AMMIRAGLIO

CARLO BERGAMINI  

Carlo Bergamini nasce a San Felice sul Panaro, nella pianura modenese, luogo insolito per un destino in marineria, il 24 ottobre del 1888. Già il padre come il nonno coinvolti nei moti risorgimentali gli avevano dato il carattere e il mare glielo diede l’ufficio del padre, Intendente di Finanza, in quel di Bari. Nel 1905 entrava all’Accademia Navale di Livorno e tre anni dopo ne usciva guardiamarina. La prontezza e la prospettiva nel risolvere problemi ne fecero da subito un capo. La sua preparazione specifica in Artiglieria marittima lo portò ad avere molti incarichi legati alle armi ed alla installazione e funzionamento di bordo (centrali di tiro che poi sperimenterà ). Il 10 ottobre 1914 fu destinato sulla corazzata “Ammiraglio di Saint Bon” come II direttore di tiro e il 18 aprile 1915, da tenente di vascello, s’imbarcò sull’incrociatore corazzato “Pisa” sempre come II direttore di tiro ma fu subito promosso I direttore e con tale incarico partecipò alla prima guerra mondiale. Il primo argento venne col bombardamento di Durazzo dell’ottobre 1918. La sua carriera proseguì alla “Direzione Generale Artiglieria ed Armamenti”, dove rimase salvo brevi interruzioni fino al 27 giugno 1926. Il giorno seguente assunse il comando del cacciatorpediniere Giacinto Carini e il 25 settembre dello stesso anno fu promosso capitano di fregata. Lasciò quindi tale comando il 10 dicembre 1928 per andare a frequentare il Corso di istruzione presso l’Istituto di Guerra Marittima a Livorno; al suo termine (16 giugno 1929), fu nuovamente destinato al Ministero, sempre presso la “Direzione Generale Armi e Armamenti Navali”. Lasciò tale incarico il nel 1931 per comandare nuovamente la neoriclassificata torpediniera Giacinto Carini su cui fu sistemato il prototipo della Centrale di tiro “Galileo-Bergamini” e il 24 marzo 1932, assunse il comando della squadriglia “Nembo”. Comandi e incarichi di S.M. e ancora Ufficio fino al gennaio 1938 quando fu promosso contrammiraglio ed esattamente un anno dopo ammiraglio di Divisione (V div.) venendo destinato allo S.M. della Marina, dove rimase fino al 31 luglio 1939. Il 7 maggio 1940, fu nominato Comandante della 9a Divisione e Capo di S.M. della prima Squadra Navale, imbarcando sulla nave da battaglia Littorio. Alzò successivamente la sua insegna sulla corazzata Vittorio Veneto con la quale prese parte, il 27 novembre 1940, allo scontro navale di Capo Teulada, dando prova di esemplari virtù militari e meritando il 2° Argento al V. Militare. Si occupò dal ministero dei danni subiti dalle navi nell’incursione di Taranto (Nov.1941) escluso il Cavour rimorchiato a Trieste. Il 12 luglio 1941 lasciò gli uffici per imbarcarsi nuovamente sulla corazzata Vittorio Veneto quale Comandante della 9a Divisione navale e Comandante in seconda della seconda Squadra Navale. Il 24 luglio dello stesso anno fu promosso ammiraglio di Squadra poi comandante in prima della stessa squadra a partire dal 12 gennaio 1942. Il 5 aprile 1943 fu nominato Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia trasferendosi, a seconda delle necessità operative, sulle corazzate Littorio, Vittorio Veneto e Roma con base a La Spezia. Alla vigilia dell’8 settembre 1943 l’ultimo ordine da lui ricevuto era contrastare gli sbarchi alleati previsti nel basso Tirreno (Golfo di Salerno). Macchine pronte a muoversi.  

….. « E la corazzata Roma è pronta ? », domandava Mussolini all'ammiraglio Franco Maugeri in “Mussolini mi ha detto" durante il viaggio di internamento seguito al suo arresto nel luglio 1943. « Che magnifici incassatori si sono dimostrate quelle navi! E l'Ammiraglio Bergamini? E' un uomo solido e se sarà chiamato ad agire condurrà certamente bene la sua squadra (*). So che è rimasto spiacente dell'inazione della Squadra durante lo sbarco in Sicilia e dei commenti che ha fatto il nemico, ma abbiamo studiato a lungo la cosa e abbiamo giudicato che il rischio era troppo forte senza la protezione aerea, specialmente nello stretto di Messina, dove ci vuole quello che gli inglesi chiamano « ombrello».

(nota nel testo del volumetto di Maugeri*) Come è noto, l'ammiraglio Bergamini, comandante in capo delle forze navali operanti, morì nell'affonda mento della corazzata Roma per bombardamento aereo tedesco, il 9 settembre 1943, nelle acque delle Bocche di Bonifacio. La squadra era in navigazione verso una base in mano agli alleati, in conformità delle condizioni armistiziali ma non sarà privo d'interesse il notare che Mussolini non

IL TRAVAGLIO DELL’ARMISTIZIO

L’ammiraglio Raffaele de Courten, neo ministro della Marina e CSM della marina stessa nel primo governo Badoglio post 25 luglio 1943, narra nelle sue memorie che il 10 agosto 1943 gli si presentò Maugeri (capo del Sis, il Servizio informazioni della Marina) con una memoria riservata concernente lo spostamento della flotta da la Spezia alla Sardegna. L’ipotesi, in vista di un conflitto coi tedeschi e nell’ottica di salvare il naviglio sia da parte di operazioni armate del Reich o di fraintendimenti degli alleati. Per gli alleati garantiva lui che tutto si sarebbe svolto sotto un ombrello protettivo (fino a quando e dove?). De Courten informò Ambrosio (CSM generale) e ne convennero che, in mancanza di un armistizio o di un qualsiasi capovolgimento di fronte che per il momento non era previsto (quello che gli italiani pensavano il giorno dopo i tedeschi lo sapevano) si procedesse alla distruzione della memoria. Maugeri non era stato incaricato come ennesimo intavolatore (se ne conoscono ormai decine di veri e falsi intermediari) di trattative di pace. Non si occupasse più di questioni del genere, che esorbitavano dalle sue attribuzioni, le quali rientravano esclusivamente nella responsabilità dei supremi organi. I supremi organi avevano detto che la guerra continuava ed ogni azione contraria non faceva che peggiorare il conto da pagare ai tedeschi. Nessuno sente più parlare di Maugeri fino a quando nel dopoguerra (1946) viene nominato capo di SM in sostituzione di De Courten e scavalcando altri più anziani. Un'altra versione del fatto....Ago. 43 Maugeri è andato di filato dal ministro degli Esteri, Guariglia. La cui risposta è così riportata dall'ammiraglio: 'L'Italia è ansiosa di abbandonare i tedeschi al più presto possibile. Essa non può farlo a meno che, e sin quando, gli Alleati non vengano in aiuto con un appoggio davvero sostanzioso. Infine, se gli Alleati invaderanno il nostro territorio continentale, la nostra resistenza sarebbe puramente simbolica'. Negli stessi giorni da Lisbona Cippico avverte Supermarina del desiderio degli Alleati che la flotta italiana rimanga integra. Nella capitale portoghese si precipita un fidato emissario di Maugeri, il capitano Mario Vespa, il quale consegna all'addetto navale statunitense la totale adesione dei nostri ammiragli. Ed è un si pesante, quello di Vespa: Maugeri ha coinvolto anche Sansonetti e De Courten, il nuovo Ministro della Marina, che assomma pure la carica di capo di stato maggiore. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.279) se per coinvolto si intende ne ha parlato siamo sempre al " molto fumo e poco arrosto".

Prima di passare alle vicende vere e proprie delle navi di stanza nel Mar Ligure e sottoposte al comando di Bergamini è bene chiarire alcuni concetti relativi all'"armistizio". L’unico vero armistizio che l’Italia aveva subito!!! risaliva a quasi cent'anni prima (1848) e non era stato molto onorevole. Se ne era andato l’ultimo re di Sardegna Carlo Alberto. L’armistizio per definizione è il periodo che non è più guerra, ma non ancora pace ovverossia sospensione delle ostilità, desistenza delle armi. A questo punto ci si arriva per esaurimento dei contendenti, per invito o suggerimento di terzi, considerato grande potenza, o per debacle di parte. Se debacle completa c'era stata nel '48, nel 1866 a Custoza, ad invocare l’armistizio non eravamo stati noi ma inviti superiori provenienti dalla Prussia che voleva chiuderla li con la "cugina" Austria. Questa volta l'armistizio non era neanche parente di quello del '48: la definizione “armistice” in Inglese dice A temporary cessation of hostilities by mutual consent of the contending parties or a state of peace agreed to between opponents so they can discuss peace terms (come volevasi dimostrare). Ma quella a cui si riferivano continuamente gli alleati nei loro colloqui e che noi non sembravamo comprendere era “Unconditional surrender” ovvero resa incondizionata !!!!, dove la clausola del “Mutual consent” (accordo fra le parti), era puro eufemismo: non eravamo in condizione di discutere,: o prendere o lasciare (ma questo molti nel Governo Badoglio non lo avevano capito, anche perché non gli era stato spiegato e neanche oggi molti continuano a non capirlo: tutti gli atti degli alleati sono condizionati da questa formula che si riassumeva nella sigla KID Keep Italy Down “tenete l’Italia sotto il tallone”). La prima guerra era cominciata con un colpo di stato di pochi, la seconda finiva con un colpo di testa di pochissimi.

 

volendo (poi in seguito) ritrattarsi sul conto di Bergamini ch'egli considerava un suo fido, gli dedicò più tardi una nota della sua «Corrispondenza repubblicana per sostenere la singolare tesi che se Bergamini non fosse caduto - per bombe tedesche, si noti bene - avrebbe certamente finito col dirigere la squadra verso un porto controllato dai tedeschi ... , La nota era intitolata « il caso Bergamini **» e se di un caso si può parlare, per quanto riguarda il valoroso ammiraglio si deve dire ch'egli fu il solo che, mentre il governo Badoglio faceva decretare dal Sovrano un'altissima decorazione militare alla sua memoria, anche i nazifascisti lo rivendicavano promuovendolo «sul campo » per merito di guerra, con una deliberazione che è fin troppo grottesca per essere oltraggiosa per la sua nobile figura.

** 7/1/44 Corrispondenza repubblicana: Dal caso Messe al caso Bergamini: là era la storia di un bravo generale che ha rinnegato alla fine il suo passato di fedeltà e valore; qui è la storia di un ammiraglio sfortunato, già sepolto con la sua nave in fondo al mare, e fatto segno ora a una speculazione indegna da parte del regio governo di Badoglio...ma per sua fortuna l'ammiraglio Bergamini ha lasciato le testimonianze innopugnabili della sua dirittura di marinaio e di italiano... con il comandante Bedeschi, ad esempio,come con altri, egli si è espresso testualmente (8/9) "Intendo portare la flotta in un ancoraggio italiano o in un altro ancoraggio al di fuori di ogni ingerenza. Non consegnerei mai le navi al nemico"

sotto dalle memorie De Courten    

La versione italiana che la "trattativa era in corso" (la resa era stata firmata il 3 settembre da Castellano ed era molto chiara) fu mantenuta fino a mezzogiorno del 6, data in cui fu consegnato all'ammiraglio De Courten un plico intitolato "Promemoria n° 1" che questi doveva diffondere ai comandi navali che convocò a Roma per il 7. Nella sera stessa del 6 settembre l'ammiraglio De Courten venne poi convocato da Ambrosio, che gli consegnò un altro promemoria, firmato "Dick" (ammiraglio Cunningham) con l’indicazione dei porti in cui, paragrafo 4 dell’”Armistizio”, avrebbero dovuto riparare le navi. Ambrosio disse che era già stato chiesto agli Alleati di poter concentrare la flotta alla Maddalena, cioè in un porto nazionale “sicuro”, e che questi lo avrebbero certamente concesso. De Courten come tutti (Badoglio compreso) era convinto che l’annuncio non sarebbe stato dato prima del 12/15 settembre, e mai e poi mai prima del 10 (una falsa indicazione di Castellano che era "scomparso" dopo la firma del 3). De Courten  convinto che si trattava ancora di “schermaglie” armistiziali fra due contendenti (non suonati) si recò al Comando supremo per consegnare un promemoria di condizioni alternative al promemoria "Dick", ma non trovò Ambrosio perché questi, conoscendo i fatti, era andato a Torino ad avvisare la famiglia di mettersi in salvo con tutto quello che si poteva portare via di valore. Il pomeriggio del 7 ebbe poi luogo la riunione degli ammiragli, presieduta da De Courten e da Sansonetti. Nessuno dei due relatori fa cenno a trattative in corso od al promemoria "Dick". Anzi incontrando i tedeschi ripeté che la flotta italiana era pronta a partire per l'ultima missione suicida contro gli Alleati nel Tirreno meridionale il giorno dopo data prevista per lo sbarco di Salerno. Quella mattina (8) alla sede del Comando Supremo, Ambrosio rientrato (ecco perché la sera prima Maxwell Taylor non l'aveva trovato) incontrò De Courten e gli ordinò di aspettare perché l’armistizio era già vigente e sarebbe stato annunciato di li a poche ore (i suonati eravamo noi se non l'avete capito). Alle 16 De Courten è al Quirinale, con il Re, Badoglio, Ambrosio ed gli altri capi di stato maggiore per un Consiglio della Corona. Solo allora Badoglio rivelò agli stupefatti comandanti militari che i suoi tentativi per far slittare la data di annuncio erano falliti (e la radio alleata ne aveva già dato comunicazione intercettata anche dai tedeschi). A De Courten non restò che prendere le decisioni nell'arco di pochissimi minuti prima che Badoglio si recasse a  registrare il messaggio. Se l'avesse dato in diretta i tedeschi lo avrebbero forse aspettato fuori dai cancelli dell'Eiar.

 

Esisteva a questo riguardo (autoaffondamento)un glorioso precedente della flotta tedesca internata a Scapa Flow in Scozia in osservanza alle clausole armistiziali di fine primo conflitto mondiale. L’articolo 23 dell'armistizio disponeva oltre alla consegna di tutti i sottomarini: "Le navi da guerra della flotta tedesca d'alto mare (riguarda 6 incrociatori, 10 corazzate, 8 incrociatori leggeri (di cui 2 posamine), 50 caccia), indicate dagli Alleati e dagli Stati Uniti, devono essere immediatamente disarmate e quindi internate in porti neutrali o, in mancanza di essi, in porti delle potenze alleate. Tali porti saranno scelti dagli Alleati e dagli Stati Uniti. Le navi rimarranno nei porti sotto il controllo degli Alleati e degli Stati Uniti. A bordo devono restare soltanto gli uomini di sorveglianza. Il 23 novembre 1918, allo spuntare dell'alba le navi del Kaiser entrarono nella rada di Scapa Flow.

 
LA FINE   Davanti agli occhi dei marinai tedeschi apparvero sotto un cielo grigio isole rocciose e brulle, soltanto qua e là coperte da sterpi e da erica, popolate da greggi di pecore e stormi di gabbiani e di cormorani che volteggiavano sopra l'oceano. Nessun rifornimento alimentare da parte inglese, consumo delle scorte poi fame e tanti modi di arrangiarsi. «Il pane duro aveva un sapore eccellente, ma non tutti i denti furono alla altezza del compito».  Mancavano, tra il personale medico di bordo, i dentisti e gli inglesi si rifiutarono di prestare cure. Il 17 giugno 1919 Von Reuter diramò ai suoi ufficiali l'ordine 39, che conteneva le indicazioni dettagliate per l'autoaffondamento di tutta la flotta. Il segnale per l'esecuzione dell'ordine fu indicato nel guidone Z da innalzare sul pennone, che nel codice di combattimento dava l'ordine di attacco. La mattina del 21 giungo 1919 le navi della flotta inglese lasciarono il porto di Scapa Flow per effettuare un'esercitazione in alto mare. L'ammiraglio tedesco non si lasciò sfuggire l'occasione propizia: intorno alle 11 fece issare sull'albero di segnalazione dell'incrociatore Emden il guidone Z. Una dopo l'altra tutte le navi issarono la bandiera di combattimento e iniziarono a imbarcare acqua da ogni portello. Intorno a mezzogiorno il Friedrich der Grosse si inclinò su di un fianco. Gli equipaggi calarono in mare le scialuppe per mettersi in salvo e così fecero tutte.
I passi concitati che a partire dal giorno 8 pervadono tutti gli alti vertici militari non starò qui a dettagliarli. Per alcuni probabilmente non è ancora stata fatta chiarezza. Seguiremo quindi a grandi linee quelli della marina e del comandante Bergamini che portarono alla fatale perdita della Corazzata Roma e di 1350 uomini dell'equipaggio. Se c'era una cosa certa era che il comandante Bergamini non aveva assolutamente volontà di arrendersi, di consegnarsi a un qualsivoglia nemico e di non vendere cara la pelle fino all'ultimo momento per salvare l'onore della flotta.

L’ammiraglio de Courten ebbe con Bergamini giunto in macchina dalla Spezia per la riunione convocata per le 16 del giorno 7 settembre (faccio un elenco di tale riunione omettendo la funzione ad esclusione di alcuni di cui si conosce già l’incarico. Ammiragli Luigi Sansonetti, Sottocapo di SM, Carlo Giartosio Sottocapo aggiunto, Emilio Ferreri segretario generale, Carlo Bergamini, Edoardo Somigli F.N di protezione, il Comandante in Capo dei Sommergibili, ammiraglio Antonio Legnani, il Comandante Superiore delle Forze Navali dislocate a Taranto, ammiraglio Alberto Da Zara, Giotto Maraghini (La Spezia), Ferdinando Casardi (Napoli), Bruto Brivonesi (Taranto), il Comandante Militare Marittimo di Venezia, ammiraglio Emilio Brenta), un colloquio sullo spirito della Flotta. "Ebbi da lui piena ed esplicita assicurazione che la Flotta era pronta a uscire per combattere nelle acque del Tirreno meridionale la sua ultima battaglia (Salerno). Mi disse che Comandanti ed Ufficiali erano perfettamente consci della realtà cui sarebbero andati incontro, ma che in tutti era fermissima la decisione di combattere fino all’estremo delle possibilità. Gli equipaggi erano pieni di fede e di entusiasmo. L’addestramento aveva fatto negli ultimi tempi buoni progressi. Gli accordi presi con l’Aeronautica tedesca e quella italiana e le esperienze compiute davano buon affidamento di poter finalmente contare su una discreta cooperazione aeronavale. Egli confermava che, intervenendo a operazione di sbarco appena iniziata e traendo profitto dall’inevitabile crisi di quella delicata fase, sarebbe stato possibile infliggere al nemico gravi danni. Ricordo questo colloquio con commozione perché dalle parole di quest’uomo, vissuto sempre sulle navi e per le navi, emanava senza alcuna iattanza la tranquilla sicurezza di poter chiedere al potente organismo nelle sue mani lo sforzo estremo e il sacrificio totale. Sapendo che le forze subacquee erano già in movimento e che le forze siluranti minori erano pronte ad entrare in azione, non potevo non pensare e non posso non riaffermare oggi che la Marina fu colta dall’Armistizio in piena efficienza materiale e morale”. http://www.cestra.eu/franco/ffnnbb_index.htm 

Aggiunge poi un altro discusso testimone l'ammiraglio Girosi (Capo Reparto Operazioni ed Addestramento di Supermarina) l’altra spia della nostra storia in una lettera al figlio dell'Ammiraglio Bergamini il comandante Pier Paolo Bergamini: “A conferma di quanto tu mi hai scritto ti dirò che gli ordini di operazione per quella che presumibilmente sarebbe stata l’ultima uscita con il supremo sacrificio di tutte le nostre forze navali, erano stati da me compilati materialmente con il pieno assenso di tuo padre e del Capo e Sottocapo di Stato Maggiore della Marina. Essi erano così chiari e risoluti che prevedevano anche l’ipotesi di falle o necessità di portare in appropriata posizione le navi in secco e di farle continuare a sparare come batterie fisse, salvo a farle saltare in caso di necessità”.!!!!
L’ammiraglio de Courten ministro e anche CSM (dal 29 luglio 1943), così riferisce nelle sue “Memorie” L’ammiraglio Bergamini inizialmente esternò la sua indignazione per non essere stato informato il giorno prima della avvenuta conclusione dell’Armistizio, considerando tale atteggiamento come una mancanza di fiducia nei suoi riguardi. Chiedeva quindi di essere esonerato dal Comando in Capo delle Forze navali da battaglia (FFNNB). Fece comunque presente che non era sua intenzione condurre nei porti alleati le sue navi e che il suo intendimento, nonché quello del suo Stato Maggiore, era di autoaffondare le navi, così come previsto da Supermarina. Egli aveva inoltre convocato a rapporto, alle ore 22.00 (del giorno 8) sulla Vittorio Veneto, gli ammiragli in sottordine ed i comandanti delle Unità Navali dipendenti, per valutare le decisioni da prendere; riteneva che anche i suoi ammiragli e comandanti fossero orientati verso l’ipotesi dell’autoaffondamento.

 
- ORE 13.00 dell' 8 settembre: Bergamini rientra a La Spezia (dopo aver avvertito i familiari) e si reca sulla Corazzata Roma dove, nel frattempo, era stato trasferito il Comando della Flotta e informato dello stato di approntamento telefona a Roma. Da Roma De Courten usando una comunicazione in armonica protetta avverte che la FF.NN.B avrebbe avuto una copertura aerea da parte della Luftwaffe (20 aerei) e dalla R. Aeronautica (10). Si scambiarono però anche un "anagramma" per poter eseguire il piano di cui si discuteva il giorno prima (autoaffondamento in alti fondali). Bergamini capì, con amarezza, che le cose stavano precipitando e che la missione di Salerno era ormai improbabile mentre diventavano probabili le azioni antitedesche e le azioni di autoaffondamento. In mancanza di notizie Bergamini si barcamenava coi sottoposti con la classica soluzione, da sempre, dell'autoaffondamento nei tempi e nei modi che andò ad esporre nella riunione del pomeriggio dell'8 settembre ricordata dal capitano di vascello Giuseppe Marini, Comandante del cacciatorpediniere Mitragliere e della 12a Squadriglia dei cacciatorpediniere che così riferisce: B. premette che non potrà comunicare tutto quanto ha saputo al Ministero della Marina, gravissime decisioni sono in vista da parte del Governo, delle Forze Armate e del popolo italiano, non è rimasta che una sola forza ordinata e compatta: la Regia Marina; nessuna Nave deve cadere in mano né degli alleati né dei tedeschi. Piuttosto autoaffondarsi. Al telegramma convenzionale “Raccomando massimo riserbo” dar corso senz’altro all’autoaffondamento; se non arriva tale telegramma, regolarsi di propria iniziativa in base agli ordini predetti; tener presente che il telegramma può non arrivare perché l’Autorità Superiore (cioè io) può trovarsi nelle condizioni di non poterlo trasmettere. In ogni caso, nessuna Nave deve cadere in mano né degli alleati né dei tedeschi; dovendo procedere all’autoaffondamento fare di tutto per effettuarlo in alti fondali, in prossimità di coste. Se in bassi fondali, autoaffondare le navi mettendo in atto anche i mezzi di autodistruzione, se le navi minacciano di cadere in mano alleata; autoaffondare senza distruzioni, se minacciano di cadere in mano dei tedesca. Il Re ha dato l’ordine che in tali contingenze non deve essere sacrificata alcuna vita umana !!!; previsto anche un altro telegramma convenzionale “Attuate misure ordine pubblico promemoria n. 1 - Firmato Comando Supremo”. A tale ordine catturare i tedeschi che si trovano a bordo (imbarcati) ed attuare “l’allarme speciale” e cioè mettere le navi in stato di allarme e di difesa contro eventuali colpi di mano dall’esterno…..   Gli inglesi rientrati in tutta fretta non sapendo a chi sparare spararono sulle scialuppe.  Otto marinai tedeschi furono uccisi e una ventina feriti prima del cessate il fuoco. L'ammiraglio Von Reuter fu tratto in arresto e considerato alla stregua di un prigioniero di guerra, come il resto degli equipaggi.  Le minacce inglesi di processarlo si esaurirono ben presto. Al rientro in patria i marinai e gli ufficiali della Hochseeflotte furono acclamati come eroi nonostante il paese fosse scivolato in una repubblica di stampo comunista. In fondo alla baia di Scapa Flow oggi giacciono ancora il Kronprinz Wilhelm, il Markgraf, il König Albert, insieme agli incrociatori leggeri Köln, Karlsruhe e Brummer. Tutte le altre unità inabissate furono riportate a galla da imprese private nel corso degli anni Venti e Trenta per recuperarne il prezioso acciaio.
Quando il Re e Badoglio al consiglio della Corona al Quirinale (poi migrato nel vicino Palazzo Baracchini, sede del ministero della Guerra, una specie di consiglio di guerra, che vede seduti intorno al Re, Badoglio, i generali Ambrosio, Carboni, De Stefanis (per Roatta), Paolo Puntoni aiutante di campo del Re, con i tre ministri militari, De Courten della Marina, Sorice della Guerra e Sandalli dell'Aviazione, più Pietro d'Acquarone Ministro della Real Casa e il maggiore Marchesi) apprendono che la radio alleata, captata in Italia, ha dato la notizia della resa alle ore 16.30, il gruppo si divide in chi sa e in chi ignora o fa finta di ignorare. De Courten in particolare il quale, rispondendo ad un "Lei che ne pensa?" da parte del Re risponde: "Non ho conoscenza che sia stato concluso un armistizio, ne' le sue clausole, ne' una data fissata per la sua notificazione, non mi sento quindi di esprimere un giudizio su una questione della quale ignoro gli esatti termini" !!! Il Re, davanti allo stupore generale, invita Ambrosio ad illustrare la situazione e le vicende che hanno preceduto l'armistizio. Badoglio poi prosegue per gli studi dell’Eiar. La notizia è ormai pubblica da ore su tutte le navi che hanno mezzi per intercettare le comunicazioni degli alleati e Bergamini convoca per le 22, 00 una riunione sulla Corazzata Vittorio Veneto (unica nave ormeggiata alle boe con linea telefonica a bordo e quindi non intercettabile) di tutti i comandanti dipendenti. Non c’era una paura immediata dei tedeschi perché gli italiani erano prevalenti e meglio armati nella maggior parte del paese ed ancor più in mare o nell’aria. Nel bacino del mediterraneo il concorso tedesco si era sempre ridotto a un mero supporto per le operazioni in africa ed ora a quelle del fronte meridionale e nel frangente ad uno sbarco in massa degli alleati sule coste del Salento. De Courten arrivò al Ministero alle 20.10 dove tutti ormai sapevano. Lo attendevano gli Ammiragli Sansonetti, Ferreri e il CV Aliprandi. Si dovevano impartire ora gli ordini a tutta la Forza armata e convincere i Comandi dipendenti ad obbedire all'armistizio. Si prese comunque la decisione di trasferire la flotta a La Maddalena (anche per breve tempo) nonostante la clausola dell'armistizio riportasse Bona. Si decise infine che la flotta sarebbe ripartita la notte del 9 per la destinazione di Bona.  

“Bergamini più volte aveva dichiarato di non essere disposto a una resa senza combattere almeno una battaglia, un vero scontro con le corazzate italiane da una parte e quelle inglesi dall’altra, circostanza che non si era mai registrata nel corso del lungo conflitto, per quanto disponessimo, ancora all’8 settembre, di ben sei corazzate: “Roma”, “Vittorio Veneto” e “Italia” a La Spezia; “Doria” e “Duilio” a Taranto; “Giulio Cesare” a Pola. (Santi Corvaja, op. cit., pag. 54-55).

Castellano, il firmatario dell'armistizio

Bergamini per telefono ne approfittò, prima della riunione, anche per scaricare la sua rabbia per essere stato tenuto all’oscuro quasi in segno di sfiducia. Scrive de Courten: Gli illustrai la situazione, quale era stata rilevata anche a me nella sua crudezza, ponendomi di fronte al fatto compiuto che prima mi era noto solo in parte, col vincolo del segreto (sapeva di un armistizio ma seppe che scattava dalla sera dell’8 alle 18,20 di quella stessa sera quando Badoglio disse che andava ad annunciarlo in Radio (e poi scappò)). Gli esposi l’andamento della riunione svoltasi presso il Sovrano, la quale si era chiusa con l’ordine del Comandante Supremo delle Forze Armate [il Re] di eseguire lealmente le dure clausole armistiziali, ordine che certamente era costato al di Lui cuore almeno quanto pesava sul nostro. Gli accennai al successivo incontro con il Capo di Stato Maggiore Generale ed all’esistenza di un documento, da questi comunicatomi [il documento di Quebec], dal quale risultava essere questa la via per dare in avvenire possibilità di vita e di ripresa al popolo italiano, con una certa garanzia da parte dei capi della coalizione anglo-americana. Erano queste le considerazioni che mi inducevano a ritenere necessaria la leale esecuzione delle clausole concordate ed accettate. Gli accennai pure in via generica che l’Armistizio prevedeva il trasferimento della Flotta in zone controllate dagli anglo-americani oltre Bona, con misure precauzionali di sicurezza, ma con il rispetto dell’onore militare. Aggiunsi che conveniva sottrarre al più presto le navi, non solo al pericolo di un intervento tedesco, che poteva manifestarsi da un momento all’altro, ma anche alla influenza deleteria dell’ambiente di terra ed alle ripercussioni di contatti e discussioni fra Stati Maggiori ed equipaggi di unità diverse. Poiché l’ora avanzata non avrebbe ormai consentito di lasciare le basi navali se non dopo la mezzanotte (e quindi non avrebbe permesso di seguire la procedura del Documento Dick, la quale prevedeva l’arrivo in ore diurne nelle acque di Bona), gli dissi di prepararsi a partire non appena possibile per La Maddalena, dove era già stato predisposto per l’ormeggio e dove gli avrei fatto trovare il testo esatto delle clausole armistiziali e dei documenti connessi, nonché le istruzioni di dettaglio per gli ulteriori movimenti. Con quella prontezza di percezione e di decisione che gli erano caratteristiche, l’ammiraglio Bergamini entrò subito nello spirito delle argomentazioni che gli avevo diffusamente esposto e mi rispose che comprendeva l’intimo significato ed il profondo valore, condividendo le conclusioni alle quali ero giunto, nonostante i durissimi sacrifici per tutti che erano in esse impliciti. Egli mi assicurò che entro breve termine mi avrebbe riferito sui risultati della riunione da lui convocata, affermando che avrebbe svolto la propria opera per convincere tutti sulla necessità di attenersi agli ordini del Sovrano. Questo breve e drammatico colloquio, svoltosi tra le 20.30 e le 21.00 mi diede un certo senso di tranquillità”.  

Giuseppe Castellano (sopra) nacque a Prato nel 1893, da famiglia siciliana; partecipò alla grande guerra  come ufficiale di artiglieria con il grado di capitano; successivamente entrò nello SM dell'esercito. Durante la2a guerra mondiale prese parte alla campagna di Jugoslavia (1941-42), dove conobbe il comandante della 2a armata Gen. Vittorio Ambrosio, guadagnandone la sua fiducia. Quando, il 20 gennaio 1942 Vittorio Ambrosio fu nominato Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Castellano lo seguì a Roma come "generale addetto". Era in quel periodo, il più giovane generale di brigata dell'esercito italiano. La sua amicizia con Ciano si disse contribuì alla nomina di Ambrosio che il 2 febbraio 1943 assunse l'incarico di CSM generale. Castellano dopo la firma di Cassibile rimase ad Algeri come "Capo della missione italiana" presso il comando alleato del Mediterraneo in Africa, sin quando fu autorizzato a tornare in Italia. Il 17 agosto 1944 fu ascoltato dall'apposita commissione d'inchiesta sulla mancata difesa di Roma. Collocato a riposo nel 1947, presiedette una catena di alberghi e di terme. È scomparso a Porretta Terme nel 1977.

Bergamini quindi ha messo al corrente gli uomini e anche se le telefonate con Roma proseguono, l’ordine di preparare le navi per la partenza non cambia (compreso il Regolo e l’Artigliere in cantiere). Disse inoltre che non si trattava di una resa in quanto le bandiere non sarebbero state ammainate. Alle 23,45 Supermarina ordina alla flotta di salpare. Levano le ancore prima quelle di Genova alle 2,40 poi quelle di La Spezia mezz’ora dopo con destinazione La Maddalena dove avrebbero trovato ulteriori ordini.

L’ULTIMA TELEFONATA con de Courten che così riporta il colloquio: “Poco prima delle 23.00 il campanello del telefono trillava di nuovo. Era l’ammiraglio Bergamini che mi dava la risposta tanto attesa. Egli concluse e riassunse nel breve dialogo - nel corso del quale gli confermai l’urgenza di lasciare al più presto le acque di La Spezia e l’impegno alleato di rispettare l’onore e la dignità della Marina ed il concordante giudizio del Grande Ammiraglio - con queste semplici parole: “Stai tranquillo, fra poche ore tutta la Squadra partirà per compiere interamente il proprio dovere; tutte le navi in grado di muovere, anche con una sola elica, partiranno con me. Erano le ultime parole che dovevo udire dalle labbra di quella nobile ed alta figura che, dopo aver animato e potenziato con le parole e con l’esempio tutte le organizzazioni affidate alla sua multiforme attività, dopo aver lasciato un’impronta incancellabile della sua personalità, del suo cuore buono e generoso, della sua semplice dedizione al bene comune, era destinato a chiudere, poche ore dopo, la sua giornata terrena, immolandosi con fedele devozione a quegli alti ideali di italianità e di senso del dovere e del sacrificio, che avevano ispirato tutta la sua vita. La comunicazione dell’ammiraglio Bergamini fu accolta con un senso di sollievo anche dai miei più vicini collaboratori, che continuavano a svolgere, dal mio ufficio del Ministero, la loro fervida opera”

 

Ore 21.30 – Dopo la telefonata con Bergamini l’ammiraglio de Courten decise di recarsi a casa del Grande Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, che godeva di una profonda stima presso la Marina ed era considerato un “esempio del sentimento dell’onore militare” per esporgli la situazione e avere la sua opinione. L’ammiraglio Thaon di Revel ascoltò attentamente de Courten, si raccolse per qualche minuto in silenziosa meditazione e poi si rivolse a de Courten con queste parole:
"La Marina deve eseguire gli ordini di Sua Maestà"

LA BOMBA

La bomba che colpì la Roma era la FX o Fritz-X (Lungh. m 3.26, Diam. mm 560, velocità di picchiata ca. 300 ms (circa 1000 Km/h), capacità perforante ca. 12 cm di acciaio) missile aria-superficie agli esordi. Pesava 1570 kg e per la velocità e il peso perforava tranquillamente lastre di 12 cm (di cui era lastricato il ponte superiore (altre corazzature erano di maggior spessore come le verticali dello scafo e le artiglierie pesanti di 35 cm o art. secondarie e torre comando 28 cm, ma per i colpi laterali)). Il potere distruttivo della FX era però limitato al peso limitato dell’esplosivo di circa 320 kg e alla vulnerabilità degli ambienti interni della nave, colpiti (come nel nostro caso le cariche di lancio che scagliarono in alto la torretta da 381 del peso di 1500 tonn.. Era dotata di un piccolo motore a razzo con aletta, radiocomandata dal lanciatore, che poteva correggere la caduta (deviare di circa 400 m lateralmente e di 800 in avanti o indietro) guidandola a vista. Dopo soli 15 secondi dallo sgancio della bomba mediante un collimatore, era possibile mantenere l’allineamento bomba/bersaglio attraverso impulsi radio trasmessi da una piccola “cloche” (joystik) alla trasmittente Telefunken FuG.203 Kehl. Da bordo aereo a FG 203 bomba. La maggior distanza di lancio (visibilità permettendo) permetteva al bombardiere di poter guidare meglio l’ordigno, dotato di una “codetta” fumogena luminosa, a mezzo del joystik fino all’impatto. Veniva di norma lanciata da una quota compresa tra 4 e 7 km inarrivabili per l'artiglieria imbarcata ed anche per la caccia. Normalmente una bomba che cada liberamente raggiunge velocità dell'ordine dei 200m/sec cioè circa 740 Km/h, ergo sganciando a 5000 m di quota, la bomba impiegherà 25 secondi per arrivare al bersaglio. Nel frattempo una nave che fa 30Kts si è spostata dalla posizione che aveva al momento del lancio di 375m in avanti e lateralmente di una certa quantità di metri che dipendono dall'angolo di barra eventualmente messo.

 

IL  SUO  TESTAMENTO  SPIRITUALE : ...E’ dovere di ognuno di noi di ubbidire ciecamente agli ordini delle Autorità centrali in quanto esse sole posseggono gli elementi (ndr:pochi) per giudicare la situazione !!! che si è determinata e scegliere la giusta strada da seguire. Noi tutti dobbiamo essere pronti a compiere ogni sacrificio, anche se esso dovesse andare al di là delle nostre vite. Infine disse che non si poteva escludere che le navi fossero attaccate tanto dai tedeschi che dagli alleati e che pertanto bisognava essere pronti a reagire ad ogni offesa, da chiunque fosse pervenuta [...]“. La Marina italiana in 40 mesi di guerra, ha fatto tutto il suo dovere: nessuna delle FFAA. ha obbedito e dato quanto la R. Marina (12.000 morti e circa 40.000 dispersi). E necessario che anche in questo periodo di transizione la Marina continui a mantenere elevate le sue tradizioni e a servire il Paese.

L'AFFONDAMENTO http://www.regianaveroma.org/Uomini/Testimonianze/Stumpf.htm  l'affondatore   

Ammiraglio Carlo Bergamini: motivazione della medaglia d’oro al V.M. alla memoria:

Comandante in capo delle Forze navali da battaglia, sorpreso dall’armistizio in piena efficienza materiale e morale, trascinò con la autorità e con l’esempio tutte le sue navi ad affrontare ogni rischio pur di obbedire, per fedeltà al Re e per il bene della Patria, al più amaro degli ordini. E nell’adempimento del dovere scomparve in mare con la sua nave ammiraglia colpita a morte dopo accanita difesa dal nuovo nemico, scrivendo nella storia della Marina una pagina incancellabile di dedizione e di onore.

Acque dell’Asinara, 9 settembre 1943

Rada di Scapa Flow

I tedeschi non hanno aerei ma hanno concentrato a Istres, Marsiglia, gli aerosiluranti per la missione di Salerno. E i nostri ? per l’eventuale copertura? (l'ombrello come diceva Mussolini ignorandone l'importanza). A Bergamini, alle 14.37, in prossimità delle Bocche di Bonifacio (in testa al convoglio), viene consegnato un fonogramma di Supermarina che dice La Maddalena già occupata da truppe tedesche di terra: invertire la rotta e dirigere su Bona la destinazione concordata dagli alleati e sempre disattesa. L’ammiraglio Bergamini, alle 14.41, effettuò l’inversione (ma si trovava ora in coda e in posizione di scarsa manovrabilità) e assunse la rotta 284°, che era quella di sicurezza per uscire dal Golfo dell’Asinara e proseguire poi per Bona. Tutto questo tempo perso li ha messi in bocca alle squadriglie tedesche che hanno buon gioco. I tedeschi aspettavano solo di vedere dove girava la flotta. Gli inglesi avevano sorvolato la formazione ma non avevano pensato a  fornire (o non volevano) loro l'ombrello della copertura aerea. Alle 15.30 il primo attacco al gigante da 44.000 tonn. La tempestività di questo attacco, e la precisione del tiri, hanno lasciato molti dubbi. Molti comandanti hanno scelto le Baleari, Spagna paese neutrale. L’attacco avviene con un nuovo tipo di bomba radiocomandata sganciata da grande altezza dai Dornier 217. Erano 28 i decollati da Istres, 28 bombe. Il Do217 di Steimborn e Stumpf sganciò la seconda bomba quella fatale. 42 secondi di caduta. Non c’é contrasto che tenga, una svolta storica negli armamenti che mandava in pensione le grandi navi e doveva succedere proprio a noi. Colpirono l’Italia poi la Roma ma ripassarono per finire il lavoro perché il primo colpo sulla Roma non aveva avuto effetto, era entrato e uscito dalla fiancata. La seconda bomba fu quella mortale, e alle ore 16.11 la nave affondò insieme a 1.353 uomini dell’equipaggio, compreso l’ammiraglio Bergamini e tutto il Comando in Capo della Flotta. Dopo l'affondamento della Roma, l'ammiraglio Oliva, che aveva sostituito Bergamini, si diresse su Malta. Alle 8.30 del 10 settembre, la sua formazione venne intercettata da una formazione navale inglese, che la scortò fino in porto. Qui il generale Eisenhower e l'ammiraglio Cunningham assistettero alla sfilata della flotta italiana a bordo del cacciatorpediniere Hambledon. Cunningham, che aveva temuto le navi italiane, ne ammirò in particolar modo gli incrociatori, parlando del desiderio che avrebbe avuto di incontrarli realmente in battaglia. Eisenhower affermò invece di provare un vero "brivido" al glorioso spettacolo (glorious sight) della flotta italiana in navigazione. Le corazzate di Taranto, Doria e Duilio, con gli incrociatori Cadorna, Pompeo e Scipione ed un cacciatorpediniere, comandate dall'ammiraglio Da Zara, si diressero anch'esse a Malta, ove il 10 settembre avvenne il ricongiungimento con le unità superstiti di La Spezia.  
LO SBARCO DI SALERNO
Nella giornata del 9 e del 10 non ci fu nessuna consistente azione dei tedeschi tendente a ricacciare in mare gli alleati che costituirono una testa di ponte lunga 100 km e profonda 10. L'artiglieria tedesca taceva e la Luftwaffe sembrava scomparsa. La mattina del 12 settembre, la situazione registrò un drammatico mutamento: i tedeschi scatenarono il contrattacco. Truppe fresche e bene armate attaccarono di sorpresa il settore Nord e poche ore dopo la controffensiva, condotta con estrema violenza, si estese a tutto l'arco del fronte. Cosa era successo?. A Roma la situazione si era normalizzata e tutti gli uomini e principalmente i carri armati disponibili erano finiti a sud. Sotto l'urto delle forze tedesche, l'intero schieramento alleato vacillò, sbandò. Neanche l’intervento di parà americani nelle retrovie tedesche cambiò la situazione. Alexander non vide altra soluzione che l’impiego della marina, delle grosse corazzate come in Sicilia. La gittata era sufficiente per colpire dal mare (a distanza di sicurezza da aerosiluranti) obiettivi nella testa di ponte. Il 14 settembre una potente squadra da battaglia (archiviato il pericolo italiano) lasciò Malta diretta a Salerno per dare manforte. Ne facevano parte anche le corazzate Warspite, Valiant, Nelson e Rodneu armate con cannoni da 381 mm !!!. I danni, enormi per i tedeschi, furono micidiali per la popolazione e il territorio sotto il tiro di tali calibri. Due giorni dopo Kesselring si ritirava «per sottrarsi all'efficace bombardamento da parte delle navi da guerra” a cui non poteva opporre nulla. Per gli anglo-americani la via di Napoli era aperta. «Se a Salerno» commenterà Alexander, a operazione conclusa, «la marina e l'esercito non avessero potuto disporre della superiorità aerea, lo sbarco sarebbe fallito.»
 

 

Antonino Trizzino, Navi e Poltrone: ”Cunningham non perde altro tempo e impartisce a Da Zara le prescrizioni per il “disarmo e la messa sotto controllo” di tutte le navi italiane. L’ammiraglio contesta l'operato non in linea con quanto gi è stato comandato dall’Alto Comando Navale di Roma, secondo cui le navi rimarrebbero sotto la piena sovranità italiana; ma Cunningham legge a Da Zara il testo dell’armistizio e gliene dà persino una copia dattiloscritta. comma 4: le navi debbono essere disarmate".

http://piombino-storia.blogspot.com/2010/09/larmistizio-e-la-regia-marina.html    

Promemoria Dick (4 settembre 1943)
2. Porti di riunione
I porti nei quali le navi da guerra potranno recarsi sono i seguenti:
Gibilterra, Palermo, Malta, Augusta, Tripoli, Haifa e Alessandria.
8. Sommergibili
a) I sommergibili dovranno navigare in superficie sia di giorno che
di notte.
b) Quelli provenienti dai porti dell'ltalia continentale o della
Sardegna dovranno seguire le stesse rotte prescritte per le altre navi
da guerra e dovranno essere scortati, se possibile, da unità di
superficie.
c) I sommergibili in mare dovranno far rotta, in superficie, per il
più vicino dei porti indicati nel precedente paragrafo 2.

 

<<<< sommergibili italiani in rada a Malta

     

Winston Churchill con sarcasmo britannico scrisse: “Il grosso della flotta italiana lasciò Genova e La Spezia, per un “audace” viaggio di resa a Malta". Vennero consegnate 173 navi per 268.227 tonn.s.l.; 7 navi per 11.017 tonn. si trasferirono in porti neutrali (VEDI SOTTO); 12 per 41.096 ? furono perdute in combattimento nei giorni armistiziali. 124 per 100.614 vennero o autoaffondate o catturate dai tedeschi o aderirono alla RSI; 3 navi (sommergibili) per 3.079 tonnellate rimasero in porti sotto controllo giapponese (vedi sotto).

«All'imboccatura del canale di Sicilia, il Gen.Eisenhower e l'Amm. Cunningham, da bordo del cacciatorpediniere "Hambladon", hanno voluto assistere all'imponente sfilata: navi da battaglia "Vittorio Veneto" e "Littorio"; incrociatori "Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi", "Giuseppe Garibaldi", "Emanuele Filiberto Duca d'Aosta", "Eugenio di Savoia", "Raimondo Montecuccoli", cacciatorpediniere "Grecale", "Velite", "Legionario", "Oriani", "Artigliere” «Grande è la commozione del comandante supremo degli eserciti alleati e del comandante in capo delle forze navali angloamericane nel Mediterraneo, che quasi non credono ai propri occhi. "Ci sembrava molto difficile", dice Cunningham, "che gli italiani consegnassero la loro flotta senza tirare nemmeno un colpo" ».

 

Cappellini

Dei circa 1000 aerei italiani disponibili ne sono utilizzabili non più della metà: dopo l’8 settembre, 246 velivoli riescono a decollare per raggiungere territori non direttamente controllati dai tedeschi. Ne giungono a destinazione 203.

DOPO IL FATTO

   
da http://www.regianaveroma.org/Uomini/Testimonianze/Bellocci.htm  La 12° Squadra cacciatorpediniere, il REGOLO ed il gruppo PEGASO recuperarono i superstiti della ROMA, quindi il gruppo MITRAGLIERE, composto dai caccia MITRAGLIERE, FUCILIERE, CARABINIERE e REGOLO, agli ordini del Comandante Marini, che non aveva alcuna disposizione su cosa fare (gli ordini li aveva inspiegabilmente secretati Bergamini), tentò di contattare le altre unità, ma non ricevette alcuna risposta. Il comandante Marini, d’accordo con i Comandanti delle altre unità della squadriglia, escluse l’idea di portare le sue navi in porti angloamericani non ritenendolo un atto conforme alle tradizioni della Regia Marina e dunque decise di fare rotta sulle Baleari, dove giunse all’alba del giorno successivo al porto di MAHON nell'isola di Minorca (Spagna). Queste navi furono internate dalla neutrale Spagna e dopo 16 mesi restituite all’Italia. Ultimato il salvataggio dei naufraghi della ROMA, anche il PEGASO, l’IMPETUOSO, l’ORSA, ripresero la navigazione agli ordini del Comandante Imperiali il quale, dopo aver molto riflettuto, giunse alle stesse conclusioni di Marini e, sentito il parere dei Comandanti dell’IMPETUOSO e dell’ORSA, ordinò di far rotta sulle Baleari. Imperiali ordinò poi l’autoaffondamento del PEGASO e dell’IMPETUOSO davanti alla baia di Pollensa. Un’inchiesta condotta a guerra finita dalle autorità della Marina, ritenne conforme alle leggi dell’onore il loro comportamento e quello di tutti i Comandanti che rifiutarono di consegnare intatte le loro navi.  

L’ammiraglio Oliva scrisse a De Courten il 2 maggio 1946 : L’ammiraglio Bergamini a nessuno disse di aver accettato il sacrificio richiestogli (…), cosicché, dopo la sua scomparsa ..., io mi trovai a dover decidere tra il trasferimento della Flotta in un porto alleato e l’autoaffondamento di essa che poteva essere da me disposto con la semplice trasmissione di una frase convenzionale stabilita da Ammiraglio B. stesso e nota a tutti i Comandanti. Ma, poiché la Bandiera non sarebbe stata ammainata e poiché tu, Ministro, in nome del Re, ordinavi a me di attenermi lealmente alle clausole dell’armistizio, decisi di obbedire a tale ordine (…).

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GIAPPONE E ZONE OCCUPATE: Il sommergibile oceanico da trasporto Cappellini (capitano di corvetta Walter Auconi) si trovava a Sabang, Filippine, in territorio controllato dai Giapponesi, pronto anch'esso per il rientro in Europa. I tre sommergibili oceanici italiani da trasporto Giuliani, Torelli e Cagni (in navigazione o a Singapore) che fanno dichiarazione di adesione alla RSI vengono consegnati ai tedeschi che li rinominano UIT-23 (ex-Giuliani), UIT-24 (ex-Cappellini) e UIT-25 (ex-Torelli) e gli equipaggi internati (ma non tutti). Il Cagni (non ancora arrivato) si è infatti salvato facendo dietrofront e rientrando in Mediterraneo via Durban a disposizione degli Inglesi. In superficie: Il Calitea II (kobe) e il Conte Verde (Shangai area occupata) si autoaffondano come la Lepanto e la Carlotto nello stesso porto.  La necessità di ottenere forniture di materie prime e prodotti molto rari o del tutto assenti in Europa (tra cui gomma, nickel, rame, cobalto, stagno, volframio, chinino, fibre vegetali, lacca) e l’opportunità di scambiare con il Giappone posta, informazioni, progetti, piani di costruzione di armi ed apparecchiature belliche e agenti, indussero sia la Kriegsmarine che la Regia Marina a trasformare alcune decine di sommergibili da attacco in altrettante unità da carico. C'era già stato un precedente: nel 1916, approfittando della neutralità degli Stati Uniti, il Deutschland era riuscito nell’intento, effettuando una lunga crociera da Kiel fino Baltimora per trasportare vernici, coloranti, posta e pietre preziose, riportando in patria un discreto quantitativo di argento, zinco, nickel e rame per uso bellico !!!. Inizialmente ne vennero scelti 10 (tutti dislocati nella base atlantica di Bordeaux-Betasom), ma solo tre di questi raggiunsero l’estremo oriente.  
“Mamma Mahón”, Fortuna Novella  
La nostra storia non poteva chiudersi qui senza dar notizie delle centinaia di persone ferite più o meno gravemente imbarcate sulle navi del comandante Marini. Dei 628 uomini salvati, 9 decedettero ancora a bordo delle navi e 16 all’Ospedale di Mahon nell'Isola. Ci è servito in questo resoconto il sito di recente apertura  http://www.menorcamica.org/lassociazione/  di Mario Cappa che ci da molte indicazioni sull’internamento dei nostri marinai nella Isla del Rey nella baia di Mahon o isla de l'Hospital dal primo ospedale costruito dagli Inglesi nel 700. Fu in quell'antico, vetusto complesso che il 10 di settembre del 1943 furono ricoverati circa 300 nostri marinai, i più bruciati. “Todo el Puerto olia a carne quemada”, si sentiva per tutto il porto l'odore di carne bruciata, che durò per giorni. Le quattro navi rimasero internate in porto per 16 mesi, fino al 15 gennaio del 1945, quando il Comandante Marini le riportò in Patria con i suoi uomini. L’associazione la “Familia Italiana en Menorca-Centro Cultural y Social dela Comunidad Italiana-”. si occupa della memoria della Corazzata Roma e sempre da Cappa apprendiamo di un’altra grande mamma dei nostri soldati, Fortuna Novella detta “Mamma Mahón”. Fortuna Novella, classe 1880, era nata a Carloforte nell’isola di San Pietro (Sardegna) nella comunità ligure dei pescatori di corallo (1793) poi aveva sposato un menorchese ed era l’unica italiana residente nell’isola all’arrivo delle navi con i naufraghi.
Sfruttando le sue conoscenze si prodigò per ottenere ogni genere di aiuto, mettendo a disposizione anche le sue risorse personali per alleviare le sofferenze di quei poveri giovani marinai, metà dei quali, erano orrendamente bruciati. 284 marinai furono portati all’Ospedale dell’Isola del Rey, nel centro del porto. Gli altri furono sistemati in un capannone alla Base Navale della Marina spagnola. Non c’erano quindi solo i feriti della Roma ma anche gli equipaggi delle navi internate. Da allora la sua casa rimase costantemente aperta per quei giovani che con grande senso di affetto e riconoscenza, la chiamavano Mamma Mahón. Nel 1950, dopo sette anni dalla tragedia, la Marina Militare Italiana farà erigere un Mausoleo nel cimitero per onorare quei caduti. Tre anni dopo il presidente della Repubblica Luigi Einaudi le conferisce la Stella della Solidarietà Italiana di prima classe. La sua cura per quei giovani caduti dura costantemente per il resto di tutta la sua vita che si concluderà a Mahón il 26 di giugno del 1970 all’età di 89 anni, in quella casa in Piazza del Ritiro 31 dove i naufraghi della Roma avevano avuto conforto e aiuto.
 
Mahón (in catalano: Maó) è la capitale attuale dell'isola. Alcuni storici attribuiscono il nome della città al generale Cartaginese Magón. Arrivando dal mare è possibile vedere l'antico Lazzaretto, la Fortezza di Isabella II (La Mola) e l'isola del Rey e più fuori in Cala Sant'Esteve in terra ferma Fort Marlborough costruito dagli inglesi tra il 1710 e il 1726 per proteggere l'ingresso del porto. Fu chiamato così in omaggio a Sir John Churchill, Duca di Marlborough da noi più volte incontrato nelle nostre storie. Nel 1756, l'esercito francese al comando del Duca di Richelieau, entrò in possesso dell'isola, togliendola agli inglesi e occupò la fortezza per 7 anni (1756-1763). Nel 1781 una flotta spagnola al comando del Duca di Crillón riconquistò l'isola, nonostante la strenua difesa che gli inglesi opposero. Alla fine del XVIII secolo, quando Minorca tornò nuovamente in mano agli inglesi, la fortezza di Marlborough assunse l'aspetto definitivo che conserva ancora oggi. The new hospital (Isla del rey) constructed between 1771 and 1776 had two floors, formed a "U" shape (una pianta ad U) and was surrounded by gardens. The strong walls facing the sea were built with small windows while the interior walls were completely open with a series of arcades. The ground floor had an open corridor bordered with arches, opening onto the patio area; these arches corresponded with the arches located on the 1st floor.