempo da perdere. Il nostro protettore aveva già la partita in mano per Zambon e per me. Voleva aspettare per poter includere nel colpo anche Maggie. Ma a un tratto si venne a sapere che i nomi di noi due uomini figuravano nella lista degli accoppandi dopo l’incidente di Piazza Adelaide. Bisognava agir subito rubando il tempo al plotone di esecuzione. Maggie mi impose di approfittare. La scansammo per quattro ore. Quattro ore prima giunse un falso ordine di trasferimento di carcere. Zambon ed io fummo caricati su una macchina che doveva condurci a Verona e che invece ci portò in un nascondiglio. Stemmo ancora dieci giorni nascosti a Milano. Dopo passammo in Svizzera con l’aiuto del Comitato. lettera di Montanelli al padre dell’autunno del 1944, circa tre mesi dopo l’evasione propiziata da Luca Osteria
(In un sito di Marco Travaglio a firma Alberto Malvolti si cita (per confutare la "malafede" di Renata Broggini e la sincerità di Montanelli http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri70.htm un passo chiaramente fasullo poichè la data di liberazione di Montanelli (Agosto 1944) non coincide con quella di Parri arrestato nel gennaio 1945. Lo stesso Indro in un’intervista rilasciata nel 2000 aveva così raccontato la sua “fuga”: “Scappai grazie a un ordine di trasferimento al carcere di Verona: un ordine fasullo, architettato dal famoso “dottor Ugo”, che si chiamava in realtà Luca Osteria, un uomo che aveva protetto Parri, che aveva protetto Sogno e che protesse anche me. (Se l'Italiano non è una opinione va almeno cambiato il verbo) Lui (Osteria "Ugo")) organizzò tutto. Ma, qualche anno dopo, ho saputo che il comandante delle SS, il capitano Saewecke, era d’accordo con Osteria nel farmi evadere” !!!) .
Pag 125 del libro di Montanelli (appendice Riotta):Giuseppe F. Mayda, pubblicista storico:. Jerz Sass 1 (Jerzy Sas Kulczichy dicitura corretta vedi scheda http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/kulczychy.htm ) ... questi imbarcato sulla corazzata Cavour 2 , all'8 settembre 1943 aveva cercato subito di organizzare i primi gruppi di resistenza ... nel gennaio 1944 aveva assunto appunto il falso nome di Francesco Fortebraccio della Rovere Generale di C.d.A. ed era stato inviato al Nord, come rappresentante del Governo Badoglio.3. L'arrivo al Nord di Kulczichy fu annunciato da Radio Londra con qualche giorno di anticipo, precisamente la sera del 9 gennaio 1944 con il messaggio in codice "e le foglie stanno per cadere". Kulczichy infatti arrivò in treno .4. e Il 17 aprile venne arrestato dai tedeschi a Genova in via Ausonia 31 in casa di Attilio Caroncini suo ex cannoniere. ...ma la notizia dell'arresto di Kulczychy non rimase a lungo segreta, e così i capi della resistenza seppero presto che colui che si spacciava per Della Rovere era in realtà un impostore. Ndr. in queste brevi frasi già 4 incongruenze: 1 - Sbagliato il nome dell'ufficiale citato da Mayda, ma questo può essere errore veniale 2 - la Cavour era stata praticamente radiata dal servizio dopo la notte di Taranto del novembre '40 (attacco nel mar piccolo con aerosiluranti ). Venne recuperata alla fine del 1941 ed inviata in bacino a Trieste per riparazioni. Non ritornò più in servizio attivo. Il 10 settembre 1943 venne catturata dai tedeschi in porto a Trieste e successivamente riabbandonata per un bombardamento alleato (15-2-45) che ne aveva pregiudicato la stabilità. Se avesse avuto ufficiali a bordo l'8 settembre, come in effetti aveva, uno di questi poteva essere Jerzy, ma Mayda specifica .. era stato inviato al Nord .. in treno. Biografia di Kulczychy nel sito della marina italiana: Il capitano aveva 39 anni (difficilmente a quella età ci si spaccia per Generali) e in Veneto è considerato partigiano col nome di battaglia di "Colonnello Sassi".... 3 - quindi non Generale Della Rovere, il che ne fa un catturando improbabile per Genova. Ritorniamo alla versione più probabile del suo imbarco a Trieste .... 4 - non è mai arrivato in treno o in sottomarino. E qui la vicenda si complica perchè di agenti sbarcati in Liguria da sottomarini è piena la storia segreta della liberazione come la vicenda Moranino-Strassera Sunto di questo passo se qualcuno è riuscito a seguirlo: Si scrive di fantasia (Montanelli), si contesta con presunte verità spacciate per storiche ma inserendo ulteriori bugie, poi si fa un Film rimescolando il tutto(in effetti il film è nato prima del libro, ma sempre da un soggetto di Montanelli ed altri): sic transit gloria Bertoni. Come si vede Bertoni non era poi peggiore di G.F.Mayda e degli altri. Operavano in campi contigui alla verità. |
l mistero sul doppiogioco di Osteria, anche quando protesse la fuga di Montanelli rimase (ma nel dopoguerra ebbe incarichi riservati all'interno del Governo Parri). Per giungere a questi risultati, non erano sufficienti ad una spia le normali doti di trasformismo, occorreva avere il "fisic du rol". E lui poteva interpretare chiunque di più e meglio di un qualsiasi attore consumato. Bertoni non ha mai abbandonato le sue vecchie truffe. Bertoni era già immerso fino al collo nel suo ruolo di "generale Della Rovere" amico di Badoglio e di Alexander, quando gli capitò di intrufolarsi nei ricevimenti in casa di un industriale. Li conosceva bene gli industriali, con un occhio guardavano a questi di padroni e con l’altro al dopo, agli affari della ricostruzione. L'ambiente, con tutte le precauzioni e temperanze, si dichiarava antifascista, dopo che l’amore giovanile col Duce non era più corrisposto. La figlia dell'industriale farmaceutico, sembrava animata dal desiderio di entrare nella clandestinità e Bertoni la usa come anello debole per arrivare alle ricchezze del padre. Racconti, storie di clandestinità ritmate d'angoscia, di fede e di coraggio tenevano la platea soggiogata: «Voglio fare qualcosa ... » insisteva la ragazza. E venne il suo momento. «Sarà la mia segretaria. Le passerò i messaggi cifrati che mi giungono dal comando alleato e lei li decifrerà». Un giorno erano tutti nel salotto grande e Bertoni teneva banco raccontando fantastiche storie di guerra. Si sentì bussare alla porta e un cameriere introdusse uno sconosciuto che senza parlare consegnò al "generale" un biglietto. Bertoni lo passò immediatamente alla ragazza dicendole gentile: « Prenda il codice e lo decifri». Lei si allontanò e pochi minuti dopo riapparve, pallidissima. «Generale, lei è in pericolo. I tedeschi stanno già sorvegliando la sua abitazione». Non lo videro perdere la calma. Si alzò lentamente, si tolse il monocolo e lo pulì con l'angolo di un fazzolettino. Tutti lo imploravano: «Deve fuggire!». Lui rispose, quasi parlando con se stesso: «Purtroppo, non ho una lira in tasca ... ». L'industriale corse fuori dal salotto e poco dopo rientrò con un pacchetto di banconote: duecentomila lire, una enormità, per l'amico bisognoso d'aiuto. Non lo rividero più. Ma il paese non è sterminato e prima o poi le cose si vengono a sapere. La spia era forse arrivata al suo canto del cigno. Incominciava anche a sentire la nausea per lo sporco lavoro al quale l'avevano costretta? E’ maggio quando il colonnello Rauff lo fa rinchiudere a San Vittore per tentare un altro colpo, prima che si bruci definitivamente e letteralmente. Gente come i tedeschi non lasciavano dietro di se indizi e tracce, carboni e cenere. Da questo momento la vita di Bertoni/Della Rovere cambia e la sua intricata vicenda umana entra nell'enigma. Le SD naziste gli affidano un compito di scoprire i canali di comunicazione tra il carcere e l'esterno. Bertoni sapeva di giocare l'ultima sua partita - e la vita - sul raggio di una ruota che aveva preso a girare in senso inverso?. Quale meccanismo era scattato nella mente della cinica spia che aveva mandato al macello decine di persone? Probabilmente a scuotere la sua nuova coscienza fu l’impatto con quegli uomini di stampo così diverso dal suo, rinchiusi con lui a San Vittore, in dignitosa attesa della morte.
Teodor Emil Saevecke - Il boia di Milano |
Teodor Emil Saevecke era un potente gerarca del Terzo Reich, comandante dell’Aussenkommando Mailand, spietato governatore di S. Vittore. Aveva 32 anni quando qui giunse la prima volta. Dal settembre del 1943 all’aprile del 1945, Milano visse una stagione di terrore e sangue. Al termine del conflitto si ritirò indisturbato in Bassa Sassonia ( pensionato dal 1971), dopo aver prestato i propri servigi alla Cia ( 1948) e aver percorso una brillante carriera nella polizia di Bonn. Strappato al suo quieto vivere, ricacciato col peso dei suoi crimini in un passato che non aveva mai rimosso, davanti all’accusa dell’eccidio di piazzale Loreto aveva reagito infastidito dicendo che si trattava di una montatura, che il magistrato italiano non aveva alcun diritto di frugare nella sua vita. Aveva poi aggiunto di essere stato già assolto anni prima dai tribunali inglesi e tedeschi. Godeva di notevoli protezioni da parte del governo tedesco, tanto che negli anni ‘60 fu velocemente archiviata un’inchiesta contro di lui. Nel marzo del 1963 però il consigliere di stato Gerhard Wiedemann fu inviato in Italia per fare chiarezza sul passato di Saevecke. Una sua foto ritrovata in modo fortunoso dal Comitato Combattenti Antifascisti di Berlino ed inviata a Milano per il riscontro, contribuì a togliere ogni dubbio. Saevecke era emerso a tutto tondo dai ricordi delle vittime come un criminale che aveva coordinato diverse stragi a cominciare da quella di Meina sul Lago Maggiore del 22 settembre 1943, quando 54 ebrei vennero massacrati da soldati della Divisione corazzata “Adolf Hitler” (film n.40 http://digilander.libero.it/freetime1836/cinema/indicecinema.htm ). Saevecke aveva alle sue dipendenze circa 20 ufficiali, 60 sottufficiali, una ventina di soldati oltre ad un nutrito gruppo di militari italiani, ma non si limitava solo ad impartire ordini, spesso aveva preso parte ai pestaggi e alle torture. L’elenco dei suoi crimini è incredibilmente lungo e agghiacciante, ricordiamo il caso più agghiacciante, quello di Salomone Rath sbranato da un cane durante un interrogatorio. Ai sabotaggi e alle azioni partigiane aveva risposto il Comando SS con una serie di stragi cominciate proprio nel luglio del 1944: il 15 tre fucilati a Greco, il 20 altri 3 a Corbetta, il 21 cinque fucilati e 58 deportati a Robecco sul Naviglio…..fino a quel fatidico 10 agosto 1944. |
Giugno 1944: Roma è liberata, è la prima capitale ad esserlo ….. I suoi padroni tedeschi non credono più nel suo gioco interlocutorio. Quando, il 15 giugno compilano la lista dei prigionieri che da San Vittore devono essere trasferiti al campo di concentramento di Fossoli, nell'elenco c'è anche lui. Il generale Della Rovere ora ritornato Bertoni nei documenti viene rinchiuso a Fossoli, forse per continuare lì il suo lavoro ? Seguì gli altri in silenzio, con una espressione indecifrabile sul volto che di giorno in giorno, sempre più diventava "da generale". Tutti gli altri erano quasi contenti. Uscire dalle celle anguste, dal clima mortifero del V braccio per andare in un campo, al sole, sembrava un vantaggio: Chi restava a San Vittore, prima o poi come diceva Montanelli, finiva fucilato. A Fossoli erano finiti i privilegi: la cella aperta, le attenzioni dei guardiani. Gli restava il rispetto dei compagni di catena. Per loro era sempre il generale Della Rovere. Forse nessuno ha interpretato il sorriso ironico dei tedeschi quando gli davano dell'"eccellenza". Luca Ostèria dice: «Perché poi i tedeschi abbiano immesso Bertoni nella lista dei condannati a morte per rappresaglia, non lo so. Probabilmente fu un caso. I dirigenti del campo ebbero ordine di fucilare sessantotto persone e così fecero senza guardare tanto per il sottile». (la rappresaglia era per un attentato a Genova !?) Il fatto è che quando i nazisti compilarono l'elenco, Bertoni non protestò. Lo chiamarono all'appello, e lui fu lesto a precisare: «Prego, generale Della Rovere». Chiamò le pallottole al petto e prima della scarica urlò le frasi che in quei casi gridano gli eroi della patria. Quale Bertoni/Della Rovere dobbiamo ricordare? La spia insidiosa o il vecchio megalomane purificato dal martirio? Non avremo mai una risposta.