LA SECONDA 

GUERRA MONDIALE  

 

Gli Aosta

AMEDEO I - 1845/1890 Primo Duca

http://www.savoia-aoa.it/genealogy.htm  

 

 

AMEDEO Ferdinando Maria di Savoia I, Fratello di Umberto I e figlio di Vittorio Emanuele II, da inizio al ramo odierno dei Savoia-Aosta; sposerà (1867) prima Maria del Pozzo della Cisterna da cui ha Emanuele Filiberto (nato a Genova nel 1869+1931 II Duca d'Aosta) poi Vittorio Emanuele (n. 1870+1946) duca di Torino, Luigi Amedeo (n.1873+1933 Duca degli Abruzzi) (vedi sotto). Entrato nell'esercito con il grado di capitano nel 1859, prese parte alla terza guerra di indipendenza del 1866 come maggior-generale, guidando una brigata al Monte Torre nella battaglia di Custoza, dove venne ferito (quadro sotto). Dalla seconda moglie ebbe Umberto Maria (n.1889+1918) conte di Salemi. Le alterne vicende della Monarchia Spagnola e i delicati equilibri europei, portarono Amedeo ad essere designato dalle Cortes, Re di Spagna, sul finire del 1870. All'inizio del 1873, in una situazione politica insostenibile, Amedeo rinuncia al Trono spagnolo, anche e soprattutto per la impossibilità di osservare e far osservare quella Costituzione cui aveva giurato fedeltà. « Sono ormai due anni che ho cinto la corona di Spagna e in paese vige una lotta costante, vedendo ogni giorno più lontana l'era della pace cui tanto ardentemente anelo. Se i nemici fossero stranieri, sarei il primo a combatterli. Tuttavia, tutti quelli che con la spada, la penna e le parole aggravano e perpetuano i mali della nazione sono Spagnoli. Tutti invocano il dolce nome della Patria. Tutti ricercano e si agitano per il suo bene e, nel fragore del combattimento, nel confuso assordante e contraddittorio clamore dei partiti, tra tante e tanto opposte manifestazioni dell'opinione pubblica, è impossibile stabilire quale sia vera, ed ancora più impossibile è trovare rimedio a tanti mali. Lo hanno cercato avidamente nella legge e la costituzione e non lo hanno trovato. Fuori dalla costituzione non lo può trovare chi ha giurato di osservarla. » (Amedeo I di Spagna)

EMANUELE FILIBERTO 1869/1931 - 2° Duca

 

  EMANUELE FILIBERTO II Duca d'Aosta dal 1890: Sposa la Principessa Elena di Borbone-Orleans di Francia (durante la prima guerra mondiale fu ispettrice generale delle infermiere volontarie della Croce Rossa, ricevette una medaglia d'argento al v.m. e tre croci al merito di guerra) da cui ha due figli: Amedeo (III duca nato a Torino il 21/10/1898) e Aimone. Emanuele Filiberto, prima Duca delle Puglie e, alla morte del padre, II Duca d'Aosta, seguì la carriera militare nell'Esercito. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale fu designato Comandante della III Armata, che lanciò all'assalto del Carso per due anni e mezzo. Dopo il crollo del fronte italiano a Caporetto, ne diresse il ripiegamento indenne fino al Piave da cui respinse gli attacchi austriaci del novembre 1917 e del giugno 1918. Quando in Ottobre i tempi furono maturi diresse l'assalto finale per Trieste. Nel 1926 fu nominato Maresciallo d'Italia. Visse i suoi ultimi anni a Torino dove morì nel 1931.  Sulla sua tomba, fra i suoi soldati a Redipuglia sepolcro della invitta III Armata, fece scrivere questa frase: “…da questo cimitero degli invitti emana una luce come di baleno che sarà il faro d'Italia”.

AMEDEO I FERITO A CUSTOZA

 

 

 

AMEDEO II - 1898/1942 - 3° Duca

 

 

AMEDEO II - (III duca dal 1931 al 1942) Gli anni giovanili

Buby, come viene soprannominato, eredita dalla madre e dallo zio Luigi Amedeo, Duca degli Abruzzi, la passione per l'avventura e per l'Africa. Nel 1905 Emanuele Filiberto viene nominato Comandante di C. d.A. e si trasferisce a Napoli nella Reggia di Capodimonte. Nell'immenso parco della Reggia, Amedeo e suo fratello Aimone (che sarà poi suo successore nel titolo) hanno modo di sfogare l’esuberanza giovanile, tanto che a nove anni viene inviato in Inghilterra al collegio di St. Andrew per ricevere una rigida educazione. Tornato a casa viene, a 15anni, iscritto al Collegio Militare della Nunziatella di Napoli. Nessuno è autorizzato a rivolgergli per primo la parola ma, se interpellato, deve scattare sull'attenti e rispondere "Sì Altezza Reale, Nò Altezza Reale". Di fronte a tanta formalità, Amedeo infastidito così esordisce verso un suo coetaneo: "...parlami senza chiamarmi altezza reale, altrimenti ti spacco la faccia a suon di pugni!" Dà del "tu" ai suoi compagni e vuole che ricambino con il "tu". Allo scoppio della 1a Guerra Mondiale, ottenuto il nulla osta dal Re per la giovane età (non ha ancora 17 anni), si arruola volontario come soldato semplice nell'Esercito. Fin da subito, il più giovane soldato italiano viene destinato alla prima linea come servente d’artiglieria sul Carso. Il padre, Emanuele Filiberto (Comandante della III Armata) così lo presenta al generale Petitti di Roreto: " Nessun privilegio, sia trattato come gli altri soldati!" Distintosi in più occasioni per coraggio e ardimento, sempre presente dove la battaglia è più ardua, scala la gerarchia militare fino a diventare capitano. Al termine della guerra, Amedeo ottiene dal padre il permesso di seguire lo zio Luigi in Somalia dove questi sta progettando una grande fattoria. Costruiscono una ferrovia a scartamento ridotto ed un villaggio battezzato Villaggio Duca degli Abruzzi. Dopo altre avventure nel continente africano, ritorna per prendere la licenza liceale, interrotta per guerra. Riparte subito dopo per il Congo, si disse per una punizione reale, con pochi soldi in tasca ed un passaporto intestato ad "Amedeo Della Cisterna" (la nonna). Amedeo lavora sodo in un saponificio e nelle ore di libertà và in giro a visitare la città oppure a contemplare i tramonti africani che sono una festa di colori e di luce.  Scrive a casa raccontando delle sue giornate, dei posti che visita, della gente che avvicina, dei fiumi e degli animali. In Congo, Amedeo ha una prima fugace avvisaglia del suo male. Per uno sforzo sul lavoro ha una emottisi (espulsione con la tosse di sangue rosso vivo proveniente dalle vie respiratorie) e scrivendo a una persona intima dice: "Questa volta mi è andata bene, rientro..." Prima di rientrare, per dare un addio in maniera più diretta all'Africa, organizza una piccola carovana con la quale attraversa la foresta e visita la zona dei laghi Tanganica e Vittoria.  Nel 1926 Amedeo consegue il brevetto di pilota d'aeroplano che gli aprirà la strada per l'Aeronautica e si fidanza con la cugina Anna di Francia che sposerà l'anno successivo (avrà solo figlie). A quel tempo, Buby vive a Torino e studia alla Scuola di guerra. Con la testa però è in Africa, a Buerat, in mezzo ai suoi sahariani che a loro volta gli scrivono e gli raccontano delle loro esplorazioni.  Per il brevetto di pilota si reca al campo dell'Ansaldo, sulla strada di Rivoli, dove l'aspetta un istruttore d' eccezione, l'amico Arturo Ferrarin detto " il Moro”.

 

 

 

 Stanley"…spero che un uomo votato al suo lavoro, un alpinista appassionato, prenda in considerazione il Ruwenzori e lo studi, lo esplori da cima a fondo. Attraverso le sue enormi creste e i suoi profondi canali"

 

LUIGI AMEDEO 1873 - 1933  L'esploratore Gli anni giovanili da  http://www.circolopolare.com

A 16 anni si imbarca sul Brigantino Amerigo Vespucci, dove incontra Umberto Cagni tenente di vascello e suo compagno fisso nelle future esplorazioni. Si addestra con scalate sul monte Bianco, sul Rosa e sul Cervino. Fu il primo a scalare il Dente del Gigante e a raggiungere la vetta del Cervino insieme a Mummery, il 27 gennaio 1894, attraverso una nuova, pericolosa ed inesplorata via la cresta Zmutt. 1897 partenza da Torino per la scalata del S. Elia, in Alaska: la spedizione è composta da Umberto Cagni, Francesco Gonella (Presidente del CAI), Filippo De Filippi, Vittorio Sella (cugino di De Filippi) e nipote di Quintino Sella (Fondatore del CAI) ed Erminio Botta. Oltre a quattro guide: Joseph Pitigax e Laurent Croux di Courmayeur; Jean Antoine Maquignaz e Andrea Pelissier di Valtournenche. La vetta è raggiunta il 2 Agosto dopo una indimenticabile ed estenuante attraversamento del ghiacciaio Malaspina.

1906. I Monti della Luna: il Ruwenzori. E’ con la morte d Henry Morton Stanley, avvenuta 2 anni prima, che il Duca Luigi Amedeo di Savoia inizia ad interessarsi al Ruwenzori, dopo aver letto un estratto di una sua conferenza (a fianco). Primavera: parte la spedizione per raggiungere la vetta. Il 15 maggio la spedizione lascia il lago Vittoria. Monte Stanley, di 5.125 metri è raggiunto il 18 Giugno. 1909. K2 e Karakorum. Maggio 1909 assalto alla cima del K2. Primo giugno, formazione del quarto campo a quota 5.560 metri. Dopo vari tentativi, a quota 6.666, il Duca dovette rinunciare all’impresa di salire oltre. La spedizione effettuò molte rilevazioni scientifiche, misurò diversi ghiacciai, si completarono molte mappe ma dovette rinunciare a scalare il K2. Dopo aver comunque salito quello che ancora oggi si chiama lo Sperone Abruzzi, che costituisce parte integrante della via "normale" verso la seconda vetta del mondo, Luigi Amedeo non rientrò a mani vuote: conducendo delle esplorazioni nella zona del Chogolisa, toccò i 7500 m di altitudine, che all'epoca segnarono il nuovo primato umano (che tale restò fino al 1922). A testimoniare la grandezza della sua figura non vi è solo il Picco Luigi Amedeo, nel gruppo del Monte Bianco, ma anche il Ghiacciaio Duca Degli Abruzzi che conduce all'attacco dell'Hidden Peak, noto anche come Gasherbrum I (8068 m). Durante la grande guerra è ammiraglio della flotta dell’Adriatico. 

Muore il 18 marzo 1933 a Ghiohàr in Somalia, dove aveva fondato il Villaggio Duca degli Abruzzi:

     
LA SPEDIZIONE POLARE DI LUIGI AMEDEO DI SAVOIA

Anche il Principe Luigi Amedeo di Savoia volle tentare la conquista del Polo Nord dopo quella della montagne. La spedizione era composta da 11 italiani: Umberto Cagni, il suo vice Francesco Querini, il medico Achille Cavalli Mulinelli, quattro guide: Petitgax, Felix Ollier, Cyprien Savois e Alexis Fenoillet; due marinai: Giacomo Cardenti secondo nostromo e Simone Canepa marinaio di II classe; un cuoco: Gino Gini (oltre a 8 norvegesi per la nave, la “Stella Polare”, baleniera trialberi riadattata dalla "Jason" già usata  nel 1893-94 da  F. Nansen in Groenlandia). Ad Arcangelo, in Russia, imbarcò 121 cani siberiani convinto che il Polo si potesse raggiungere solo a piedi partendo dal punto più settentrionale d’attracco.  Dopo aver raggiunto un ancoraggio sicuro nella Terra di Francesco Giuseppe (a Capo Flora ) a metà luglio, costituì a partire da qui una serie di campi base riforniti intorno all'82° parallelo nella terra del Principe Rodolfo (Baia di Teplitz raggiunta l'1/9/1899) e oltre. Nella primavera successiva, un secondo gruppo di dodici esploratori si sarebbe incamminato verso il Polo con dodici slitte e 96 cani. Alloggiare tanti cani sulla Stella Polare non fu facile: si dovettero costruire apposite gabbie con tutti gli accorgimenti del caso per la pulizia, i pasti e la fisicità delle bestie. La spedizione avrebbe eseguito osservazioni meteorologiche e misurazioni di astronomia, gravità e magnetismo terrestre.

Dalla Illustrazione Italiana del 16 settembre 1900

La partenza della Stella Polare da Christiania avvenne il 12 giugno 1899 verso il mezzodì. li 9 il principe e la principessa di Napoli, recatisi espressamente in Norvegia, in forma assolutamente privata, erano andati a salutare i partenti. L'11 il sindaco di Christiania (Oslo) si era pure recato ad ossequiare i viaggiatori; in quel giorno la nave venne aperta al pubblico, accorso numerosissimo a visitarla. Alla sera il duca offri un pranzo d'addio a Nansen, a Reusch, presidente della società geografica norvegese, al console d'Italia ed a pochi amici. L'indomani, presenti Nansen e sua moglie, il pittore Werentkiold, la signora Ibsen e le autorità, i viaggiatori fecero gli ultimi preparativi per la partenza, Nansen donò al Duca due cani siberiani, uno dei quali nato sul Fram; la signora Hallager, moglie del console d'Italia; gli offrì dei fiori con il nastro tricolore; il forte di Akesus sparò 6 colpi di cannone e lentamente, nella grigia luce d'una giornata nuvolosa, la Stella Polare partì per Larvik. ..Da Arkangel muoveva quindi verso il nord. Al mese di agosto non faceva ancora freddo e raramente il termometro era sceso a zero. Naturalmente si camminava poco perché i ghiacci incominciavano a circondare il brigantino e a sbarrargli la strada. Conveniva allora rompere il ghiaccio con la punta della prua lanciata a tutto vapore contro i lastroni, o lavorare di leva e di pertica per disperdere gli ingombri. Il duca degli Abruzzi era sempre sul ponte, in vedetta e non trascurava nessuna opportunità per avanzare. Sovente si dimenticava persino di scendere a colazione o a desinare e restava là, sul ponte di comando, ad osservare i movimenti dei ghiacci. La Stella Polare attraversò Nightingale sund e il canale britannico fino a Teplitz bay e alla Terra del principe Rodolfo. Di là si spinse sino a 82 gradi e 4 minuti per ritornare, quindi a Teplitz bay, riconosciuta come la via più idonea per andare innanzi con le slitte: giunti colà il 1° settembre i viaggiatori dovettero costruire sui ghiacci un accampamento con tende, poichè la nave era stata seriamente danneggiata dagli urti ricevuti e faceva acqua da un'apertura d'un piede e mezzo di profondità a metà della sua lunghezza.

Molta attenzione era stata riservata alle provviste cercando di aumentarne la quantità e non il peso. Si faceva uso di cibi in polvere e per contenitore si preferivano, quando possibile, sacchi. Le razioni quotidiane di viveri a persona, pari a circa kg 1,350 a testa, comprendevano pemmican (in uso presso gli indiani del Canada ed esquimesi, prodotta a partire dalle parti magre di daino, bisonte o manzo (in seguito), che vengono prima essiccate al sole o al vento e poi ridotte in poltiglia, mescolate con grasso sciolto, pressate in gallette e insaccate), carne in scatola, patate, cipolle e verdura in polvere Knorr (Dadi), oltre a modeste quantità di generi di conforto. Per i cani la razione era di ½ kg di pemmicam o di pesce secco, abbondante ma necessaria per sostenere le lunghe marce. Ai viveri tradizionali si aggiungevano le prede di caccia: foche e orsi che non erano poche.     
  L'accampamento sorgeva a 200 metri entro terra e consisteva in due tende interne, lunghe ognuna 20 piedi sulle quali stavano stese altre tende di tela da vele. Fra le due tende venne collocata una stufa per cucinare e riscaldare. Ogni persona della spedizione aveva il suo letto con un copertone di pelle di lupo, imbottito di piume d'oca. I 120 cani stavano entro un canile di legno (il legno della Stella P...), spesse coperto dalla neve che conveniva togliere continuamente. Dal settembre alla fine di febbraio (1900) gli esploratori si adoperarono in un continuo allenamento di corse sulle slitte per esercitare i cani; aspettando un momento propizio per procedere verso il polo e, frattanto, eseguendo il programma tracciatosi di osservazioni scientifiche. Fu in una di quelle escursioni nelle slitte che il duca degli Abruzzi essendosi tolto un guanto, o parte di esso, ebbe gelate due dita della mano sinistra; sicché si dovettero amputare alcuni ossetti all'estremità delle falangi. Da quell'epoca la salute del duca e specialmente la sua capacità di resistenza al freddo diventarono incerte, sicché dovette rimaner sotto la tenda lasciando agli altri ufficiali l'incarico di spingersi innanzi sui ghiacci. Sembra che non solo il duca abbia sofferto simili accidenti, e si dice che anche il Capitano Cagni abbia avuto un dito gelato. Però, in media e compatibilmente con i disagi subiti e la temperatura scesa a - 52, la salute dei viaggiatori si mantenne buona. Ed eccellente fu sempre il loro umore! Venuto il Natale, il duca fece dei regali a tutti i componenti la spedizione, si spararono dei fuochi artificiali e si bevve dello champagne.
Le slitte verso il Polo.
I particolari circa il viaggio nelle slitte raccolti dal telegrafo sono ancora molto confusi. Sembra tuttavia che una prima spedizione abbia lasciato la Stella Polare il 28 febbraio (sarà indicato poi il 19), ma sia stata costretta a indietreggiare da un uragano (di neve e non solo perché vennero ritenute insufficienti le attrezzature e poco adatte). Una seconda spedizione capitanata da Cagni partì l'11 marzo. Non si può ancora discernere bene come era composto questo gruppo perché vi è chi parla di 5 membri e chi di un maggior numero (13 ?), sicché sei uomini sarebbero stati rimandati indietro dopo dieci giorni di viaggio. (La spedizione si componeva di 12 slitte 540 razioni per gli uomini e 3400 per i cani. Una tredicesima slitta era stata aggiunta per accompagnare la principale i primi due giorni tenendola indenne dall'intaccare le dotazioni sia dell'uomo che delle bestie portando la sua autonomia a 47 giorni ritenuti necessari per l'operazione. Era quindi naturale che dei team partiti uno rientrasse sempre).

UMBERTO CAGNI

   
  Riassunto a seguire. I sei su 2 slitte ritornarono, si disse per non depauperare le scorte al seguito, ma di 3, Qverini, Stokken e Ollier non si seppe più nulla. Il 23 marzo Querini prese la via del ritorno e il 31 fu Cavalli a prendere la via del Ritorno lasciando a Cagni Petigax, Fenouillet e Canepa. Cagni non si perse d'animo e con quello che gli restava raggiunse gli 86,33 gradi e minuti di latitudine. Cagni dopo aver percorso circa 1.000 km (a/r) rientrò il 24 giugno dopo un viaggio allucinante (si ridussero a mangiare il pemmicam dei cani e Cagni dovette amputarsi una falange). Fu d'aiuto un cane "Messicano" che riusciva a fiutare la pista d'andata. La Stella Polare (visto che la caldaia e le macchine non avevano sofferto molto) venne rimessa in sesto come si poteva dopo gli ulteriori gravi danni dell'Inverno e la demolizione. L'8 agosto era in grado di riprendere il mare non senza altre peripezie. Il duca degli Abruzzi era fino a quel momento ignaro di quanto era accaduto in Italia, l'assassinio del Re Umberto - che apprese ad Hammerfest dalla nave caccia-foche Hertha che aveva a bordo due italiani. Nel momento in cui esce questo numero il rientro è ancora in corso al largo della Norvegia e quindi le notizie sono frammentarie . A gennaio del 901 terrà la conferenza organizzata dalla Soc. Geografica Italiana  al Collegio Romano sulla sua spedizione da cui usciranno novità che ho in parte incorporato (sopra e sotto).

Anche il resto della attrezzatura come canoe, tende termiche, vestiti, sacchi a pelo era stato studiato attentamente sulla base delle precedenti esperienze. Il traino dei notevoli pesi veniva facilitato dal sostentamento con palloni gonfiati di elio. Dopo un inverno travagliato e pieno di incidenti, compreso il pesante danneggiamento della nave, l’esplorazione riprese. La nave era infatti stata saccheggiata e con le vele si era creata una intercapedine termica nelle tende. Di tre squadre che erano partite dal campo base per raggiungere il Polo, solo quella di Cagni proseguì oltre gli 83°16’N (senza il Principe che aveva subito l’amputazione di 2 dita per assideramento), alla temperatura di - 47°. La Squadra di Querini, Stokken e Ollier rientrò quasi subito verso Teplitz ma non vi giunse mai.  La squadra di Cardenti, Mulinelli e Savie rientrò dopo 16 giorni di grande fatica e patimenti, ripercorrendo 140 chilometri. Cagni e compagni attraversarono invece il parallelo 85°N il 17 aprile, il 25 Aprile raggiunsero 86°34’N, superando il record di Nansen di 37 Km ma ancora lontani dal Polo di ben 381 Km (238 miglia anziché le 260 di Nansen). Il rientrò fu drammatico per via della deriva che li allontanava dalla meta (finirono di 44 minuti sotto Teplitz Bay)  http://www.sullacrestadellonda.it/spedizioni_polari/polarindex.htm 

     
“...aurighi d’alivola slitta, / tra un rauco anelare di cani, // parevano un arido volo / di foglie, che piccolo e solo / va con la bufera” // “O fulgidi eroi, / ci deste un impero; un impero / che armenti non pasce, che biade / non germina; sterile, è vero; // (...) Né oro né terra; / non altro che gelo e che gloria. / Né d’altri che dei vincitori / bevesti le vene, o vittoria! // Il forte s’afferra / col forte. Sceglieste il più forte / di tutti, voi, giovani cuori: // perché voi sceglieste la Morte! // Sì, guerra, a chi tutti ci assale, / che fa più mortale il mortale! / Sì guerra... alla guerra!”


Giovanni Pascoli, «A Umberto Cagni», Odi e Inni, vv. I/7-11), IV/1-4 e V/1-11

  Francesco Querini era nato a Milano il 16 dicembre dell'anno 1867. Checco come si firmava entrò, in rispetto alle tradizioni veneziane di famiglia, all'Accademia Navale il 1 maggio 1891: Sottotenente di Vascello il 16 aprile 1893 e Tenente di Vascello il 16 maggio 1896. Già nel 1892 è imbarcato per un viaggio che inaspettatamente gli procurerà onori: la campagna d'Africa e l'instaurazione di rapporti diplomatici e commerciali coi porti toccati della costa orientale dell'Africa cosa che lo porta a reggere il Consolato del Sultanato di Zanzibar. Era questa una delle chiavi per controllare la costa Somala del Benadir. L'improvvisato, ma accorto diplomatico giunge a stipulare l'accordo del protettorato dell'Italia su queste terre. Dal 1894 al 1897 corre un triennio fatto di studi, di destinazioni a terra e di imbarchi. Sulla Re Umberto, nel 1897 si trova nelle acque dell'isola di Creta (già veneziana) dove Turchi e Greci si contendono il predominio sull'Isola. Per evitare massacri le grandi potenze avevano qui concentrato squadre navali imponenti sotto il comando supremo dell'Ammiraglio italiano Canevaro, che dovette dichiarare il blocco dell'isola. Il 2 di marzo 1897 i gendarmi turchi si ribellano e prendono in ostaggio il loro Comandante. Tre plotoni di marinai, uno austriaco, uno russo, uno italiano (Querini), sbarcano per procedere all'arresto e al disarmo dei rivoltosi. Il plotone italiano penetra all'interno dove s'erano asserragliati i rivoltosi e libera il comandante. Avrà l'Argento per l'azione. Il suo nome corre per i comandi e nel 1899 un telegramma del Capitano di Corvetta Umberto Cagni, ufficiale d'ordinanza del Duca degli Abruzzi, lo chiama a Torino per conferire con S.A.. Querini, allora destinato a Taranto, si era offerto con altri per far parte della progettata spedizione al Polo ed era stato prescelto. Si reca a Venezia per salutare la famiglia. La sua tranquillità, la sua fiducia rianimano i genitori. La spedizione sarebbe partita il 12 giugno 1899.
     

AIMONE 1900/1947

Re di Croazia - 4° Duca 

Elena di Francia rimasta vedova, visse ritirata a Capodimonte. Morirà a Castellammare di Stabia nel 1951. È sepolta nella Basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio di Napoli insieme alla nuora Anna d'Orléans, moglie del figlio primogenito, Amedeo.

 

AIMONE nacque a Torino il 9 marzo del 1900 fratello di Amedeo nato due anni prima. La madre Elena di Francia, figlia del pretendente orleanista (Borboni) al trono di Francia era una grande viaggiatrice e scrittrice, visitò lungamente l'Africa, l'India, il Siam, di cui lasciò libri di ricordi ("Viaggi in Africa", "Verso il sole che si leva", "Vita errante", "Attraverso il Sahara").
 Il crollo della Jugoslavia dei Karageorgevic', a seguito della invasione italo - tedesca del 1941, aveva avuto come conseguenza la nascita dello Stato indipendente di Croazia, guidato dal duce Ante Pavelic: personaggio inquietante che Mussolini aveva aiutato e ospitato fra le due guerre mondiali. Le motivazioni dell'offerta della Corona di Croazia  ad un principe di Casa Savoia non sono chiare. Forse Pavelic  voleva mostrare gratitudine al suo protettore Mussolini, o forse voleva, in tal modo, prendere le distanze dalla Germania nazista che cercava di impadronirsi materialmente del nuovo Stato. La famiglia reale italiana fu presa alla sprovvista, in quanto l'offerta della Corona di Croazia era generica e sarebbe spettato al Re individuare la persona. Ciano riferisce che Vittorio Emanuele III pensò inizialmente ad Amedeo, fratello maggiore di Aimone, ma Amedeo si trovava in quei frangenti in Etiopia quale Vicerè e in situazioni drammatiche. Il Sovrano alla fine scelse lui. Il Duca di Spoleto era un brillante ufficiale di Marina, ed in tale veste aveva anche comandato la base navale di Pola, e risieduto alle isole di Brioni. Amante delle belle donne ed avventuroso, aveva partecipato, nel 1929, alla spedizione al Caracorum, con Ardito Desio, il famoso esploratore. Nel 1939 sposa la principessa Irene di Grecia, figlia di Re Costantino ed imparentata con tutte le famiglie regnanti.  Aimone, pur vedendo con spavento e preoccupazione questa sua futura funzione (in particolare affermava, fra il serio e il faceto, che i Croati lo avrebbero ammazzato prima del suo arrivo a Zagabria) fece di necessità virtù e cercò di organizzarsi dopo aver fermamente rifiutato il nome di Zvonimir II, ripiegò su quello di Tomislav II. Congedatosi dalla Marina, in quanto tale servizio era ritenuto inconciliabile, attrezzò a Firenze un piccolo ufficio per conoscere meglio la Croazia. Lo Stato indipendente di Croazia risultava, da concordanti, attendibili informazioni, quasi una specie di "regno del male". Le stragi, gli eccidi, le persecuzioni contro i Serbi, gli Ebrei, i Musulmani, gli Ortodossi, ad opera degli Ustascia (i seguaci di Pavelic) erano tanti e così raccapriccianti che avrebbero dissuaso (e lo dissuasero) chiunque. Per inciso, le relazioni, informazioni dette, costituiscono i soli documenti concernenti il Regno di Croazia, in possesso della famiglia Aosta. L'archivio dei Savoia - Aosta venne infatti trafugato dai tedeschi e andò disperso quando la moglie di Aimone, Irene, col figlioletto di pochi mesi, Amedeo, e la cognata Anna di Guisa (vedova del Vicerè d'Etiopia) con le sue due bambine, vennero deportati dai nazisti in Austria dopo l'8 settembre. Alla morte di Amedeo, che aveva avuto solo figlie, il titolo passò a lui, fratello. Nel settembre 1943, ammiraglio della Regia Marina, seguì Vittorio Emanuele III a Brindisi perdendo i contatti con la moglie, che, pochi giorni dopo, avrebbe partorito l'unico figlio, Amedeo. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale Aimone divenne comandante della basa navale di Taranto e ricevette il grado militare di ammiraglio di squadra. Nel 1946, dopo il referendum istituzionale, abbandonò l'Italia e si trasferì in Sud America, morendo 18 mesi dopo a Buenos Aires colpito da un infarto. La sua salma è stata traslata in Italia su interessamento del figlio Amedeo, 5° duca d'Aosta, e riposa nella cripta della Basilica di Superga, sulle alture di Torino. Tratto da "Fert": a. 5, n. 5, VIII - IX 2002.

 

Torna all'indice di Carneade

Torna al paragrafo