I just like you

part 4

 

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Le ore si ripetevano uguali nella monotonia di quella domenica invernale. Nella casa quasi deserta si muovevano con passi gravi i pochi collaboratori domestici di turno. Fosse dipeso da lei li avrebbe congedati tutti: ormai non rimaneva altro da fare che rassettare le già limpide sale, piene solo di mobili e cimeli. La sua famiglia era nota per la rigidità dell'etichetta, poche feste e in rare occasioni per accogliere un gruppo riservato di gente che bene s'intonava con l'albagia dei suoi ospiti. Oscar aveva sempre detestato prendere parte a quelle riunioni, e sentiva d'essere fuori luogo in ogni gesto e frase, imprigionata nel vortice della superficialità e dell'ipocrisia di persone con cui sapeva di avere in comune solo un alloggio per quarantott'ore.

In tutti quegli anni Oscar si chiedeva come facesse André a svignarsela: si dileguava senza lasciare tracce e riappariva puntualmente ogni lunedì mattina, pronto a cominciare il suo lavoro.

 

"Si può sapere dove sei stato ?" gli chiedeva facendogli pesare il fatto che aveva avuto bisogno di lui mentre non c'era.

 

"Tu sai quant'è grande casa tua?" rispondeva ironico.

 

Metteva il broncio nell'attesa di una sua confessione e, poi, non ci riusciva mai. Bastava che lo guardasse in faccia, e vedere la sua espressione le faceva abbandonare qualsiasi intenzione di rivalsa nei suoi confronti.

Quant'era diverso André allora: riusciva sempre a farla ridere. Anche nei momenti in cui avrebbe desiderato davvero rimanere sola, sentiva la necessità di averlo accanto perché solo lui sapeva ascoltare il silenzio confondendolo col suo.

Andò a cercare Nanny perché quando era triste lo faceva sempre. Sedeva accanto a lei davanti al camino della grande cucina, e la guardava mentre, presa dal suo ricamo, cercava di tirarle su il morale.

Quel giorno sembrava triste anche lei. Le domeniche, a palazzo Jarjayes, erano diventate interminabili e le giornate cominciavano ad allungarsi nella luce pallida del pomeriggio.

 

"Sai, Oscar, quando eri piccola, in giorni come questi, ci organizzavamo per fare dei pic-nic nel parco… Ti svegliavi sempre prima di me, correvi nella mia stanza e cominciavi a saltellare sul letto…" Oscar sorrideva lasciandosi cullare da quei ricordi piacevoli che rievocavano momenti di gioia indimenticabili.

 

"… Noi due sole camminavamo per tutto il parco da un albero all'altro, fino a quando non trovavi quello più alto! Al termine della giornata, ti riportavo a casa che dormivi tra le mie braccia, stremata."

 

"Ricordo… - Oscar cominciò a raccontare divertita -… che una domenica cominciò a piovere. Io ero triste e tu organizzasti il nostro pic-nic in salotto(1): stendemmo la coperta sul pavimento e, su tutt'e quattro i lati, avvicinammo le grosse piante che erano nella stanza fingendo che quelli fossero i nostri alberi…"

 

Si rese conto di aver sempre ricordato quel giorno in maniera nitida, perché l'indomani André sarebbe entrato nella sua vita.

Avrebbe voluto stare con lui, forse, in silenzio. La sola vicinanza le avrebbe dato quella magnifica sensazione di protezione e tenerezza cui si sarebbe abbandonata senza troppe domande.

Aveva sul viso un sorriso luminoso che scaldò il cuore di Nanny.

Spesso si chiedeva come riuscisse a non perdere mai la calma, a tenersi tutto dentro senza scoppiare, però, capace di gesti spontanei e completi d'amore.

Non gliel'avrebbe detto, ma sapeva bene a chi pensava lei: non disapprovava il fatto, rimproverava l'uomo cui era destinato il suo pensiero.

 

"Piccola… tu sai che non puoi… Soffrirai! Perché?"

 

Adesso, li vedeva con chiarezza i suoi sguardi venati di malinconia appena tornava a casa, i sorrisi amari quando sedeva a tavola e guardava la sedia vuota, accanto alla sua.

La lasciava sola con lui dopo cena e ricordava il suono delle loro voci, confuse tra le risate, che sentiva allontanarsi mentre si dirigeva in camera sua.

André era sempre stato con lei.

Nanny si fidava di suo nipote fino a quando non aveva visto entrambi cercarsi con sguardi insoliti, carichi di una passione che in casa non c'era mai stata. Nessuno, tranne lei, aveva afferrato il pericolo di quel legame "eccessivo" che rimproverava spesso.

André non era diverso dagli altri uomini, come diceva lui: "… Siamo tutti uguali….". Sapeva che sarebbe riuscito ad afferrare Oscar e tenerla dentro di sé, e assieme avrebbero imparato a guardare il mondo con gli stessi occhi. Lei era stata capace di farsi tanto male da sola. Adesso, avrebbe amato come sapeva fare lui.

Quando salì in camera rimase in piedi davanti al suo letto, con lo sguardo perso nel vuoto.

Sognava ancora, ad occhi aperti, quel bacio. Quante volte l'aveva corretto secondo la nuova ottica, quante volte aveva immaginato di passargli le mani dietro la nuca, e reclinare la testa da un lato, e socchiudere le labbra nel contatto umido e caldo con la lingua, il sapore dolce che aveva, e il profumo di pulito che emanavano il corpo e i capelli scuri, scivolati a solleticarle il viso, nell'impeto di un bacio che le stava rubando l'anima.

Alla ricerca di quei frammenti persi nel tempo, si strinse forte il polso nella mano e vi poggiò le labbra, premendole a fondo nella sua pelle, per rinvenirvi qualcosa di lui.

 

                                                                                ***

 

In alcuni momenti sollevava la testa dai fogli, mentre le lettere s'accavallavano fluttuando nel vortice in cui gli pareva di perdere il suo occhio. Aveva categoricamente rifiutato l'uso di lenti correttive, capaci di soccorrere la vista malandata, per non creare imbarazzo negli altri.

 

"… Dovrò portarli sempre?" aveva chiesto sfiduciato al dottore.

 

"André, io comprendo le vostre preoccupazioni. Mentirei se vi dicessi che il loro uso può essere limitato a poche ore, ma abbiate cura di usarli almeno quando mettete sotto sforzo la vista…"

 

Il suo problema rimaneva legato a qualcosa che avrebbe rievocato fantasmi in agguato perenne, scatenando reazioni di panico negli altri ed insofferenza per se stesso. A volte sentiva d'essere un relegato della società: lui indipendente e attivo, aveva modificato le sue abitudini adattandole alla realtà monoculare entro cui doveva muoversi, senza destare sospetti.

Dopo averne provato i benefici, era giunto ad un compromesso con se stesso, e avrebbe messo gli occhiali soltanto a casa sua.

Aveva convinto Bernard a pubblicare un articolo che denunciava i reati commessi da alcune Guardie reali, a carico di cittadini innocenti.

 

"… Il nostro deve essere un lavoro pulito. La gravità della situazione non ci permette di chiamare in causa il popolo: sarebbe un massacro inutile. Secondo me dobbiamo indignare gli intellettuali, i candidati alle prossime elezioni, affinché siano loro a trovare i termini giusti per giungere al cuore della gente".

 

Ne avevano parlato la sera precedente mentre tornavano a casa, entrambi avvolti nei loro pesanti mantelli, e camminavano a testa bassa per difendersi dalle sciabolate del vento gelido.

 

"Tu non t'arrendi mai, vero André?" gli aveva detto Bernard colpito dalla perspicacia di quello che aveva sbagliato a definire un uomo tranquillo. Però si erano trovati d'accordo sull' idea ed aveva insistito affinché scrivesse lui stesso l'articolo, ma il suo nome non sarebbe apparso sul giornale.

 

"Un uomo…" aveva detto a Bernard "… spesso è misurato dalla grandezza delle sue gesta: è solo questione di fortuna, ed io sono troppo realista in questo senso."

 

Bernard non si stupiva più delle sue affermazioni, aveva imparato a leggerlo tra le righe: André era solido come la terra, capace d'accogliere l'impeto dell'acqua e sostenere il calore del fuoco. Per lei avrebbe sempre avuto una motivazione per amarla, anche in fondo alla notte, quando ogni uomo sente forte il peso d'essere solo, e l'amore mitiga la tristezza ma non assolve dalla colpa. E lui, ormai, credeva d'aver perso Oscar per sempre. (2)

 

Per uno strano caso quella nuova comprensione di Oscar non trovava lo spazio ed il tempo per manifestarsi.

Braccata dallo scorrere di giorni strani ed intensi si domandava se vi fosse una relazione tra i fatti, una sorta di continuità che interveniva a sfavore di uno o dell'altro. Si sentiva messa fuori gioco, non riusciva ad accettare che tutto le era sfuggito di mano nel momento in cui aveva deciso di affrontarlo, dopo che aveva trascorso giorni, ore, minuti ed attimi a rivoltare se stessa come un guanto, quando contava i minuti del loro prossimo incontro, casuale, nei corridoi lunghi della caserma, e riconoscere i suoi passi dall'eco che rimaneva sospesa nella mente.

 

"… Comandante, vi lascio i rapporti dei pattugliamenti notturni…" disse il Colonnello d'Agout colpito dall'aria malinconica che Oscar aveva da qualche tempo.

Sollevò appena lo sguardo, e, dopo averlo ringraziato e congedato, sfogliò le carte alla ricerca di un contatto.

Sfiorare con dita lievi i fogli dei rapporti scritti da lui, ripetere il suo nome col desiderio di vederlo entrare nel suo ufficio.

Un altro tocco dietro la porta, e seguire con gli occhi il girare lento della maniglia, e vedere nuovamente il Colonnello che, scusandosi, le passava nuovi dispacci.

Poggiò il capo sulla scrivania, arresa all'avanzare di pensieri confusi che modificavano il suo modo d'interpretare il lavoro.

Prima d'allora, non aveva mai dedicato particolare attenzione alla stanza, e notò che appeso ad una parete c'era uno specchio, che al di fuori della finestra c'era una piccola aiuola coperta da terriccio, in cui, a primavera, sarebbero sbocciati dei fiori(3) che avrebbero smorzato appena la solennità di quella caserma grigia e fredda.

Si guardò allo specchio.

Distingueva sul proprio viso i segni della stanchezza che aveva visto sul suo volto. Lo sfinimento per una preghiera che rimane inascoltata, quando serve un segno a dimostrare che tutto l'amore immaginato diventi vero, perché predestinato, perché doveva avere senso quel percorso che li vedeva vicini e incapaci di raggiungersi.

Avrebbe voluto essere più forte nelle perplessità, ma non poteva accontentarsi solo dell'idea: sapeva di potergli dare amore, voleva vedere e toccare l'intensità di quell'energia, doveva convincersi che niente era stato sprecato e tutto aveva una responsabilità. E l'annientava l'idea di dovergli confessare, lontano nel tempo, che solo lui aveva amato.

 

Anche quel pomeriggio avvertì il tramonto dal calore del sole, sul viso, che mandava una carezza tiepida.

Si diresse nuovamente alla finestra con le braccia conserte, ammirò il rosso del fuoco allungarsi nel fresco azzurro del cielo: quanti ne avevano visti assieme, quanti ne avevano inseguiti, di tramonti.

Quel viaggio nostalgico fu interrotto ancora dal bussare di uno dei soldati, che le consegnò le pubblicazioni che aveva chiesto.

Prestò particolare attenzione ad un articolo di fondo del giornale su cui scriveva Bernard.

Impietrita, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, sentì la necessità di portarsi una mano alla bocca per trattenere un urlo, di rabbia.

Sapeva per certo che Bernard non si sarebbe mai sognato di scrivere informazioni tanto dettagliate, nemmeno spinte dalla necessità di fare propaganda contro il dispotismo dei Borboni, se non fosse stato convinto dell'attendibilità della fonte. Quindi, doveva necessariamente conoscere i fatti e le persone.

Uscì di fretta dalla caserma e, mentre cavalcava, si lasciò andare ad un pianto disperato. Ripensava alle parole lette, all'angoscia che somigliava ad un dolore fisico, e che non avrebbe mai eguagliato la sofferenza provata da quella gente.

Mai come in quel momento aveva sentito tanto forte la necessità di parlare con qualcuno, liberarsi di immagini crudeli, mute, che si stampavano nella mente come quelle parole lette sul giornale.

Ciascun essere vivente doveva avere la possibilità di vivere e non difendersi dalla vita: che senso aveva continuare col suo lavoro, a cosa sarebbe servito se non a brutalizzare poveracci arrestati con l'accusa d'aver rubato una mela o perché, ubriachi di vino infimo, avevano disturbato la pubblica quiete con i loro schiamazzi, mentre urlavano che i Borboni erano dei gran bastardi?

Era quella dunque la sua missione?

Anni consacrati a difendere le persone sbagliate, un'esistenza snaturata per il volere di un uomo - suo padre- che ora cercava di rimediare, a modo suo, e secondo un' interpretazione convenzionale di figura paterna, consigliandole di lasciar perdere quella vita e trasformare la spada in ago da ricamo.

Niente sembrava più avere un senso, era tutto sbagliato: nelle premesse, nello svolgimento. Lei era un soldato, un'arma perfetta da guerra, una stratega, le avevano insegnato a portare rispetto per il nemico, conoscerlo e temerlo e per questo disprezzarne la vita.

Riceveva ordini e li impartiva senza alcuna mediazione e nessuna libertà.

Era vissuta nella menzogna fingendo che quello fosse il suo destino, fino a quando non aveva cominciato a posare gli occhi sul resto delle cose e a lasciarli abbastanza, per capire che il suo mondo era sempre stato lì, vicino a lui, ed aspettava solo che varcasse la soglia.

                                                                                       *  *  *               

Con lo sguardo proiettato al di fuori della finestra, captava il segnale del cambiamento mosso dalle ombre: presto il buio avrebbe invaso la stanza, fagocitando forme e spazio in un'unica colata scura.

C'era ancora luce quando un bussare improvviso lo distolse.

Giunse alla porta col cuore spento di proposito, solo per evitargli la sofferenza di essere nuovamente tradito da un palpito inopportuno.

Oltre la soglia aspettava lei, avvolta nel mantello blu, i capelli scompigliati e le guance arrossate per la corsa fatta al galoppo.

 

"Ciao, ti disturbo?"

 

Fece fatica a mantenere un'espressione seria: quel luccichio negli occhi lo tradiva, sapeva che era così e non poteva far nulla per impedirlo.

 

"Certo che no, accomodati".

 

Si scostò quel tanto che bastava per permetterle di entrare. Si lasciò inondare dalla scia che i suoi capelli produssero fluttuando davanti a lui.

Chiuse la finestra da cui entrava una brezza leggera che tagliava costanti gli ultimi raggi di sole.

 

"Non vorrai rimanere in piedi" le disse sedendosi al gradino sottostante la finestra.

 

Incrociò le braccia, poggiandole sulle ginocchia. La guardò per convincersi che non fosse un sogno, raccogliendo nella mente le sue espressioni, la luce che l'avvolgeva, i colori che la distinguevano.

Oscar sentiva di bruciare.

Era a casa sua, espanso nell'aria il suo profumo, persistente, negli oggetti le tracce dei suoi gesti.

Le mancò il respiro quando lui s'alzò in piedi, ma rimase delusa appena lo vide dirigersi verso la credenza da cui prese una bottiglia di cognac.

Versò da bere e le porse il calice tornando a sedersi al posto di prima.

Si fece coraggio e andò a sedersi, anche lei, sulla poltrona di velluto blu, di fronte a lui.

Sorrise con la testa bassa e fissò il cognac roteare.

 

"Cosa sta succedendo André?" con un accento pieno di malinconia nella voce.

 

"Siamo cambiati Oscar, tutto qui."

 

Rispose di getto, prima che razionalizzasse quella domanda, la stessa che gli aveva posto una sera di un anno prima, davanti al camino quasi spento. Allora, lui viveva in casa sua. Per un momento si confusero nella mente pezzetti di ricordi, vivendo a velocità sempre maggiore tutte le sensazioni provate, i gesti quotidiani, le parole, i suoni.

Oscar pensò che quella era la prima volta che rimanevano veramente soli, nella stessa stanza a casa di lui. Non c'era niente che potesse impedire loro di parlare liberamente, lasciarsi  andare a parole che sapeva volerle dire anche lui. Quell'intimità poco per volta diventava più sostenibile per lei, a parte l'iniziale imbarazzo, lo sentiva talmente vicino da poterne percepire l'anima. Erano di fronte, lo trovò bellissimo in quella posa rilassata seduto sotto la finestra, mentre, il cielo s'oscurava lasciando emergere poco per volta la luna. Sapeva che sarebbe bastato solo un gesto, ma non avrebbe saputo affrontare il seguito, e staccarsi da lui per tornare a casa, al posto di sempre. Si sentì profondamente egoista nel pensare che avrebbe potuto vivere quell'amore, lontana da tutto e tutti, che in fondo un sentimento rimane puro fino a quando non ci sono di mezzo gli altri. André ci sarebbe stato male, lo conosceva bene, sapeva che non avrebbe saputo nascondere la gioia, che l'avrebbe cercata incurante del resto, della realtà.

La stanza si stava raffreddando, avvertì i brividi sulla pelle e bevve un altro sorso di cognac. Se ne accorse anche lui, e s'avvicinò ai ciocchi di legna per accendere il camino. Oscar si sollevò dalla poltrona per accendere alcune candele. 

Si avvicinò a lui, ancora di spalle, con il doppiere in mano e, piegandosi sulle ginocchia, fissò il suo profilo illuminato dalle prime scintille del fuoco.

Sarebbe rimasta lì con lui per sempre, nel calore di quella casa piccola che fino ad allora non aveva conosciuto altro che il suo respiro, i suoi passi, il suo dolore.

 

"André… noi dobbiamo parlare" parlò sommessamente, nel timore che un suono più forte potesse spezzare l'incanto.

 

"Hai ragione", rispose lui, sebbene non sapesse cosa augurarsi da quella conversazione.

 

Restarono seduti per terra, davanti al camino, con gli occhi bassi.

 

"Ho paura di questi cambiamenti, strani ma necessari." Cominciò lei tracciando col dito segni astratti sul tessuto dei pantaloni.

 

"Ti riferisci a qualcosa in particolare?"

 

Estrasse dalla tasca il ritaglio di giornale e glielo passò. André lo prese tra le dita e scosse la testa, senza però leggerlo. Si alzò in piedi e lo vide dirigersi verso la libreria, da cui mosse un fascicolo.

 

"Tieni Oscar, leggi!"

 

Lo fissò per un momento, mentre scioglieva i lacci che tenevano unite le copertine, scorgendo nel suo sguardo una determinazione mai vista. O meglio, le parve rabbia, la stessa che gli prendeva nei momenti in cui sapeva d'aver ragione ma nessuno pareva disposto a dargliene atto.

La sua espressione cambiava man mano leggeva quelle righe, gli occhi si muovevano frenetici sulle parole, soffermandosi a volte per accertarsi che non avesse frainteso il senso.

C'erano scritte date, luoghi, nomi a cui sapeva dare un volto, che, in qualche modo, avevano fatto parte della sua vita.

Chiuse la cartella e andò a versarsi da bere. Rimase in piedi davanti alla finestra. Le sembrò, per un momento, di vedere riflesse nei vetri le loro facce mentre le rivolgevano la parola o le stringevano la mano per salutarla. Si sentì mancare, aprì subito la finestra, lasciandosi travolgere dall'alito gelido del vento, che scorrazzava senza meta tra i tetti delle case, e trascinava con sé il fumo dei camini che rendeva opaco il cielo.

Si avvicinò a lei, senza spaventarla, mantenendo la distanza che non l'avrebbe fatta fuggire.

Avvertì i suoi passi e chiuse gli occhi, sperò che la prendesse tra le braccia, ma lui non si mosse.

Si voltò lentamente con le braccia conserte, gli passò accanto e sollevò appena la mano per sfiorargli un braccio.

 

"Adesso va meglio… non ti preoccupare…- tornò a sedersi alla poltrona -…tu, come fai ad avere quei documenti?"

 

Sembrava essere tornata in sé, priva della dolcezza di qualche momento prima.

André rimase in piedi, la schiena poggiata contro la finestra, e dentro la delusione cocente per aver abbassato nuovamente le difese con lei. Arrivati a quel punto, sarebbe stato inutile continuare a nasconderle la verità: non aveva più intenzione di mentirle, anche se, stavolta, avrebbe rischiato di annientare quel sottilissimo filo che li teneva ancora uniti.

 

"Il nostro compito è quello di aiutare più gente possibile: rifugiati politici, scrittori messi all'indice, semplici cittadini che hanno pagato un prezzo maggiore rispetto alla loro colpa. Lavoriamo nell'anonimato, stiamo attenti a non destare sospetti prendendo tutte le precauzioni necessarie, e se qualcuno si brucia, abbandona tutto e cerca riparo, all'estero."

 

Oscar lo fissava cercando di capire se lo avesse mai conosciuto davvero. Si sentì tradita: perché non le aveva mai confessato quest'aspetto della sua vita, perché le aveva nascosto che con lei non stava bene, che odiava tutto ciò che lei stessa rappresentava?

Aveva nello sguardo una scintilla piena di rancore,  non sapeva distinguere se ce l'avesse con lui o con se stessa.

Se gli fosse successo qualcosa l'avrebbe lasciata per fuggire, o peggio, l'avrebbero ammazzato.

Che cosa avrebbe fatto di quell'amore che aveva per lui?

 

"Parli come se non avessi niente da perdere…" e vide annegare nel cognac una lacrima.

 

André si voltò verso la finestra, poggiò la testa contro i vetri, e chiuse gli occhi per un momento.

 

"Ho già perso tutto."

 

La voce roca annullava la violenza di quelle parole che, da troppo tempo, componevano il quadro della sua vita. I  fili d'aria passavano dalle fessure, e creavano un suono simile ad un pianto silenzioso.

Si concentrò ad ascoltarlo senza accorgersi che Oscar era di fianco a lui.

Timidamente, gli sfiorò il dorso della mano con un dito. Teneva le ciglia basse, e poteva sentiva il calore che emanavano le sue guance, arrossate per l'emozione, e ascoltò il suo corpo scosso alla semplice vicinanza di lui.

André voltò appena la testa, le sorrise, e con un gesto lieve le tirò la ciocca bionda che si adagiava sulla spalla.

Lo faceva sempre quando la vedeva triste, e si divertiva ad arrotolare i capelli intorno al suo dito.

Lo stava facendo anche in quel momento.

Oscar reclinò la testa seguendo i suoi capelli, e, quando il palmo della mano di André fu vicino alle sue labbra, vi posò un bacio lieve.

Trattenne la mano con la sua, senza interrompere quelle piccole pressioni di labbra socchiuse, sul palmo aperto.

Sentì le sue dita sfiorale la nuca, avvertiva piccoli brividi caldi che poco per volta le toglievano le forze.

Aveva ancora gli occhi chiusi, quando sentì il suo viso premere contro il petto di lui, ascoltò i battiti del suo cuore impazzito, e le sue mani che si aprivano dietro la schiena per tenerlo più vicino.

Rimasero per un tempo infinito ad ascoltare i loro profumi, ad impararne le variazioni.

Sollevò il viso, vicino al suo, gli carezzò la guancia col dorso della mano e chiuse gli occhi, nell'attesa di sentire le sue labbra calde poggiarsi sulle proprie.

Le sfiorò piano, assaporandole lentamente. Sorrise schiudendo la bocca, stupita, e in un attimo si sentì sospesa nell'aria.

La baciò a lungo, durante lo scorrere di quei momenti non chiese altro, sentì che sarebbe rimasto prigioniero della sua bocca per sempre, e il desiderio struggente che aveva ossessionato ogni giorno della sua esistenza veniva pacificato dal sapore dolce di lei.

Poi, si portò la sua mano alle labbra, la baciò 

 

"Io… temevo d'averti persa…" le disse piano.

 

"Anch'io… credevo d'averti perso… per sempre…"

 

La frase le morì in gola, esitò a dirgli che lo amava, che non ce l'avrebbe fatta da sola ad affrontare il peso di quelle semplici parole, e strinse più forte la mano che lui non aveva lasciato nemmeno per un attimo.

 

"Ti amo… e non devi mai credere il contrario."

 

Affiorò sulle labbra un piccolo sorriso, beato, si sentiva calda e tranquilla.

 

"Ti amo… ogni volta che sei vicino a me… quando sei distante…" gli disse in punta di piedi, con la bocca accostata al suo orecchio.

 

Gli parlò piano, e sentiva la sua voce sussurrare parole sconosciute, ma senza incertezza.

Le teneva le braccia intorno alla vita e se la stringeva al petto. Le guardava la testa appoggiata sulla sua spalla, e, illuminata dal cono di luce della luna, appesa nelle tenebre, la sua espressione rilassata e felice.

L'idea che Oscar fosse lì, con lui, felice con lui, lo fece vacillare.

Pienamente sicura di sé, gli baciò le labbra.

 

"Vieni… sediamoci."

 

Lo prese per mano, conducendolo alla poltrona.

Lei sedette per terra, con la testa poggiata sulle sue ginocchia.

Si alternavano sensazioni diverse, tutte intense: in alcuni momenti si sentiva di poter gestire la situazione, poi le prendeva una sorta di pudore che la rendeva tenera ed indifesa, ed aveva bisogno di nascondersi il viso per continuare a parlargli.

 

"Sono pronta a tutto André… non escludermi dalla tua vita", mormorò con le ciglia basse ed il viso premuto sulle sue ginocchia.

 

La sollevò a sé, la cullò, e sentì il suo respiro scaldargli il collo.

 

"Oscar… solo per oggi, ti prego… dimmi solo che mi ami… voglio sentirti dire solo questo."

 

Gli mancò il coraggio di parlarle con tutta franchezza della sua situazione, e non sarebbe stato in grado di garantirle nient'altro che il suo amore. Sapeva che anche quello era diventato pericoloso, che, da un momento all'altro, avrebbero potuto sfondare la porta per arrestarlo: non si sarebbe mai perdonato di coinvolgerla in quella storia, e distruggere la sua vita, i suoi sentimenti. Era troppo tardi e lui non era stato in grado di controllarsi, aveva assecondato il suo cuore senza riflettere e se anche l'avesse fatto, era sicuro che non sarebbe cambiato nulla che l'avrebbe abbracciata e, come in quel momento, avrebbe desiderato solo sentirla sua.

 

"Ti amo…". Gli premette le labbra sul collo.

 

Le rispose con un altro bacio, profondo, pieno di desiderio che la fece rabbrividire.

Nemmeno lei aveva intenzione di parlare d'altro. Per la prima volta in vita sua conosceva il calore di un abbraccio, la sensazione di completezza che avvertiva respirando il suo odore, nella fusione della loro pelle, dei loro capelli e sentirsi parte di lui attraverso i brividi del suo corpo quando lo sfiorava, sicura nei gesti, perché le apparteneva ed era suo, André. Ora comprendeva il significato di possesso, nella sua espressione d'incredulità e gioia immensa appena gli diceva che lo amava, nel guardare i suoi occhi scintillanti pieni di commozione quando avvicinava le labbra alle sue, nel prendere e dare baci che parlavano di un amore troppo grande che, forse, non si poteva definire con le parole.

Piano, la vide addormentarsi con la testa abbandonata sulla sua spalla e le dita intrecciate alle sue.

La sollevò piano, senza svegliarla, l'adagiò sul letto.

Trattenne il respiro quando la liberò della giacca, gli sembrava ancora un sogno: lei avrebbe dormito nel suo letto, e sperò, in tutti gli attimi seguenti, che non si svegliasse fino al mattino. Almeno per un po’ avrebbe dovuto farsi coraggio e trattenersi dal bisogno che aveva di lei, convivere con la paura di vedere sfumare i suoi sogni e la sua vita in un soffio.

Tornò a sedersi alla poltrona ed attese che si spegnesse il fuoco.

 

Note:

1 - Questa scena prende spunto da uno dei ricordi più cari dell' infanzia, con mia sorella.

2 - Ispirata da "Cyrano" di F. Guccini.  

3 - La frase può suonare un po’ hippy ma io, come d'altra parte voi, continuerò a credere che nella bocca di un cannone si possano piantare fiori davvero carini. PACE ^-^

 

 

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

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