Inside -

Essere una donna

III

Warning!!!

 

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Ispirato a La cosa più semplice di Alessandra e Christine di Laura

 

Era distesa sul letto, gli occhi spalancati, e non riusciva ad addormentarsi: a Versailles sarebbe morta dal sonno, il giorno dopo. Ma non ce la faceva a smettere di pensare a quel che era successo. Erano rientrati nella villa paterna e si erano salutati in silenzio sulla scalinata d’ingresso, al buio, sfiorandosi appena le mani in un gesto spaventato e abortito di fiducia e di promessa. Alla prossima volta, si erano giurati senza parlare, continuando a cercarsi con gli occhi mentre arretravano.

Si erano baciati, solo baciati, per un tempo infinito.

Non mi è sembrato strano, forzato... È stato tutto fin troppo naturale: mi aspettavo di rimanerne più sconvolta. A un certo punto mi è parso quasi che l’avessimo già fatto molte volte. Forse è perché lo conosco da tanto, praticamente da sempre: la mia mente saprebbe misurare il suo corpo a memoria, ne riconoscerebbe al buio l’odore, l’impronta della voce. Saprei identificare in automatico, associandoli a tanto passato, gesti ed espressioni. Mi è così familiare. Baciarlo è stato al contempo un sacrilegio e una cosa priva di emozione...

Ma cosa gli rimprovero, di non esserne innamorata? Se proprio per questo l’ho scelto!

Sono confusa.

Forse è stato un errore, non so: ho come la sensazione di aver aperto la porta di uno scenario imperfetto. Di averci forzati a recitare su un palcoscenico già pronto, allestito da anni e anni con luci e costumi e quinte, una parte blasfema. Con Fersen ero turbata da svenire e al minimo contatto tutto si era fatto così elettrico che ero dovuta scappare via... Non c’era tempo per i dubbi, solo emotività... ma che paura, e poi era come non fossi io! Non mi riconoscevo, non capivo niente. Era tutto giusto, ero io a essere sbagliata. Ingenua, spaventata... impreparata.

Stasera, invece, ero me stessa.

Forse è stato proprio questo l’errore: io basto sempre a rovinare tutto.

Eppure, nonostante quei pensieri e i rimorsi appena accennati che le addentavano lo stomaco, già la sua mente correva al dopo. Cosa veniva poi? Non riusciva a frenare la fantasia. Dopo quei baci cosa c’era? Era come se avesse fame di conoscenza: non le era bastato imparare ad addomesticare le sue labbra e a giocare con la sua lingua, voleva di più, voleva mordere ancora quella mela...

Per un impulso sfuggito al suo controllo provò a immaginarlo nudo e ne ebbe d’un tratto quasi paura, ma non era il cieco terrore che aveva provato con Fersen: era un bel turbamento, venato di trepidazione e di impazienza; si sentiva quasi potente all’idea di quel che avrebbe potuto fargli, se solo lui le avesse insegnato. Lo conosceva: era certa che sarebbe stato buono e che non le avrebbe fatto male. Non sapeva niente della sua vita sentimentale e sessuale, e questo era strano, in effetti.

All’improvviso quel piccolo particolare le punse la mente con fastidio. Perché non ne sapeva nulla? Forse non gliene aveva mai parlato perché lei dal canto suo non si era mai confidata: non aveva voluto essere indiscreto o importuno. Certo, era andato a letto con altre donne: si intuiva dal fatto che non aveva palesato alcun timore a rivendicarla, dopo l’iniziale incertezza. Donne vere, forse esperte. Diverse da lei, che non era femminile, dolce o morbida... Per un istante, l’aggredì qualcosa che non aveva mai avuto presa su di lei prima di allora: un senso di inferiorità e di inadeguatezza. André avrebbe potuto desiderarla o la assecondava per non umiliarla? Eppure qualcosa di ancestrale le diceva che la voleva. Si sentiva sicura di averlo in suo potere, anche se ignorava perché ne fosse tanto certa.

Di Fersen, invece, non sapeva nulla.

Si voltò a pancia in giù nel letto, stringendo il cuscino. Avrebbe sinceramente voluto che André facesse questo passo assieme a lei. Che la aiutasse a scoprire il sesso. A vivere il sesso come una donna. Ne provava timore, perché le sembrava di fare una scelta di campo, di incarnarsi, quando finora era sempre vissuta asessuata, né maschio né femmina: libera, in un certo senso, dagli obblighi e dai carichi specifici dell’uno e dell’altro sesso. Ma non ne poteva più di sentirsi un simulacro, una zona grigia. Aveva bisogno di una carne. Aveva bisogno di crescere, di uscire dall’eterna adolescenza, di diventare umana.

Per Fersen, per offrirgli qualcosa. Qualcuno. Una donna...

André, puoi aiutarmi? Posso fidarmi solo di te, e i tuoi baci sono buoni, familiari e lusinghieri come le tue risate e i tuoi consigli. Forse non c’è differenza per me.

 

(Ma lui perché la voleva...?)

 

Era una frenesia: come se qualcosa di imprigionato dentro di sé avesse trovato una via di fuga e lei non riuscisse più a contenerlo. Ogni momento strappato a obblighi e a sguardi indiscreti era buono per esplorare qualcosa di nuovo: nuovi baci, nuove audacie, nuove carezze.

All’inizio, più che dalle reazioni del proprio corpo, era rimasta avvinta e catturata da quelle di lui; si era anzi scoperta quasi morbosamente dipendente da quanto coinvolto e diverso André sapesse diventare in quelle situazioni: gli si scurivano gli occhi, la voce gli si abbassava, i suoi gesti si facevano di una serietà brusca e quasi rancorosa, ma al contempo appassionata e esigente... travolgente. La sua espressione seria e intensa la affascinava, come un tesoro scoperto in un angolo già setacciato e ritenuto privo di ogni mistero: riuscire a fargli socchiudere le palpebre, a fargli esalare un ansito, un gemito stupito e roco era diventata una vittoria inebriante, ma troppo presto obsoleta, che richiedeva di venire replicata con variazioni e verifiche. Quando scoprì, in una sorta di non provocato incidente, cosa lui volesse davvero, quale fosse lo scopo finale di tutta quella frustrazione – quel liquido aspro e caldo che le macchiava mani e bocca –, quello diventò il suo nuovo obiettivo assillante: non pensava più a se stessa, ormai, soltanto a portarlo all’orgasmo, quasi violentandolo, e gli allontanava bruscamente le mani, dispotica, ogni volta che lui provava a toccarla.

Non voleva essere toccata da lui.

Voleva il suo viso deformato dal piacere, tinto di rabbia e godimento e sollievo. Era quella l'espressione che Fersen mostrava a Maria Antonietta nel buio e nella solitudine dell’alcova? Non riusciva a crederci: era talmente difficile immaginarlo così. Talora si chiedeva, incuriosita, se ogni uomo nascondesse quella maschera solenne dietro la sua espressione placida e quotidiana: un segreto condiviso da milioni di persone, da cui però lei era stata esclusa per anni. Con un bisogno che rasentava il panico, scrutava il viso eccitato di André per ribadire a se stessa che era stata lei a evocarlo, e lo finiva metodica bagnandosi corpo e labbra col suo seme. Era diventata una nuova abilità in cui eccellere, ma ben più gratificante del fioretto o dell’equitazione: per quanto fosse tutto confuso nella sua testa, una parte di lei si era fermamente convinta che farlo godere significasse dimostrarsi di essere una donna, esperta ed emancipata, non da meno di tutte le altre, e che farlo godere ancora e ancora conferisse scientificità all’assioma, dimostrando che la volta precedente non era stata un caso fortuito.

So soddisfare un uomo. Sono una donna, non ho niente che non va. So farlo, il sesso: non è così difficile. E poi non mi dispiace neppure. Anche se vorrei capire cosa abbia di tanto speciale.

 

La capiva, e per un po’ la lasciò giocare secondo le sue piccole regole.

Sapeva, in fondo, che Oscar le aveva calcolate per proteggere la sua idea di sé e che solo grazie alla loro lastra di cristallo lei riusciva a permettersi di mostrarsi a lui, nuda ma interdetta, affascinante ossimoro di donna fragile e morbida che lo toccava col cinismo di un uomo. Al contempo, era offeso ed esasperato dalle sue costrizioni: chi credeva che fosse lui, un fantoccio? Più probabilmente un servo: come sempre, anche in questo. Lo masturbava e glielo succhiava, ma non si lasciava sfiorare. Non sapeva se ridere o infuriarsi per i suoi sorrisetti soddisfatti e superiori e per la presunzione con cui gli imponeva un piacere povero e scarno, di cui ignorava la miseria e che ogni volta gli inaspriva la sete cattiva che gli toglieva a malapena. 

Lei pensava di sapere, ma non sapeva nulla, come al solito.

Ma Oscar non lo faceva apposta: non aveva idea. Il godimento meschino che lui provava era il sesso, per lei: non immaginava nemmeno che avrebbe dovuto beneficiarne a sua volta. Solo lui contava. Anche se lui, in realtà, non contava niente. E non si sarebbe mossa da lì a meno che lui non l'avesse costretta, quasi non avesse bisogno di essere felice. Era questo, in definitiva, che lo faceva incattivire, che lo rendeva infinitamente desolato: che Oscar non volesse mai vivere davvero. Che anche in questo, come in tutto il resto, le bastasse andare bene.   

Averla così era grottesco, poco meno che una squallida e inverosimile parodia di quel che erano stati prima. Essere una cosa non aveva senso: servo o amante, servo e amante, un oggetto restava pur sempre un oggetto: qualcosa di più o meno inutile, se ci si sentiva soli. E Oscar si sentiva tanto sola, ultimamente.

L’aveva osservata morire in silenzio quando era tornata alla carrozza, umiliata, dopo il ballo a cui aveva partecipato vestita da donna: per un breve istante aveva quasi sperato, da suicida, che Fersen l’avrebbe inseguita, tanto l’aveva fatto sanguinare il suo sguardo conficcato nel vuoto.

Forse, se l’avesse finalmente incontrata in uno sfiorarsi di pelli, in un improvviso occhi negli occhi, sarebbe riuscito a attraversare gli spettri che l’assediavano e a capire che ossessioni l’avevano spinta a prostituirsi fra le sue braccia. Non credeva fosse amore. Non poteva essere amore: la sentiva svuotata dentro. L’amava tanto, ma era troppo tempo che non la riconosceva più: Fersen, con lo strascico di dolore e di paure che le aveva instillato dentro, le aveva intorbidato l’anima. Certi giorni sembrava che si muovesse come un automa, e osservarla perdersi senza poter fare niente l’aveva quasi fatto impazzire, al punto che, quando lei aveva cercato di sedurlo, non gli era nemmeno parso troppo strano: tutt’al più un po’ bizzarro. L’ennesima assurdità della sua vita senza senso, perché votata allo scopo di seguire alla cieca una persona che si era perduta.

Era tutto talmente irreale, oramai. Sentirsi toccato da lei, lasciarsi fare... Lui si lasciava sempre fare, in fondo: l’eterno spettatore. Ricorda il tuo posto.

A volte avrebbe voluto prendersi a pugni.

E forse meritava tutto quello che gli era successo, perché, per Dio, sulle prime non aveva nemmeno pensato che avrebbe potuto toccarla anche lui. Eppure la voleva da impazzire, e da anni ogni scopata e ogni sega non erano altro che un prepararsi a questo momento, al punto che si era quasi consumato quel pensiero nell’anima, ormai. La baciava, sì, la baciava da ubriacarsene, ma toccarla davvero... toccarla era proibito, blasfemo. Lei era troppo in alto per lui. Era una nobile, era come una sorella, era un uomo – per quanto ciò fosse assurdo –, e pure un uomo migliore di lui. Ed era innamorata di un altro.

Ma è con me che viene a letto. E io la amo. Per quel che può significare, ormai.

 

La trovò nel suo salottino privato, quella sera. Semisdraiata in poltrona, teneva un volume di Voltaire aperto in grembo, ma non stava leggendo: aveva gli occhi chiusi e la testa abbandonata all'indietro, e la luce irradiata dalle fiamme del camino le striava di riflessi il profilo inclinato del viso. Forse dormiva. Si stupì per l’ennesima volta di quanto potesse essere torbida, la tenerezza profonda che si provava per una persona.

Si accostò a lei con cautela, posando adagio su una mensola il vassoio con il tè. Quando si voltò, vide due occhi stanchi fissi su di sé.

“Ti ho portato il tè. Come stai, Oscar?”

“Bene,” gli rispose asciutta, richiudendo il libro con un colpo secco prima di riporlo sopra il tavolino al suo fianco. “Solo un po’ stanca, forse.”

Non sembrava incline ad avviare una conversazione. Rilassata, languida e un po’ scontrosa, gli stava implicitamente chiedendo di andarsene. Voleva stare da sola. Come doveva essere calda e fragrante la sua pelle, adesso che era così abbandonata. Avrebbe voluto insinuarsi negli anfratti, annusarne le pieghe. Si era già tolta le fasce e lui riusciva a distinguere con chiarezza la curva molle disegnata dal seno, le punte indurite dei capezzoli che premevano sulla stoffa della camicia. La vide incrociare le gambe in grembo, inconsciamente sulla difensiva, mentre le ciglia saettavano a gettare ombre scure sul viso.

“André?” si sentì richiamare in un‘interrogativa retorica.

“Non voglio andarmene, Oscar.”

Ci fu un silenzio venato di disagio, prima che lei distogliesse lo sguardo e tracciasse le distanze con voce sorda e fredda: “Stasera non ho voglia, André.”

“E di cosa non hai voglia, Oscar?” le chiese, calmo, avvicinandosi senza alcuna fretta e spingendola a rannicchiarsi di più sulla sua poltrona, involontariamente protettiva.

“Lo sai,” replicò irritata. “Smettila di giocare, ora. Se vuoi il solito ripassa domani.”

“Stai tranquilla, non voglio nulla di quello che facciamo di solito,” la rassicurò con tono conciliante, chinandosi a prenderla fra le braccia. La trovò rigida, restia, con i muscoli tesi, la bocca dura e fredda.

“No, non voglio... lasciami... lasciami, André!” tentò di respingerlo, contrariata. “Ma sei un idiota... cosa ti prende stasera, lasciami...!”

“Shhhh... non agitarti, smettila...” rise lui, afferrandola. “Scalci come quando da ragazzi cercavo di buttarti nel fiume...”

“Basta, no...!”

La zittì con la bocca tenendola serrata a sé, sospesa in aria, e la condusse verso il letto. Approfittando della sorpresa, cercò di approfondire il bacio come non aveva mai osato fare prima: si spinse fino in fondo, in gola, tenendole la testa arrovesciata e spalancandole la bocca con la pressione delle labbra, e il sangue gli martellava nelle tempie al pensiero di cosa stava mimando con gli affondi della lingua. La sentì contrarsi e soffocare un gemito stupito, ma non si fermò. Continuò a violarle lentamente la bocca fino a sentire la saliva colargli sul mento, e quando la depositò con cautela sul letto e si allontanò per guardarla la scoprì confusa, la bocca ammaccata, gli occhi socchiusi.

“Che cosa fai...” la sentì articolare con voce sconnessa, roca. “Smettila, André...”

“Lasciami fare, Oscar, ti prego” le sussurrò, stendendosi al suo fianco e portandosi su di lei prima di cominciare a percorrerla con le mani sulla stoffa, baciandola di nuovo, ripetutamente, e intervallando con parole affannose e sospiri i propri baci. “Voglio farti godere... non voglio farti del male, voglio solo farti bene... ti prego, lascia che ti tocchi... tu mi hai toccato sempre, ogni volta che hai voluto, lascia che ti spogli io ora... non ti sei ancora fatta guardare da me...”

Le sue mani affusolate gli premevano sulle spalle, nel tentativo di respingerlo, mentre lei ruotava il viso e cercava di sottrarsi ai suoi baci, mormorando con affanno: “No, no... ti prego, non voglio...”

“Perché no? Non vuoi che veda come sei bella...? Sei così bella, Oscar... Dio, sei bellissima...” sussurrava incantato, rapito, mentre le baciava il volto con piccoli baci ansanti. Ancora incredulo di averla contro la proprio pelle, si sollevò a contemplarla con occhi dilatati prima di scendere a sciogliere con dita tremanti i lacci della sua camicia e scostarne lentamente i lembi, scoprendo il seno morbido, pieno, dai capezzoli eretti, finalmente rivelato al suo sguardo incredulo. “Hai un corpo di donna meraviglioso, Oscar... la tua pelle è morbida, bianca... e adoro il tuo seno, è stupendo, così tondo e fermo... Dio, mi entra perfettamente nel palmo...” gemeva in estasi, mentre la carezzava, la frugava, cercando con l’ultimo residuo del suo autocontrollo di parlare sottovoce, di percorrerla ed esplorarla con calma per non spaventarla ancora di più.

“André, no, ti prego... smettila... io non voglio più, non... voglio...” si agitava lei, il viso arrossato e gli occhi serrati, e si contorceva fra le lenzuola, non era chiaro se per il piacere o l’imbarazzo, per cercarlo o sfuggirlo. “Non voglio...”

“Cosa non vuoi, essere una donna?” la incalzava lui, continuando a sfiorarla di carezze lievi. “Preferisci fingere di essere ancora un uomo mentre mi masturbi? Credi che non me ne sia accorto? Vuoi tenere tutto sotto controllo... non vuoi essere toccata o guardata, non vuoi provare piacere, per non dover patteggiare col tuo corpo... non vuoi mai cambiare, Oscar, anche quando cerchi di farlo con tutte le tue forze...” le sussurrava con ardore sulla gola, le spalle, i polsi, mentre le dita scorrevano febbrili lungo le linee dei suoi fianchi. “Mi stai eccitando tantissimo, sai? Perché ti piace essere toccata così e si vede tanto... piace al tuo corpo, a questo corpo di femmina... sei così calda... e anche se mi dici no mi lasci fare... non mi scosti, non ci riesci, perché godi troppo... e questo mi fa impazzire...”

Si chinò a prenderle un capezzolo fra le labbra e iniziò a succhiarlo con passione, tormentando l'altro fra pollice e indice. La sentì iniziare a gemere più forte, più smarrita, forse anche un po’ impaurita, e questo lo fece sorridere con dolcezza.

“Non avere paura...” la rassicurò con occhi socchiusi, continuando a sfregare piano le labbra sul suo capezzolo. “Non ti faccio male. Ho sempre voluto toccarti così... tu mi facevi venire e tutto quello a cui pensavo mentre me lo succhiavi era di poterti toccare così... darti piacere e sentirti gemere con abbandono come adesso... come fa una femmina a letto col suo uomo... avanti, apri le gambe per me... stringimi forte fra le gambe, sì, brava, così... ti prego, posso toglierti i calzoni? Voglio vederti, e sentire quanto ti sei bagnata per me...”

Questo la spinse a sollevarsi seduta urlando: “No! No, ti prego, non voglio! Smettila, no...!”

Sentendo i suoi movimenti scadere nel panico e la sua voce bagnarsi di pianto, André risalì su di lei, la coprì col suo corpo e la strinse con delicatezza, accarezzandole i capelli e ricominciando a baciarla piano nel tentativo di rassicurarla, mentre le mormorava: “No, Oscar... ti prego, non vergognarti... sei bellissima... va tutto bene, sei esattamente come dovresti essere... io ti voglio da morire, e voglio solo guardarti... non te lo faccio, quello, lo sai... non te lo metto dentro. Voglio solo guardare le tue gambe nude, quelle gambe infinite che mostri a tutti ogni giorno nei tuoi calzoni da uomo... voglio essere io a percorrerle con la lingua...”

Gliele leccò con ardore mentre la sentiva tremare e gemere, stordito dall’odore dei suoi umori, procedendo lentamente con la bocca verso il suo nucleo, ciò a cui tendeva con ogni fibra del suo corpo e del suo cervello; con dolcezza, strinse fra le mani le dita nervose con cui lei stava cercando di coprirsi e le scostò per poi insinuarsi lentamente, delicatamente, fra le pieghe nascoste. Stava per venire nei calzoni, ma non gli importava: era in paradiso e avrebbe voluto morire adesso. Dio, lasciami trascorrere la vita qui... Sentiva tutto: i suoi singhiozzi e fremiti incontrollati, le gambe che lo serravano spasmodiche, le mani che, frenetiche, gli scorrevano fra i capelli e non sapevano se attirarlo o allontanarlo, la sua schiena flessuosa e forte che si arcuava mentre con le dita lui le cercava i capezzoli e iniziava a stimolarli accendendo una sconnessa litania di gemiti, il suo sapore acutissimo, l’odore meraviglioso, il suo imbarazzo, che lo eccitava da morire... Il sesso gli pulsava dalla voglia di penetrarla in un colpo solo, ma la bocca non riusciva, non riusciva proprio a staccarsi da lì...

“Sei buona, sei dolcissima...” la rassicurò, sollevandosi per un attimo su un gomito, gli occhi scuriti e le labbra umide. “Tu lo sai cosa vorrei fare adesso, vero? Vorrei entrare dentro di te, dentro questa figa calda e bagnata... no, non avere paura, ho detto che non lo faccio. Mi accontento di berla tutta, e desiderarti... dai, lasciati andare, amore, e godi...”

Sotto la pressione dolce, continua e insistente della sua mano sul ventre e della sua lingua sul clitoride, Oscar venne in una cascata di sussulti molto prima di quanto lui si sarebbe aspettato.

 

Sperimentò l’emozione devastante del suo primo orgasmo una sera dorata di inizio autunno, quando ancora non lo aveva mai avuto dentro di sé. Da quel momento smarrì il controllo della situazione e cominciò a volere davvero. A non pensare, a non frenarsi più, e a fare sesso. Perse la verginità appena alcuni giorni dopo, in un prato: il suo corpo si dischiuse docile, dopo un’iniziale e dolorosa resistenza, alle parole di desiderio e dolcezza che André le mormorava sulla guancia, mentre l'apriva lentamente, col fiato rotto. Provò molto piacere, quella volta, e anche le successive in cui lo cercò.

Era sopraffatta dal modo in cui la scopava. André sembrava – ed era certo assai più di lei – una persona pacata e calma, ma era come se si trasformasse nel sesso: lì la dominava con una sicurezza che la faceva sciogliere. Da servo si faceva padrone, e la costringeva a sentirsi femmina, non l'uomo che fingeva di essere ogni giorno, no: lui le faceva capire che era lui l’uomo, il suo uomo, e lei la donna che bramava, con l’odore e il sapore di cui aveva bisogno, la voce che lo eccitava e il corpo che gli scioglieva il cervello di voglia di sesso e basta.

Tutto questo era così nuovo, per lei, che si limitò a viverlo senza neanche provare a rifletterci su. Si lasciò travolgere avventatamente da quelle sensazioni mai sperimentate prima, sicura che in qualche modo lui stesse reggendo il timone: era André, si fidava di lui.

Mi fai godere così tanto, ti prendi cura così tanto di me durante tutti gli amplessi, e quasi di più nella violenza che nella tenerezza. Adoro come mi sussurri contro la pelle quelle frasi così erotiche e irriverenti, come mi pieghi e apri con dolcezza implacabile, come sei sempre duro e caldo per me, pronto a infilarti ovunque, a montarmi in qualsiasi luogo e posizione per sentirmi tua, la tua femmina, che gode di qualsiasi cosa tu voglia.

E c’era di certo un che di rabbioso, di vendicativo, nel suo animalesco volersi dar preda di quei piaceri senza freni, senza la minima intenzione di interrogarsi sul significato di quel che accadeva. Era come se stesse rincorrendo una rivalsa contro la vita claustrale e controllata che fino a quel momento era stata costretta a condurre, e volesse riprendersi in una volta sola tutto quello che si era dovuta negare per assolvere ai propri doveri: una vita privata e personale, un’identità intima, oltre che sessuale, e una sfera emotiva fatta di bisogni e di desideri capaci di guardare all’esterno, oltre le sbarre della sua prigione. Adesso, per compensare, sentiva di vivere davvero solo non pensando e non sorvegliandosi: così, tacitava il dolore e la confusione interiore non più nell’apatia o nello sforzo disperato di soddisfare le aspettative altrui, bensì nelle maglie rigide di quella bulimica e primitiva ribellione della carne, e in tutto ciò André era un alleato ai suoi occhi, come quando da piccoli ci si copriva reciprocamente le spalle davanti alla nonna. Non rifletteva troppo sui motivi di lui, non voleva pensarci: se era al suo fianco, in qualche modo tutto era ancora come sempre. Si rendeva conto di essere egoista, ma era appunto questo: aveva bisogno di essere egoista, adesso. Non aveva mai avuto nulla, così ora si prendeva questo, per quel che valeva. 

Forse si rendeva conto che c’era ben poco altro che avrebbe potuto prendersi.

 

Solo una volta, per un’illuminazione improvvisa, Oscar vagliò l’ipotesi che le loro situazioni potessero essere simili. Era notte fonda e lei era sgusciata nella stanza di André per destarlo dal sonno col contatto muto della sua bocca, della sua carne: l’ennesima follia, sempre, ancora, come se ne avesse bisogno. Dopo, stringendo il suo corpo nudo ed esausto fra le braccia e cullandolo nel sonno, si rese conto che, forse, per lui era come per lei: forse anche lui stava conoscendo e assaporando, attraverso di lei, il piacere segreto della liberazione dai propri ruoli, dalle responsabilità consuete e non scelte. Oscar era la persona che, da sempre, André avrebbe dovuto servire, proteggere e assecondare: invece, se la scopava. Come, quando e quanto voleva. La perfetta trasgressione al dover essere.

Probabilmente, entrambi odiavano quello che erano e lo sfogavano così: assieme, nel sesso. Non le sarebbe spiaciuto, se avesse scoperto che era vero, che André l’accettava per quello: la faceva sentire inspiegabilmente bene credere di potergli restituire almeno una parte dei morsi di libertà che lui le stava offrendo.

 


 

Continua

 

Sara, pubblicazione sul sito Little Corner novembre 2015

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Sara Mail to ultimegocce@hotmail.com

 

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