BK's Night

 Parte V

 

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Appassiscono piano le rose,

spuntano a grappi i frutti del melo,

le nuvole in alto van silenziose

negli strappi cobalto del cielo.

Io sdraiato sull'erba verde

fantastico piano sul mio passato

ma l'età all'improvviso disperde

quel che credevo e non sono stato.

(…)

Ma il tempo, il tempo chi me lo rende?

Chi mi dà indietro quelle stagioni

Francesco GUCCINI, Lettera

 

Si svegliava, la mattina, già stanca e disillusa, la testa pesante per il troppo bere. Non trovava più un senso in quello che faceva. E vivere provando disgusto fa male. Doveva chiudere quella situazione. Doveva trovare il coraggio di farlo. Andare via dalla corte.

Mille volte, in quei giorni, si era ripetuta mentalmente i possibili discorsi da fare ad André, per comunicargli quel disagio. Ma non aveva trovato il coraggio di parlargli.

Quando, la notte, la paura per André, il timore che lui potesse perdere la vista, che potesse accadergli qualcosa, uniti alla sensazione di inutilità legata alla propria vita, alla consapevolezza di non potere e, insieme, di non avere la forza di fare quel passo e scegliere, tagliare i ponti, la portavano a bere fino a stordirsi, fino a non riuscire più a pensare, in quei momenti avrebbe voluto avere coraggio per fare anche un altro gesto e parlargli, raccontargli le sue paure, condividerle con lui per alleviare quel peso. Ma resisteva a questa tentazione egoistica e non lo faceva. Si sentiva sciocca, temeva di preoccuparlo ancora di più, perché, ora che i rapporti tra di loro si erano chiariti, si era scoperta ansiosa, aveva capito che, quando si ama, si vive anche il terrore di perdere le persone a cui si tiene e si vive anche la dolcezza di volerle, in qualche modo, proteggere. Questo era diventata, Oscar… E ogni mattina, svegliandosi sola nel proprio letto, provava vergogna e disgusto, pensando a sé, alla propria debolezza, e pensava, invece, alla forza interiore che stava dimostrando lui.

Bere… non beveva quando, in qualche notte rubata, si addormentava accanto a lui, ma quando, come accadeva spesso, doveva tornare, sola, nella propria stanza, vivendo come una sensazione di perdita, di distacco, che, poi, annegava nell'alcool… non sopportava di doversene allontanare, non sopportava di non poter scegliere. Ma era una follia notturna, quella, che scompariva con l'oscurità, quando, al risveglio, la luce del giorno le restituiva la sua consapevolezza. E le sue catene.

E, alla fine, si era risolta a farsi forza e a non parlargliene, ad eludere di nuovo il problema. E, con tristezza, pensava a sé, alla propria situazione, e a lui, a quello che stava passando, mentre lo osservava, sorprendendosi ogni momento di come la stupissero i suoi tratti, di come li trovasse cari, densi di ricordi e, insieme, nuovi.

Lo guardava, seduto sul letto, la schiena contro i cuscini, quella pelle così bella, la linea agile del collo, le braccia. La stanza era decisamente fredda. Dava un'impressione di abbandono. Si riscosse da quei pensieri, mentre emergeva dalle coperte e lasciava il calore confortevole del suo corpo. Chissà se lui immaginava cosa le passasse per la mente… E chissà che stava pensando lui… Chissà se si accorgeva di come lo ammirava. Si chiese se lui potesse sentire addosso a sé quegli sguardi e si domandò se, quando gli avessero tolto le bende, non avrebbe provato vergogna, nel guardarlo apertamente. Gli strinse la mano.

"Voglio fare l'amore con te", le disse lui, semplicemente, la voce che risuonò, chiara, ma, in fondo, non inattesa.

"Anch'io", si sorprese a rispondere lei, provando un brivido, mentre si copriva. Mille volte si era chiesta come sarebbe accaduto, ora tutto pareva naturale.

"Dobbiamo prendere delle precauzioni…"

Oscar annuì, sorprendendosi a considerare che, se non fosse stato lui ad affrontare l'argomento, lei si sarebbe trovata spiazzata, col rischio di non parlarne, per l'ennesima volta, o di parlarne quando sarebbe stato ormai troppo tardi. I discorsi in linea di principio, le letture fatte da ragazzi nella biblioteca paterna sarebbero serviti a poco, senza qualcuno che si preoccupasse di metterli in pratica… Era curiosa, impaziente, anche se un misto di paura per le possibili conseguenze la rendeva alquanto restia a muovere lei per prima l'argomento. Doveva cambiare, si disse per l'ennesima volta.

"Appena mi toglieranno le bende, provvederò…"

"Vado io?" Fece, inaspettatamente, lei. Se era ora di cambiare, tanto valeva…

Un'espressione perplessa si dipinse sul volto di André.

"Dato che tu non puoi muoverti…" considerò lei, possibilista.

"Mi farai diventare pigro…"

"André, tu sei pigro." Oscar non lasciava scampo.

André non ribatté. Che se la veda lei, pensò, mentre un sorriso amabilmente cinico lo illuminava, di fronte ad un'attonita Oscar, che lo guardò con altrettanto amorevole commiserazione mentre terminava di vestirsi.

“Che ne dici di fare un’incursione nelle cucine?”, la voce allegra, mentre cercava un diversivo al discorso di prima. “Tua nonna stava cucinando dei biscotti spettacolari! Magari sono pronti…” Lo prese per un braccio, come faceva da bambina.

“Oscar!” Sorrise divertito. Scosse la testa. “Non cambi mai…”

“Dai, muoviti…” Lo costrinse ad alzarsi. "Vestiti", gli disse, mentre gli passava gli abiti, "qui fa così freddo… Andiamo davanti al camino…"

Oscar si rese conto di stupirsi di ogni cosa, di come ogni gesto, ogni sensazione fossero nuovi. Provare l’emozione di averlo accanto. Di toccarlo anche solo per un attimo… era davvero innamorata, stavolta, si trovò a considerare, mentre, un braccio attorno alla sua vita, appoggiato ancora timidamente, un altro sul braccio di lui, lo aiutava a scendere le scale.

“Attento… ancora un gradino”, gli disse, mentre, dal basso, Nanny e sua madre li osservavano.

La governante scosse la testa, con disapprovazione. Era in imbarazzo per quella eccessiva familiarità. “Madamigella Oscar non dovrebbe perdere il suo tempo con André…”

“Lasciali stare”, le sorrise m.me Jarjayes senza perdere d’occhio la scena, un'espressione indecifrabile.

Nanny squadrò in tralice la signora, che se ne accorse e scoppiò a ridere: “Ma… ma… ma…” Evidentemente si divertiva a stupirla… ecco da chi Oscar doveva aver ripreso il suo spirito di contraddizione.

Le batté una mano sulla spalla. “Vieni, vorranno certamente i tuoi biscotti…” E la precedette nelle cucine.

Seduti davanti al caminetto, un vassoio di biscotti ed il tea fumante, Oscar e André valutavano la situazione di Bernard.

“Vorrei che assistessi anche tu al prossimo colloquio.”

Lui rimase un attimo in silenzio. “Preferisco di no”, le rispose, mentre le baciava i capelli. Era il suo modo per farsi perdonare il rifiuto.

"Ma a me potrebbero sfuggire elementi…" Poi Oscar intuì che una possibile ragione era evitare di mettere in imbarazzo Bernard dopo il ferimento. "Capisco." Tacque, prima pensosa, poi distratta dalla sensazione di André che le aveva preso una mano tra le sue e se l'era portata alle labbra. Immediatamente, però, irrigidita, forse anche per il fatto di trovarsi nel salottino, ritrasse la mano. André sollevò leggermente il viso e non le fu difficile immaginare che ci fosse rimasto male. Si rese conto di poterlo aver ferito. Si diede della sciocca per le tante cautele che impiegava per evitare di essere scoperti. Gli si sedette accanto, impulsivamente, lasciandosi andare alle sue sensazioni, e, allora, accoccolandosi contro il suo fianco, gli prese la mano tra le sue e appoggiò la testa sulla sua spalla.

"Ti voglio bene", gli disse, piano. Poi, quasi come a scusarsi, "Lo so che te lo ripeto ogni volta, ma mi sembra di non dirtelo mai abbastanza…" Aveva gli occhi lucidi. Non doveva più, mai più accadere che lui soffrisse a causa sua.

André le strinse di più la mano.

 

Erano partiti Rosalie e Bernard. Erano partiti col suo assenso, anzi, era stata lei stessa a suggerire loro quella soluzione, quando, ormai prossima la guarigione del giovane, si era resa conto del sentimento che era nato tra lui e la ragazza. Aveva imparato a stimare il giornalista, nel corso di quei lunghi, prima estenuanti, poi sempre più pieni di interesse colloqui, durante i quali, più che tentare di carpire le motivazioni dei furti, aveva cercato di ampliare la propria ottica. E, sebbene mantenesse nei confronti di quell'uomo delle forti riserve per il ferimento di André, era troppo razionale e obiettiva per concedersi di odiarlo. L'odio viscerale lei non lo conosceva. Non era capace di praticarlo, di nutrirlo e, forse, per questo era anche incapace di difendersene, come dagli intrighi e dalla meschinità delle persone…

E, così, aveva visto Bernard portare via con sé Rosalie e quest'ultima seguirlo senza riserve, finalmente maturata, finalmente libera da lei. Chissà, le era venuto da pensare, se anche André, lontano da lei, avrebbe trovato una propria dimensione, come Rosalie? Essa stessa era stata felice, con Rosalie. Le si era affezionata subito, le aveva voluto bene. Su di lei aveva potuto esprimere liberamente sentimenti che aveva dovuto sempre tenere repressi - o, perlomeno, aveva sempre ritenuto di dover reprimere…- Oscar era un persona piena di affetto, che, nel timore di non essere adeguata al proprio ruolo, aveva preferito celare i propri sentimenti dietro una maschera di freddezza.[1] Forse solo con André e Rosalie si era concessa la libertà di voler bene…

Una cosa che per André era stata differente. Lui non aveva represso il proprio amore, ma l'espressione di esso. Non aveva avuto paura dei propri sentimenti, di accettarli, semmai aveva dovuto trattenerli, come una brace ardente sotto un letto di cenere. Eppure, in quel periodo di mutamenti, André stesso le appariva strano. Completamente preso da lei, quando erano insieme. Lo notava. Ma, a tratti, come assente. Mentre lei della sua presenza aveva sempre più bisogno.

E, certamente, le attenzioni di André, le sue carezze, il suo ardore, la rendevano più forte, più consapevole della sua bellezza. Oscar era bella, in quel periodo. Bella e tormentata. Risplendeva, come irradiata dell'amore di André, che la rendeva più forte, nonostante tutti i dubbi e tutti i problemi che la assillavano.

E bella la trovò anche Hans, che, come sempre più spesso ultimamente, era venuto a trascorrere la giornata con loro e che, dopo un po' di esercizio con le armi, si era seduto accanto a lei, sul bordo della fontana, senza riuscire a smettere di stupirsi di quella visione nuova, del magnetismo che sprigionava.

André stava scostato da loro, in disparte. Ancora bendato, ruggiva in silenzio. Da una parte, era certo dei sentimenti di Oscar, dall'altra, percepiva nella voce di Hans qualcosa di… diverso. Un po' troppo. In altre occasioni, avrebbe avuto modo di stare con loro, di battersi con loro e di controllare la situazione. Era accaduto tante di quelle volte… Ora, invece…

Abbandonò la testa all'indietro, focalizzando l'udito solo sullo stormire delle fronde, cercando di non ascoltare le loro voci. L'inverno era mite, la primavera sarebbe arrivata presto e lui sentiva gli alberi, a mano a mano, caricarsi di foglie giovani, che parevano irradiare freschezza, alternata alle zone in cui il sole, filtrando, lo colpiva col proprio calore. Avvertiva quella sensazione sulla propria pelle e l'effetto che gli faceva era di una grande energia libera, dispersa. Lasciò che la brezza tiepida lo sfiorasse. Percepiva il tepore del sole quasi esplodere nell'aria, diffondersi nel cielo, tra nuvole silenziose, bianche e soffici come la neve, nel contrasto con l'azzurro che, a guardarlo in profondità, pareva sempre più infinito. Era innamorato, era pieno d'amore e finiva per riverberare quello stesso sentimento su tutto ciò che lo circondava. Sarebbe rimasto ad ascoltare all'infinito la voce di Oscar, sarebbe rimasto a guardarla per sempre.[2] E tutto quell'amore lo riempiva come di una tristezza strana, potente, lo commuoveva. Viaggiare… Avrebbe voluto, in quel momento, poter tornare ad Arras e in Normandia… chissà perché solo viaggiare tornando e non conoscere altri luoghi… nostalgia? Si chiedeva se avrebbe guardato quei luoghi con occhi diversi… Nostalgia… il suo amore per Oscar… era un amore vero? Non era fondato anche in gran parte sul ricordo? Sull'egoismo di voler tenere accanto a sé una persona? Di voler sapere cosa ne sarebbe stato della sua esistenza, senza poter accettare di perderla di vista, di non saperne più niente? Di volerne evitare il distacco? Esisteva allora un amore integro, non contaminato, assoluto? O, più tristemente, ci si aggrappava affettivamente ad una persona, per non perdersi nell'infinito, per trovare un senso a cose che non decidiamo, ma di cui siamo parte? Provò, insieme, un dolore lacerante ed una sensazione dolce, ripensando ad Oscar… Ricordava le sue mani, la linea delle sue guance, il lampo che le attraversava gli occhi, quando il suo sguardo rideva, e la tempesta che li rabbuiava, quando Oscar era triste. Qualunque cosa fosse, pensò che quello era il suo modo di amare. In quel momento, avrebbe potuto affermare di stare bene, nonostante tutto… se soltanto non avesse percepito la stonatura della presenza ormai sempre più familiare di Fersen. Fersen che, dopo aver duellato con la sua Oscar, le si era seduto accanto, sul bordo della fontana, mormorandole parole di elogio per la sua bravura, pari alla sua bellezza. Te ne accorgi adesso, avrebbe voluto dirgli… poi, sorridendo di sé, considerò che, in fondo, era stato meglio così… Poteva immaginare la scena… Ma come?! Strinse i pugni, impotente. Sentiva una nota di attenzione nella voce dello svedese. E quella minima sfumatura lo allarmava. Chissà se Oscar se ne accorgeva… Che idiota, rifletté… Sapeva di non avere alcun diritto di sedere coi padroni, di condividere parte della loro vita. Eppure, vi era a tal punto abituato, da considerarlo scontato, naturale. Oscar stessa non lo aveva mai fatto sentire fuori posto, anzi, aveva alimentato in lui l'illusione che loro due fossero… uguali… Fino ad allora, insomma, in un certo senso, Oscar era stata sua. Era stato solo con lui che aveva condiviso certe cose. I duelli, le cavalcate, i discorsi interminabili, le curiosità dell'adolescenza. Cose che, considerò con rammarico, tra poco gli sarebbero state precluse. Provò, in quell'istante, l'impulso violento e bruciante di strapparsi le bende. Dio! Non ne poteva più! Si impose, invece, come sempre, di restare calmo. Di apparire calmo - e, forse, questo era ancora più importante. - Distolse forzatamente i suoi pensieri dalla cecità. Si costrinse, quasi come un rimedio, a pensare al conte… Da qualche tempo - da un po' troppo tempo -, Fersen si presentava quasi tutti i giorni, reclamando quelle attenzioni che, una volta (e anche ora, senza la ferita), sarebbero state per lui e per nessun altro. Non poteva non notare come Hans si comportasse con sempre maggiore familiarità, prendendosi, con Oscar e con la servitù, libertà dettate solo dalla lunga consuetudine. Appannaggio che, fino ad allora, era stato suo e suo soltanto. Non poteva non notare come, in breve tempo, il conte avesse acquisito delle abitudini e dei modi di fare che prima non aveva. Come un posto, al tavolo dei Jarjayes, fosse divenuto il suo. Come una stanza particolare, tra quelle degli ospiti, fosse definita "del conte Fersen". Avrebbe voluto detestare quel modo di fare che lo svedese aveva assunto in un così breve arco di tempo… così come avrebbe voluto detestare la familiarità e l'affetto, quasi, con cui la servitù, sua nonna, tutti avevano accolto quel giovane. Che, d'altra parte, poteva contare su una conversazione brillante, una esperienza notevole, una cultura vasta e nata sul campo - aveva viaggiato, molto più di Oscar e di lui, e viaggiando si conosce-, oltre che dai libri. Oscar non poteva non apprezzare queste cose. Lui stesso si trovava ad invidiarle. Anche se sapeva che non avrebbe dovuto. Che era inevitabile che ciò accadesse, eppure avrebbe voluto -e non ci riusciva, perché da anni era abituato a ponderare, a ragionare, a placare le sue pulsioni - detestare la situazione - e Hans in primis -. Non gli era possibile esprimere ciò che davvero provava, qualcosa che neppure faceva in tempo a nascere, che lui già lo soffocava. Lo avrebbe incenerito, se avesse potuto? Lo aveva mai pensato? Lo avrebbe volentieri, più civilmente, allontanato di peso dalla loro vita. Ma non era possibile. Non era lui che sceglieva delle loro vite. Lui doveva stare al suo posto. Provava un sentimento di disappunto, di fronte a quello che stava accadendo, ma si pentì subito di essersi concesso la libertà di quelle digressioni, così poco consone alla sua situazione.

Perso dietro ai propri pensieri, udì solo in ritardo dei passi sull'erba, piegare i fili umidi.

"Oh, Girodel! Che sorpresa!" Fece Oscar che, da quando stava con lui, era diventata meno incivile con gli uomini e, dunque, rivolgeva loro la parola avvertendo meno il disagio. Si alzò, lasciando il povero Fersen interdetto, per andargli incontro. "Come state?"

"Bene, comandante", fece lui, avanzando. Salutò anche Fersen e André. "E voi… ma, soprattutto, André? Cosa mi dite?" Era stato gentile, Victor, a pensare alla ferita di André.

"Eccolo lì", gli fece cenno Oscar. "Restate un po', vero?"

Victor osservò la scena. "Sì, certamente…" fece a voce bassa, quasi pensieroso. "Anche perché sono venuto per consegnarvi un dispaccio, ma penso sia meglio parlarne più tardi", disse, avviandosi verso André.

Gli si sedette accanto. "Allora, André, come va?" La voce suonava meno formale del solito. Si informò sulle sue condizioni, sulla convalescenza, sui tempi della guarigione. Fu parlando con lui che André si trovò a considerare come, in fondo, proprio la quotidianità e il fatto stesso di trovarvisi dentro, senza possibilità di scelta, gli avessero reso accettabile, quasi normale, una situazione che, agli occhi del mondo esterno e, forse, anche obiettivamente, era pesante. Ascoltò Girodel sorprendersi per la naturalezza con cui gli parlava della ferita, di quella oscurità forzata, di come cercasse le maniere di fare, senza la vista, le cose più normali… Se non gli fosse accaduto di dover vivere egli stesso quella situazione, di non avere modo di scamparne, di doverla subire giorno per giorno, si rese conto in quel momento che non avrebbe mai potuto accettarla. Ora, invece, si trovò a considerare, gli pareva quasi normale.[3]

André si sentì un po' meglio, non seppe spiegarsi perché, come confortato da quella presenza e i due presero a parlare stranamente amichevolmente.

"Sai che parecchie dame hanno chiesto di te?" Aveva alzato il tono di voce e, mentre teneva d'occhio André, osservava Oscar per scrutarne la reazione.

Una breve pausa, impercettibile, nel discorso che stava facendo. La voce fattasi fredda. Un lampo d'ira negli occhi. Apparentemente Oscar pareva aver incassato.

André rise imbarazzato: "Pensavo che fosse Oscar ad essere popolare…"

"Certamente, ma in questo è aiutata dal suo bell'attendente", scherzò Victor.[4]

"Se mi vedessero ora, dubito che desterei un minimo d'interesse…" cercò di tagliare corto lui.

Victor gli batté una pacca sulla spalla. "Mai sottovalutare l'istinto materno…"

"Casomai, quello geriatrico", lo corresse André ridacchiando.

"Hai così scarsa fiducia in me?" Fece eco Oscar che, invece di prestare orecchio al suo ammirato interlocutore, preferiva tenere d'occhio la situazione di André. Anche per non dare troppo corda a Fersen, che, quel giorno, le pareva, non se ne spiegava la ragione, stranamente pericoloso…

Victor sorrise divertito. La situazione del suo colonnello gli si stava chiarendo e, d'altronde, non era sorpreso. Dovette ammettere con se stesso che, in realtà, non si aspettava niente di diverso…

"Scherzi a parte, le donzelle erano un po' di tutte le età, diciamo dai 12 in su…" Scosse la testa. "Fossi in te, inizierei a preoccuparmi della reazione di padri e mariti…"

"Vorrà dire che lo terrò segregato in casa", fu la risposta, arcigna, di Oscar. 2-0. La lapidazione poteva proseguire. "Comunque", aggiunse, "se consideriamo anche mia nipote, potete abbassare l'età delle "ammiratrici" anche all'infanzia…"[5]

Poi, le cose accaddero velocemente. Oscar e Fersen stavano parlando d'altro quando, quest'ultimo, lo sguardo fattosi più intenso, improvvisamente, si avvicinò pericolosamente a lei. Decisamente, in quel frangente della sua vita, Oscar doveva parere attraente, come brillasse di luce propria. Doveva essere, nelle intenzioni dello svedese, un approccio destinato a sondare il terreno. Fatto sta che Oscar, pur non dando avviso di averne recepito il senso e fingendo indifferenza, l'aveva fulminato con lo sguardo, uno sguardo severo, quasi di rimprovero, che lo aveva risospinto a distanza di sicurezza. Per poi, navigata tattica di autodifesa, riprendere a parlare come prima, come se niente fosse accaduto. Fersen ci rimase male, ma capì.

Chi notò tutto, invece, fu Victor. "Guarda guarda", disse sottovoce ad André. "Direi che Fersen ci sta provando con Oscar…"

André rimase interdetto. Provando? Un corteggiatore? Com'era possibile che Oscar rimediasse un corteggiatore - come Fersen, per giunta -? Non era facile né crederci, né accettarlo. Continuando a pensare ad Oscar come avrebbe fatto un fratello geloso, non si era reso conto di quanto potesse effettivamente riscuotere gradimento - a parte il suo.-

Girodel lo costrinse ad alzarsi e lo prese sotto braccio. "Colonnello Oscar, ci raggiungete dentro a bere qualcosa che ci scaldi?" Disse, augurandosi che Oscar cogliesse al volo l'occasione.

"Certamente!" Fu la risposta, sollevata, di Oscar. "Hans, venite anche voi?" Sperava le rispondesse di no.

"No, scusatemi, ma devo andare" e si allontanò, dopo averle lanciato uno sguardo carico di apprezzamento ed averle stretto il braccio, comunicandole una scossa che Oscar non si sarebbe mai aspettata di recepire…

 

 

Continua...

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[1] Mi riferisco al IV volume dell'edizione Granata, in cui è André a notare come Oscar sembri fredda come il ghiaccio, ma con un animo ardente.

[2] Lo so, lo so… Vorrei di Guccini, una delle più belle canzoni d'amore.

[3] Considerazioni ispirate da Amrita di B. Yoshimoto.

[4] Nel manga (ed. Granata, volume XII) la Ikeda fa dire alle dame invitate al ricevimento di Oscar che Girodel "era conosciuto come uno a cui non piacciono le dame, ma in realtà desiderava il signor Oscar". Al di là di questo, il testo scritto da me vuole solo essere colloquiale, senza un particolare riferimento.

[5] Lelou de la Lorencie, figlia di Ortence, sorella maggiore di Oscar, che appare nelle Gaiden.