I just like you

part 2

 

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Valerie era seduta sulla panca, accanto alla finestra. Nell'aria si percepiva forte l'odore dell'incenso, asperso durante la funzione religiosa. La rassicurava, quell'effluvio, fissato sui suoi vestiti, lo scudo capace di proteggerla dal mondo esterno. Diverse volte padre Clavel aveva aperto la finestra per lasciar circolare aria fresca. Lei puntualmente andava a richiuderla trattenendo il respiro, e tornava a sedersi al solito posto, preparata ad affrontare le immagini del suo tormento che scorrevano lente ed immutabili. Era apparentemente tranquilla e ripeteva metodicamente lo stesso movimento, di nascondere le mani rovinate dai segni delle violenze tirando giù le maniche del vestito.

Sollevò appena la testa, quando riconobbe i passi di padre Clavel, ma vederlo in compagnia di un estraneo la terrorizzò e spinse forte la schiena verso l'angolo del muro, sperando di esserne inghiottita.

André rimase immobile sulla soglia della porta. Lo assalì l'incubo di non poter fronteggiare il dolore così forte che quella ragazza minuta aveva manifestato in un attimo.

Vinse l'esitazione, quando il prete l'invitò a sedere con loro.

"Valerie, ti presento André. E' un mio amico fidato. Lui può aiutarti."

La ragazza piantò i suoi occhi scuri in quelli di André. Scosse la testa in cenno di diniego, tirando sempre più giù le maniche del vestito. Fu penoso il silenzio che dominava la stanza, si ascoltava il dolore di ciascuno, rincrudito dai dubbi più diversi.

"Che cosa è successo al tuo occhio?" chiese ad André, con la testa abbandonata sul braccio.

Bastò a fargli passare la voglia di andarsene.

Pensò che se avesse raccontato del suo dolore l'avrebbe aiutata a non richiamare alla mente, per qualche momento, il proprio.

Alzò piano la testa, si era girata verso di lui per guardarlo meglio in faccia e vedere quale aspetto aveva, negli altri, il male.

Lo ascoltò, con un'espressione ferma. Di tanto in tanto posava gli occhi neri timorosi su di lui. Quegli occhi lo scrutavano a fondo: André avvertiva la loro serietà, quando accoglievano la sua angoscia.

Lentamente, Valerie sollevò le mani, mostrandole ad André.

"Il dottore, ha sostenuto che guariranno, anche se non saranno più come prima."

La sua voce fresca pronunciò quella frase, mettendosi alla pari con lui.

Gli raccontò la sua storia con fredda lucidità, come se tutto quello non fosse capitato a lei.

Non aveva parole per consolare una pena simile, sapeva bene che non ce ne sarebbero mai state, e in ogni caso non avrebbero potuto cancellare il ricordo. Nessuno più di lui poteva comprendere Valerie, il suo voler credere almeno per un'ora che la sua scelta era stata dettata dall'urgenza di poter aiutare qualcuno che amava disperatamente.

Entrambi non avevano calcolato i rischi, credendo che tutto sarebbe filato liscio e poi accantonato nel dimenticatoio dei gesti quotidiani. Era entrato in gioco il destino, quello crudele che chiede sacrifici più grandi di quelli che si possano sopportare e così, oltre che loro, avevano subito anche i destinatari dei loro gesti.

Valerie aveva perso la madre dopo l'arresto: non riusciva a perdonarsi di essere stata la causa della sua morte.

Quel dolore sovrastava quello della violenza subita. Affermò che sarebbe stato del tutto inutile punire i responsabili di quanto le era accaduto: sua madre non sarebbe tornata indietro.

Per quanto riguardava lei, ammise che avrebbe solo voluto dimenticare quella brutta storia, magari partire, andare lontano dal posto in cui aveva perso tutto.

"André, mi rendo conto che se facessi i loro nomi impedirei loro, forse, di fare del male ad altra gente: ma tu sai meglio di me che nessuno si scandalizza, se non le persone come noi. Chi potrebbe prendersi la briga di istruire un processo, per accusare nientemeno che i reali di Francia? So che i tuoi amici faranno giustizia da soli, macchiandosi le mani con il sangue marcio di quei demoni. Non cambierebbe nulla, ed io avrei sulla coscienza altri morti. Ti prego. Aiutami almeno tu a lenire questo dolore!"

André rimase impressionato dalla sua freddezza. Aveva confessato la disperazione tranquilla ed attendeva, con gli occhi  stanchi, la sua approvazione.

"Dammi solo un nome. Ti scongiuro, Valerie. Non possiamo permettere che questa gente rimanga impunita. Pensa a chi non riesce a sopravvivere, a tutti quelli che muoiono solo per un pezzo di pane, ai figli, le madri, i padri, che non li rivedranno più. Sulla tua coscienza non graveranno le loro morti, ma quelle degli innocenti che continuano a subire!"

Valerie lo fissò ancora negli occhi. Accennò un breve sorriso malinconico. Sollevandosi andò verso lo scrittoio. La vide chinarsi su un foglio e scrivere qualcosa, nella penombra della stanza.

Lo piegò in quattro e, prendendogli una mano tra le sue, glielo consegnò.

"E' tutto ciò che ricordo. Spero solo serva a qualcuno."

Abbassò per un attimo lo sguardo ma prontamente lo posò su di lei.

"Grazie Valerie. Sono sicuro che quando partirai il tuo cuore sarà più leggero che in questo momento."

Accennò un breve inchino e prima di chiudersi la porta alle spalle gli disse:

"Io sono sicura che un giorno anche il tuo cuore sarà più leggero: dipende solo da te."

Quando uscì dalla chiesa volle ancora analizzare i suoi sentimenti.

La frase di Valerie l'aveva colpito profondamente.

Ritornò col pensiero a ciò che aveva visto quella sera: Oscar, che cavalcava al fianco di Girodelle.

Non aveva avuto il tempo di pensarci così come avrebbe desiderato, tormentandosi col dubbio e confrontandosi con l'impotenza del suo amore.

Decise di passare dal palazzo, pur sapendo che avrebbe solo alimentato la sua angoscia.

Pioveva a dirotto. Spesso, nella sua vita, si ripetevano quegli scrosci di pioggia nei momenti in cui avrebbe desiderato tenerla con sé. Quando fu abbastanza vicino al palazzo, la vide salire in carrozza.

Dall'oscurità dove rimase, scorse nella luce fioca della lanterna ad olio il suo bel viso imbronciato, i magnifici occhi azzurri  intenti a controllare che la pioggia non avesse sporcato l'uniforme.

Si sentì morire lentamente.

 

La luce pallida che filtrava dalle tende si posò sul viso, strappandola all'incanto di un sogno meraviglioso, che l'aveva accompagnata per tutta la notte.

Erano di fronte ad una finestra da cui si vedevano i tetti delle case, illuminati dalla luce rossa del tramonto.

La teneva tra le braccia e lei si lasciava cullare dal ritmo del suo respiro, trattenuto.

Il suo corpo era caldo, stretta a lui ne avvertiva il vigore che la faceva sentire fragile, amata.

Lui la baciava teneramente, assaporando poco per volta le labbra che aderivano perfettamente alle sue…

Si alzò a sedere sul letto, fissando il vuoto.

Quel sogno aveva investito di luce le cose apparenti, senza però togliere la paura di affrontarle.

Richiamò alla memoria l'affetto che avevano nutrito l'uno e l'altra. Sincero, incondizionato.

Misto ai ricordi, il profumo rassicurante di André ed i gesti, conosciuti con la familiarità della sua presenza.

Le mancava da togliere il respiro

Tornando a casa quella sera, si augurò di trovarlo lì.

Al disinganno s'aggiunse un invito a corte: erano mesi che non vi metteva piede ma le faceva piacere rivedere la Regina.

Versailles l'aveva stordita con la sua magnificenza e con l'odore stantio della nobiltà, barricata dietro la consuetudine dei propri limiti mentali. Frequentando Parigi aveva guardato la disperazione della gente, colpita nel profondo dell'anima.

Riconosceva i piccoli conflitti complicati fino a diventare esasperanti e, poi, disperati.

Tuttavia non riuscì a provare disappunto per la Regina, sebbene continuasse a grandi passi ad allontanarsi dal popolo e dalla sua voce che urlava forte, da frantumare i timpani.

Oscar, a differenza di Maria Antonietta, poteva scegliere.

La scelta avrebbe comportato una responsabilità, un'azione, e si preparò alla conoscenza almeno parziale di quella volontà.

Erano giorni ormai che tentava di strapparsi di dosso la sensazione di nullità.

L'avvertiva prepotente appena tornava in quella casa, piena di formalismi ed ipocrisie.

L'angoscia di dover sopportare da sola il peso di quella realtà non l'aveva considerata prima di quei momenti inconsueti,  quando con folle lucidità aveva chiesto di farsene carico.

Si era sottoposta ad un'attenta analisi con se stessa senza inganni: alla luce delle sue scoperte, aveva scelto sempre lo stesso pensiero.

Aveva riposto nell'incertezza la sola scusa per continuare a trascorrere i giorni in maniera logica, e scambiato l'assenza di sentimenti per serenità.

Fatta eccezione per qualcuno, c'era chi continuava a trattarla con la solita indifferenza scostante che cominciava a bruciarle.

La solitudine non era mai stata un ostacolo e a volte la cercava di proposito.

Aveva imparato a fronteggiare la malinconia, la stessa che avvertiva guardando i tramonti prepotenti.

La stessa che le invadeva l'anima, nelle notti fredde in cui sentiva  braccia avanzare verso di lei, ad avvolgerla nel loro mantello gelido. Questo le imponeva di vederla legata al suo destino e si era convinta di affrontare la vita ponderata, lasciando da parte la felicità.

A più di trent'anni riusciva a trovare nell'anima il desiderio ardente dell'amore che non aveva mai smesso d'immaginare, dei piaceri ad esso legati, e l'amarezza di non aver saputo guardare oltre il suo dolore.

Aveva una paura tremenda di se stessa, della debolezza di cui si era scoperta capace, e non riusciva ancora a sconfiggere.

Si era trovata faccia a faccia col suo lato oscuro, giungendo lì a piccoli passi: poteva superarlo ma, opportunamente, cercava di spostare da sola il limite.

Era ripiombata nel vortice della paura.

Sentiva la violenza di quel sentimento approfittarsi di lei.

Sapeva per certo che se, avesse dato ascolto all'altra metà di se stessa, si sarebbe impossessata di André.

L' idea di appropriazione era spaventosa: personalmente, non avrebbe permesso a nessuno di poter agire in quel modo, ma sentiva d'avere, nei suoi confronti, una necessità assoluta che avrebbe finito col togliere l'impeto distruttivo al suo sentimento.

Sapere di volere amare le consegnò l'emozione che non aveva mai sperato di provare.

Scopriva, nel suo intimo luminoso, parole e pensieri capaci di rasserenarla, donando a quel particolare momento della propria vita un senso di sospensione e d'attesa.

Si sentì allontanare dal tempo in cui tutto sembrava inutile. Guardò la sua stanza, dove aveva sempre cercato di dare un significato alla propria vita, quando lottava con se stessa per non cadere nelle trappole della mente, per non tornare indietro da dove era riuscita a scappare. Parigi le mancava nonostante non vi fosse mai vissuta, sentiva di farne parte: la città delle contraddizioni, piena delle voci di gente che cantava la ballata del progresso, i suoi colori caldi che attraversavano il cuore e lo rendevano calmo e costante. Era malinconica a Parigi, avvertiva un senso di vuoto che la tirava con forza sul selciato della strada: e immobile, con le gambe pietrificate, sentiva avanzare il desiderio impellente di proseguire nel cammino.

Oscar aveva ascoltato il suo cuore battere per lui, quando credeva di non averne più, nemmeno per vivere: in quella città, aveva aggiunto tempo al suo tempo.

 

 

Mail to mariassunta.paolillo@virgilio.it

 

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