Lezioni proibite - Rose II

VI

Warning!!!

 

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Ho iniziato questo racconto il 7 gennaio 2015, ispirato da due miei disegni e dal mio testo “Rose”. Da anni avevo l’idea delle lezioni di ballo impartite da André ad Oscar, innestata sulle tematiche di “Rose”, in cui, però, i protagonisti erano poco più che ventenni; poi all’improvviso, arrivò la scena finale scritta sugli appunti del cellulare. Mentre scrivevo già da un po’, si innestarono nella storia considerazioni nate dagli scambi con Sara, per la sua “Essere una donna”.

 

6

Dopo le notti – Piccolo finale

 

La notizia si sparse.

“Mi dispiace”, le disse Girodel. “So che non c’è niente di vero. So che è tutta una scusa…”

Ma, a parte lui, nessun altro si fece vivo. Oscar, era sola.

Per fortuna, a suo padre la notizia era pervenuta in tempi non sospetti e nella forma corretta. Era lontano, quando la rilettura giunse come una tempesta. Eppure, quella remota pensata di fare di Oscar una donna e ottenere un nipote maschio, continuava a sembrargli una buona idea.

 

Sola.

In fondo lo era sempre stata. In fondo, le bastava che André restasse con lei. Lui la protesse. Le rimase accanto. La tenne abbracciata, a lungo, nella stanza, quasi al buio, quella sera. E le altre. Era con lei ogni attimo. Purtroppo era con lei, anche la notte che, dopo lunghi appostamenti, riuscirono a incastrare il ladro. E fu lui che prese in viso la lama, il taglio netto che lo piegò in due. Che gli distrusse l’occhio. Gli ferì il braccio.

Furono giorni bui, di dolore, rammarico, sensi di colpa.

Oscar gli rimase accanto tutto il tempo.

Lui, in fondo, quasi si faceva bastare di averla accanto così.

Allungava la mano, nel buio, a cercarla. Era commovente. E lei, girandosi per non fargli sentire le lacrime. La prendeva tra le sue.

 

Il trasferimento divenne operativo. Il danno, duplice, irreparabile, era fatto. A lei e a lui.

 

Quando, dopo l’incidente, per la prima volta rifece l’amore con lui, fu strano.

Era preoccupata per lui. Temeva fosse troppo debole.

Era accanto ad André, disteso, nel letto.

Erano rimasti a dirsi poche parole. Lei lo carezzava. Era così bello. Sciupato.

Lo aveva baciato, rendendosi conto di volerlo, gli occhi scintillanti. Lo desiderava da impazzire. Si sentiva un’egoista. Lui era ferito, era lì, per colpa sua. Aveva perso un occhio. Eppure, accanto a lui, improvvisamente lo voleva.

 

Si era girato verso di lei. Era pallido. Ma le aveva riservato un gesto tutto loro che lei aveva creduto di capire.

Così, aveva bandito i dubbi. Chiuso la porta.

Sollevando le lenzuola, si era stesa accanto a lui, sinuosa. Era bastato questo. Le sue braccia l’avevano avvolta.

L’aveva baciato e lui l’aveva ricambiata, piano, con lentezza. Indugiando. A tratti incerto, come non sapendo fare quasi più.

Ma lei si era resa conto che lo desiderava, subito. Le era mancato troppo a lungo.

Faticando a trattenersi, gliel’aveva preso in mano, con un impeto forse eccessivo per i suoi abituali tempi lunghi, in cui le piaceva che lui indugiasse sul suo corpo, parte per parte.

Sorpreso da quell’irruenza, l’aveva lasciata fare. Fu quella determinazione, ad eccitarlo, prima ancora che i gesti febbrili, imperiosi.

Era bello.

Era strano. Era come una accresciuta intimità, tra loro. Un grado maggiore di legame.

Era compiaciuto, eccitato che lei lo desiderasse, con quelle ferite. Con quell’ardore.

Come prima…

Gli pareva di impazzire, mentre lei gli guidava le mani ad eccitarla.

Sovrastandolo, l’aveva fatto crescere, nelle mani, tra le labbra. Poi, si era messa su di lui, duro, agognato, quasi subito, febbrilmente, prendendolo in sé, desiderandolo senza nascondersi nei tempi lunghi, mentre lui le percorreva il corpo, le cercava i seni con le dita, le labbra, alla cieca. Lei ne aveva bisogno, muovendosi su di lui prima maldestra, poi, sempre più esperta, avvolgendolo, chiedendolo, scorrendolo, in carezze implacabili, quasi con furia, rabbia. A riprendersi qualcosa che era suo. Ancestralmente.

Era venuta su di lui, facendolo impazzire, chiedendogli di aspettare. Ed era rimasta con lui dentro, ancora, a rinnovare altro piacere, muovendoglisi attorno, avvolgendolo, carezzandolo, a desiderarlo ancora, inarcata, i capelli sparsi, incredibile, mentre lui, compiaciuto, la ammirava, cercando di resistere, i peggio pensieri nella mente per non venire subito. “Aspetta”, le aveva chiesto, posandole una mano sul ventre, una pressione leggera, calda, seducente. “Voglio sentirti mentre ti sono dentro… Aspetta, per favore…” Lei era impazzita.

Solo dopo, saziata, dopo che, ancora, lui era scivolato carezzevole, intenso, lungo il ventre di lei, fino a schiuderla, sapiente, e raccoglierne di nuovo il piacere, languido, bramato, si era occupata di lui, mentre ancora lo desiderava dentro, come non potesse bastare il tempo che avevano perduto, gli anni.

 

Lentamente, André si riprendeva. Avevano duellato, quella mattina, entrambi liberi in attesa del nuovo incarico, finché il desiderio non li aveva vinti, e sfiorarsi, battersi, guardarsi, incitarsi, nella complicità dell’amore, non era bastato più. Né rifugiarsi vicino al laghetto, sotto l’albero, e con le mani sfiorarsi, lasciare che lui le posasse le labbra sulla pelle dolce, le cercasse i capezzoli, che sbocciavano turgidi al tocco delle sue dita.

Era diventato bravo. L’aveva fatta venire, assaporandole con sapienza i seni. Serrandoli a lungo. Paziente. Lingua. Dita. Morsi. Le labbra attorno. In ogni punto. E lei impazziva e si inarcava e lo faceva eccitare quanto le diventassero duri e come lo chiedeva.

Dopo, la cosa che preferiva, intravvedendole appena l’ombelico tra i lacci e la stoffa candida, scoprirla poco per volta, giocarci, lentamente, poi più intensamente, al punto da farla venire, sorprendentemente, inaspettatamente, di nuovo, mentre lei si premeva André contro, e chiedeva di più, ancora, voleva le sue labbra calde, la sua lingua guizzare lì, lì lì al centro del suo ventre, le contrazioni trascinanti che le procuravano un orgasmo assurdo, inatteso.

 

Quel pomeriggio, nudi, tra le lenzuola, assaporavano ancora l’uno la pelle dell’altra. Oscar impazziva al contatto con lui. Anche se quelle bende, ogni volta, le causavano una stretta al cuore. Lo accarezzava, lo guardava, accorata, allora lui capiva, le prendeva la mano, accostandosela al viso, poi la abbracciava. Continuava a tenerla stretta forte, rassicurante, poi, lentamente, il respiro cambiava, la cercava tra i capelli, orecchio, scendendo lungo il collo. Lui sapeva come portarla via dai pensieri. Aiutava anche lui.

Era stato meraviglioso. Erano stesi insieme, quel pomeriggio, lei, lasciva, il biancore del godimento ancora sulle labbra di lui, che le circondava il ventre con un braccio, mentre lei fremeva per averlo dentro, quando le annunciarono una visita.

 

Entrò, disturbata, stranita, nella stanza dove lui l’attendeva, dopo essersi fatto annunciare. Non capiva cosa volesse. Rivederlo le costava imbarazzo. Non era stato così con Girodel. Che, subito, si era scusato per essersi lasciato troppo andare: “Eravate troppo bella… e io troppo sorpreso”, le aveva sorriso, galante, un po’ triste.

“Stavo pensando di chiedervi in moglie”, aveva aggiunto, meditabondo.

Lei gli aveva sbarrato addosso gli occhi: “Non lo fate. Davvero, se tenete a me, non lo fate…”

 

 

Si alzò, mondano, Hans.

“Oscar, come state?”

Lei tergiversò.

Era pallida di rabbia. E, doveva ammetterlo, non aveva ancora metabolizzato la botta di André, né il fatto di essere stata strappata a un momento intimo.

“Non vi ho più visto a corte…”

Lei serrò le dita attorno al bicchiere.

“Avrete saputo che la regina… ha… chiesto…”

“Ah, certo”, sorrise lui, un cenno noncurante. Un vero maschio. Per lui le conseguenze non ci sarebbero state. La regina aveva messo alla prova l’amante, magari la cosa aveva anche portato un po’ di pepe nella liaison, tra loro la pace era scoccata dopo la lieve bufera. Ma le donne, si sa… è sempre colpa delle donne. E vanno punite.

“E così, siete stata trasferita….”

“Lo ricorderete: l’ho chiesto io…” puntualizzò lei.

“Ma i sovrani riscrivono la storia”, obiettò lui.

“No, quelli sono i despoti”.

Seguì un lungo silenzio, carico di imbarazzo.

Che fu lui a rompere.

“Ho sentito la vostra mancanza…” buttò lì, come soppesando parole di una certa gravità a cui non si vuole riconoscere peso. “Non l’avrei pensato…” Si rese conto della gaffe. “No, no, non parlavo di voi come amico… come donna”, alzò il bicchiere in un brindisi verso di lei.

Che aggrottò le sopracciglia. Quel discorso non le andava, e non in quel momento.

“Scusatemi, Hans, sono stanca, è un brutto momento…”

Si alzò di scatto, lui, e la prese per i polsi.

“Vi ho disturbata? Stavate scopandovelo?”

“Come vi permettete?”, contrapponendoglisi.

“Oscar… io mi sono reso conto che mi piacete…” La guardava negli occhi.

Lei cercò di divincolarsi. “Bene, e poi?”

“Poi cosa?”

“Siete violento. Mi avete colpito. Mi avreste stuprata!”

“Ma voi ci stavate!”

“Solo fino ad un certo punto. Non oltre. Mai” lo sfidò. “E non voglio finire in una tresca… non… non sono io… non mi interessa… voi, voi avete le vostre storie, siete libero, va bene così, ma io non voglio una storia con uno come voi…”

“Uno come me”, ripeté lui, sorpreso, ferito. Non era abituato ad essere svilito. “L’altra sera, però, non vi dispiaceva…”

Avvampò. “Non era niente di importante. Stavate solo corteggiandomi. L’avete detto voi stesso.” Era vero, e lo ricordava bene. Bello, galante. E poi un po’ assatanato dietro le quinte. Poi, rude. Irrispettoso. Violento.

Invece, ora la teneva per le braccia, e tentava di baciarla.

E lei non voleva. Non voleva più.

Indietreggiando, rovesciò il tavolino.

Un rumore di vetri.

André camminò lentamente, aiutandosi con le mani in avanti.

Fersen la stava baciando.

La teneva serrata contro di sé.

Fu questo che vide.

Volò uno schiaffo. Un rumore che fendette l’aria.

“Non provateci mai più!” Gli gridò lei, allontanandolo.

“Eppure, l’altra sera vi piaceva…” ribadì, la soddisfazione perfida di poterlo dire di fronte al bifolco indegno che era comparso nella penombra.

“Vi ripeto”, disse lei, severa, “mi avreste violentata. Mi avete picchiato. Forzato.”

“Siete sicura di non volerne ancora?”

André serrò i pugni.

Fece un passo avanti.

Oscar gli sbarrò gli occhi di fronte. “È finita”, pensò.

André si mise davanti a Oscar. Tra lei e Fersen.

“Certo che è sicura, conte. Ne ha abbastanza”.

Fersen lo osservava, sorpreso dalla volgarità del doppio senso osato in sua presenza da quel verme. Lo sguardo scorreva, indagatore, sul viso ferito, sul braccio. Su quel pallore, che non ricordava. Sulle bende. Era così diverso.

Forse… forse era per quello che…

Oscar non voleva sentire più niente. Non voleva vedere più niente. Corse via, lontano.

Fersen fece per seguirla.

André lo fermò con un gesto. “Lasciatela stare…”

“Già… non è cosa per me, vuoi dire?”

Chinò la testa, André. No. Non è questo. È ferita… pensava. Ma era inutile parlare.

Poi, ci ripensò. Già, era proprio inutile. Fu giusto un attimo. E volò un pugno, diretto, fortissimo. Al viso. Che buttò lo svedese contro la poltrona, in un fracasso allarmante.

André lo rialzò, rapido, e gliene assestò un altro paio nello stomaco. Poi, trascinandolo in mezzo ai mobili rovesciati, tenendolo per un braccio, lo buttò fuori di casa.

“Non fatevi vedere mai più! Tornate a corte, conte.” Gli disse, sovrastandolo, prima di girare le spalle. Lì sta la gente come voi… improvvisamente gli tornò in mente Oscar ragazzina. Una visione nitida. Di una presenza e di un realismo indicibili, che lo commosse. “Non metto piede in un posto simile!” Quanti ricordi… e chissà cosa sarebbe stato, di loro due, se a corte Oscar non ci fosse mai andata… decisamente, il laudano che gli avevano dato per il dolore, doveva averlo scombussolato.

 

In un altro momento, si sarebbe domandato se fosse meglio lasciarla sola. Non ora. Era incazzato. Stava male per lei, ma stava male anche lui. Che cosa doveva pensare? Che quello stronzo era arrivato a mettersi tra loro due, rovinandoli, guastando la purezza e l’unicità che c’erano state tra loro? O doveva accettare che Fersen ci aveva accanitamente provato, in modo doloso, cattivo, e ora l’unica era buttarselo alle spalle? Scegliere di salvarsi, passando oltre?

Non sapeva neanche se voleva sapere, ma voleva vederla. Toccarla. Averla vicino. Riappropriarsene. Anche se era ferito dalle parole che aveva sentito, che, comunque, Fersen aveva detto e ripetuto apposta, era evidente. Le intenzioni dello svedese erano chiare fin dall’inizio. Era inutile incazzarsi di nuovo per questo. Era un uomo scorretto e privo di onore. Che aveva cercato di farsi Oscar, prima tentando, poi probabilmente mettendole le mani addosso. Eppure, sapeva che doveva affrontare lei, provava l’impulso di ricostituire subito la frattura, di colmare quella ferita che le parole maligne di Fersen gli avevano scavato dentro.

L’aveva vista rientrare, quella notte. La mattina dopo, alla luce, aveva visto dei lividi sul viso.

Era chiaro che era successo qualcosa.

Come era chiaro che lei non avesse voglia di parlarne.

Gli era andato bene finora. Tra loro le cose erano cambiate, poi aveva avuto altro per la testa, tra l’attacco della regina e l’incidente. Ma ora?

Ora si sentiva come se tutto fosse stato scombussolato, rovesciato. Il gioco non aveva più le stesse regole.

Non le aveva da un po’. Forse, davvero, lui aveva dato troppo.

 

La trovò che piangeva, contro la porta delle scuderie.

Le mise una mano sulla spalla. “Vieni.”

Quel tocco, sembrò tranquillizzarla.

“L’ho mandato via.”

 

Entrarono in camera di lei. Il silenzio aveva gravato ad ogni passo, tra loro, scavando dolore e dubbi.

 

“Cos’è successo, quella sera… Mi avevi detto di non aver fatto l’amore con nessuno… ed era vero… ma cos’è successo in realtà? Di cosa parlava, lui? Tu, a cosa ti riferivi?”

Lei guardava lontano.

Non riusciva a parlarne.

A dirgli quanto fosse stata leggera. Anche se, in fondo… lui chissà quante volte…

“Non è successo niente. Niente.”

Alzò le sopracciglia.

“Niente di importante…”

Visto che lei continuava a tacere, parlò lui. “Niente di così importante da trascinare qui Fersen a baciarti e toccarti… niente di così importante da farti allontanare da corte.”

La provocazione andò a segno.

“Avevo già chiesto il trasferimento, e tu lo sapevi! La comunicazione era arrivata la mattina del ballo! Quella della regina è stata una cattiveria! Ha approfittato della mia domanda! E, quanto al resto, lo sai: ha creato una situazione, Fersen ha forzato la mano, avevi ragione tu… ci sono andata di mezzo io! Sono stata stupida, tutto qui.”

“Che intendi che ha forzato la mano? Oscar, ora basta! Ci ha provato? Ha cercato di violentarti? Di cosa parlavi? Tu avevi dei lividi, ti ha colpito?”

“Sì! È successo…” sbottò.

“Successo cosa, Cristo santo?”

“Ha cercato di fare sesso con me. Ha insistito. Io non ho voluto, mi ha picchiato… alla fine ha lasciato perdere… dopo, ho visto che ci provava con un’altra, così, in serie… diceva che voleva prendermi a te… sembrava eccitato nel pensare a te…”

“Ma cazzo…” la guardava, incredulo. “Quel pervertito… E non mi dicevi niente?”

“Che dovevo dirti? Io non mi ero resa conto, l’ho capito dopo…. Io non lo sapevo… pensavo, insomma, pensavo di poterlo arginare…”

Lui la guardava, scandalizzato.

A lei venne da ridere di fronte a quella espressione così puritana, ma si trattenne.

“Arginare cosa?”

“Il fatto che ci provasse…”

“E ci sei riuscita?”

Allargò le mani in un gesto di ovvietà. “Io non pensavo che fosse così…”

Lui prese un respiro. “Così cosa?”

“Che ai balli ci provano con le donne… io non lo sapevo, non l’ho mai saputo… mi dispiace… mi dispiace…”

“Oscar…” la scrutò serio, spazientito. “A quanti balli siamo andati, insieme?”

“Beh…”

“E cosa hai visto succedere?”

“Niente, ci siamo annoiati e fatti compagnia chiacchierando.”

“Appunto.”

“Ma lui…”

“Lui?” La incalzò. “Perché non l’hai allontanato?”

“Mi aveva detto che molte a corte ti vengono dietro! Che ti scrivono! Che ti si offrono!” Dopo una pausa. “È vero? Lo fanno?”

“Non ci posso credere…”

“È vero? Rispondimi!”

“Ma santo Iddio, se anche fosse, mi hai mai visto dare seguito a iniziative simili? Ti sembro il tipo? Io… io l’ho fatto solo con te”, confessò.

“Ma io non lo sapevo”, si giustificò lei. “Cosa potevo saperne?” Poi: “Ma cosa ti scrivono? Cosa fanno?”

“Oscar, lascia perdere, dipende solo dal fatto che sei tu l’oggetto delle curiosità e io il tuo attendente… scrivevano anche a te all’inizio, ricordi?”

“Già… ma io quella sera ero gelosa… lui insisteva e io…”

Poi, in fiamme, aveva aggiunto che era qualcosa che l’aveva fatta star male, così, aveva pensato di vendicarsi. Giusto un pochino.

“Quanto un pochino?” La guardava, tra il disperato e il comico.

“Niente di grave o irreparabile.”

“Di questo me ne sono accorto la mattina dopo….” Ammise. “Ma il resto?”

“Solo…” Abbassò gli occhi, poi tornò a fissarli nei suoi: “Non lo immagini?”

“Bene.” Pausa di riflessione.” Solo quello? O c’’è dell’altro che devo sapere?” Si informò.

“No, anche Girodel… niente di preoccupante…” Beh, quello era successo prima, ma era meglio soprassedere.

“Pure Girodel…”

“…”

“E lui perché?”

“Diceva che mi trovava bella…”

“Anche io te l’ho detto parecchie volte, ma non mi sembra che, a parte da qualche tempo a questa parte, ci siamo mai dati al sesso sfrenato.”

“Non accusarmi: non era sesso sfrenato”, puntualizzò lei.

“Questo mi pare chiaro”.

“È evidente”, rintuzzò lei. “Io, l’ho fatto con te, e basta. E tu lo sai.”

“Va bene: quindi ora io devo ripassarmi un paio di donne, fammi capire?” La provocò.

“Non osare farlo!” Allarmata, ferita.

“Non lo faccio. Non sono il tipo. Pensavo non lo fossi neanche tu, sinceramente.” Poi, di fronte all’espressione addolorata, avvilita di lei, si pentì di aver parlato. “Scusami.”

Il tempo gravava lì, tra loro. E il fantasma di Fersen, indubbiamente.

André fece qualche passo verso la finestra, passandosi una mano tra i capelli. “Dico, ma ti rendi conto che è anche così poco igienico!” Scuotendo la testa.

A questo lei non seppe che rispondere. In fondo, aveva ragione.

 

“Bene. Chiariamo una cosa.”

Dopo un lungo momento di silenzio, in cui lui cercò di ricomporre pensieri e incazzatura, esordì con voce trattenuta: “Oscar, se io, dopo averti detto che sono innamorato di te, se io, una volta che mi fossi considerato impegnato, fossi andato in giro a trombare in ogni occasione in cui tu non eri con me, tu che avresti detto?”

“Ma io non l’ho fatto! E ancora non eravamo impegnati!”

“E se io andassi in giro a fare sesso orale con delle donne, non ti dispiacerebbe?”

“Provaci!” Eruppe lei.

“Appunto.”

“Ora, quei due disgraziati ti trovano molto bella, e io questo lo capisco. Me ne sono accorto parecchio prima di loro, tra l’altro.” Le fece notare.

Lei arrossì.

“Si dà il caso, peraltro, che io ti abbia detto che ero innamorato di te.” Lei si fece di brace.

“È vero”, proseguì lui, “che tu non mi hai dato una risposta ben chiara, a parole, intendo. Ma, da come ti comportavi, pensavo che tu…”

Inaspettatamente, lei gli prese la mano. “È vero”, lo interruppe. “È così.” Sentiva il bisogno di rassicurarlo. Di non vederlo allontanarsi. Non lui.

“E allora perché ci sei stata? Che diavolo ti è saltato in mente? Cosa volevi dimostrare?”

“Che tu eri innamorato di me per ragioni obiettive, non per amicizia! Che io potevo davvero piacere a qualcuno!”

Si alzò in piedi, indispettito. Stanco. Ma sei scema?

“Da qualcuno che non mi avesse conosciuto da sempre… come te…” si affrettò ad aggiungere, trattenendolo per la mano.

“Ora basta… basta, davvero… sono stanco…”

“Per favore!”, lo implorò! “Come pensi che mi sia sentita, tutta la vita? Io non ero sicura di niente… con te mi sentivo una donna normale, ma con gli altri? Quando mi hai detto che ti piacevo, quasi pensavo che fosse solo perché tu mi volevi bene! Perché eri abituato a me… a vedermi come una donna: per te non era strano!”

“Oscar, ma come diavolo ragioni?” Lui non lo avrebbe definito ragionare, quel modo contorto. “Io non mi innamorerei mai di una donna a cui non volessi anche bene! Io ti desidero, e tantissimo, ma ti desidero perché ti amo! E… ti amo perché ti voglio anche bene…” Fece una pausa… “È così complicato?”

Lei lo guardava… e pensava solo Non andartene… non andare via… non lasciarmi…

“Ma sembra che questo per te sia così strano…”

“No, no! Ma che dici? No!”

“E allora?”

Parla, cristo!

 

E ora lo guardava. Con quel taglio non ancora guarito.

Sentì una rabbia montare, che non fu capace di reprimere.

Senza quasi rendersene conto, volò uno schiaffo. Incosciente. Egoista. Un altro, più colpevole. Rendendosi conto di fargli male, sui tagli. Forse, erano anche quelli che aveva risparmiato a Fersen. Tutto quello che aveva compresso, a causa sua, e che ora erompeva.

Quando erano ragazzini, lui l’avrebbe colpita di rimando. Negli anni, poi, l’aveva coperta nelle risse. Ora, non sapeva cosa fare. Era impallidito. La guardava. Cercando di trattenersi.

Le prese le mani, serio, come rattristato da quel gesto rude. Inutile. Quasi cattivo.

“Lasciami, così mi fai male”, la sentì dire.

Furono attimi infiniti. La guardava, imperscrutabile.

Infine, scosse la testa. “Piantala di picchiarmi…” Mentre la serrava. “Non siamo più ragazzini.” Le teneva i polsi fermi. “Abbiamo trent’anni…”

Alzò lo sguardo su di lui, sorpresa, come se fosse stato lui a colpirla, invece.

“Non ho voglia di litigare con te.” Ammise lui.

Continuava a serrarle i polsi. Avrebbe voluto baciarla, invece, e non avrebbe saputo dire da quanto infinito, inutile, sprecato tempo si tratteneva.

Così, semplicemente, lo fece.

Senza darle più retta.

Senza più imporsi di aspettare.

“Io ti amo…” le ripeté.

“Una rosa… è una rosa che nasca bianca o rossa… non sarà mai un lillà…”

Lei lo guardò, sorpresa. Colpita.

“Oscar è Oscar… e io ti amo…” Con le lacrime tra le ciglia, gli occhi brillavano. La voce quasi triste. Dolce. Malinconica. La malinconia di una intera vita.

 

Allora, riuscì a parlare anche lei.

“Anche io… anche io ti amo…”

Allora, la strinse forte a sé, come a nasconderla. Come a proteggerla da tutto. Anche da se stessa.

 

Laura, da gennaio 2015 a dicembre 2015, revisione estate 2016, inverno 2017, pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2017

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

 

Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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