Gli anni che verranno  parte II (1793-1794)

Parte IV

 

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Negli angoli del soffitto la muffa era una presenza discreta, ma ben evidente. Come un affronto verso di lei, che però, ormai, la lasciava indifferente. Piuttosto si preoccupò di controllare che i figli dormissero tranquillamente. Dormivano, infatti, e non c’era bisogno alcuno di contemplare i loro visi alla luce della candela, avvicinandosi finché quel calore discreto e insistente non li spingeva a voltarsi, però Maria Antonietta lo faceva lo stesso. Le notti erano lunghe e angosciose, ma anche piene di vita… una vita che appariva nei ricordi, e mostrava tutta la sua fugacità e il suo fragile e straordinario percorso.

Nel suo piccolo letto, Maria Antonietta ripensava al tempo in cui aveva l’età dei suoi figli, a Schoenbrunn, ricordava l’improvvisa responsabilità di un matrimonio imposto, il diventare la prima dama di Versailles… aveva vissuto quel passaggio come se fosse una fantasticheria galvanizzante, senza neppure rendersi contro di cosa avvenisse davvero, senza accorgersi che non si trattava più del mirabolante proseguo dei suoi giochi di bambina.[1] Era così giovane, in fondo… Era stata così fortunata da permettersi di non percepire la felicità, e per anni aveva inseguito gioie sempre maggiori, nel vano tentativo di trovare gratitudine sincera, purezza di sentimenti, tra le persone che la circondavano. Le poche che gliel’avevano dimostrata, avevano avuto un triste destino. La parole che Luigi, al processo, aveva pronunciato per elogiarla e difenderla, l’avevano colpita. Non l’aveva mai stimato molto, nonostante fossero marito e moglie c’era sempre una barriera di incomunicabilità tra di loro. Non c’era condivisione di alcun affetto, di alcun sentimento. Ogni tentativo in questo senso cadeva. E tutto questo era considerato naturale, scontato. E ora che Luigi non c’era più, si accorgeva dell’affetto sincero, costante che lo legava a lei.

Quante ore passate ad acconciarsi i capelli come fosse un dovere di Stato, quante ora a suonare l’arpa per ingannare il vuoto che riempiva la gente della reggia, quante ore passate… passate e destinate a non tornare… Si sentiva immensamente piccola in quel letto.

Attimi apparentemente fugaci le sembravano immensi: chiamare il cane Odin, come quello di Fersen, senza che nessuno capisse, e riderne maliziosamente nel proprio cuore... cantare evitando di stonare, sapendo che tutti, comunque, avrebbero finto di non accorgersene… quegli attimi insignificanti, quelle piccole cose, erano momenti di felicità che lei non aveva colto. Erano momenti di  era libertà, di gioia, istanti suoi e di nessun altro, per nessuna Ragione di Stato. Non si era resa conto del loro valore. Invece Luigi, goffo e timido, aveva carpito alcune cose importanti, non si era fatto distrarre dalla fortuna avuta. E, - silenziosamente fino ai giorni della prigionia, poi con parole esitanti, circostanziate, ma chiare - aveva incluso lei, Maria Antonietta, tra le gioie della propria vita.[2] Lei che da quella vita aveva sempre cercato di sfuggire, come una farfalla dal bozzolo. Ma ora… tutto era crollato, passato.

A tratti, Maria Antonietta sperava ancora, cercava di essere calma, distante. In altri momenti, sentiva tutto il peso della solitudine, del desolante abbandono: tutti le avevano voltato le spalle. Ormai era un relitto triste. I capelli brillanti erano secchi e già bianchi, non aveva beni, e, soprattutto, non aveva speranza. Neppure quella di poter essere dignitosa fino all’ultimo, di essere forte fino a quel momento che, lo sentiva, sarebbe arrivato.

Gli avvenimenti di quegli ultimi anni le avevano fatto relativizzare ogni slancio di speranza, e per quanto sapesse Fersen affaccendato, per quanto potesse immaginarlo scrivere lettere diplomatiche fino a notte fonda, sentiva che ormai tutto era cambiato, tutto era finito. E provava una nostalgia dolce e acuta per ciò che era stato, per i frutti offerti dalla vita, che lei aveva colto senza la consapevolezza di farlo.

Poteva solo ricordare e proteggere – per quanto le era possibile – i suoi figli. Non perché eredi di un trono ormai fantasma, perché, invece, dovevano vivere. Erano l'unico tepore delle sue giornate, l'unico momento di gioia piena e semplice. Era stata educata per essere la genitrice degli eredi di un trono, semmai avere una schiera di bambini come sua madre Maria Teresa, doveva sembrarle quasi scontato. Invece le difficoltà, la solitudine che la circondava, tra il fruscio degli abiti e le musiche, le avevano fatto vivere quell’esperienza in una dimensione diversa. Lontana da ogni valenza politica. Anzi, con una dose di disinteresse in quel senso, forse disinteressandosi anche del marito, pensando solo alla felicità che i bambini davano a lei, e all’amore che lei donava loro.

Ora non le rimaneva nulla e poteva solo ascoltare il soffio vento nella notte, il respiro quieto di chi le dormiva vicino, i propri passi silenziosi sull’erba del cortile.

Ricordava, ricordava… le mancava quella sensazione palpitante di attesa, attendere qualcosa, qualcuno… sapeva che non sarebbe accaduto nulla di buono né, purtroppo, giunto qualcuno gradito. Le mancava l’emozione… non tanto per ciò che avviene, ma ciò che ci si aspetta. Questa sua impulsività era stata spesso tenuta a bada da Oscar… come dimenticare Oscar?

“Ha combattuto contro la monarchia… ma io le voglio bene. E poi è stata coerente: dovevo capirla, leggere nei suoi occhi… ma stavano accadendo così tante cose… E, subito, il suo pensiero corse ad un'altra persona, le stropicciò il cuore e la costrinse a dormire, per non versare lacrime.

 

maggio- agosto 1793

Da mesi, ormai, da quando era tornata a palazzo Jarjayes, Oscar viveva senza sorriso, senza slanci. La collaborazione con Bernard andava male, iniziava ad andare male anche il lavoro di Bernard stesso: dopo l'entusiasmo iniziale, si profilava un declino. E Oscar non riusciva a non pensare a quello che stava passando Maria Antonietta, che, ormai, pareva condannata. Ogni cosa bella - dal sole che tramonta tra i tetti, alla prima foglia secca che il vento aveva portato dentro casa- non le dava gioia. Continuava a pensare agli errori derivanti dalle sue scelte, ai rischi legati alle sue azioni… I suoi pensieri la circondavano come un mare blu scuro, come acqua fonda, vischiosa e pesante. Come il silenzio in cui si interrogava su se stessa, come il silenzio desolato e impotente con cui André le stava accanto.

Lui non chiedeva nulla per sé, non chiedeva nulla da lei. Aveva il rispetto di lasciarla proseguire nella sua strada, e la forza per proseguire lui stesso la propria, indipendente ma a fianco di Oscar, tendendole la mano senza forzarla mai. Quella tristezza, quella malinconia che spegnevano il sorriso di Oscar, erano frutto di tante situazioni che, prima o poi, si sarebbero presentate. Anche questo, più o meno, André lo poteva immaginare. Quello che non poteva prevedere era che si sarebbero presentate tutte insieme.

Oscar non poteva non pensare alle conseguenze di ciò che aveva fatto e questo la torturava. Un pensiero doloroso a cui non si poteva dare una risposta a prescindere da scelte altrettanto dolorose. Perché le fughe nei luoghi dorati esistono solo nelle favole, prima poi il passato viene a chiedere il conto, ti trova dovunque sia il tuo paradiso – tra i prati di Arras o i vicoli di Parigi- offuscando il sole che brilla in te… la luce del cuore…[3]

 

… “Non perderti mai d’animo, mio giovane amico… Non perderti d’animo…”

“Non è semplice…” pensava André, chiedendosi se anche lui non avesse sbagliato. Nonostante le incertezze, le paure, aveva cercato di essere discreto e sereno per Oscar, di non essere legato a lei come ombra, ma complementare. Gli sembrava di esserci riuscito… Non era il loro rapporto ad essere in discussione, ma Oscar stessa. Pareva come se gli eventi le fossero piombati addosso tutti insieme, mettendo in pericolo anche le persone che le erano care, il mondo di affetti appena scoperto, così nuovo, prezioso, ma non fragile. Oscar non se ne rendeva conto, ma aveva sviluppato un fortissimo istinto di protezione verso André e Pierre, una granitica volontà di risparmiare loro ogni sofferenza legata ai suoi gesti, alla sua storia, e anche la consapevolezza che gli errori compiuti verso André non andavano ripetuti, per nessuna ragione al mondo.

Tuttavia, Oscar era bloccata. Sapeva in che direzione andare, almeno istintivamente, per uscire dal corridoio oscuro del rimorso e del dubbio. Sapeva che tutte le sue remore avevano poco fondamento alla luce della vita che viveva. Che poteva vivere. Ma non era in grado di dimenticare tutto e cambiare totalmente. Non poteva evitarsi di ricordare, paragonare, pensare, ponderare.

Ogni volta che Bernard si trovava costretto a rimandarla a casa, era un passo indietro sulla via della rinascita: avevano tolto la battaglia, a lei che era nata per combattere. E gliel’avevano tolta per una delle idee contro le quali aveva sempre lottato e sempre lottava.

Il pensiero, poi, della sorte di Maria Antonietta, verso la quale si sentiva legata da un affetto profondo, le dava orrore. Come se, in un certo senso, il destino della regina fosse dipeso dalle sue scelte. E solo considerando che quel dubbio era dettato da una forma distorta di coerenza, si faceva forza, per affrontare la vita quotidiana. André, Pierre erano importanti per lei, più di quanto volesse o potesse ammettere. La sensazione di malessere che provava, l’angosciante sensazione di camminare su un muro che crolla mattone dopo mattone, non doveva essere percepita da loro. Perché li amava, e non era giusto che soffrissero per i suoi problemi. Sotto gli occhi di André, però, si sentiva vulnerabile come non voleva essere, le veniva da piangere, da farsi piccola – per un po’- tra le sua braccia. Ma così non avrebbe fatto che confermare il proprio timore di essere cambiata, di essere meno forte, meno coraggiosa, così rifuggiva il suo sguardo, pur cercando il calore delle sue mani. André ne soffriva, amava, capiva, e aspettava.

Il tempo non era amico. Ogni giorno, sui giornali, nelle piazze, nuove voci e notizie davano per imminente l’inizio di un processo contro quella che era stata la regina di Francia. Contro una persona che Oscar sentiva ancora parte di sé. Una parte che, alla resa dei conti, si scopriva mai dimenticata.

Non era persona semplice, Oscar, non era capace di dimenticare la strada che aveva percorso e il valore che vi aveva dato. Ma era forte a sufficienza per saperla guardare criticamente, e continuare a vivere. Doveva farlo al più presto, perché nello sguardo dolce di André avvertiva il dolore, il senso di responsabilità, la delicatezza di fronte alla sua situazione. Mentre André avrebbe solo voluto rassicurarla, dirle ancora una volta che mai lui avrebbe voluto annullarne la personalità, perché, temeva che Oscar, pur di stare con lui, stesse progressivamente rinunciando a cose fondamentali, non ultima la possibilità di tenere tra le mani la propria vita, di dire la sua opinione.

Olympe de Gouges, che Oscar ammirava tanto, era stata giustiziata “per aver dimenticato di esser nata donna”. Sul patibolo era andata a testa alta, serbando la sua pena privata nel cuore, ma mostrando le proprie idee con il suo sguardo trasparente, ma anche malinconico. Fino all’ultimo.

La situazione costringeva Oscar a comprimere le pulsioni che sentiva in sé… e per quanto fosse apparentemente tranquilla, i suoi occhi apparivano meno luminosi, erano pensosi e tristi. E, d'altronde, tutto ciò era necessario, per sopravvivere a quel periodo confuso e pericoloso. Doveva, per amore verso André, verso Pierre, verso la propria stessa vita.

 

Poi gli avvenimenti si fecero serrati. In maggio il piccolo Louis Charles fu tolto dalla custodia della madre. Oscar conosceva l’amore che legava Maria Antonietta ai figli -figli e non eredi al trono-. L’aveva vista in lacrime, per Joseph, l’aveva vista ridere spensierata, con il volto luminoso, mentre giocava con loro al Trianon. Sentì in sé il dolore che poteva provare Antonietta, si sentì schiacciare per la sensazione di ingiustizia, di vuoto, di assurdo dolore. Un dolore che non sente ragioni. Che non segue la ragione. Inimmaginabile.[4]

Eppure bisognava sopravvivere. Che poteva provare, la regina, in quella solitudine totale? Lei, abituata ad essere circondata da folle, lei così amata da Fersen, così venerata, a volte assunta perfino a modello. In una notte d'agosto[5] la prigioniera Maria Antonietta venne praticamente gettata giù dal letto. Quasi ne fu grata ai suoi carcerieri: una notte diversa dalla altre, angosciante, ma almeno differente da quell'orrore indistinto che era sceso su di lei. Venne trasferita nella cella 208, interrata, nella Conciergierie. Provata, terrea in viso, veniva fissata morbosamente da tutti coloro che la vedevano passare. In quelle vesti tanto umili, i capelli ormai bianchi, l’andatura incerta e gli occhi privi di ogni orgoglio e di ogni tristezza, Maria Antonietta appariva loro come la sconfitta del male, della tirannia. O, per il più poveri e sprovveduti, come la fine della fame.

Lei non lo immaginava, ma neppure chi la guardava si rendeva conto che quello che vedeva passare era soltanto il simbolo dell’imprevedibilità del tempo, di cui la vita umana è piccolissima parte.

 

Normandia, fine d’agosto

L'estate era stata calda, il raccolto abbondante.

Quel giorno Joy non andò da Alain e toccò a lui raggiungerla alla locanda di Hector.

Joy scese dalle scale. Non vedendo bene, si soffermava su ogni scalino, con uno strano effetto di grazia esitante. Non indossava i suoi soliti abiti, ma era vestita con più cura, i capelli raccolti in una treccia che si assottigliava progressivamente. Sotto il braccio teneva dei giornali. Alain la osservò stupito: non sembrava neppure lei.

- Però!!! - Fischiò con aria di apprezzamento.

- Ti ho trovato un motivo per andare dal tuo amico. - Fece lei, incurante. - Non puoi proprio accampare scuse.-

Gli buttò un giornale sotto gli occhi. La Regina alla Conciergerie. Il processo sarebbe iniziato presto. Alain ricordò i soprusi di una vita, la pesantezza della miseria, di una morte che si vive nel ricordo del sangue, dei sacrifici, delle umiliazioni...

- E' ora di partire…- si limitò a dire.

Joy fece un sorriso malinconico. Il suo unico amico sarebbe partito, anche se solo per un po'. Non ci si rende mai conto dell'affetto che ci lega alle persone, fino a quando non le abbiamo lontane.

 

Parigi, settembre

Bernard bevve l’ennesimo bicchiere di vino. Rosalie lo guardò atterrita. Era fuori di sé, il viso arrossato dall’alcool non distraeva dagli occhi gonfi. Uno sfogo doveva pur trovarlo. Continuava a battersi duramente, ma lo stavano estromettendo, in maniera niente affatto velata. Non era d’accordo con la linea del governo, non apprezzava la legge sul tribunale rivoluzionario, perché spesso travalicava i limiti del ragionevole – se una ragionevolezza poteva esserci, in quel periodo- e tanto meno apprezzava il modo di usare la stampa. Pur di distrarre gli animi, sembrava che i giornalisti si impegnassero in chiacchiere, ma più virulente ed odiose: nefandezze di Maria Antonietta, depravazioni, insulti.[6] Oscar se ne lamentava da tempo e, anche per questo, in molti ne avevano isolato la voce, così rigorosamente controcorrente: donna o uomo che fosse, la verità era scomoda.

Bernard non ci aveva riflettuto più che tanto, ma quella sera si trovava a ricordare i bei tempi in cui i ragazzi imparavano che la critica distruttiva deve essere accompagnata da una fase costruttiva… ne aveva parlato con Robespierre. Erano mesi che non riusciva a parlargli. Lo aveva fermato, per pura fortuna, mentre usciva di fretta dalla sede del Comitato, aveva tentato di parlare contro la degenerazione della stampa.

- Bernard, cosa vuoi che faccia? Non ho poteri sulla stampa! Se dipendesse da me, obbligherei tutti a tenere una rubrica fissa sulla condizione degli schiavi di colore.[7]-

- Sarebbe una buona idea…

- Vedi, la mia voce non ha peso se non è supportata dal nome di un uomo politico.- Amarissima constatazione.

- Bernard, vorrei aiutarti… ma il problema che sollevi mi sembra irrilevante. -

- Credo che sarebbe meglio se spiegassimo al popolo quali sono i crimini dell’austriaca, – “se poi ci sono”, pensò, ma non lo disse, perché anche il dubbio era rischioso – spiegare cosa cambia se la si giustizia o meno…-

Saint Just rise. L’ombra fredda e tagliente di Robespierre. Il giovane che occupava il posto che era stato di Bernard. – Chatelet, sei un'idealista. Ti farebbe bene entrare nel Comitato di Salute Pubblica per un po’, collaborare con noi. Che ne dici, Robespierre?-

- E’ un'ottima idea. Bernard, sei invitato.– E i due se ne erano andati.

Quella sera, dopo una giornata infernale, piovosa e nervosa, Bernard era sfinito e non sopportava la presenza di nessuno intorno a sé, non rivolgeva parola a nessuno.

“Logico che François rimanga figlio unico”, pensò Rosalie, stizzita, con le mani nel lavello. Poi si pentì dell’idea egoista. Avere un altro figlio era un suo desiderio, ma non un’esigenza. Doveva, piuttosto, comprendere Bernard, il brutto periodo che stava passando - e, temeva, sarebbe finito male. Troppi contrasti, idee, desideri, tentativi, rancori personali, colpi e di genio e dilettantismi si trovavano riuniti in poche stanze di Parigi. Compressi, lottavano tra loro, finché il più forte non avrebbe schiacciato i più deboli.

Le venne in mente un’immagine di tanti anni prima.

Era in Normandia, ospite nella villa dei Jarjayes. Si era divertita a raccogliere i granchi sulla spiaggia. Dapprima aveva paura di quei piccoli mostri dotati di chele taglienti. André le aveva spiegato come afferrarli, e ne avevano trovati una decina, messi tutti in un secchio con acqua di mare e sabbia. Rosalie, soddisfatta, l’aveva lasciato all’ombra, per fare una passeggiata. Quando era tornata a prenderlo, aveva gridato. Nel secchio l’acqua era ormai pochissima, molti granchi galleggiavano, morti, mentre i pochi vivi – gli assassini, i più forti e forse i più fortunati- cercavano di sfuggire dal secchio, scalandone invano le pareti lisce.

“Che animali sciocchi” aveva osservato Oscar, sopraggiungendo. “Anche loro ricadono nella poca acqua, e presto moriranno per la fatica… o si uccideranno tra loro.”

Sarebbe successo così anche in Francia? Come granchi gli uomini si sarebbero combattuti, per poi trovarsi a sguazzare tra i resti di quelli sopraffatti, e infine affogare nella sopraffazione?

- Rosalie, c‘è bisogno di un aiuto…- Bernard si riscosse.

- Che c’è? Se posso esserti utile…-

- Serve qualcuno che si occupi di Maria Antonietta alla Conciergierie.- Fece una pausa. - So che qualsiasi persona si occuperà di lei certamente rischierà il processo: c’è troppo astio, troppa voglia di mostrare alla Francia quanto si è coerenti e inflessibili. Ma tu sei protetta, perché sei mia moglie. Se lo fai tu, a te non accadrà nulla. Chiunque altro, sarebbe a rischio. Me l’ha suggerito Robespierre: sa della tua permanenza dai Jarjayes e… anche della mia. Non ho idea di dove trovi queste informazioni, ma le ha. E le tiene per sé. Credo che, in fondo, voglia proteggerci. - Col capo chino, se ne andò a dormire.

Rosalie lo richiamò, chiedendogli tempo per pensare. Lui non si voltò.

 

 

Continua...

Mail to sonia_78@virgilio.it

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[1] Grazie a Fiammetta, e alle sue illuminanti osservazioni durante la visione del primo DVD.

[2] Per il processo e la prigionia di Luigi XVI: Schama, Cittadini, Mondadori, 1999, pp. 641-5 e un po’ dappertutto. Però mi ha colpita che - nonostante si sia presentato in maniera assolutamente ingenua, abbia difeso la moglie dalle mille accuse che coinvolgevano la coppia e ne abbia elogiato le doti materne quando poi, al processo, Maria Antonietta fu addirittura accusata di rapporti incestuosi con il figlio.

[3] personalissima  opinione che poi è la base di ogni mia fanfic. E anche del mio modo di vedere Oscar.

[4] Ho sempre pensato che chi compie certi passi senza essere stato indottrinato per certi ruoli fin da piccolo, li viva con maggior intensità e fuori dalle formalità

[5] Il 2 agosto 1793, la cella a cui fu destinata era grande 6 metri quadrati. Schama, Cittadini, Mondadori, 1999, p. 822. Mi ricorda un po’ la mia stanza da fuorisede, a Roma… tre metri per due con vista sul campo nomadi…

[6] Per la stampa in generale vedi Bertaud, La vita quotidiana in Francia al tempo della Rivoluzione, BUR, 1997, pp. 118-132.

[7] Una battaglia che –effettivamente- Robespierre ha sempre portato avanti.