Christine
Parte XXVI
Warning!!!
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Nota: L'idea l'ho avuta a Macerata, un pomeriggio del maggio 2000, mentre, camminando lungo le mura, andavo a fare spesa. Ho immaginato subito la I scena. Poi, subito di seguito, una successiva. Un pomeriggio, a luglio, ho cominciato a trascriverle e a lavorarci, come è mio solito, per intervalla insaniae.
Sebbene delle mie storie sia stata sempre la più piana, quella di cui avevo in mente lo svolgimento da subito, una svolta, maturata durante l’autunno del 2005, mi ha portato a cambiare un po’ il plot, rendendolo più disturbing. Tra l’altro, dato che BK, che mi richiedeva più energie, evolveva verso la fine, ho potuto tornare a lavorare su questo racconto, di cui, negli anni, avevo messo insieme parecchi appunti.
Questa nuova versione della prima parte contiene solo aggiustamenti cronologici in vista del seguito.
Il copyright dei personaggi appartiene a R. Ikeda – TMS-K.
Il copyright dei personaggi di Christine e Daniel, così come la loro rappresentazione, appartiene all’autrice. Le rappresentazioni di essi si trovano nelle immagini della vecchia versione del I episodio.
Il pacchetto Grandier tutto compreso. Scuote la testa, Oscar, rientrando nella casa semi-abbandonata. Il quartier generale del pargolo è palazzo Jarjayes, indubitabilmente, per la gioia dei suoi, della governante, per comodità di André, per tante ragioni. Casa sua è rimasta quasi intonsa. Oltre che deserta. Anche perché, le volte che Daniel vi ha avuto libero accesso, ha talmente apprezzato, interessato a mettere le mani su ogni oggetto, colore, punto, entusiasta, festante, fin troppo, che, dopo, pareva passato un tornado. E bisognava ripristinare lo status quo. Grattare via da pavimenti e pareti. Lavare. Bonificare. Decolorare. Addio solitarie serate tranquille a leggere davanti al camino. Ne sente davvero la mancanza? Forse sì. Perché negarlo?
Sente la mancanza di casa sua. Di un posto tutto per sé. Per André, al massimo. Sente la mancanza di una vita a due che avrebbe voluto e, così, non ha potuto avere. L’ha avuta, prima. Quando loro due non erano insieme. Quando, però, erano ancora una coppia. E poi è andata come è andata. Casa e coppia. Le due cose non sono al momento compatibili e, quando pensa così, si scopre come sdoppiata, cinica, in parte, realista, arresa al destino cinico e baro, in altra parte. Non avrebbe voluto tornare nella casa di famiglia, ma non c’è scelta. Cerca di non rientrarci. Di ritagliarsi spazi in casa sua. Di portare lì André nei momenti solo loro, ma è sempre più difficile, i momenti solo loro sono ormai al lavoro, in mezzo a tutti gli altri, o quando si spostano, mattina e sera.
Neanche i tempi aiutano.
La regina cerca tranquillità al Trianon e le cose escono dall’ordinario. Una pazza piena di fantasie deliranti, squinternata e truffatrice, squilibrata e affetta da blaterante disorganizzata loquela in caccia di pubblico e notorietà, ne ha approfittato per intessere un inganno tanto incredibile da essere andato in porto. La pazza è sorella di Rosalie, per inciso. Ha millantanto una posizione che non aveva mai avuto, amicizie addirittura con lei e con la Regina (!!!), ha circonvenuto Rohan, perfino tentato di corrompere lei attraverso soldi, visto che non riusciva a raggiungerla tramite il marito, subalterno di Oscar e complice della moglie. Siccome sia la Regina sia Oscar se ne sono fregate, ignare della devastante demenza della signora, nel frattempo la delirante si è circondata di codazzo di creduloni osannanti, li ha turlupinati, indi, denunciata e catturata, ha perfino tentato di ingiuriare la Regina e pure Oscar, accusandole di essere lesbiche e amanti, al processo che è seguito alla denuncia della truffa. Di diffamarle nelle varie pubblicazioni scandalistiche successive, abbondantemente latrando, dal suo pulpito ben nascosto. Oscar vorrebbe solo farsi la sua vita. Che è sufficientemente complessa e piena, da dover gestire pure la cretina di turno. Cretina che, peraltro, nella situazione attuale, fa gioco a molti, che vogliano sfruttarla e strumentalizzarla.
Da qualche tempo, appunto, circolano le sue memorie. “C’è andata giù duro”, ha commentato André. “La bellissima androgina… una donna che veste come un uomo…”
“Una donna che lavora… tutto qui…” ha chiosato lei. Perché butti i soldi in queste cose?
“Informazione…” le risponde, chiudendo il volume. “Farebbe parte del mio lavoro…”
A qualcuno, però, non fa più comodo averla tra i piedi. Ora che ha latrato quel che doveva.
È arrivata una soffiata.
Stavolta sembra credibile.
Si inginocchia per accoglierlo in un abbraccio caldo. “Vieni qui”, e Daniel vola tra le sue braccia.
Non ha nessuna voglia di partire, stavolta. È come se si sentisse qualcosa di stonato. Un pericolo annidato in un angolo inspiegabile del cuore. E la paura, totalmente irrazionale, come se quelli possano essere gli ultimi gesti, gli ultimi istanti, con Daniel.
È una missione strana, sono coinvolti loro malgrado, e c’è aria di fronda, di regolamento di conti. Oscar non ha usato la lettera di Jeanne che Rosalie le ha fatto avere, ma qualcun altro ha saputo o sa dov’è nascosta. E, così, mandano anche loro. Che non c’entrano. In quei complotti. Coinvolti loro malgrado in spostamenti stancanti, in ricerche estenuanti. Giorni e giorni all’inseguimento di tracce, inspiegabilmente sorte dal nulla e altrettanto irragionevolmente accreditate, che poi si rivelano inutili. Senza mai rientrare a casa.
Mentre lui vorrebbe solo starsene tranquillo a godersi Daniel, che sta crescendo velocemente, senza che quasi lui se ne renda conto, e scorrazza tutto il giorno, parla, inventa, gioca, disegna, chiede una sorellina[1] o un fratello, va bene uguale – e sorride all’imbarazzo di Oscar di fronte a quelle uscite, anche perché proprio il bambino si è rivelato il miglior mezzo contraccettivo, tra loro –, e hanno solo la sera, e non sempre, per stare insieme, che poi te lo ritrovi ormai adulto, e ti sei perso la parte più bella. Non che non sia sempre una sorpresa, confrontarsi, scoprire che ha pensieri suoi, diversi dai tuoi. I suoi gusti precisi. Mentre scopri che neanche ti lascia cenare, perché vuole coinvolgerti nei suoi sogni e quel tempo, che a chiunque altro sembrerebbe perso, a te è parso prezioso e ne conserverai – giuri! – il ricordo per la vita, e a mezzanotte passata, dopo aver passato la sera a cercare di convincerlo a mangiare sette cucchiai di minestra, contati, distraendolo, davanti alla finestra, improvvisando scenette che lo distraggano, e non immagini che buona forchetta diventerà da grande, scendi felpato nelle cucine, a radunare qualcosa che somigli ad un pasto da campo, per te e per lei, che non si esime, davvero, santa donna, nonostante abbia le sue idee e a volte ti ritrovi a pensare che non abbia torto. Mentre ti rendi conto che lui ti contesta e fa i capricci. E quelli che a te paiono capricci sono le sue istanze. Perché non è una propaggine di te, ma un essere totalmente a parte. E la cosa ha il suo fascino, e puoi scoprire che ha ragione lui e tu torto. Come se la ragione ed il torto fossero importanti nella vita. E con tuo figlio.
Gli manca, suo figlio.
Gli manca, addormentarsi, sfinito, mentre gli racconta le favole. Quelle che ricorda, poche, per la verità, quelle che religiosamente legge per non trovarsi impreparato, e l’epica, quella che gli spaccia spudoratamente per favola, e che non lo è o forse sì. Gli manca giocare con lui, che lo sfinisce di corse e idee e parole.
“Mi porti un regalo?”
Domanda, ora, la compensazione della solitudine, tra le braccia di Oscar. Non tra le sue. Vendetta, annota.
“E tu fai il bravissimo?” Lo solleva tra le braccia. È diventato così pesante, ora.
“No!” E scuote la testa con forza, mentre i riccioli castani la sfiorano, e si sorprende di quanto siano morbidi. Privilegi dell’età.
A volte pensa a quanto somigli anche a Christine, il bambino. A volte no. Somiglia moltissimo anche ad André, in fondo. È stupefacente come tanto di loro si sia mescolato e abbia creato qualcosa di unico ma somigliante e come le somiglianze cambino, nel tempo. Sa che alla fine non conta nella quantificazione del suo affetto per lui. E nell’affetto pieno di rancore e rimpianto e sofferenza che, nel ricordo, ancora prova per lei. Non c’è stato niente che potesse cancellare il dolore, che è ancora tutto lì, anche se appena sfumato. E nessuna ipocrisia. Nessuna riscrittura salvifica del passato. Sono tutti lì, coi loro errori. Con la loro dannazione. Che sembra aver condannato una di loro. Lei, Oscar, non è meno colpevole degli altri due. Eppure, è viva. E vuole vivere. A tutti i costi.
Ci vuole indulgenza per scampare al passato.
Ha voluto, preteso, un altro bacio. E ancora.
Ad André si è stretto il cuore. Mentre suo figlio li guarda con occhi d’accusa e di tristezza. Soprattutto lui.
Mentre considera quanto spesso gli tocchi lasciarlo solo. Sa, razionalmente, che non è solo. Che è in ottime mani. Ma è l’assenza di lui, e anche di Oscar, quella che conta. Quella che, dallo sguardo di condanna senza appello, gli fa pesare come non mai queste missioni senza senso.
Si apre un altro mondo quando loro due se ne vanno. E Daniel annega l’abisso di essere stato lasciato solo nell’affetto delle nonne. Una piccola vendetta. Un piccolo modo di colmare i vuoti. Carezze, giochi, biscotti, fuori orario pazzeschi…
Di loro due, invece, condanna e ricorda le assenze, ricorda e i momenti passati insieme. La paura di quando non ci sono e sente che potrebbe succedere loro qualcosa, e immagini che via via si fanno meno precise, e l’appagamento, dei momenti che gli dedicano.
Se solo immaginassero come si sente… la paura che prova, ogni volta che vanno via, quello che lui a loro non dice mai, le sue richieste, piene di ansia “Sono arrivati?”, “Quando tornano?”, che sottintendono, tutte, la stessa domanda muta, se stiano bene, se saranno ancora lì, con lui. Daniel è circondato da tanto amore. Lo sa. E lo pratica con entusiasmo, ricambiandolo. È un bambino affettuoso, allegro. Ma, a volte, sente una solitudine immane opprimerlo.
La notte è fredda, a Saverne. E umida.
Oscar rabbrividisce nel mantello, nonostante la stagione. Ha dato gli ultimi ordini, sono appostati, mentre lei passa accanto ad André e fa in modo di sfiorarlo, per fargli sentire la sua presenza.
Cerca velocemente le dita di lei, un intreccio fugace, troppo veloce. Sente la stoffa. Ha paura. Non si sente tranquillo. La tenuta è scarsamente illuminata, ma il sopralluogo ha svelato tracce di ruote, zoccoli di cavalli, forniture usate. È effettivamente probabile che i due siano lì.
La notte prima, nell’ennesimo albergo lungo il percorso, si sono addormentati sfiniti. Lui le cingeva la vita. Lei, abbandonata, senza neanche spogliarsi. Lui ha lasciato nel bagaglio le lettere che, notte dopo notte, sta scrivendo a Daniel. Per sentirsi meno solo. Per ricordare e raccontargli. Quando tornerà, gliene farà un resoconto e Daniel magari sarà contento. O forse gli farà scontare l’assenza. Scrivere, quando hai la schiena a pezzi, e gli occhi si chiudono, e hai fame, diventa una priorità meno necessaria. Anche pensare di fare sesso, diventa qualcosa di distante. Vuoi dormire. Il più a lungo possibile.
Oscar fa un cenno. “Vado io”.
Nessuno deve seguirla.
André aspetta, cercando di restare calmo. Ha freddo. I guanti, il mantello non bastano in quell’umidità. È così buio e hanno dovuto spegnere le torce. Istintivamente si avvicina, è trascorso troppo tempo.
Victor lo ferma “Dove pensi di andare?”
“È dentro da troppo…”
“Non conosce la strada, è normale…” ma è preoccupato anche lui, mentre cerca di capire qualcosa dalle finestre illuminate.
Non gli basta. “Mi avvicino all’ingresso.”
“No”, sussurrato, con stizza.
“Copritemi, se occorre.” Lo guarda. “Voi e altri quattro”.
“Aspetta…” e avvisa gli altri soldati.
Dentro, Oscar percorre i corridoi. È relativamente facile trovarli, quando arriva nel salotto in cui Jeanne beve, spiritata e stranita.
“Devo pregarvi di seguirmi” dice a bassa voce. Si guarda attorno.
“Ah, la puttana della Regina!” grida con enfasi.
“Dov’è vostro marito?”
Un sorriso cattivo. Di proposito, spacca a terra la bottiglia e i calici.
“Ferma”, le intima, ma il rumore rimbomba.
Jeanne butta a terra una sedia. Un vaso.
“Lasciatemi!”, urla invece quella, a squarciagola, aggredendo Oscar, che è costretta a contenerla e perde di vista la porta.
È giusto un attimo, una presa implacabile, un peso addosso che la schiaccia.
Aggrotta le sopracciglia.
“Non sentite?”
“Cosa?” Victor fa un passo verso di lui. “No…” scuote la testa.
“André…”
“André!!!”
“Zitta”, mentre le copre la bocca con la mano, e lei lotta, lotta ferocemente. Finché Jeanne non la colpisce col calcio della pistola.
“Non la sentite…” fa André, impaziente.
“No…”
“Io vado”, decide André sottovoce. E si fa strada, cercando tra i corridoi. “State pronti a intervenire. Prima voi, subito dietro di me. A seguire, gli altri.”
Fa qualche passo, poi corre. Avanti. Perché non sente più la voce di Oscar.
E la trova, infine, mentre Nicolas le serra la gola.
“Oscar!”
Si sbarazza di Jeanne, corre verso di lei.
“Lasciatela!”
Nicolas si alza.
Oscar si lascia scivolare lungo la parete. È questo che vede, André. Lei che si muove. Prova sollievo.
Ma qualcuno ha deciso che i suoi giorni devono finire lì.
Il colpo rimbomba tra le pareti. Lo prende in pieno petto. Si accascia, André, quasi stupito, guardando il sangue che si spande sugli abiti, e le sue mani, incredulo.
[1] Omaggio a Maria Assunta, per averne scritto per prima in I just Like you, paper inedito al 12-3-06 ma letto a febbraio. Parte scritta il 12-3-06.
Laura, primavera 2006-primavera 2007, revisione settembre-ottobre 2012, pubblicazione sul sito Little Corner ottobre 2012
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