Capitolo 8

La fine di un'epoca: "Manuelitto", Palmina, Lia ed Eugenia 

 

Come già detto, alla morte del fratello Angelo (1957), Emanuele continuò, per conto suo, a fare il rappresentante di articoli per pasticceri per le ditte pugliesi “F.lli Roberto fu Francesco” di Triggiano e, successivamente (fino al 1985), per la ditta “Burdi”, e servendo clienti liguri e piemontesi importanti come Panarello, Novi, Pernigotti e quasi tutte le principali fabbriche di amaretti di Sassello, Gavi e Mombaruzzo.  

 

    All'inizio degli anni '60 Della numerosa famiglia di Emanuele "Mannu" ed Eugenia Poggi erano rimasti insieme solo Emanuele, la moglie Palmina, la cognata Lia  ed il nipote Salvatore figlio di Angelo. 

 

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Genova, aprile 1959 -i  nonni Emanuele e Palmina, mamma Eugenia,  
Alfredo ed Enrico (in braccio)
    Nella prima metà degli anni ‘60, periodo delle scuole elementari, anch’io, per esigenze famigliari, entrai a far parte, per qualche anno, della famiglia dei nonni Emanuele e Palmina e della "zia Lia". Fu un periodo indimenticabile in quanto Salvatore ed io eravamo seguiti e “coccolati”. 
     La mattina iniziava abbastanza presto, certi giorni prestissimo. La nonna apriva piano, piano gli “scuri” della finestra della camera della zia Lia, con la quale dormivo, dicendo: “Alfredo, sveglia, è l’alba delle 7... bisogna ripassare la lezione”. In realtà per il mondo esterno erano le 6.50.  
Per “essere lesti” e non arrivare in ritardo, gli orologi di casa, dalla rumorosissima sveglia della zia Lia (che veniva caricata ogni sera con 13 giri di chiavetta) al “cipollone” del nonno Emanuele, erano “tirati avanti” di 10 minuti.
 
     A quell’ora le donne di casa erano già in piedi da tempo. Dopo aver assistito alla S.Messa delle ore 6 nella Chiesa Parrocchiale del Carmine di Don Corsi, avevano già pulito parte della enorme casa e preparato le colazioni a base di latte, focaccia genovese appena sfornata e biscotti (a volte “del Lagaccio”). 
     Il nonno, invece, se non era già partito da un paio di ore, col treno o con la corriera, per far visita ai suoi clienti fuori Genova, fischiettava beato opere liriche ed operette in bagno, facendosi la barba con pennello, sapone e rasoio. 
     Dopo la colazione, mentre anche Tore si apprestava ad andare a lavorare, per me iniziava “il ripasso” della lezione con la nonna Palmina. 
     La scuola elementare, per tradizione di famiglia, era quella dei “Fratelli delle scuole Cristiane” (la Negrone Durazzo), il “modello scolastico” da seguire (ed incubo per quei tempi) era il primogenito: lo zio Francesco, che in quegli anni lavorava già alla SNAM di S.Donato Milanese. 
     “Francesco, .... chissà perché ora lo chiamano Franco....” ripeteva spesso, commuovendosi, la nonna-maestra  “alle elementari, prendeva sempre ‘Lodevole, Lodevole, Lodevole....’. A fine anno vinceva sempre la gara delle ‘Buone Note’ ed era premiato con medaglie d’oro di studio e di religione (non osavo pensare cosa sarebbe successo in caso contrario...)”. 
 
     Il ‘modello’ che sembrava fin dai primi giorni irraggiungibile, non è stato, infatti, quasi mai raggiunto. Le medaglie di studio erano coniate, a volte, con metalli meno pregiati e quelle d’oro, religione a parte, al posto del ‘libro e penna’ avevano spesso raffigurati ‘palloni e calciatori’.... ma andava bene lo stesso...
 
 Una grossa soddisfazione, a dir la verità, ce la togliemmo quasi subito. 
In terza elementare, infatti, vincemmo la gara delle ‘Buone Note’ (e solo chi è stato a scuola dai ‘Fratelli’ può comprenderne appieno il significato), togliendo l’egemonia al compagno Riggi Luca, nipote del Cardinal Siri, che vinse negli altri quattro anni. Questa classifica di ‘regolarità’ teneva conto di vari fattori (studio, condotta, etc.) e comportava medaglie e posto d’onore nella gita-premio annuale a Campoligure (GE). 
     Durante il ripasso mattutino arrivava il nonno Emanuele (che aveva appena bevuto il ‘fatidico’ uovo crudo) per dare alla nonna gli ultimi ragguagli sulle probabili telefonate di lavoro in arrivo. 
     Mentre scambiava due battute scherzose con noi, controllava dalla finestra i movimenti delle navi in porto. Ricordandosi, probabilmente, dell’importanza dello scalo genovese ai tempi del padre, imprecava contro sindacati e comunisti che l’avevano mandato in rovina. Alle 8 in punto, al fischio della sirena del porto, mi accompagnavano a scuola.
 
Treville (AL) 15 agosto 1958 
mamma Eugenia, Alfredo 
ed il nonno Emanuele
 
La nonna Palmina, oltre ad essere la mia seconda maestra, era la ‘mente’ della casa. Trattava telefonicamente con clienti e fornitori, annotando ogni cosa su un blocco di carta riciclata (vecchie lettere di clienti tenute insieme da un pinzone metallico nero), e teneva i conti di casa, controllando ai “çinque franchi”, che la signora Dina (la besagnina), il signor Lupi (il salumiere) o il panettiere non avessero cercato di fare la cresta sul prezzo. 
     La zia Lia, invece, oltre a far la spesa ed a tenere la casa pulita ‘a specchio’, era la sarta di famiglia. Per questa sua dote, mi facevo confezionare palloni di pezza e ginocchiere per poter giocare in casa con Enrico, senza far troppi danni. 
     L’intesa fra le sorelle ed il nonno era perfetta, perché ognuno aveva il suo compito e non intralciava o criticava l’operato degli altri. 
 
     Tornato a casa dal ‘dopo-scuola’ e raccontate le ultime novità, andavo nello studio del nonno a finire gli ultimi compiti o a chiacchierare con lui. In quelle occasioni mi sedevo alla sua scrivania rovistando tra i francobolli, conservati nel cassetto principale “Per quando arriva Francesco”, mentre il nonno batteva le lettere sulla macchina da scrivere lasciata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
 
 
Genova, 7 aprile 1958 
Alfredo e il nonno Emanuele in Corso Carbonara
   Terminata la lettera, poiché la stessa giungesse prima a destinazione, si correva (a volte lo accompagnavo) ad imbucare alla Stazione Principe (spesso direttamente sul ‘postale’ per Bari). 
Se c’era tempo, mi spiegava diversi tipi di treni oppure mi portava alla vicina Stazione Marittima ad ammirare i nuovi transatlantici. 
 
     Per strada sembrava un gentiluomo d’altri tempi. Se una persona oppure un “zuenotto so amigo” ci salutava, il nonno, accennando a togliersi il cappello, sorrideva dicendo “Riveriscio” (Il zuenotto in genere aveva la sua età, ma sembrava molto più anziano). 
 
    Se non si doveva uscire, mi sedevo alla scrivania che fu del fratello Angelo (dietro ad essa era incorniciata la foto della ‘Adda’ che ha messo in moto questa storia) e nella quale il nonno aveva destinato qualche cassetto anche per me (grande conquista!). Gli altri cassetti erano per il Dott. De Guglielmi, suo fidato contabile.
 
     In queste occasioni mi raccontava (avessi preso appunti allora!!!...) del padre comandante di velieri, del fratello Antonio che aveva fatto molti anni di militare, del fratello Angelo al quale io ero molto affezionato, di Giuseppe partito volontario in guerra, di come era Genova ‘ai suoi tempi’, della via Giulia, ecc., ecc.. 
     Le “lezioni” su Genova si moltiplicarono quando, alcuni anni dopo, i figli gli regalarono i tre libri del Miscosi sui “Quartieri di Genova Antica”. Me li leggeva commentando le foto d’epoca e quindi li riponeva, come reliquie, nella sua libreria. In quest’ultima erano anche conservati i campioni di mandorle, nocciole e pinoli che ogni tanto assaggiavo di nascosto. 
 
     Proseguiva il racconto la nonna, ricordando il figlio Angelo che da giovane era appassionato di architettura ma a Genova non c’era ancora la facoltà, delle scarpe nuove che Pinin non poté mai mettere perché il ‘destino’ se lo portò via prima (e commuovendosi mi mostrava la foto appesa nella sua camera da letto), della mamma Eugenia che da giovane, con i fratelli, andò in bicicletta fino ad Oropa e di Francesco che a Treville, durante la guerra, per non essere deportato viveva in un angusto stanzino (ora murato), nascosto da un armadio della sala. 
     A tavola, il discorso poteva continuare con i ricordi della zia Lia, passata tra i mitra dei tedeschi per correre dietro a Salvatore, oppure dei nonni, che erano scappati con la “mamma” Eugenia nei campi innevati, quando il treno che li portava ad Alessandria era stato bombardato dai caccia tedeschi. 
 
     Alla sera la cucina diventava, quindi, il luogo di ritrovo (anche perché la casa era grossa e difficile da scaldare). Si parlava del più e del meno o si ascoltava la radio (la televisione non era ancora entrata in casa Santagata). Le trasmissioni radiofoniche più gettonate erano il ‘Giornale-Radio’, commentato ‘sonoramente’ dal nonno Emanuele (‘sioti’, ‘luasi’ ed ‘anghessi’ all’indirizzo di politici e sindacalisti, corredati da manate e pugni sul tavolo, erano i termini più coloriti ed in voga), le ‘Previsioni del tempo’, il ‘Bollettino per i naviganti’ ed un radio-racconto di 5 minuti o meno (una sorta di ‘radio-novelas’ giornaliera e strappalacrime), al quale la nonna ed io eravamo affezionati. 
     Dopo la preghiera di ringraziamento, il pranzo veniva consumato fino all’ultima briciola, perché “la Madonna era scesa da cavallo per raccogliere le briciole di pane” (a questo punto, io cambiavo ‘scesa’ in ‘caduta’ e succedeva di tutto...) oppure fino all’ultimo pezzo di pane che il nonno consumava a forza dicendo: "Ti o se, fâso pe levâlo". 
 
     Salvatore, dopo cena, si ritirava nel suo regno a pensare al segno da mettere in schedina al suo Torino o ad ascoltare le bobine con le canzoni dei suoi interpreti preferiti. Sovente accompagnava le canzoni con le bacchette della batteria del fratello Giulio o cantava i motivi, aiutandosi con i testi riportati sul TV Sorrisi e Canzoni [per la cronaca, questa rivista, comprata settimanalmente per anni ed anni, fu censurata dai nonni quando apparvero i primi bikini in copertina]. Un giorno, ricordo, Salvatore mi spacciò per cantata da lui una canzone incisa da Modugno... forse ci cascai. 
   Spesso lo seguivo per fargli vedere l’ultima “Figurina Panini” incollata sull’album dei Calciatori e dal suo cassetto uscivano, quasi sempre, altri pacchetti per completare la raccolta. Mi aiutava anche nelle ricerche scolastiche di geografia disegnandomi cartine geografiche con monti innevati, fiumi e città, da far invidia al Touring Club Italiano. 
     Durante la bella stagione, si aspettava alle finestre (uno per ogni finestra) Salvatore uscito con la bicicletta da corsa (Olmo) o con la 500 nuova fiammante. Nel primo caso l’attesa era tranquilla, in quanto "Tore" era allenato ad affrontare anche le più ardue scalate (Madonna della Guardia, ecc.); nel secondo caso, preoccupava soprattutto lo stato di salute della macchina....., a causa della guida "irruenta" del cugino. L’attesa era però, spesso, “premiata” con un sacchettone di Baci d’Alassio, che di solito “non riusciva a toccare il tavolo” perchè finiva prima. 
 
     Se allo stadio, poi, si giocava Genoa-Torino, a volte, si andava a “soffrire” insieme (ma ognuno per conto suo) al vecchio “Luigi Ferraris”; a quei tempi era più facile che vincesse lui. 
 
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     Il progresso arrivò un fine settimana da Milano, quando lo zio Francesco e la zia Fernanda, svegliando a colpi di clackson i sonnolenti autisti genovesi, portarono a tutta velocità uno scatolone con dentro... il TELEVISORE!!!. 
L’altarino fu preparato in sala. Nei primi giorni, anche se l’antenna non era stata ancora collegata, si accendeva ugualmente il televisore con la speranza di vedere qualcosa (...magari gratis). 
Poi arrivò l’antennista e la vita serale cambiò. Tutti coperti con plaid e maglie (data la temperatura polare della stanza) si andava a vedere i programmi preferiti. Il nonno, dopo aver litigato con la radio per anni, poteva vedere in faccia i suoi "beniamini" (sindacalisti e comunisti), "dialogare" con loro ed insultarli meglio. 
     Dopo il telegiornale ed il “Carosello”, se c’era qualche spettacolo interessante e “permesso” da Famiglia Cristiana, potevo anch’io rimanere alzato. 
 
  Tra le proteste del pubblico in sala, il dialogo tra il nonno ed il teleschermo continuava anche durante i film. Invece di stare seduto come tutti gli altri si appostava, infatti, in piedi, a destra, ed a due passi dal video. Se era soddisfatto del modo di recitare di qualche personaggio, si voltava dicendo: “Ballette figgiêu, o l’è in gamba”, mentre batteva tre volte il dorso della mano sinistra sul palmo della destra. 
In quei momenti ricordava di quando, in gioventù, andava alle commedie di Govi (l’êa unn-a bella maccetta) o di quanto era brava la Duse, prima di essere rovinata da quel “malnato“ di d’Annunzio. 
     Andati a letto, quando anche l’ultima lampadina si era spenta, si sentiva ancora la nonna riraccontare al nonno la trasmissione appena finita (e alla quale lui aveva ‘partecipato’ come co-protagonista), mentre il nonno, ormai,.... russava beato. 
 
     Ben presto ci si accorse del clima gelido (11-13°C) della sala e la vita (con tanto di televisore) si trasferì nella camera della zia Lia. Questa stanza, per la temperatura più mite, era stata già scelta come luogo di conversazione, di lavoro (rammendo e cucito) e di ritrovo pomeridiano... e lo rimarrà fino alla fine. Qui, giornalmente, venivano a trovarci la mamma Eugenia con la Cristina appena nata e la Renata amica di famiglia fin dalla Seconda Guerra Mondiale. 
 
     La sala, ormai abbandonata, “riprendeva vita” solo in occasione delle feste che Salvatore organizzava con i suoi amici e con il contributo gastronomico delle sorelle Miglietta e durante il fatidico “pranzo natalizio”. 
 
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Natale era sicuramente la ricorrenza più attesa, in quanto riuniva, come un tempo, le varie famiglie. 
I preparativi per il pranzo iniziavano in modo frenetico parecchi giorni prima. Con l’aiuto della Renata, la nonna, la zia e la mamma pesavano la farina, impastavano, sbattevano uova,.... per preparare i piatti rituali (insalata russa, ravioli, cima, etc...). 
La casa veniva lucidata “a specchio”, usando mani, ginocchia, “olio di gomito”, straccio e “galera”. Il nonno, nel frattempo, si procurava dai clienti più fidati dolci, frutta secca, torrone ed il classico pandolce genovese.
 
 

Treville, agosto 1961  

(da sin.) Emanuele Santagata, Lucia Lercari, Palmina Miglietta, Manuela Santagata,

Alfredo Frixa, Luciano Porta (amico)

e Angelo Santagata

 Giunto il gran giorno, nella vasta sala d’entrata, arredata con poltroncine d’epoca ed addobbata arazzi, iniziava il via vai festante di visitatori ed invitati.  
Uno tra i primi ad arrivare era sempre Eugenio Poggi (chiamato dal nonno affettuosamente Eugenietto; vedi Appendice 1), che dopo gli auguri di rito ritornava a casa per passare il Natale in famiglia. 
La festa vera e propria incominciava con l’arrivo di zii e cugini da Quinto e da Milano. 
    Il taglio del pandolce (rigorosamente della pasticceria Gatto o di Panarello) era il momento più atteso. Sotto di esso venivano nascoste dalla nonna le nostre letterine di Natale che, di anno in anno, divennero sempre più numerose.
 
Oltre alle mie, c’erano quelle di Enrico, Manuela e Stefano, alle quali, successivamente, si aggiunsero quelle di Cristina, Chiara e Marcello .  
     Il nonno a quel punto pronunciava la mitica frase: “Speremmo d’esighe ancon un atr’anno con ciu dinae e meno pecchê“ ed "ignaro" affondava il coltello per fare le porzioni del dolce. In questo modo ‘scopriva’ le nostre lettere, che leggeva subito dopo. 
A turno, poi, in piedi su una sedia si declamava la poesia di Natale. In questi momenti sentivo un misto di preoccupazione e di gioia (....ed un po’ di vergogna). Un anno, per sdrammatizzare, salito sulla sedia con il vestito per l’occasione [calzoni corti di vigogna - alla sola vista di questa stoffa ora provo una tremenda allergia - comprati da Isolabella, camicia bianca e cravattino blu con o senza stemma, ma con elastico], invece di declamare la solita poesia natalizia mi esibii con: ‘Ciccio Bombolo cannoniere, con tre buchi nel sedere....,,. Era ancora il tempo dello “Scusate i piedi”  (che il nonno pronunciava ogni volta che doveva parlare delle sue etremità)... fu una festa per i bambini ed un dramma per i grandi... e fu probabilmente anche la mia ultima apparizione sulla sedia natalizia.
 
 
Genova 1968 
Nozze Salvatore Santagata- Tina Ciaravolo 
(da sin.) Lucia Lercari, Rita Paparella, Salvatore Santagata, Tina Ciaravolo,  Angelo Santagata ed Eugenia Santagata
Nel pomeriggio la festa continuava, in casa degli zii Angelo e Lucia, a Genova-Quinto [Questo “rito” pomeridiano si rinnoverà per più di trent’anni]. 
 
     Terminate le elementari, Enrico prese il mio posto per qualche anno ed io ritornai in famiglia. 
     Nel 1969 Salvatore sposò Tina e si trasferì in casa Ciaravolo e “l’ala Nord” dell’appartamento (comprendente anche la sala) rimase deserta. 
 
     Le cose andarono avanti così fino alla morte della "zia Lia" (Casale, 22 luglio 1978), avvenuta durante le rituali vacanze estive a Treville. Mancato questo punto di riferimento, i nonni non se la sentirono più di organizzare feste natalizie.
 
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Il nonno continuò fino alla fine a lavorare, partendo alle 5 del mattino, viaggiando in treno e in corriera, e tornando a pomeriggio inoltrato (senza aver mangiato, per risparmiare qualcosa). 
Durante gli anni universitari, per alleviargli la settimana, lo accompagnai qualche volta dai clienti di Sassello, Mombaruzzo, Gavi, Novi, ..... 
Di quei giorni, oltre al profumo ed al gusto degli amaretti appena sfornati o della cioccolata fresca di Buffa, Zuccotti, Pernigotti o Novi, ricordo il grande rispetto (ed affetto) con il quale le persone lo accoglievano. Mentre mi facevano i complimenti per un nonno così discreto ed onesto, lui aveva una battuta scherzosa per tutti. 
 
     Laureatomi in Geologia, fui assunto dall’AGIP nel 1982. Ero a S.Donato Milanese... come Francesco!!!. La nonna sentiva di aver raggiunto uno scopo che si era prefissata molti anni prima. 
 
     L’anno seguente, il 4 aprile 1983, lunedì di Pasqua, nella chiesa di Treville, la mamma Eugenia mi condusse all’altare ad aspettare Laura. I nonni raggianti e commossi nelle prime fila, scoprirono la strana analogia tra la loro coppia e la nostra (stessi luoghi di nascita e stessa differenza di età).  
 
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Ricordo gli anni successivi solo per dovere di cronaca. 
Nel 1984, colpita da un male incurabile, ci lasciò la mamma Eugenia, che giornalmente, andava a tener compagnia ai nonni. I nonni non si ripresero più, nonostante il figlio Angelo e nuora Lucia fossero loro sempre vicini. 
     La nonna Palmina morì improvvisamente il 30 luglio dell’anno seguente. Il 31 avrei dovuto andare con Laura, a Genova, per accompagnarla in vacanza nella sua Treville. Per questo appuntamento aveva preparato le valigie da tempo. 
     Con noi venne, invece, il nonno, che alternava momenti di gioia, per essere con noi, a momenti di amnesia e di sconforto, per ritrovarsi per la prima volta solo. 
Un fatto che ci colpì subito fu quando Laura gli comprò il famoso "uovo fresco da bere" per colazione. Ci confessò sottovoce: “Me lo hanno fatto bere per 60 anni, ma non mi è mai piaciuto... non osavo dire di no, si sarebbero offese...”  e felice si bevve una tazza di latte e caffè. 
     Terminata la colazione, nonostante le nostre raccomandazioni (alle quali rispondeva, sorridendo sotto i baffi che non aveva: “Scì scì ...ti ghe rascioun”), correva a farsi una doccia gelata “come quando era militare ad Asiago e l’acqua calda non c’era”. 
Poi, sempre con passo "lesto", faceva il giro dei parenti [molti di noi hanno ancora una casa a Treville Monferrato, il punto di incontro estivo delle varie famiglie disperse nel Nord Italia, isole comprese].  
Tra questi, nutriva particolare affetto per le nipoti Carla e Rita (“Vaddo dâ e figgette”), figlie della cognata Enrichetta.
 
 
Treville (AL) 1979 
Palmina ed Emanuele
   Terminata l’estate sorse il problema della casa vuota di Genova, della sua “poca voglia di tirare avanti” (“Cöse ti veu, son vëgio”), delle sue amnesie, dell’ossessione che cominciava ad avere dei soldi (ne sa qualcosa il figlio Angelo che negli ultimi tempi gli amministrò il capitale in modo onesto e “moderno”) e della chiusura della sua attività commerciale. 
     Nel 1986 lasciò la casa di Corso Carbonara 6/9 e, per non disturbare nessuno, dopo essersi consultato con la cugina Luigina Poggi, ultima rimasta della sua generazione, si trasferì in una tetra stanzetta del “Pensionato Martinez”, diretto da un suo vecchio amico. 
     Ci lasciò “in punta di piedi”, ma con il solito sorriso, ad 88 anni, il 2 aprile 1987. 
 
Con lui, l’ultimo dei nostri ‘vecchi’, si chiude l’epoca che abbiamo tentato di raccontare in queste pagine. 
[il nonno riposa a Treville, accanto alla nonna Palmina ed alla zia Lia, alle quali ho dedicato la seconda “Storia familiare”, prossimamente sul web].
 
 

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