Alain

parte VI

 

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Questa parte è nata per seconda d’impulso, dopo aver ascoltato tre canzoni quasi di fila, che mi hanno evocato molte immagini generando i  momenti chiave di questo pezzo. Forse si sono legate a delle immagini, delle idee da già presenti nella mia testa. Notavo la differenza tra la mia “piccola chiesa” dell’omonima fanfic e quest’altra piccola chiesa: forse risente del mio modo di vedere la religione. Solo dove c’è libertà e gioia vedo aria e colori, altrimenti vedo oppressione e oscurità. Sarà colpa dell’impostazione scout, piena di gioia spontanea (posso dire di aver pianto dal ridere durante il catechismo) e concreta vitalità che contrasta con un altro aspetto, ben diverso, del cristianesimo,  che ho dovuto toccare con mano –mio malgrado- per motivi di biblioteca.

Scena 6

Alain borbottava, uscendo dalla caserma. "Cosa mi tocca fare per mia sorella!"

"Se vuoi la accompagno io", era stato uno dei commenti scherzosi con cui i suoi amici lo avevano salutato. Oscar lo guardò allontanarsi, pensando a com’era buffo mentre cercava di darsi un contegno e ricordando le parole che aveva scambiato con una raggiante Diane. Le aveva detto di essere felice, perché stava per sposarsi, per raggiungere la felicità. “Guardando come cammina rigido Alain”, pensava Oscar “non credo che condivida pienamente il discorso della sorella…”

Alain era infastidito, perché intimamente inquieto. Diane gli aveva chiesto di accompagnarlo ad una supplica alla Vergine Maria, nella chiesa del loro quartiere, mentre lui detestava quell'idea, non capiva perché una futura sposa dovesse fare una supplica, invece che una festa, e aveva protestato. Quando, però, Diane gli aveva detto che chiedeva di essere accompagnata da lui in veste di padre e non di fratello, non era riuscito ad opporsi.

Diane lo attendeva pochi palazzi prima della chiesa. Era luminosa. Come sempre. Ad Alain si aprì il cuore. Chissà perché, Diane sembrava sempre fatta per accordarsi con la luce. Forse per le striature più chiare nei capelli castani o per le pagliuzze dorate che accendevano le iridi brillanti, o forse per quella lieve allegria di lentiggini sul naso e sulle gote pallidissime.

-            Finalmente sei arrivato! In ritardo come sempre, quando si tratta di chiese!-

-            Ah, lascia stare Diane! Ognuno ha la sua croce!-

-            Sciocco!- rise e lo prese sottobraccio.

Entrarono piano nella piccola chiesa. L'aria era scura e densa per l'odore di cera, vicino alle minuscole vetrate si creava un alone bluastro dal quale emergevano, come fantasmi, rozze statue di legno. Intorno ad esse, un bisbiglio di parole latine, di gemiti e sussurri. Alain si tolse il berretto e prese a spostare nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro, cercando di dissimulare il disagio.

Diane, la sua luminosa Diane, si era messa un velo nero in testa, e della gioia della futura sposa non rimaneva nulla. Era inginocchiata davanti ad una Maria di legno, con il viso sconvolto da maschera antica, gli occhi, dipinti, erano roteati, le bianche mani protese in avanti, nelle quali teneva una treccia di spine, confusa con le ciocche nere che sfuggivano, scarmigliate, dal velo. L'autore di quella statua aveva abbondato di pennellate rosse su dita e polsi, perché si potesse notare anche nel buio il sangue che scorreva dalle mani della madre che aveva tolto la corona di spine al figlio. Il figlio… il morto che trascolora come giglio… "Chi ha detto 'ste parole, non ha mai visto un cadavere…" pensava Alain, ricordando il biancore puro dei gigli e l'inconfondibile colorito livido e giallastro dei morti.

Diane pregava intensamente, con gli occhi luminosi che erano diventati lucidi. Alain si guardò un po' intorno, decisamente infastidito, perché quell'ambiente lo riempiva di una strana angoscia. Avrebbe preferito che Diane avesse iniziato a descrivergli il ricamo dell'abito, e, così, avesse continuato per infiniti momenti, standogli seduta accanto. Avrebbe voluto portarla via da quel luogo, così poco adatto a lei, così pieno di immagini che evocavano dolore e sofferenza. A Diane si addicevano il sole di primavera, la spuma del mare, le gocce della prima pioggia… Le toccò il polso. - Devo tornare in caserma –, le disse, mentre sapeva che, in realtà, in caserma non aveva proprio nulla da fare e che preferiva tornarvi solo per non incrociare il futuro sposo della sorella.

Finalmente all'aperto, Diane tolse il velo, scuotendo i capelli e inspirando l'aria primaverile.

-            Lì dentro pareva di soffocare!- Esclamò senza perdere il sorriso.

-            Io lì dentro ci soffoco davvero!-

-            E' il peso della tua coscienza a farti sentire così!- Diane lo prese in giro, agitandogli l'indice davanti al naso. Alain la condusse vicino alla Senna. Si sedette e la prese sulle ginocchia.

-            Che fesserie…- rise lui.

-            Così si dice…ma io lo so che tu hai la coscienza limpida, fratellone. - Alain impazziva a sentirsi chiamare "fratellone": anche se lui era maggiore d’età e d’altezza, quell’appellativo, pronunciato da Diane, era pieno di tenerezza di complicità, senza alcuna ironia.- Certo, non si può dire che tu sia un angioletto….-

-            … ascolta Diane, se continui a parlarmi così, mi toccherà lavarmi, per togliermi di dosso la puzza di santità![1] Riempimi un po’ la testa di chiacchiere, dai… chissà quando ti avrò tutta per me, per sentirti cinguettare…-

-            Sai cosa mi ha detto Monique?-

-            No, non lo so. Però so che Monique è una gran bella…-

-            …Sei sempre il solito…- Diane si finse seccata, infliggendo un pizzicotto al fratello. - Mi ha detto che c'è una signora, un'artigiana, che sa raffinare e trattare le pietre comuni in modo che ricordino le pietre preziose. Non so che prodotti usi, ma lei sostiene di fare questo lavoro sperando che da quelle pietre, anche se finte, nasca la felicità delle spose!-

-            Secondo me lo fa solo per guadagnare e poi… Vedi-, fece Alain pensoso, mentre la sorella gli sistemava i capelli, scompigliati da una folata di vento, - le pietre preziose, i diamanti, a cosa servono? Non nasce niente da essi… Mentre, a volte, i fiori più belli… sai da dove nascono, no? -

Diane arrossì, si strofinò le mani - Ce… certo che lo ricordo… Non lo dirai mica a mio marito, vero?-

-            Cosa?! Io dire che tu da piccola ti divertivi a  spargere il concime[2] sulla nostra terra vicino al mare???- enfatizzò apposta ogni parola, divertendosi.

-            Zitto! Dai, Alain! Non farmi vergognare!-

-            Non lo dirò mai a tuo marito. A meno che lui sia così…- "Incapace? No, non lo dirò mai. Perché dovrei rovinare la sua allegria" si chiese Alain. -… schizzinoso da non lasciarti coltivare i fiori più belli!-

-            No, lui non è… oh! Finalmente sei arrivato.- Diane si voltò. Era il suo fidanzato, che la guardava con un aria indecifrabile, ma carica di cose da dire. Diane pensò, d'istinto, che quello sguardo fosse dovuto al disagio per la grande intimità fisica che legava i fratelli “de” Soisson, o al contrasto tra la possanza di Alain e la grazia muliebre di Diane.

Ma lo sguardo del fidanzato di Diane era diverso, simile alla superficie limacciosa di uno stagno, sotto la quale si intravedono guizzi improvvisi e indecifrabili.

Alain lo scrutò, soppesò la mancanza di trasparenza, quasi l’imbarazzo di fronte a se stesso. ”Bah, se sono riuscito ad andare d’accordo con il comandante Oscar, ci riuscirò anche con lui. Sant’Alain, patrono della gente contorta! Ma lui non è solo contorto, è… Basta che Diane sorrida sempre. Sempre.” Salutò il futuro cognato e lasciò la sorella con la promessa di vedersi il giorno della cerimonia, quando lei sarebbe stata bella, luminosa e bianca come un giglio. Tornò in caserma con le mani in tasca, rimuginando su tante cose.

 

Buio. Lui aveva le gambe bloccate. Voleva correre, ma le gambe non si muovevano. Voleva urlare, ma la voce non usciva dal suo corpo. Diane era lontana, spiccava come fosse luminescente in quell’oscurità. Aveva l’abito bianco, ma era crocefissa. Invece dei fiori, corone di spine. Le braccia della croce, come forme mobili di buio, si chiudevano su di lei. E lui voleva correre, urlare, correre, urlare…

Si svegliò di soprassalto.

-            Bel risveglio. Scommetto che è uno dei tuoi migliori…- davanti ad Alain c’era il viso, preoccupato, di André.

-            Che razza d’incubo… Lo trovi divertente?-

-            No, Alain. Ti stavi lamentando… mi sono preoccupato… -

-            Non dovrei dare troppo peso a questi sogni…-

-            Sono i nemici peggiori, Alain, non ti basta tenere un pugnale addosso[3] per evitarli.-

Nonostante tentasse di non darlo a vedere, Alain era sconvolto. E André, con quella sua spontanea preoccupazione, non gli permetteva nemmeno di affrontare da solo la debolezza del momento.

-            André, ora sto bene…- la voce uscì poco convinta.

-            Mah, non hai un bell'aspetto… Meno male che non ho uno specchio…-

-            … già, pensa la scena: mi specchio, si rompe e… ci mancano solo i sette anni di guai!-

André rise. - Date le nostre situazioni, sarebbe equo fare a metà…-

-            Già…- Alain si sedette sul letto – Un incubo bastardo. Va' dormire, André. Non credo che dormirò, per cui non c'è pericolo che urli ancora… -

-            Hai ragione,  vado a dormire. - André si sedette per terra, contro la base del letto di Alain.

-            Che stai facendo?-

-            Dormo. Buonanotte. – rispose André, con angelica tranquillità.

-            Vuoi dormire qui?! E magari mi canti pure la ninna nanna!???- Alain non riusciva ad essere ironico senza essere aggressivo. Si sentiva male. Quell’incubo lo aveva sconvolto, perché dava voce ad un peso enorme che nascondeva nel cuore, che non riusciva ad affrontare con razionalità. Aveva bisogno di parlare, di non sentirsi solo come sempre, come era stato fin da bambino. Ora aveva un amico…”Una catastrofe di sentimenti, in questi due giorni. Tua sorella, André… non ci sei abituato”, si disse. - Guarda che se qualcuno poi fa allusioni, domani mattina, la responsabilità è tua! Tanto, con quell’aria per bene, non hai una buona fama. -

-            Non mi importa della fama che ho. Non ho intenzione di rubare il cuore ai commilitoni. -

-            Fa' lo spiritoso…- Alain si sdraiò. Poi, a voce bassa, nell'atmosfera rarefatta di quella notte, gli narrò quell'incubo oscuro, gli parlò delle sue impressioni di fronte allo sguardo del fidanzato di Diane, gli raccontò di Diane. Non era semplice spiegare il loro rapporto, il legame che li univa. André, però, poteva comprenderlo. Perché i sentimenti forti, veri, non hanno nome, non hanno né sesso, né grado di parentela, né estrazione sociale, né distanza. E rimase lì, accanto a lui, ad ascoltarlo. Con poche parole, con qualche accenno, potevano intendersi profondamente.

Alain si addormentò verso l’alba, non del tutto sereno ma, abbandonato il suo scudo di durezza, con la sensazione gradevole di essere accettato. André dormiva con la schiena appoggiata lungo il legno grezzo della testiera, il capo reclinato e le gambe stese fino ad occupare il pavimento. Un soldato ci inciampò, e vedendolo dormire per terra, con le braccia rilassate e le mani dischiuse, pensò che in fondo, in quella caserma di persone del tutto normali ce ne erano poche. “Sei un po’ troppo cresciuto per dormire così”, fu l’unica battuta che, al mattino, gli rivolse.

 

C’era un magnifico odore di pioggia, un profumo intenso e purificante, ad accompagnare la loro cavalcata. Oscar si teneva un po’ discosta. Guardava André davanti a lei e lo pensava. Davvero André avrebbe potuto, volendo, sposare Diane. E sicuramente André confidava i suoi problemi ad un amico, che era Alain. Con quell’infantile testardaggine propria dei nobili, con la monocromia della vita militare, aveva trascurato le tante qualità, la ricca umanità di André. Ma in quel momento il problema era un altro. Alain… erano giorni che non tornava dalla licenza. Possibile che fosse fuggito? Era il primo dubbio che doveva porsi come comandante. Però, come persona, come Oscar, non ci credeva affatto e ne aveva parlato con André. Si erano decisi per andare, in veste privata, a cercarlo a casa. Lasciare la Guardia reale aveva aperto gli occhi di Oscar su un mondo dolente, disastrato, ma vero e coraggioso. Certo, Alain non era una persona facile con cui trattare, ma avvertiva il carisma di quella lealtà ruvida e immediata, di quella forza ostentata e di quella capacità di capire le persone. Alain avrebbe potuto far carriera, se fosse stato…”… Sporco dentro, viscido”, considerò Oscar, non lesinando qualche critica a se stessa e ai propri trascorsi a Versailles.

Arrivarono. Nel profumo di pioggia - da qualche parte, non lontano da Parigi, doveva venirne giù ancora e il vento ne portava il profumo - si insinuavano volute di un odore nauseante… Un flusso osceno che aumentava mentre salivano le scale. Oscar tese la mano ad André. - Questo odore l’ho sentito in due casi…- la voce di lei voleva suonare sicura, ma con André si permetteva il lusso di essere tremante. – Il caso migliore è quello dei porcili dei Sugane. Il peggiore è…-

-            Oscar, io… non so che pensare… Non riesco neppure a parlare. Scusami…- si strinsero la mano con forza. Era più che un brutto presentimento, più che un sospetto.

Dovettero sfondare la porta. Un’ondata nauseante li fece piegare, attanagliò loro lo stomaco, li costrinse a serrare persino gli occhi, finché non si abituarono.

Una donna che sembrava la mummia di Diane, e doveva esserne la madre, sedeva, in un lamento tormentoso. Oscar la scosse, cercando notizie di Alain. La risposta fu una cantilena quasi incomprensibile… “Diane… con Diane…”

Oscar e André si guardarono, si capirono. Non solo per le circostanze del momento, ma anche perché Alain, come loro, conosceva un tipo di sentimento che va al di là di ogni barriera. Meno che di una…[4]

Entrarono nell’altra stanza.

Gigli appassiti erano sparsi sulla gonna bianca di Diane. Anche lei aveva il colore di un fiore ormai marcio. Alain era immobile, una statua a fianco della sorella, accanto a quel cappio maledetto che le aveva deformato il collo.

“La felicità completa per una donna…” suonavano beffarde, ora, le parole che Diane aveva rivolto ad Oscar, con sguardo pieno di luce, pieno di sole, pieno di vita.

Diane era morta. E Alain… sembrava morto con lei. Morta la sua mente, morta la sua anima, morta la parte migliore della sua vita.

- Alain! Alain!- Non rispose ad Oscar.

-            Alain… mi senti?…- anche André cercava di scuoterlo. Lui non si smuoveva.

-            Cos’è successo? Parla!-

Nessuno risposta. Alain pi piccolo, ora, dimagrito, la barba lunga, gli occhi gonfi e stravolti.

-            Alain! Da quanto? Perché? Rispondi!- La mente di Oscar era affollata da mille pensieri. La felicità completa per una donna… il suo dovere di soldato… l'immagine di Diane, le sue parole… lo sguardo orgoglioso e innamorato del fratello…

André, invece, si teneva a distanza, come per rispetto del dolore dell'amico. Ma cercava nella stanza segni che potessero dare una risposta alle loro domande. Era buio, l’aria era opprimente, malsana… era morta. In quella stanza c’era solo morte.

Qualcosa in Oscar si ribellò. - André, apri la finestra!- Era esasperata. - Alain, rispondimi!!! - gli gridò, costringendolo a scuotersi. André avrebbe voluto fermarla, ma vide una lacrima scivolarle sulla guancia. Oscar teneva ad Alain, teneva alla vita… Oscar stava cambiando…

Alain cercò di articolare qualcosa. - Quel bastardo…- Oscar e André gli furono subito accanto. -… un’altra donna, più ricca…- Doveva essere rimasto in quelle condizioni per giorni. Faceva fatica a parlare. - La mia Diane…- Lo sguardo perso nel vuoto. - Sia maledetto!… Si sarebbe dovuto impiccare lui per la vergogna, per il disonore, e invece…- Piangeva.- Diane… lei viveva… sognando queste nozze, la felicità, i giorni e le ore mancanti…- Non piangeva più da tanto… dalla morte di suo padre, forse… E il pianto divenne irrefrenabile. Diane, il suo fiore del mare… calpestato, strappato…

-            André, pensaci tu… digli che… ha licenza illimitata, ma che lo vogliamo da noi. Fallo parlare… insomma, fa' qualcosa… io penso a…- una pausa. Doveva trovare le parole. -… a Diane… è meglio che ci pensi io …- “Io non ho dolcezza, ho quasi perso il cuore… eppure, dentro di me, sento tante cose… tante… e ti voglio bene, perché tu le sai dire, le sai mostrare André…”

 

La sera tutto era finito. Il corpo di Diane fu portato via. Mentre gli inquilini dello stabile rumoreggiavano sull'accaduto, Oscar pensava a Diane, alle sue parole, a quella felicità completa che la ragazza aveva sognato. Il suo cuore era in subbuglio. Che male aveva fatto Diane per diventare quel misero corpo vestito da sposa, quelle labbra appena riconoscibili,[5] che sembravano una smorfia di incredulo dolore, e avevano sostituito il sorriso candido e scintillante della ragazza che aveva conosciuto da viva, piena di speranze e di illusioni? Se lo domandava, ma non trovava risposta… “Che mondo è questo, André?! Spiegamelo, ti prego! Nessuno ha avuto pietà di Diane! Che ‘felicità’ era, quella che lei avrebbe voluto? Perché, perché certe ingiustizie? Anche la miseria soffoca l'amore… E, se ci penso, tra me e le mie sorelle non c'è mai stato un legame come quello tra Alain e Diane… E l’amicizia… noi due, cos'eravamo? C'era quel legame che, ora, non ritrovo? Perché ti ho perso e, ora, sento che Alain ti è più vicino di quanto io non riesca a fare? Mi fa soffrire averti perso, sentirti lontano… saperti vicino a qualcuno che non sono io… Io… credo di essere gelosa… L’amicizia è… sentire insieme all’altro, vedere con i suoi occhi, accettare il suo animo… E’ un qualcosa di superiore all’amore. E io… io non lo capivo… solo adesso sto capendo tante cose… tante…” Oscar avrebbe voluto gridare quei pensieri ad André, mentre galoppavano lentamente, chini per la stanchezza e la tristezza. Troppe immagini le affollavano in mente. Aveva dimenticato di come lei e André si erano stretti la mano, salendo le scale della casa di Alain. La giornata era stata troppo drammatica.

-            André… io vorrei che Alain tornasse nella nostra brigata, quando se la sentirà. Tu puoi convincerlo… Ti prego, so che posso fidarmi di te…-Lui annuì.

 

 

Continua...

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[1] Questa espressione l’ho scritta in un’altra fanfic.

[2] Non dite “che schifo” io da piccola l’ho fatto, e vi giuro che è divertente. Ovviamente dipende dal tipo di concime che si usa… dall’animale… produttore…^^;

[3] La celebre scimitarra portatile del bagnino numero 2, nella Beiwatch saga.

[4] Di questo passo, alla prossima Fiera mi vestiranno da Morticia Addams. ^_^

[5] “signori benpensanti/ spero non vi dispiaccia / se in cielo in mezzo ai santi/ Dio tra le sue braccia/ soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte/ che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”. Ecco il colpevole di questo pezzo: Preghiera in Gennaio di De André. Prima di scrivere l’ho ascoltata una decina di volte. Inserirla nel pezzo significava forzarlo, ma almeno in nota dovevo riportare queste bellissime parole. Anche "la treccia di spine" - invece della classica corona -, le braccia del crocifisso che "abbracciano" e i fiori che non nascono certo dai diamanti derivano da canzoni di De André: Si chiamava Gesù e Via del Campo. Sono loro ad esserci entrate. Poi se la mia fantasia da scomunicata le ha deformato in incubi… datemi l’acqua santa!!