Gli anni che verranno  parte II (1793-1794)

Parte II

 

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- Buongiorno, André!- Oscar era già vestita, con Pierre sulle spalle,[1] come amava portarlo, che salutava vivacemente con una mano. – Non sei un buon esempio, sempre a dormire fino a tardi la mattina! Io sto uscendo, ci vediamo da te, nell’ufficio. - uscì di corsa.

- Beh… anche questo è un tipo di risveglio brusco…- quel sorriso tanto lucente non era felice, eppure Oscar sembrava confortata. André decise di fare tardi, di prendere tempo per sé. Come ne aveva bisogno Oscar, era necessario anche per lui. Aprì la tenda e vide Oscar allontanarsi, con il suo passo marziale e Pierre… in spalla. Sorrise.

- Qualsiasi cosa ti stia passando per la testa, so che troverai da sola la soluzione. Io non posso esserti vicino, non posso seguirti sempre, anche negli errori e negli smarrimenti. Il tuo taciturno André è cambiato, in questo: per il nostro bene, se tu cadi, non posso cadere anche io…-

Prese, da un cassetto, tra le sue camicie, il quaderno della sera prima. Pensò di leggerlo. Forse, tornare indietro con la mente lo avrebbe aiutato… ad aiutare Oscar. O, quantomeno, a capire cosa stava succedendo.

Si sedette al tavolo, che Oscar aveva lasciato nell’ordine più rigoroso: metteva in riga fogli e penne come soldati. Si sedette, e iniziò a sfogliare casualmente quel quaderno, senza cercare nulla di preciso, ma con la speranza di trovare qualcosa.

 

<< luglio 1791. Pierre è meraviglioso, e forse ci ha salvato la vita… Non aveva neppure due mesi, quando la fuga di Varennes fallì. La regina volle una carrozza più grande, Fersen sbagliò strada… Chi ha sbagliato? Sono cose che un comune cittadino non saprà mai. Ma, in fondo, Oscar non è "un comune cittadino" e forse nemmeno io. Leggevo nei suoi occhi ogni  pensiero. Anche io li conoscevo, li capivo: non ho il medesimo legame che ha Oscar verso certe persone, ma potevo comprendere persino le loro sensazioni… Non ho provato anche io le stesse cose? La famiglia reale rientrò a Parigi, tra gli insulti della gente. Posso ancora ricordare quei momenti. Mi è sempre dispiaciuto esser duro con Oscar, ho sempre cercato di aiutarla in maniera discreta, di lasciarle la massima libertà. Ma è anche necessario capire quali sono i limiti. Oscar voleva cercare di vederli, ma io gliel'ho impedito, le ho bloccato le mani nelle mie. Oscar gridava, diceva che le facevo un torto, che sarebbe uscita comunque. Non mi sono mosso, vedevo i suoi occhi feroci e disperati… mi trovavo ad abbassare lo sguardo, e a bloccarla con ancora maggior forza e decisione. Poi, tutto quel rumore, quelle grida in strada hanno svegliato Pierre che si è messo a piangere. Una sensazione d’angoscia, un pianto simile in simili frangenti: eppure, quel pianto era un richiamo alla vita, al futuro… ma metteva anche un confine inflessibile tra il passato e il presente, tra la regina e Oscar, tra ciò che è stato e quello che sarà… E’ stato un momento durissimo. Come sempre, Oscar vi ha fatto fronte. Spero solo che questi eventi non le lascino delle ferite…>>

 

- … Che illuso…- si disse, rileggendo quella pagina.

Capiva che in Oscar si agitavano più problemi, sapeva che non avrebbe potuto convincere la regina a cambiare la sua visione del mondo e delle cose, ma almeno di avrebbe voluto poterle infondere forza con lo sguardo, fiducia. Cose umanissime, negate ai loro giorni.

- Inizio a pensare che questa…”abitudine da femminuccia”, come la chiama Oscar, sia molto utile- convenne André, sfogliando divertito le pagine di quel quaderno. Quando Oscar glielo aveva scoperto sotto il cuscino, con un sorriso ironico aveva considerato come propria gravissima mancanza di comandante il non essersi accorta che un suo soldato aveva quell’ - appunto- “abitudine da femminuccia.” Eppure, per André era diventato importante. Era un punto d’incontro con se stesso, ogni tanto. Scriveva senza alcuna regolarità, di nascosto… scriveva nei momenti in cui avrebbe voluto solo bere. Cosa che, da anni, evitava costantemente.

 

<<settembre 1790. E' quasi un anno esatto che non prendo in mano questo quaderno, e mi sembra di farlo per la prima volta…Quando iniziai a scriverlo ero sdraiato nelle "baracche" della Guardia, e non sapevo più dove sbattere la testa. Come ultima spiaggia, ho scritto. Non sono stato mai capace di riportargli i miei sentimenti, preferivo affogarli nel vino, ma i pensieri, anche se muti, rimangono e tu resti con la tua pena nel cuore.>>

 

Aveva ripreso a scriverlo poco dopo la nascita di Pierre. Per lunghi mesi Oscar non aveva neppure avuto tempo di pensare alla sua salute, alle sue ferite interiori. Era stato un periodo frenetico e quelle date lo testimoniavano: la corsa ad ostacoli verso la salvezza, verso una vita loro, libera… Sorridendo, riprese a sfogliare a caso le pagine. Mentre pensava a lei.

- E se… se fosse per… Pierre?- Quella preoccupazione, quel cruccio, per quanto volutamente celato, si affacciava insolente. Non era facile, per Oscar, affrontare Pierre. Aveva rimesso in gioco la sua storia, eppure la reazione di Oscar era stata così positiva, da essere stupefacente agli occhi dei pochi la conoscevano. A modo suo, Oscar era meravigliosa. Con i suoi sorrisi inaspettati, le sue frasi così poco convenzionali e i suoi appellativi creati sul momento. E, probabilmente, l’espressione triste di quella mattina, confortata da qualcosa di tenero e importante, era dovuta alla vicinanza di Pierre.

- Se sapesse che solo per un attimo ho nutrito un simile dubbio, senza ovviamente precisarmi le motivazioni, metterebbe un broncio spaventoso…- rise.

 

<<gennaio 1792. Per noi erano momenti belli, ma difficili. Davanti a Pierre Oscar era incredula e spaesata. Intimorita e istintiva. Eppure gli voleva un bene molto intenso, viscerale, mai espresso con parole prevedibili, ma in un modo suo tutto particolare. La sua salute non destava preoccupazione, era ciò che le passava per la testa a impensierirmi… Come reagirà con un figlio, mi chiedevo. E poi pensavo di essere egoista anche solo a domandarmelo. Rosalie cercava di esser d'aiuto, ma più di tutto poteva Pierre. Il solo fatto che fosse tra noi, che fosse fatto di noi, lo rendeva insostituibile. Non ho mai sentito Oscar fare moine (se lo avesse fatto, mi sarei preoccupato molto!)[2] ma leggevo nel suo sguardo, nei suoi gesti rigidi e accorti, un affetto che neppure io posso capire. Non l'ho mai sentita piangere, lamentarsi o deprimersi: forse per rivalsa verso la vita, o verso un certo tipo di educazione, o forse a causa della propria educazione, o della sua stessa natura. Più probabilmente di tutte le cose assieme. Ma… spesso vedo negli occhi di Oscar un senso di inquietudine, di tristezza profonda. Ovviamente ha ripreso subito a lavorare, ha liquidato con poche parole chi si opponeva. Per Pierre, ci alterniamo a seconda degli impegni, ma spesso Oscar lo porta con sé. E guai a fare commenti. Sorride, mentre lo porta sulle spalle, e da quel sorriso traspare tantissimo amore>>.

 

- Tempo scaduto- si disse André riscuotendosi dai suoi pensieri. - Il lavoro ci chiama. …-

Uscì di casa e cercò di camminare fino all’ufficio il più velocemente possibile. Cosa problematica, senza inciampare. Non aveva il coraggio di dirlo ad Oscar, ma la vista era peggiorata, da qualche tempo. E la vita che si era fatta cara, rendeva impossibile sostituire le lenti -ammesso che servisse-, salvo fare un grosso sacrificio, inopportuno in quei tempi così incerti. Davanti alla porta dell’ufficio, trovò Oscar con Pierre. Il sorriso che la accompagnava quella mattina si era spento.

- Ti aspettavo da un pezzo.-

- E’ successo qualcosa?-

- Sì, André. Mi serve il tuo ufficio per litigare con Bernard. E mi serve che tu vada un po’ in giro con Pierre, che mi lasci litigare in santa pace….-

- Capito. Poi, però, mi spiegherai…-

- Forse.- Oscar si voltò per entrare. Poi qualcosa ebbe il sopravvento. Richiamò André.

– Non ti sei rasato…-

Si portò una mano sul volto – Ehm… così pare…- in effetti, preso dalla lettura, si era dimenticato. Per pensare a lei, si era dimenticato di nuovo di sé.

- Potere del sonno- ribatté Oscar con affettuosa rassegnazione e un sorriso ironico e teso, varcando la porta.

- … della preoccupazione per te, in realtà…- sussurrò lui, prendendo Pierre per mano.

- Ti togli i peli dalla faccia?- chiese lui, con l’ingenuità del proprio mondo.

- Se dici così, sembra che sono un animale… I peli dalla faccia! Si chiama barba. Quando sarai grande verrà anche a te, pulcino.-

- E perché te la devi togliere con il coltellaccio?-

La spiegazione pratica fu molto eloquente: gli dette un forte, affettuoso bacio sulla guancia.

- Pizzica!- protestò Pierre.

- Hai capito, perché? Ora andiamo… c’è un sole così bello, oggi.- [3]

 

- Ecco, Oscar… io non posso accettare quello che hai scritto.- Bernard era imbarazzato, le braccia incrociate sul gilet nuovo, acquistato il giorno prima.

- Perché no? Mi hai detto che formalmente e sostanzialmente non c’è nulla da eccepire…-

- Tu hai criticato a ragione. Tutto bene, se non che… così Oscar fai una critica politica.-

- Bene? E allora?-

- Non puoi esprimere la tua opinione, in questo caso. Perché sarebbe pericoloso per te. Non dimenticare quello che hai fatto. Non dimenticare il tuo vero cognome. Tu non ti chiami solo Oscar. Per chiunque si senta anche solo lievemente infastidito da te, tornerai il colonnello delle Guardie reali de Jarjayes. Il che vuol dire condanna certa. Questo… - s'interruppe, ebbe un'incertezza. - Questo al di là delle tue scelte, alla Bastiglia.-

- Certamente -, osservò Oscar con freddezza. - Qualcuno l'avrà pure presa la Bastiglia.-

- Ecco -, riprese Bernard, - ma ci sono altre scelte che forse avresti dovuto evitare…-

Oscar taceva. Lo fissava, livida, senza riuscire a immaginare che cosa lui volesse dire, chiedendosi quale altra complicazione avrebbe opposto.

- Ecco… non so come dirtelo…- si appoggiò alla scrivania e prese a mordersi nervosamente un’unghia.

- Avanti.-

La freddezza di Oscar in quel momento lo colpì. Ma era ad altri che doveva rendere conto.

- Ecco… il fatto che un mio brillante collaboratore sia una donna inizia ad avere il suo peso.-[4]

- Cosa?- Oscar raggelò. Quello che non si sarebbe mai voluta sentir rinfacciare. Quello forse era davvero il suo unico incubo, gli altri non erano che corollari. Il suo sguardo leale inchiodò Bernard.

- Esci subito di qui. Esci e non farti vedere per un paio di giorni, poi ne riparliamo…- Oscar parlò con voce strozzata dal controllo che si imponeva.

- Va bene, Oscar.- lui sospirò, si strinse nelle spalle. Sapeva di averle inferto un colpo crudele, ma i tempi erano pericolosi, le voci che circolavano potevano essere mortali.- Scusami, ho dovuto dirtelo…-

-      Va' via.-

 

Oscar stringeva i pugni per la rabbia. Non c’era nessuno, la stanza vuota sembrava avere un soffitto altissimo, fatto apposta per lasciar spaziare la sua rabbia. Rovesciò una sedia. Certo, non era la mensa di una caserma, ma aveva bisogno di reagire, di non abbandonarsi alla tristezza, alle recriminazioni.[5] Anni prima, di fronte ai problemi, alle ingiustizie, avrebbe suonato il piano per ore… La sola cosa che le mancava davvero di palazzo Jarjayes era poter suonare un pianoforte, liberandosi di tutti quei pesi confusi che le toglievano la gioia di essere viva, che le lasciavano solo rabbia dolorosamente impotente… e tanti interrogativi, tante paure… di nuovo, tante. Cosa ho sbagliato… cosa avrei dovuto fare… cosa succederà, ora… Non so neppure se riuscirei più a suonare Bach, come sapevo fare un tempo… i miei libri, le mie armi, il mio diritto di esprimermi: tutto è andato, tutto mi è negato… possibile che fosse solo menzogna? E ora, ora…cosa resta di Oscar?

Si sedette, la fronte poggiata sul bordo del tavolo, le braccia abbandonate lungo il corpo. Rimase così a lungo. Non c’era nulla da dire, e nulla da pensare.

 

A casa entrò sicura: André non avrebbe mai potuto notare gli occhi arrossati dal pianto, bastava tenerlo a debita distanza. La voce? Un raffreddamento. “Ma se è aprile… quando vuoi nascondere qualcosa, sei davvero penosa.” Si sentiva anche molto egoista. Davanti allo sguardo fiducioso, al sorriso di André, lei si premuniva solo di allontanarlo, di non farlo entrare nel suo mondo, che in parte era il loro - ma non riusciva a comportarsi altrimenti.

- Hai “litigato bene”, Oscar?- chiese lui, avvicinandosi.

- Sì. Come dovevo.- Oscar sviò. André, non essere così dolce, così ironico, così… per me… ho bisogno di esserti indifferente.

- Oscar, credo che tu abbia bisogno di rilassarti. Ora che il tempo è sempre bello, dovremmo andarcene via un paio di giorni da Parigi… dovremmo… cosa ti piacerebbe fare, Oscar?-

- Mh…suonare… -

Suonare… quella parola bloccò il respiro di André. Era andato - una notte- a palazzo Jarjayes insieme a Bernard, sperando di recuperare qualche oggetto, e comunque per rendersi conto di persona della situazione. Lo spettacolo era davvero deprimente. Qualche stanza veniva ancora, sporadicamente, abitata. Se ne accorsero dalla parziale pulizia, ma tutte le suppellettili erano rotte, svaniti i quadri e le statue. Era la fine di un mondo. Ora Oscar non aveva più nulla. André sapeva bene quanto Oscar amasse sedersi al piano, stremare le dita a furia di note, trasmettere nella musica la serenità, la nostalgia…

- Oscar…- non era facile dirglielo. - Forse avresti bisogno di parlare… di parlare un po' con un amico…-

- Se lo dici tu…- la voce era priva di interesse. Oscar andò alla finestra. Le rondini schizzavano via dai nidi, per rialzarsi rapide come frecce. Tra i tetti e le mura dei palazzi vicini, un ritaglio di luce: la Senna rispecchiava l’ultimo sole. – Oggi ho ricevuto la prima intimidazione, André… - Lui si fermò, sorpreso. - Sono menomata - riprese lei. - Perché sono Jarjayes e sono donna. – Continuò con voce dolente, rompendo quel silenzio. André rimase di sasso: quante volte aveva temuto un simile evento? Oscar, senza voltarsi, si avviò piano sulle scale, col capo chino e una sfumatura ribelle nella voce. – Dovremmo essere tutti uguali,dicono…- mormorò amareggiata.

 

Anche se il momento del crepuscolo era quasi deprimente per la sua vista, rendendolo consapevole di come fosse debole e fallace, André camminava spedito, con un’aria decisamente risoluta.

- Che… che cosa ti è successo?!- esclamò Bernard, stupido. André lo aveva bloccato all’ingresso di una caffetteria, in cui si accingeva ad entrare in compagnia di un rumoroso gruppo di persone.

- Piuttosto, cos’è successo ad Oscar?-

Per sommi capi, Bernard spiegò la situazione: sebbene il lavoro andasse bene, non poteva accettare i contributi di Oscar.

- Il che implica, tra l’altro - osservò, a completare il quadro non proprio idilliaco agli occhi di André, - che il suo stipendio verrà ridotto.-

- Sei un vigliacco. - Sibilò André. - Che cosa sta succedendo? - Doveva sapere. - Che cos'ha fatto Oscar di… - non era facile dosare le parole e moderare l'indignazione. - … di tanto grave da provocare questa reazione! -

- Le cose sono cambiate - rispose Bernard, la voce piatta. - Molti iniziano a non vedere positivamente il fatto che uno dei miei collaboratori più brillanti sia una donna, nobile per giunta… - Ma cosa?!- André avanzò un passo verso di lui.

- Mi dispiace… se risalissero alla famiglia di Oscar…-

André avanzò di un passo ancora.

- Oscar si è quasi fatta uccidere per difendere la causa che ora consente a te e agli opportunisti come te di prosperare!-

- Una donna che lavora non viene vista con indulgenza, suscita critiche e anche curiosità…- insistette, senza molta convinzione.

André lo inchiodò al muro.

- Vigliacco! E' quella donna che ti ha evitato di essere arrestato, sette anni fa! - Aveva parlato con freddezza. - Allora non la pensavi così!-

- André, Oscar allora era protetta proprio dall'essere nobile… dal vivere in quella cerchia…- Bernard cercò un argomento pacato, di fronte a quelle parole che gli ricordavano argomenti spiacevoli. - Ora è difficile nascondere chi è, soprattutto con un figlio…-[6]

Bernard realizzò dopo qualche istante di essere stato rialzato da terra, perché André l’aveva afferrato per il bavero della giacca. Lo squadrava furibondo.

Poi, in silenzio, livido di rabbia, lo lasciò andare. Mentre André si defilava nell'ombra di Parigi, Bernard rimase per qualche istante sulla soglia della caffetteria. Che stupido errore da parte sua, si disse. In quei mesi tutto era andato così bene, che, per l’ennesima volta, aveva agito senza soppesare davvero il valore di ciò che faceva… Per un attimo, non si riconobbe più. Poi fu chiamato a gran voce da dentro e scacciò, con fatica, quei pensieri.

 

Seduto sulla riva della Senna, André gettava pigramente sassolini nell’acqua. Uno… due… tre… aveva lo sguardo triste.

L’aria di aprile era tiepida, e si tolse la giacca. Riprese a tirare i sassolini. Uno… due… tre… maggio era alle porte…

“Non che abbia mai considerato Bernard come un amico. Un conoscente, certo, non un amico. E’ così difficile trovare un amico…” sorrise al riemergere dei ricordi. “Non avrebbe messo giù Bernard, no… Chissà come se la cava quella testa matta… Chissà se è ancora vivo, Alain… Dovrei scrivergli… Devo farlo. E devo stare accanto ad Oscar, più che mai. Quello che Bernard ha detto è tremendo…purtroppo però è vero. Ciò non toglie che la superficialità”, scagliò un sasso con violenza, gli spruzzi arrivarono fino a lui, "e il cinismo”, altra violenta sassata in acqua, “che ha dimostrato non li dimenticherò facilmente!” Si alzò di scatto e sia avviò verso casa nervoso e pensieroso.

 

Si sedette accanto ad Oscar, che lo guardava senza dire parola.

Non piangeva, non discuteva, non chiedeva nulla. Lo sguardo era assente. André sentiva un muro tra loro. Non poteva davvero fare nulla: i fatti erano quelli, quello era il mondo. E Oscar era lì, anche per lui, ma in quei giorni le stavano tarpando così ingiustamente le ali.

Le accarezzo i capelli per ore, finché non la vide chiudere gli occhi. Quegli occhi che, ad un tempo, parevano cacciarlo e implorarne la presenza.

Ecco, era il momento in cui davanti ad una bottiglia di vino non avrebbe saputo resistere. Era, dunque, il momento in cui apriva il suo quaderno. Con la vista appannata dal buio, dalla stanchezza, gli occhi asciutti, privi di lacrime, la fronte contratta, leggeva, scriveva, annotava.

 

<< aprile 1793. Vorrebbero trasformarti. Vorrebbero che tu ti trasformassi… E ti chiedi se ti stai già trasformando, se è già successo… No, Oscar. Non so come dirtelo, ma non è così. Tu per me sei sempre rimasta uguale, ma per te non è la stessa cosa, lo so: in questo momento, ti starai chiedendo cosa ne è di te e cosa ne sarà. Almeno credo. Forse non ne vuoi parlarne…>> smise di scrivere per un attimo, poi riprese << Ti amo, Oscar, così come sei…>>

 

Nervosamente, girò di nuovo le pagine. C’era la scia di troppe parole non dette. Per inutili pudori, per rispetto… perché non avevano ancora abbattuto l’ultimo muro che era tra loro, non avevano mai esplicitato in pieno quello che erano diventati l’uno per l’altra. Forse per una mancanza di coraggio, per non abbandonare del tutto i loro vecchi ruoli, anche solo a livello verbale. Per illudersi, per difendersi… per un errore dettato dall’amore. Non si erano del tutto chiariti, tra loro, come totalmente un uomo e una donna. Che, come il mare più profondo, il loro legame era incredibile da esplorare, e forse faceva anche un po’ paura. Nati come amici, poi complici, poi amanti, poi tutto insieme.

E in quelle pagine, sparsi come indizi, André ritrovava tante cose, tanti momenti. Chi avrebbe potuto essere d'aiuto ad Oscar in quel periodo così difficile? “Oscar è così sola”, si disse. Con la mente, ripercorse la vita di Oscar, vita che per anni aveva condiviso, sempre più profondamente. Rimase impressionato dalla solitudine, dalla mancanza di comunicazione che circondava Oscar. Forse neppure lei si rendeva conto di quanto avesse sofferto. In quel momento, sentì di amarla ancora di più.

Forse solo Maria Antonietta avrebbe potuto scuotere Oscar. Così diversa la sua storia, così distante il suo carattere. Un’amicizia che non era mai potuta fiorire proprio per questa diversità, per l’incompatibilità profonda nel modo di affrontare la vita, frutto di storie troppo diverse. E, proprio per questo, paradossalmente simili. Era molto probabile che Oscar ripensasse spesso alla regina, sebbene la sua attuale posizione e le sue scelte dovevano essere motivo in lei di molti sensi di colpa.

 

Continua...

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[1] Premetto che la presenza di questo terzo incomodo mi ha creato più di qualche perplessità: come si poteva comportare Oscar con lui? Ho cercato di renderla atipica ma sinceramente amorosa. Siccome all’epoca le madri legavano i figli al petto e poi andavano al lavoro, e Oscar con il “koala” al petto non ce la vedo, ho pensato che lo porti a “cavalcioni” (come mi portava papà…) così da stargli vicino, ma da non rinunciare a ciò che la rende felice e realizzata.

[2] Pietà di me… mai e poi mai! Tra Oscar e Candy Candy ce ne passa!

[3] Questa mi è venuta pensando a una foto in cui sono molto piccola e ho sulla guancia paffuta, l’impronta della guancia di mio papà, non sbarbato di recente.

[4] Suggerito da Fiammetta, che mi ha fatto notare come la scelta del 13 luglio sia molto diversa nelle due versioni manga ed anime. Mentre Oscar aveva già maturato – e porta a compimento- un processo di decisione nel manga, nell’anime è quasi trasporta dalla situazione, dal senso del dovere, dalla disperazione. E io mi rifaccio sempre alla Oscar del  manga, ma non ci avevo mai pensato consciamente. Fiammetta offre sempre ottimi spunti di riflessione, ad ogni livello. ^__^

[5] Come nel manga, quando i soldati la snobbano e lei va a “far macello” a mensa…

[6] Grazie di nuovo a Fiammetta, che a reso Bernard meno defic… cioè, mi ha spiegato che po’ bastare un solo nome per causare la reazione ascolto - scatto da parte di André.