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Kitchen Corner

parte 13

Warning!!!

 

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Aveva ragione de André. E l’amore ha l’amore come solo argomento, e il tumulto del cielo ha sbagliato momento.

Si risveglia la vita che si prende per mano a battaglia finita,

come fa questo amore che per l’ansia di perdersi ha avuto in un giorno la certezza di aversi.

Così fu quell’amore dal mancato finale, così splendido e vero da potervi ingannare.

Questo – ovviamente lui non poteva saperlo – erano loro.

Come, forse, molti. O, forse, sono solo due persone comuni.

Certo che è difficile. Trovarsi. Imparare a conoscersi, ammettendo pregi e difetti. Trovare le proprie appartenenze. Imparare una casa. Quando c’è. I propri luoghi. Imparare a svaccarsi sul divano (sempre che non sia irrimediabilmente scomodo), come i gatti sanno fare. Guardarsi vivere, dall’esterno, aiuterebbe.

Quel pomeriggio, la luce ha una sfumatura particolare, e quasi la stanza splende. Riverberandosi sulle lenzuola, sui cuscini. Perfino sul vecchio plaid a quadri. Ha di lei una nostalgia incolmabile. Si è reso conto che ha, in quei troppi mesi, continuato a fare quello che aveva fatto anche lei, mettere le stesse lenzuola, non toccare i libri impilati per terra. Spostandoli, per pulire, poi risistemandoli lì, piccola stele votiva. Si è seduto dove dormiva lei. Ha allungato il braccio. Sul pavimento, sfiorato le pagine, l’abat-jour.

Non si è steso, non ha cercato di affondare il viso nel cuscino, sa che non troverebbe nessuna traccia, nessun odore. Dopo tutto quel tempo. Ma rimane lì, e piange.

Era il tramonto. Sfocato. Vivido. Perduto nell’orizzonte.

Lei era in giardino. Non era sola. Si batteva con Hans.

Lo odiò.

La ferita gli faceva ancora male. Aveva problemi all’altro occhio. Eppure, trovò un attimo di se stesso per odiarlo.

Seduto contro il muro, le braccia a cingere le gambe, sentiva tutta l’impotenza e l’assurdità della sua situazione. Avrebbe voluto fuggire. Ricominciare, da capo, lontano da tutto e tutti. Pure da lei, a volte, avrebbe voluto.

Però, quando si soffermava a pensarci per più di un istante, sentiva tutta l’assurdità di quell’idea. E non sapeva dirsi se fosse più maledetto quel pensiero, strisciante, o tutta la situazione in cui doveva vivere.

Mise a fuoco le proprie dita che si chiudevano sul polso. Poche ore prima, sulla sua pelle c’era quella di lei, che, scherzando, gli aveva preso la mano, quella mattina, e gli era sembrata bellissima, lieve, per una volta serena.

 

Dopo un tempo incommensurabile, da Amazon.com ordina un mixer. Gesto che, talvolta, ha segnato l’inizio della riscossa. Tanto, il convertitore l’ha già. O è il caso di comprarne un altro? Shopping terapeutico? Il cibo e gli oggetti come forma di compensazione affettiva? E che vogliamo dire, dei gatti?

Finisce di rivedere una comparsa, controlla l’agenda.

Apre la posta elettronica per scriverle “Ti amo”. Ma non manda niente. Ovviamente.

Chiama Al, il suo salvatore, la deviazione dal percorso del dolore. Stasera, ricetta speciale! È la parola in codice per grido d’aiuto, stasera butterebbe male, vieni a salvarmi.

 

Il quale raccoglie il grido mentre è sprofondato in poltrona, immerso nella lettura di un Topolino d’annata, e se la sta spassando tra scimmie porporine ed ovotteri. Grandi tempi del fumetto, quelli! Si stira, indolente. Sentendosi addosso una stanchezza o, forse, più un peso. Perché tutto avrebbe pensato, di sé, meno che di finire in un buco arredato con vecchi mobili Carlo Erba e nuovi Ikea. Di non ritrovarsi più. Di essersi smarrito in un punto imprecisato, che, ormai, fatica anche a ricordare. Se fosse stata la separazione. Se fosse stato lasciarsi incuriosire da lei e pure poi sposarla, più probabilmente. Arrenderlesi, conformandosi, ricercando uno standard di cui non gli era mai importato e che, pure, aveva pesato. Lei, splendida e accattivante. Ruvida, intelligente e sensibile. Con un difetto, però, più evidente degli altri. L’imperare. Essere una parte nei di lei progetti, vietato svicolare. Il margine per infilarsi nella sfera sbagliata era ampio, e lei tollerava, ma il punto di vista dell’altro era difficile lo assumesse. Non che non lo vedesse. Semplicemente, sceglieva, pasceva, cresceva, se eri lì, bene, se non c’eri tollerava, dopo un po’, fuori. Dopo tanti anni e due figlie e una casa e, in fondo, non poca vita. Non è che non ci fosse pietà, è solo che c’era prima lei. Semplicemente.

La quale lei gli ha lasciato un perentorio messaggio sulla necessità di condividere non la decisione di non sa bene quale optional dentistico, ma il prezzo. E che manderà le ragazzine a ritirare l’obolo. Bastone e carota. Vedere pargole, cedere moneta. Non capisce. Ma cosa pensa, la fulgida, che lui si prostituisca per reperire tutta la pecunia numerata necessaria o desiderata? Certo, è uno che piace, se ne accorge. Ma finisce lì. Di femmine imperanti ne ha avuto abbastanza. Meglio non pensarci. Meglio darsi una lavata poi salire ai piani alti e dolorosi. Come se il dolore alberghi meglio o peggio a seconda. Quella è solo l’umidità o il troppo caldo. A scelta.

Con un asciugamano ritrova nel doppio dello specchio la sua immagine. I capelli grondano. Si avvolge nell’accappatoio, poi, crolla di traverso sul letto. Breve volo. Tonfo. Si lascia respirare, mentre avverte il materasso contro di sé. A volte è stanco. A volte non ha neanche più voglia di sesso. Non è che propriamente non ne abbia voglia, ma semplicemente, non gli va. L’istinto di infilarlo da qualche parte, civilizzato con preliminari e mascherato dalla morale della famiglia, e quello, sociabile, a non restare solo e isolato da compagna e branco, gli sono costati troppo e non è più così convinto, alla prova dei fatti e del tempo, che siano da praticare. Non sempre, perlomeno. Ha perso il brivido dei vent’anni, quando ogni giorno ne avresti voglia e non puoi, passa per anni voraci, infine si carica di ricordi di umilianti sedute – o dovrebbe chiamarle copule – ingravidatorie, con lei che momenti te ne fa passare il desiderio, perché pare un’Erinni in preda all’ansia fecondatoria, nervosa, efficiente, la vita fatta di step, e tu glielo devi mettere dentro quando lo dice lei, e, francamente, ti imbarazza un po’ e non sei poi manco davvero sicuro che davvero vuoi riprodurti con una che non ti pare più quella che hai conosciuto, ma una manager che gestisce il tuo uccello e i di lui risultati; solo che lei ti coinvolge ancora, come sesso e nel lavoro, e continuerà a farlo per quello straccio di anni utili a fare di te quasi un altro, qualcosa di diverso da quello che hai sempre sentito di essere. E a fartici credere. Quindi, entri, letteralmente, nel gorgo e depositi il seme, quanto ne vuole lei, appagata, soddisfatta per il breve tempo riservato a quel traguardo, e, poi, avanti verso il prossimo, mentre tendi a sentirti un po’ l’uomo bello e cazzone nel privato, arpionato da una donna fin troppo intelligente, che lo manipola e gestisce come crede. A volerla vedere cinica, potrebbe essere resa così. Sarà che lui è rimasto un disilluso. Sarà che la parentesi con la fulgida si è chiusa con qualche strascico. Che di quanto fosse innamorato non resta se non rabbia e amarezza. Che abbia dovuto lasciarle la loro attività, col proprio avviamento nullificato, e rimanere con quattro clienti sfigati. E pensare che l’aveva assunta lui… Che ha sempre pensato che Andre era stato fortunato o forse saggio, e lui sfigato, perché, se ci pensa, la distante e assente lui l’aveva sempre apprezzata. Con moderazione, però. E, a proposito di però, a volte, pensa abbiano fatto un grosso errore. Lui, di sicuro.

Ed è profondamente triste ripensare a quanto erano innamorati. A tutte le cose che, sempre, avevano fatto insieme, condiviso, senza allontanarsi mai, convinti, felici. A come tutto questo, ora, quasi lo imbarazzi, quasi a rinnegarlo, ma più che altro incredulo per come sia arrivato, lo abbia a lungo travolto, reso aderente ad un’idea, poi, finito. Di brutto. Irrimediabilmente.

Quando si ha la percezione che le cose non vanno più. La sensazione, stralunata, che qualcosa finisca. I difetti su cui si è riso insieme diventano scogli, generano rabbia, frustrazione, ripicche, liti. Senza quasi passare per la noia di tanti rapporti, si giunge alla guerra. O, neanche, all’armistizio.

Il giorno in cui trovi la roba imballata, le chiavi dello studio cambiate, alla fine, prendi atto che è chiusa. Il resto, è una formalità umiliante e fatiscente in mano a gente che vorrebbe avere l’arroganza di comprendere e disporre e, per bene che vada, ce l’ha di asseverare quanto due estranei hanno concordato per due ex, evitando loro, a pagamento, di scannarsi. La cosa positiva è che il tutto è talmente avvilente, che ti allontana dal disastro immediato dei pacchi imballati. Della tua (ex) stanza, casa, studio, compagna.

Riemerge dal letto. Incrocia lo specchio. Si guarda di sfuggita, nudo. Si conserva ancora bene. Mentre si china a raccattare i jeans, una fitta, impietosa, gli grippa la schiena. Azz!

 

Indolente, sale le scale, le mani in tasca. Uno dei gatti gli zompetta accanto, scortandolo, strusciante. Suona, poi, contro lo stipite della porta, nella sua posa tipica (appena miracolato dal plaster applicato in fretta), si guarda intorno e annusa la felice speranza gastronomica (almeno quella!) che si diffonde dell’aria.

Queste son soddisfazioni!!! Andre è contento, mentre Al si stira, appagato come un gatto.

“Cazzo, cazzo, cazzassimo, cazzo! Andre! Questa roba è fantastica!!! Dobbiamo aprirlo, un b&b, non lo so, un agriturismo… non lo so, ma è una cosa spettacolare!!!”

Potenza della solitudine, chiosa silenzioso Andre, autore di uno strepitoso pane che ha accompagnato una marmellata fatta in casa a chiusura del pasto…

Poi “Vieni, andiamo fuori…”, alzandosi, e prendendo un paio di bicchieri e un po’ di whisky.

 

Anche Andre è stanco. In quella sera silenziosa, e loro due soli, in compagnia dei gatti e del bere. Mentre la città, là davanti, invecchia indolente e impavida, fagocitando occasioni, speranze, slanci. Odiosa. Merdosa. Bella.

 

Improvvisamente, dopo anni in cui ha tenuto, finto, resistito, si sente stanco. Di una stanchezza abissale. Quella che ti piomba sulle spalle, a tradimento, il sabato mattina, e non c’è verso.

“Parto”, le ha scritto. Le scrive di rado, per non disturbare, per non imporsi, per lasciare libera. E proprio questo fa sì che le sue comunicazioni siano più gravi.

André non è mai partito, si sorprende, neanche poi tanto, a pensare, lei.

E lui parte. Mi abbandona.

Ma che cazzo abbandona, poi, si dice, e le viene da piangere. Sono andava via io. Ep. 29, Normandia… che tocca fare a noi poveri fan…

Dove vai? Soffoca l’impulso di chiedergli. Maledetto amore, che ci rovini romanticamente la vita. Vaffanculo!

O era maledetta Lady Oscar?

 

Il whisky ambrato profuma nel bicchiere. L’alcool scalda, in quel dopo cena da scapoli. Apriremo un b&b con ristorantino, scapperemo via dai nostri dolori. Non so più neanche se siano dolori. Ma devono esserlo, giacché, senza, stavamo meglio ed eravamo pure contenti. Noi due sapevamo accontentarci. Neanche ne avevamo bisogno, ma sapevamo farlo. Eravamo saggi. E adesso siamo soli. Non dico due relitti, ma bisognosi di un’aggiustatina sì. Sorride. Diventerò obeso a forza di ricordarti cucinando quello che ti piace, pensa. Farò ingrassare pure Al, non troverà mai più nessuna che se lo prenda e finiremo soli, vecchi, mangiati dai gatti.

Questo, rimugina, mentre lei, distante, raggiunge le soup bowl sullo scaffale, ne sceglie una che le piace, le altre, parca, le riporterà ai due, a lui, soprattutto, che apprezza e tenta di clonare, mentre l’altro ammira. È  rientrata, e, mentre fa la doccia, la zuppa di miso scalderà. E, poi, stasera, ha un ospite.

A volte, quando guarda gli oggetti che ha attorno, pensa che ha ricreato una loro piccola casa. Lui non lo sa. Non sa quasi niente di come vive. Se venisse qui a trovarla, lei stessa sarebbe in imbarazzo, perché questo mondo è solo tutto suo. Lo sguardo le corre lungo il risicatissimo piano di lavoro. Sorride. Il rice cooker, con l’alimentatore, e qualche altro oggetto. Sono poche le cose che ha e che porterà indietro…

 

Ad un certo punto, ti rendi conto che i ricordi non sono solo ancora da creare, tutti davanti, ma che, guardando indietro, ne avete insieme tanti. Fa male per quella sensazione di tempo ormai passato. Che ci è appartenuto. Di quelle notti, lontanissime, affiorava da qualche tempo, improvvisa, quasi a tradimento, l’immagine nera di un mare mosso, di lui accanto – un calore, una presenza – e, subito, nota, con la distanza degli anni, presenza diversa, vivida, allora, calda, vibrante –, e quella luminescenza verde, nell’acqua. Una notte al molo. Il cielo immenso. Le mani, le dita intrecciate. La sensazione di avere una vita davanti, e poterla davvero vivere. Una malinconia latina, struggente. L’orizzonte, buio, e lui vicino. E un altro mare, anni prima, ancora, e loro due.

Si domanda se ricorderà, tra anni, anche questa sera, in cui ha invitato un compagno di danza, conosciuto da qualche tempo nella palestra. Era lì, lei, che provava i giri e, da sola, si correggeva: sali subito, subito le spalle allo specchio, non lasciare il braccio indietro, chiudi subito l’altro braccio, sposta subito la punta, ricorda il ritmo, la testa, subito la testa, ma niente, niente, la bestia non si lasciava sconfiggere e dagli a pensare che è tutto nella tua mente, ce la puoi fare, non ce la fai e basta. Quando ha sentito, bello chiaro, “Push.”

Eh?

“Just push.”

Si è girata.

E che è, Peter Pan?

Il ragazzo sembrava, ed era, l’incarnazione dello stereotipo del ballerino creativo. Era vero. Carinissimo. Simpatico. Sembrava scattata una simpatia immediata, lui, forse, incuriosito dalla vecchia babbiona, Giovane, mostruosamente giovane – tenendo presente che una over 32, educata dagli Oscar-principi, tende a considerare ragazzetto (quelli che Oscar definiva “uomini più giovani”) e dunque escludere dalla considerazione qualunque essere di sesso maschile abbia da tre anni in sotto meno di lei (toyboy a parte, ma quella è un’altra storia) –. Gay e felice di esistere. Incoscientemente generoso del suo talento, non ancora toccato dall’invidia o, forse, consapevole dell’abisso tra la propria bravura e lei, lì, povera crista depressa e ferocemente desiderosa di migliorare. E così le fa la sbarra davanti e lei nota quanto sia ben definito. E pensa che vorrebbe essere così pure lei. E avere quella gioia. E leggerezza. E quella bravura, infilare quattro giri, sarebbe come il cuoco Tanino, in Montalbano, e lei ci spera, a volte, anzi, spesso, di svegliarsi una mattina e trovarsi miracolata, che i giri riescono bene, tutti, tanti, infiniti. E, magari, anche la vita funziona, arriva un lavoro retribuito in patria, i rompicoglioni spariscono e… ma questo è allargarsi troppo e il genio non le farebbe mai tre miracoli, anzi, quattro. Giri compresi. Cioè tre li fa, con la lampada, ma quella, appunto, è veramente un’altra storia.

E, così, una serata diversa, in compagnia, il piacere di chiacchierare, mangiare insieme, la soddisfazione di sentirsi apprezzati e di coccolare qualcuno per il gusto di farlo trovare a proprio agio. Non è una formula difficile. Ma non sempre si ha la cavia giusta a disposizione.

Stasera, lei è serena. Chiacchiera, ride. Ride anche lui. E le ore passano e, quando, sulle scale, lo guarda andare via e girarsi per salutarla, l’effetto serenità dura ancora.

 

Se uno si chiede “Sai dov’è” e “Dove pensi che sia”, scrive Hornby, non sta chiedendo la stessa cosa. In fondo, la seconda è una domanda poetica.

Lui sa dove sia lei. Dove viva. Ma non sa altro di come, in realtà, viva. Non sa, lei, anche se lo sospetta, che stasera lui ha cenato con Al. E lui non saprà del ballerino a cena anche lui. Sa com’è e come era. E certe cose può immaginarle. Altre sono forse troppo distanti. È lo stesso mondo, d’accordo, ma non è la stessa vita… sono cose diverse.

Ormai. Sono distanti. Come perduti. Il suo spazio, ora lei lo ha.

 

In un momento di totale annebbiamento sentimentale, ormai incapace di reggere i picchi e le martellate emotive di un’assenza calma e devastante, volendo annichilirsi in qualcosa che lo distraesse completamente, ha aperto un blog. Di cucina. In pressoché totale incognito, complice solo Al, che essendo bravo, oltre fare l’assaggiatore altrimenti detto cavia (ma ormai sperimentato in ciò), fa gran belle foto.

In cambio della promessa di cucinare, un giorno, per il futuro b&b.

Ovviamente, tutto amatoriale. Quando si tratta di passioni, è chiaro. Non è un lavoro. Ma ci terrebbe a fare qualcosa di carino. Ricette a parte. Lì, modestia a parte, se la cava, nel noto segmento “disperati abbandonati a se stessi ma creativi”, cioè i single (anche teorici) di ritorno. O di temporanea andata.

 

Laura, marzo-ottobre 2012 pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

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