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Christine

Parte XXVII

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

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The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
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Nota: L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.

Sebbene delle mie storie sia stata sempre la più piana, quella di cui avevo in mente lo svolgimento da subito, una svolta, maturata durante l’autunno del 2005, mi ha portato a cambiare un po’ il plot, rendendolo più disturbing. Tra l’altro, dato che BK, che mi richiedeva più energie, evolveva verso la fine, ho potuto tornare a lavorare su questo racconto, di cui, negli anni, avevo messo insieme parecchi appunti.

Questa nuova versione della prima parte contiene solo aggiustamenti cronologici in vista del seguito.

Il copyright dei personaggi appartiene a R. Ikeda – TMS-K.

Il copyright dei personaggi di Christine e Daniel, così come la loro rappresentazione, appartiene all’autrice. Le rappresentazioni di essi si trovano nelle immagini della vecchia versione del I episodio.

 

“Non sparate!” Ordina Oscar, mentre corre a sorreggerlo. “Inseguiteli!” a Girodel e agli altri, che sono arrivati.

Lui, ferito, spaesato, tenta di articolare "Oscar, ti amo...", ma non sente la propria voce, mentre tutto si fa buio.

Mentre lui perde il tatto. L’udito.

Voci concitate, rumori.

Non sente più niente. Quasi non sente dolore.

“Oscar…”

“Sì, sono qui…” inginocchiata accanto a lui, le loro mani intrecciate sulla ferita, mentre lei cerca di comprimerla.

“Ti faccio male…” Le domande assurde della paura. Di parole che non si sanno dire.

“Ti… amo…”

“Lo so”, tra le lacrime. “Stai tranquillo, ti prego…”

Cerca di raggiungerla in una carezza. Conta lei sola, in quel momento finale.

Un’impronta di sangue caldo sul viso. Vorrebbe sentire la sua pelle. Le labbra. Imprimerle nel tempo. Portarle con sé. Come se, così, lei potesse non abbandonarlo mai. Ma il mai non esiste, se non come negazione. È terribile l’odore del sangue. Quel calore asfissiante. Ma lei quasi non lo sente. Eppure, ha gli abiti zuppi, quasi quanto lui.

“Che cosa succede… non sento più niente…” è il vuoto. E lei è tutto. Solo. Tutto.

Sembrano senza senso, quei pensieri, lucidissimi, che corrono nella sua mente. Lei. L’amore. Non vuole più perderla. Mai più. Non vuole morire. Vuole tornare da lei. Poi, anche i pensieri tacciono.

è tutto a posto…”

 

Ora il dolore è atroce. Quasi lo spacca. Aumenta ad ogni movimento. E altri lo spostano, ancora sofferenze, ma forse è perché cercano di salvarlo. Un impeto irrazionale di fiducia nel prossimo… Forse vorrebbe solo dimenticare tutto, lasciarsi andare.

Se lei, la rossa, gli tendesse una mano, forse, ora, la stringerebbe. Piano. Le dita fredde attorno a quelle di lei. Forse le direbbe che Daniel sta bene, ma rimarrà solo un’altra volta – e si sente come sconfitto –. E, anche se c’è Oscar, a cui lei l’ha affidato, lui non ha fatto in tempo a dirglielo. E Daniel resterà solo. E anche Oscar… Oscar…

Si sente male. E riesce anche nell’epica impresa, viste le sue condizioni, di sentirsi un verme per l’ennesima volta. A non raggiungerla, la rossa, piena d’amore e di fiducia, ma forse lei l’avrebbe compreso. Era una ragazza forte. E lui avrebbe scelto Oscar lo stesso. Anche se lei non c’è più. Non c’è più niente, solo il vuoto di una coscienza che lentamente – o all’improvviso – cessa di essere. Non c’è la rossa. Non ci sarà lui.

Si fa schifo, perché gli anni forse attenuano i rimorsi. Ma non cancellano il dolore causato. E si resta in piedi a ricordare per chi non c’è più e non soffre più.

E lui neanche in piedi. Non sente più niente, del suo corpo. Solo il pensiero.

Cerca di resistere… cerca di non mollare!

Sono le dita di lei, in quella stretta salda, attorno alle sue?

Vivi, ti prego, vivi…[1]

 

Il battito d’ali s’inquadra nei telai vuoti dei ruderi. Finestre deserte. Nude. Ombre senza neppure ricordi. E passa lo stormo di rondini.[2]

La barella da campo viene adagiata. Lo sollevano, piano, la cortina di uomini che protegge dagli sguardi. Mentre Oscar gli tiene premuto un panno sulla ferita. Le mani sporche del suo sangue. Ma le mani di lui non sono più allacciate alle sue. Sono ricadute, inerti.

“André”, lo richiama, la voce spezzata di terrore. “André!!!”

 

Si rende conto soltanto dopo che non ha risposto alle sue parole. Che non gli ha detto che anche lei lo ama.

 

Resta lì, devastata, con quell’ulteriore peso addosso.

Le gambe paralizzate dal dolore.

Se vive, glielo dirò, si promette.

Se vive, glielo dico…

Se.

 

Ogni movimento costa un’agonia.

Le dita magre si contraggono sulla ruvida coperta militare.

Una carezza. Un contatto lieve.

È come se l’avessero squartato e, dopo, costruito da capo, accostando i pezzi in modo innaturale. Carne, ossa, muscoli, che, nel ritrovarsi insieme, fanno male. Non si adattano più tra loro. Il dolore della ferita, poi, quasi peggiore, quello dell’intervento. Sentire Oscar sbraitare col chirurgo e lo speziale, perché gli dessero qualcosa per farlo dormire e non farlo stare così male. Il culo di sopravvivere anche alle infezioni. E vincere alla lotteria il premio di altri giorni di fitte terribili. Il primo che mi dice che sono fortunato…

“Certo che sei fortunato, coglione…” una voce che incombe, nota. Il sarcastico riccioluto demodé Monsieur Girodel, quello che non è neppure riuscito a farsi sbattere dalla somma Oscar, nel focoso periodo alternativo, gli viene da pensare. Ma sono pensieri cattivi, in fondo lui si sbatteva la propria legittima consorte… è inutile fare i retrogradi se si è combinato un casino come quello. Avanti, Grandier, non fare lo stronzo.

“Non è che lo fai… lo sei…”

Cazzo, pensavo di stare pensando…

“Credo che i calmanti ti abbiano un po’ rintronato, giovane Grandier…” Se la ride, il malefico. “Ne hai dette di interessanti, se vuoi saperlo…”

Oh, cazzo, voglio svenire…

 

“Girodel…”

“Comandante…”

Si è sorpresa di trovarlo lì, in territorio per così dire nemico, appoggiato allo stipite, accanto al rivale – steso –.

“Potete rientrare con gli uomini. Io…” esita: vorrebbe dire noi “resto qui, finché…”

Un gesto con la mano curata. Chissà perché, considera lei, non ricorda come ha le mani, ma il concerto di pizzi e broccati. “Certo”, come a dire non importa, lascia andare.

In fondo, lui è un signore. Oscar, invece, non può permetterselo. Quando si vive così, il garbo è un lusso e bisogna difendersi. Combattere. Battaglie interiori. Personali. Di coppia. Farsi valere. Convincere chi ci è attorno che non si è di scarso valore solo perché si ha un padre potente e si segue il percorso da lui tracciato. Chi non deve fare i conti con questo, o con la miseria, rimugina, può permettersi di essere un signore. Beato lui.

 

Eppure, riflette, ora, seduta accanto a lui, con la paura di muovere troppo quel letto improvvisato e farlo soffrire, lei è fortunata. Lui è vivo. Poteva essere morto – rabbrividisce – e invece è lì. Vorrebbe prendergli la mano, ma non osa. Scruta pensosa la linea del profilo. La barba di qualche giorno.

Riscoprendosi innamorata. Di un amore diverso, più maturo – ammesso che un sentimento possa maturare in qualche giorno e non sia, invece, che matura nel tempo ma solo di quando in quando ce ne rendiamo conto –. Si accorge di provare ancora una fitta al cuore, quando lo vede, ma, ora, è come avvolta dal tempo, da cumuli di sensazioni, ricordi. Come il peso del quotidiano. Ma senza che ciò offuschi il sentimento. Semmai, lo rende più completo.

L’amore, può rendere deboli, considera. Si pensa usualmente che conferisca forza, ma amare troppo – e dove stia questo limite resta da capire –, può costituire un problema. Si diventa disposti a rinunciare a tutto, o quello che era usuale diventa un sacrificio. E si soffre molto di più…

Quanto le piacerebbe saper prendere la vita con leggerezza. Eppure, non ha mai imparato. Era così da piccola, e alla sua età non si cambia certo.

 

Lo ha seguito, con lo sguardo, timido, mentre si sorprendeva di quel tramonto infuocato, là fuori. Lui abbandonato pesantemente sui cuscini. E c’era tutto un mondo, ignoto, e tutte le cose che non avrebbero mai fatto, né conosciuto. E le altre, a cui avrebbero rinunciato.

Ha pensato che lui quel tramonto immenso non l’avrebbe visto.

E si è sentita morire.

 

E, ancora, che era fortunata.

 

Se si è felici, con una persona, allora, perché interrogarsi ancora? Se, di fronte all’idea di perderla – non il generico concetto di perdita, di allontanamento, di desuetudine – di un legame, di una situazione –, ma qualcosa di totale e radicale –, si potrebbe morire, allora, non è ancora chiaro?[3]

 

Resta lì, in quei giorni come un limbo, a vegliarlo, combattuta, fino a rendersi conto che non ha più senso farsi condizionare dal passato. Quel “Ti amo” è, davvero, come se fosse il primo.

Come se si possa davvero ricominciare.

 

“Voglio sposarti”. È la prima cosa che le dice. Sicuro. Diretto.

Come se non potesse più attendere, dopo quella ferita. Come se gli avesse aperto un’altra vita, davanti, per ricomporre gli errori di prima.

Non sa che rispondere, Oscar. La paura provata è tanta. E non vuole perderlo. Non di nuovo. Mai più. Comprende anche come si debba sentire lui. Il suo bisogno, ora, soprattutto, di legarla più forte a sé. Ma non riesce a non sorridere, al pensiero di quanta fiducia debba avere lui nell’istituto del matrimonio, da praticarlo così spesso.

“Va bene”, gli dice, “ma stavolta niente addio al celibato…”

La guarda perplesso.

“O, meglio, niente addio senza di me… non si sa mai cosa possa combinare tu, in queste feste…” ed è, quello, l’unico accenno al prima.

 

Poi, nella notte scura, piano gli dice “Voglio che tu sia solo mio. Promettimelo… che starai solo con me…”

Potrebbe rabbrividire, al tono, dispotico, accorato, di lei. O pensare ad un ultimatum. Invece, si sente felice. Di poter, finalmente, essere soltanto suo.

Come se, da tutta la vita, non avesse voluto altro.

Nonostante tutto.[4]

 

Sente quasi il dolore di ogni movimento. Oggi, l’hanno fatto sedere sul letto. E ogni minimo gesto era uno strappo doloroso.

Lo osserva muoversi, e ha paura che il vento lo porti via. Non si è accorta di come deperisse, giorno dopo giorno. Lo nota ora, che è fuori pericolo e la mente osa riprendere ad interrogarsi su questioni diverse dalla sua salvezza. [5]

 

Che compleanno assurdo, commenta, poi, André, chiosando sull’avventura. Mentre, con un rinnovato senso di conquista, serra la mano di Oscar tra le pieghe del mantello, nella carrozza che li riporta a casa.

E Oscar, divertita, annota che si sente un po’ un piccolo possesso personale. Ma quando lui le si addormenta contro, si accorge, in una fitta di pena, di quanto sia più leggero. E odia quel lavoro infame.

 

Una promessa è quasi un debito. La cerca, nella notte limpida, l’aria complice.

“Vieni…” la trascina, i passi ancora incerti, davanti al camino.

Lei lo guarda incuriosita.

“Dobbiamo festeggiare… non ricordi?” le tiene la mano.

“Ma domani…”

“Domani…” ha l’aria lontana, malinconica, felice, non saprebbe dirlo. “Che importa… voglio festeggiare ora, con te…”

 

L’alba rosata li trova abbracciati, nel giorno del loro matrimonio.[6]

Laura, primavera 2006-primavera 2007, revisione settembre-ottobre 2012, pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2013

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

 

[1] Capoverso aggiunto l’11-11-06.

[2] Appunto da sms che diceva “Il battito d’ali s’inquadra nei telai delle finestre. Nudi. E passa lo stormo di rondini.”

[3] Brano aggiunto l’11-11-06.

[4] Brano aggiunto l’11-11-06.

[5] Brano aggiunto l’11-11-06.

[6] Appunto da sms del 10-5-2006.

 

 

Continua

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