Alain

parte VII

 

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Scena 7

luglio 1789, primi giorni del mese

 

L’aria che respiro è fastidiosamente densa di umidità. La nebbia grava costantemente sul cielo e sui campi, cambiando tonalità a seconda del momento del giorno. La nebbia trema, rende sfuggenti le cose che vedo. I miei occhi tremano. E’ la febbre… sta salendo. Sento che il mio sguardo non riesce a soffermarsi sulle cose, le immagini sono offuscate, mobili… o forse lo sono i miei occhi, mentre la palpebre, appesantite, vorrebbero coprirli, flettersi su di loro con un gesto stanco,[1] Il trotto del cavallo mi tormenta, non mi sembra – in questi momenti- di esser io a guidarlo. Vorrei scendere, ma non ho la forza di farlo…

Sono stanca, sto male… Ieri sera mi sono coricata, così per fare, non per la mia salute… e sentivo uno strano fastidio alla schiena. Mi sono girata, controllata: poi ho capito. Era il contatto delle mie ossa con il materasso a farmi male. Solo la pelle mi sta restando. La divisa maschera bene il mio dimagrimento, mi infagotta e mi rende, persino, più maschile nelle forme.

… Quando mi sento così, tutto mi sfiora e io lo lascio correre via. Perdo il senso del tempo e delle cose. Ho pensieri assurdi, forti e improvvisi. Tremo e sudo. E’ la febbre che sale. Faccia pure: una volta salita sarò lucida, efficiente, persino spiritata, e solo uno sguardo non distratto potrebbe accorgersi del mio malessere. Invece, mentre la febbre sta aumentando, cado in uno stato contemplativo, da cui è assente ogni tristezza e ogni reazione… c’è solo un turbinio confuso di colori e rumori. Quasi nulla può svegliarmi, finché la febbre non sale del tutto.”

 

Quasi nulla...

Il rumore fragoroso di un cavallo lanciato al galoppo, grida del cavaliere “oh, fermati!!”

Il cavallo passò parecchio avanti ad Oscar, prima di fermarsi. Lei, imbambolata, si sforzò di riscuotersi.

-                     Diamine, comandante… io andavo a briglia sciolta per raggiungervi, credevo che voi aveste galoppato fino a palazzo e… -

-                     Cos’è successo, Alain?- “guai, tragedie… c’è bisogno della mia mente, c’è bisogno di me: è l’unica cosa per cui sono in vita, ora.”

-                     Poco dopo che avete lasciato la caserma, sono arrivati due rapporti. Ancora incidenti a Parigi, bisogna che leggiate e firmiate. - Alain le porse i fogli, affiancandosi. Oscar non allungò la mano per prenderli, ma smontò lentamente da cavallo. Alain la guardò perplesso. O meglio, lacerato. Capiva che il comandante stava male… che Oscar, quella donna così forte, così bella, stava male. E soffriva per la sua stessa forza, per il suo inquieto coraggio, per quella disciplina morale che tanto affascinava Alain. Oscar si sedette sotto un albero, appoggiandosi con la schiena contro il tronco.

-                     Dammi i rapporti, Alain. -

-                     Ecco, comandante… - la guardava, mentre faceva scorrere lo sguardo tra quelle righe fitte, guardava quei suoi occhi farsi più attenti, ma anche lucidi e arrossati.

-                     Comandante, se mi permettete… il vostro sguardo mostra che… -

-                     … la polvere e il sole. Sono quelli ad infiammarmi gli occhi. - replicò lei, con calma e fermezza, per metterlo a tacere.

“Polvere, sole… occhi così belli non li meritano. Ma state mentendo, comandante… state dicendo una patetica bugia…” – No. Febbre alta. – disse lui, con un sorriso spudorato, con uno sguardo pieno di sfida e preoccupazione. Oscar non rispose, non ne aveva ancora la forza.

-                     Alain… Che io mi curi o meno non cambia nulla, per me. Può cambiare, invece, per la brigata. Quindi io resto con la brigata, perché presto, Alain, a Parigi succederà qualcosa di enorme. Se la mia vita ha un valore, il suo valore è questo. Ti chiedo solo di non farne parola con… con i tuoi amici più cari… - non voleva dire il nome di André.

Frustrato, Alain fece il verso di picchiare la fronte contro il tronco. Oscar aveva chiesto ad Alain di tacere della sua malattia con André, esattamente come André gli aveva chiesto di fare nei confronti di Oscar. Li separava una barriera così sottile, ormai… una barriera che era tutta in lei, nel suo bellissimo, dolcemente rigoroso comandante.

Se la mia vita ha un valore, il suo valore è questo… combattere, dare ordini, pensare per la patria, per la brigata… e mai per Oscar. Eppure, in quel momento, la voce di Oscar era così triste, così insicura, così profondamente diversa… Quella non era che la realtà di facciata, alla quale non sopportava più di credere, e che tuttavia la difendeva. Il lato oscuro della coerenza interiore…

-                     Io… io non ho mai incontrato due teste dure del genere!!- sbottò Alain. – Io non ho parole, non posso sentire certe cose e stare ancora zitto, a costo di finire in carcere! E poi, se vi dico la verità, merito il carcere?! No, voi non siete il tipo da incarcerare un uomo che fa una cosa giusta... non siete come gli altri aristocratici…- “Oscar”, avrebbe voluto dire, “Vi porto via, via da tutto e da tutti. Via con me… posso proteggervi da ogni malattia, da ogni dolore… Ma non lo farei mai, perché… vi porterei via in due… Ho una casa sul mare. Ho una terra… .Voi… mi avete dato tanto, e io vi proteggerei.”

-                     Ma che dici?-

-                     Non è la mia solita sparata, state a sentire. Io ho capito a quali cari amici vi riferite. Non siete brava con i giri di parole: a voi si addice la chiarezza. Io non ho mai avuto amici. Non mi sono mai fidato di nessuno. Sono abituato a nascondere le mie debolezze, sono- in fondo- un incostante. Il mio unico amico è la persona più forte che abbia mai incontrato, perché ha il coraggio di essere trasparente, sicuro dei suoi sentimenti. E, per questo mio amico, la vostra vita ha un valore enorme. E’ la sua sola ragione di vita… come posso dirvelo? Questi discorsi non fanno per me!... ma la vostra vita è la sua vita! E io ci tengo a lui, alla sua vita… e alla vostra, comandante. Io… uffa, io detesto questi discorsi! Io che non mi sono mai fidato di nessuno, in questo mondo. Forse, ho sempre cercato persone di cui fidarmi… e ora le ho trovate… insomma, se per colpa della vostra testardaggine succede qualcosa ad André o a voi … io… - avrebbe voluto gridare…

-                     Perché parli così di André… di me … Cosa vuoi…?- Oscar non riusciva a replicare, si sentiva stanca. La braccia pesanti, un ronzio di fondo nelle orecchie, come se fosse sospesa tra due mondi: uno – quello interno- ammalato, bruciante, dolente. L’altro – quello esterno - così chiaro da sembrare violento nell’impatto con il mondo interno.

-                     Voi state male. – Alain ritrovò la calma, la fece salire sul suo cavallo e si sedette dietro lei. Poi prese le briglie del cavallo di Oscar, e si avviò, lentamente, verso palazzo Jarjayes.

-                     Alain… non dire a nessuno…-

-                     Sh… non parlate… - Alain sentiva il corpo di Oscar abbandonato contro il suo petto. Era un sentimento strano: a livello epidermico, istintivo, provava attrazione per una donna bellissima, appoggiata a lui, inerme, in quel momento.[2] Più forte, però, più importante, c’erano l’ammirazione, la stima, il legame sanguigno del soldato verso il comandante migliore e la sensazione personale di aver trovato quella guida, quella forza che cercava. E poi la tristezza, la compartecipazione per il dramma di André, del suo amico, dell’uomo che aveva risvegliato, in Alain, una sensibilità dimenticata. Per quell’amore immenso che legava André e Oscar, per quel rincorrersi, intravedersi, sfuggirsi e cercarsi… così illusorio, come un labirinto di vetro. Così doloroso. Così ingiusto.

-                     Comandante… scusate se ho perso la testa… ma voi, avete detto le stesse parole che mi disse André: “Guai se fai parola ad Oscar del mio problema”. Che stupido… rischia la vista e la vita, per starvi vicino… e voi fate lo stesso. La vostra vita, comandante, ha un valore immenso… per André, ma non solo… - “Anche per me, comandante…”

Oscar ascoltava, cercando di aprire gli occhi. Alain guardava lontano il rosseggiare dell’orizzonte, i colori fiammanti e diffusi nell’aria, perché la luce del sole si specchiava nelle polveri sollevate dai campi arsi di siccità, graffiati del vento caldo di quel luglio opprimente.

-                     Voi, tanto, sapete benissimo tutto ciò che vi dico. O, forse, vi sto solo mettendo davanti alla realtà. Io... ho trovato in voi due persone importanti, per me… non voglio che vi accada qualcosa… Comandante… se si può scegliere la vita, perché scegliere la morte? Se si ha la fortuna di essere amati veramente, perché scegliere di soffrire e, quel che è peggio, di far soffrire? Spiegatemelo voi, perché io sono un uomo del popolo, sono un uomo semplice… e non riesco a capire queste cose… Non riesco… -

Alain nascose, nell'alzare la voce, un filo di commozione. Diane non aveva potuto scegliere né la vita né l’amore. Diane, però, sorrideva. Se avesse potuto, almeno, salvare Oscar e André… portarli in riva la mare, come un tempo suo padre faceva con lui, come lui stesso non faceva da anni, come Diane non poteva fare più.

Fermò il cavallo. Perdersi nei rimpianti, seguire il filo di esistenze spezzate, era quanto di più controproducente potesse fare. Non era da lui. Doveva tornare forte, solido anche dentro, per potersi difendere dalla sconfitta quotidiana, da una vita che è una lotta, dalla morte.

-                     Ho parlato troppo. Comandate, siamo quasi arrivati. Adesso vi faccio riposare un po’, così nessuno a palazzo si accorgerà che siete stata male. Ho un po’ d’acqua: la userò per bagnarvi la fronte. Oggi proprio non va, eh?-

Oscara annuì. In effetti non riusciva a riprendersi, a reagire. La febbre non saliva, o forse era salita troppo. E le parole di Alain: non aveva la forza di replicare, e non aveva neppure argomenti per farlo. Quel discorso così confuso in realtà era interiormente sano, chiaro… come il mondo esterno.

Si stese all’ombra. Alain le bagnò la fronte col suo fazzoletto. Nel suo sguardo c’era una dolcezza molto triste, quasi pensosa.

Oscar immaginò quel bruciore che le pervadeva i polmoni, la malattia, come proiezione della propria coscienza… Così chiuse gli occhi, cercando di tornare con la mente al periodo in cui si è puri, coerenti, quando si ha il coraggio di ridere e di piangere… immaginava, mentre l’acqua le scendeva sulle tempie, scene di quei giorni, e di giorni simili, che avrebbe potuto vivere, se solo avesse trovato la forza di parlare, di dimenticare anni e anni e anni…

Dormì un po’, fu Alain a svegliarla. – Mi dispiace, ma si sta facendo tardi…- Lei scattò a sedere. L’aria era bruna e fresca, il fazzoletto umido che teneva sulla fronte le scivolò sulle gambe. Oscar lo prese e se lo passò sul viso.

-                     Mi sento meglio. Grazie… Alain… grazie davvero. - salì a cavallo senza lasciare il fazzoletto. Alain la guardava, ammirato ma anche addolorato. – Intendevo dire… grazie di tutto. E, farò qualcosa per il tuo amico: anche io tengo alla sua vita come fosse la mia… - “più che alla mia…” - ti restituirò il tuo fazzoletto rosso quanto prima!-

-                     Appena potete, comandante… Non c’è problema..- Alain la salutò con un cenno della mano. Oscar cavalcò, un po’ esitante ma rinvigorita, verso palazzo Jarjayes.

 

La sera prese carta e penna, e scrisse un congedo per il soldato Grandier. Ma non aveva intenzione di lasciarlo da solo. Al momento di consegnargli quel foglio, gli avrebbe dato un’alternativa: “Andiamo via insieme, o restiamo insieme.”

Si chiese, firmandolo, se mai glielo avrebbe consegnato. Forse non il giorno seguente. Forse tra due giorni, o fra tre… il tempo incalzava, come la violenza a Parigi.

 

Alain tornò in caserma, il sorriso amaro e ironico sul viso. Il suo passo si faceva riconoscere, anche quando voleva essere delicato.

-           Alain, dovevi fare la ballerina!- scherzò André.

-                     Già, se la tua Oscar è riuscita a fare il comandante, potevo fare anche io la ballerina!- rise.

André strinse gli occhi. Si era creato delle immagini d’insieme per identificare le persone, dei dettagli - dall’andatura alla voce, alle pose più frequenti - per riconoscerle anche a distanza. E notava che da Alain mancava qualcosa.

-                     Il tuo fazzoletto rosso, che fine ha fatto?-

“Già”, pensò Alain ,“Oscar si è dimenticata di ridarmelo…”

-                     Ah, caspita! Credo di averlo lasciato alla tua Oscar. Va bene, lo userete come portafortuna, e quando avrete voglia verrete da me, al mare, a ridarmelo… - rise, e si gettò sul letto.

-                     Ma che stai dicendo, Alain? – nella voce di André, oltre alla sorpresa, c’era una perplessità simile alla gelosia.

-                     Ehi, che problemi ti fai?! Di solito sono le donne che, quando vogliono attrarre un uomo, gli lasciano il fazzolettino… a parte che, date le dimensioni del mio collo, quello è una bandiera… E, poi, dare un fazzoletto per provarci è un cosa da donne! Va bene che siamo un gruppo un po’ atipico, però… - rise di nuovo. Si stese. E immaginò che la battaglia fosse già iniziata, e poi già finita, e lui potesse finalmente stare nel suo campo, sul mare, a coltivare la terra. Come gli aveva insegnato il padre. Come, in fondo, aveva sempre desiderato.

“Ho sempre desiderato fare il contadino, perché è una cosa semplice, logica e naturale. Fare il soldato, è forse un po’ più redditizio, ma è una schiavitù. Ora facciamo passare la battaglia, forse la guerra… anzi, prima facciamola iniziare, poi facciamola passare e poi…”

 

Normandia, estate 1794

Il canto dei gabbiani lo svegliò. Alain si tormentò il viso, mormorò qualcosa sull’aria sin troppo bollente di quel pomeriggio d’agosto e si voltò di fianco riprendendo a dormire.

Bussarono alla porta. Alain aprì. Oscar era raggiante, a fianco di André, che le cingeva la vita per tenerla vicina a sé. Oscar aveva i capelli raccolti, legati da un luminoso fazzoletto rosso. Troppo rosso il fazzoletto, troppo brillanti i capelli.

“Avevo detto che te l’avrei riportato! E poi ci avevi promesso di farci assaggiare il tuo vino!” Esclamò lei, sciogliendosi i capelli e porgendogli il fazzoletto che li legava. André la guardava, sorrise… Troppo ampio, troppo lucente quel sorriso… una luce onirica, invadente, persino inquietante…

Alain starnutì. Una libellula si era posata vicino al suo naso, il vento stava rinforzando. Aprì gli occhi sulla luce malata di un cielo che presagiva una burrasca in arrivo. Si alzò, scuotendosi l’erba dalla schiena, dai pantaloni. Rabbrividì. Faceva freddo, ora. Il vento umido gonfiava il mare, portava una schiera di nuvole grigie e compatte. Alain si sistemò il fazzoletto intorno alla gola.

-                     Un sogno… Magari fosse finita così… .anche quel discorso che feci con Oscar è stato come vento sul mare. Il mare fa lo stesso il suo corso. Aveva ragione mio padre: noi uomini siamo come le piante, abbiamo il nostro ciclo di vita e nessuno può mutarlo. Tutto questo è molto crudele… - La salsedine gli investì il viso, in mille gocce portate da un’ondata più forte. -… Ti eri così affezionato ad André che ancora adesso proietti il mondo, la vita che vedi tu, su come invece la vedeva lui… anzi, magari l’avessi fatto… povero André. – Entrò in casa. Si sedette sulla cassapanca di legno che conteneva le sue poche cose. Si versò un bicchiere di vino, poi un altro. Si ristorò. Fuori la bufera aveva ingrigito il mondo.

-                     … Anche queste bufere, d’altronde, sono un attimo. Sconvolgono tutto per un po’, poi torna la calma. Alla fine, cosa contiamo noi? La gente dovrebbe coltivare la terra, venire al mare per capire le cose… altro che studiare le leggi, le lettere, la scienza medica… che poi s’è visto a cosa serve… - Addentò una fetta di pane. – Già… è che in fondo non ti sei rassegnato. Sei morto con Diane. Sei rinato grazie ad Oscar e André… ma loro, no, non ha potuto salvarli la medicina… -

Si alzò, alla finestra rimase ad osservare gli scontri furiosi delle onde.

-                     Poi arriva Bernard a raccontare che Maria Antonietta è morta, che Robespierre è morto… e io… io cerco di dirgli che la vita è come il mare, come un campo di fiori selvatici… mentre lui, invece, continua con le sue idee di storia, di filosofia… possibile che non se ne renda conto? Lo capirà anche lui, un giorno… Spero non a sue spese. Ne ho già abbastanza. - Lacrime gli inumidirono gli occhi, sentì la sua corazza di cinismo sciogliersi.

 

L’apparizione di coloro che hanno condiviso il passato con noi, siano immagini reali o di sogno, lascia sempre una sensazione di inquietudine straniante, perché è specchio impietoso di ciò che eravamo e non siamo più. Di ciò che è passato, irrimediabilmente, - e noi con lui -. Per sempre.

 

Alain… Non vedo più nulla…”

“André, ti sono vicino!”

“Non posso morire proprio adesso…”

“Comandante, non siete l’unica persona qui che ha pene atroci da soffocare…”

            Sistemò meglio il suo caro fazzoletto rosso. Non avrebbe mai pensato di doverlo usare la sera del 14 Luglio, per pulire il viso del suo comandante dal sangue e dalla polvere, per prepararlo a quello che qualcuno vuole sia l’eterno riposo.

“Toglietele quel sangue dal viso”, hanno detto e, invece… “Bestie, neppure questo hanno saputo fare. Non solo non sono riusciti a  salvarla, ma  neppure ricomporla…”

-                     Una beffa come le altre. Un dolore peggiore degli altri… Come il sogno che ho fatto, dormendo sull’erba: non verrete mai a bere del vino buono da me. Siete morti una dopo l’altro… forse era la cosa più logica, e per questo la più crudele. Che cosa speravo? - Chiuse gli occhi. Un sorriso triste. - è stato un sogno, quello che ho fatto sdraiato nel mio campo. Mio padre direbbe che i sogni sono solo cose carine, ma che basta guardare il mare e i fiori per capire la vita. Però, a volte… aiutano… anche se il risveglio è tanto doloroso… -

Uscì, incurante della pioggia. Ne trasse giovamento. Forse era una preghiera, forse era un’imprecazione quello sguardo che rivolgeva al cielo nero, ricordando Oscar e André. Col braccio si schermò dalla pioggia che gli colpiva il volto, svegliandolo e rinfrescandolo, riportandolo pienamente nel presente, nella vita reale, nel mondo delle sensazioni.

- Il fatto è che... avrei voluto poterli proteggere… fare qualcosa… ma loro… le loro vite erano come quei fiori selvatici… che, a volte, non riescono neppure a sbocciare… e, quando sbocciano, sono più esposti degli altri…- Si chinò a terra, carezzando quasi, proteggendo dalla violenza dell'acqua quei fiori. Rise di sé, mentre le lacrime si mescolavano alle gocce. - Già… in fondo, ho sempre desiderato fare il contadino… -[3]

 

 

Fine

Mail to sonia_78@virgilio.it

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[1] Questo pezzo l’ho scritto in un momento molto negativo. Così, per “aiutarmi” sono uscita in bicicletta alle due del pomeriggio, con 36° e l’80% di umidità. Tra stress, stanchezza mentale e pressione tendenzialmente bassa, potete immaginare…^^;;

[2] Nel manga ci fa più di un pensierino… Io ho cercato di condensare le due figure di Alain. molto diverse- delle due versioni della storia di Oscar, quella cartacea e quella animata.

[3] Lo dice proprio Alain, nell’ultima puntata.