BK's Night

 Parte XIII

 

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Era splendido, Hans, quella sera. Più affascinante del solito. L’attendeva di fronte al camino, un bicchiere di cognac in mano. Oscar, sorpresa, lo accolse.

“Ti raggiungo tra poco”, le aveva sussurrato André, avviandosi verso le scale. Aveva bisogno di qualche momento per disinfettarsi le ferite.

Oscar l’aveva guardato salire i gradini, appoggiandosi al corrimano, il passo stanco. Aveva pregato dentro di sé che facesse presto. Avvertiva un disagio inspiegabile alla presenza di Fersen, quella sera, a casa sua. Un disagio non tanto per se stessa, quanto per quello che avrebbe potuto pensare André se solo avesse avuto la sua stessa percezione degli sguardi caldi che lui le riservava, della voce profonda con cui sapeva avvolgerla.

“Oscar!” Si era alzato per accoglierla.

“Come state?” Gli aveva teso la mano, in un gesto sobrio, ma lui l’aveva presa tra le sue, portandola alle labbra. Oscar era avvampata. “Andiamo fuori” aveva proposto, per spezzare quella strana alchimia, mentre sperava che André comparisse in soccorso.

 

Aveva udito le loro voci, in giardino. Coi capelli bagnati, dalla finestra della sua stanza, André, intento a medicarsi i tagli, li scorse passeggiare l’uno accanto all’altra.

Chiacchieravano di musica. Hans, melomane colto e appassionato, come Maria Antonietta, elogiava un recente allestimento operistico. Sorrise, André, scuotendo la testa. Sbagliato, conte, disse mentalmente, voltando le spalle e tornando, rassicurato, alle sue ferite, Oscar preferisce di gran lunga la musica strumentale…

Tardò troppo, forse.

Hans era sicuro, avvolgente, quella sera. E Oscar, nonostante tutto, nonostante stesse all'erta e provasse anche fastidio, di fronte a quell'atteggiamento così scoperto, nonostante le mille cautele per non cadere nella trappola, non poteva non sentire quell'aura particolare, che lo rendeva unico. Lo osservava muoversi, bello, elegante, lo ascoltava parlare, nel suo francese perfetto. Sorrise. I Fersen parlavano francese anche tra di loro… chissà com'era…

Lui notò quel sorriso.

"A cosa stavate pensando…"

Si erano addentrati nel mezzo del parco.

Ebbe una pessima sensazione, André, per un istante.

Oscar, sorpresa, si voltò a guardarlo.

Corse alla finestra. Non li vide. Scese precipitosamente le scale.

"Pensavo che…"

Lui la fissava negli occhi.

"Non… non parlate mai in svedese…" Le parole le erano morte in gola. Una frase idiota.

L'atmosfera si era fatta improvvisamente intensa.

"Non… non l'ho dimenticato." Aveva parlato a bassa voce, l'espressione seria.

E Oscar non seppe dire se si riferisse a quella sera, al ballo, o allo svedese.

La fece voltare verso di sé, la teneva per le spalle.

Dio, pensò Oscar. Ecco. In un tempo come rallentato. E, poi, in rapida successione, stupido, stupido di un André, che non sei arrivato in tempo e magari comparirai proprio adesso, pensando chissà che! Rise di sé. Devo tirarmene fuori, si disse.

Li vide.

"Sarà meglio andare…"

Un sospiro di sollievo alle parole di Oscar.

"Aspettate", la bloccò con voce ferma. "Lasciatemi parlare".

E adesso che faccio?

"Oscar… vedete… io lo so che non posso legarmi a voi…"

Si sentì meno tesa. E, subito dopo, irritata, si chiese perché non gli venisse il dubbio che anche lei non volesse legarsi a lui.

"So che non siamo fatti l'uno per l'altra…"

Bene, pensò Oscar. E allora?

"Ma…" Il suo sguardo la avvolgeva. La sua voce la carezzava. "Ma voi siete…" cercava le parole. "… straordinaria." Fece una pausa. Lo sguardo, perplesso e vigile di Oscar, piantato nel suo, pieno di fascino. "Avrei voluto avere il coraggio per innamorarmi di voi…"

Strinse i pugni, André. Che cosa, che cosa vuole da lei?

Oscar non seppe se desiderare di prenderlo a schiaffi o compatirlo. O compatire se stessa. Avere il coraggio per… ma che razza…

"Per fortuna, come vedete, l'avete scampata", le sfuggì, sarcastica.

Lui pareva non aver udito quelle parole. La fissava. Le si fece più vicino.

"Du är saa vacker", le disse, come in un soffio. Sei così bella, in svedese.[1]

Oscar lo capì.

Le mani di lui le scesero lungo le braccia.

Ebbe un brivido. Tardi, per rendersi conto che erano vicini. Vicinissimi. Che stavano per baciarsi. Che stava per cedere. Per ferire André. No! No, si disse. Si riscosse. E quella reazione riscosse anche lui. Si fermarono, come se si fossero svegliati da uno strano sogno. Nessuno dei due lo voleva realmente. Rapidi sguardi imbarazzati, poi i loro occhi si fuggirono.

Era affascinata da Fersen, certo, ma non poteva - e nemmeno voleva - fare del male proprio ad André. E lui, lui si rendeva perfettamente conto che Oscar era qualcosa di troppo distante - senza contare Maria Antonietta, così vicina ad Oscar - e non solo lei. Non voleva impegnarsi. Questo era chiaro. Ma era altrettanto chiaro che per tenere fede a quel proposito occorrevano donne di mondo, avventuriere, sentimentalmente disinvolte. Non Oscar, così limpida, così leale. Così dannatamente bella. Non Oscar, che, probabilmente, ad un amore avrebbe chiesto tutto. E sì che sembrava appassionata… rise di sé. Le lasciò i polsi. Abbassò lo sguardo. Le carezzò il viso ed i capelli. Si passò una mano sul volto, come a scacciare quei pensieri.

Fu, forse, quello, il momento più intenso della loro amicizia.

"Ti ho voluto sempre bene, lo sai…", le disse.

Oscar annuì, mentre lui, lentamente, fece per allontanarsi. Annuì, ma avrebbe voluto soltanto poter negare tutto. Tutto quello che era accaduto. Che non era poi molto e non cambiava niente. Ma era accaduto e, si disse, sarebbe stato meglio seppellirlo nell'angolo più remoto della propria mente, anzi, meglio ancora, dimenticarlo. Una realtà insignificante, certo, ma pure sempre scomoda. Avrebbe voluto dedicarsi anima e corpo ad André, quasi a ripagarlo di quel tradimento momentaneo… André… se solo fosse arrivato in tempo… Ma, in fondo, non era successo niente. Lo osservò con sollievo mentre, di spalle, andava via. Meglio, si disse. Altrimenti quella realtà sarebbe potuta diventare troppo scomoda. Meglio poterla negare, così.

[2]"Oscar, Oscar..."

Le parole gli erano venute alle labbra in un'emozione sorda, senza che si accorgesse di averle pronunciate. Aveva respinto Fersen, l'aveva vista, eppure l'aveva sentita vacillare un istante. Oscar, Oscar!

Fu solo lei quella che vide davanti a sé, solo da lei si diresse, nessun pensiero nella mente.

Quando si accorse che le veniva incontro, il viso teso, tirato, quando vide la furia trattenuta con cui passò oltre Fersen senza degnarlo di un saluto, Oscar si rese conto che, no, non era possibile negare niente. E che gli doveva una spiegazione.

"Amore!", la chiamò, a voce alta. Perché lui udisse bene.

Un'espressione sorpresa, in risposta. Ma che aveva in mente?

Fersen si voltò, meravigliato. E, sbalordito, lo vide abbracciarla e baciarla intensamente. Senza che lei opponesse la minima resistenza. Anzi.

Fu un bacio appassionato, possessivo, imperioso, quello in cui la coinvolse. Un bacio da toglierle il respiro, un bacio di quelli che le dava quando erano soli, prima di fare l'amore, da farle perdere il controllo di tutto. E c'era un sapore struggente, in mezzo a quella passione, quasi come di dolore. E un sapore amaro, come d'ira.

"Amore" gli sussurrò, completamente presa. "Amore…", ripeté, senza capire altro. "Ma che succede", riuscì a dire recuperando appena se stessa, il dove, il quando.

"Meglio chiarire lei idee al conte, non credi?" Le rispose piano, mentre le baciava il collo, scostandole i capelli con la mano.

"André..."

Ma quel bacio era più forte di tutto, e la riempì di una dolcezza appassionata, che, per un istante, ebbe il sopravvento. Non le importò più di nulla, di Fersen, stupito, che li guardava, delle conseguenze... le importò solo di lui. "Se continui così, ti salto addosso", riuscì a dire, in un sorriso, tra le sue labbra.

"Mi pare una dimostrazione un po' eccessiva", scherzò allora André, in un soffio di voce, "ma se pensi che possa servire…" E le fece scivolare una mano lungo i fianchi. Inequivocabilmente.

"Penso che possa bastare…" gli disse all'orecchio, in un sospiro. E gli bloccò la mano.

"Oscar…" la pregò, "lo sai che quando fai così…"

"Contieniti!" lo prese in giro. "Dopo cena se ne riparla." E, tenendolo per mano, sorridente, come se niente fosse, si diresse verso il malcapitato spettatore. "Cenate con noi?" Dunque, André aveva capito. Meno male, si disse. Mi hai tolto da un bell'impiccio, mio dolcissimo amore. E non pensava solo a Fersen. Ma alla confusione che aveva dentro. E che lui aveva spazzato in un attimo.

 

C'era un'atmosfera strana, quella sera, a cena. André che non faceva niente per nascondere i suoi sentimenti per Oscar. E lei che pareva stare al gioco, gli occhi scintillanti, il viso acceso, la voce viva. Di fronte al povero Fersen, come sconfitto.

Tentava di reagire, André, a quello che aveva visto poco prima. Nonostante avesse completa fiducia in Oscar, conosceva la fama di dongiovanni di Fersen, sapeva delle sue amanti fisse. Solo lei, lì, e il suo sorriso e le sue mani che lo sfioravano gli consentivano un comportamento civile. Se la tocchi ti uccido, si sorprendeva a pensare, all'improvviso, stringendo il pugno. Poi si calmava, guardando lei, pensando che avrebbe dormito nel suo letto, stanotte. Che fosse chiaro che Oscar era sua. Sua soltanto. Che lo sapessero. E, poi, c'era quel suo problema… che lo rendeva triste, a tratti, quella paura che ricompariva… a ricordargli che sarebbe finita… a spezzare l'incanto di lei, così seducente. E, così, la fissava, innamorato e triste, e le rubava carezze fugaci. E alternava istanti di spensieratezza divertita ad attimi di malinconia. Mentre Oscar viveva quei momenti con un imbarazzo misto a sollievo e Fersen li osservava, incuriosito, in fondo, senza osare domandare, chiedendosi quando fosse successo, cercando di cogliere la risposta nei loro gesti, in quella intimità che, sì, ora, a saperlo, balzava agli occhi con tanta evidenza.

Poi, quando Hans, ancora frastornato, prese congedo, quando Oscar lo accompagnò alla porta e lui rimase, in piedi, ad osservarli, quando la scena si fece, improvvisamente, buia e lui, solo, vacillando, si sostenne contro la parete, quando, piano, la chiamò, nella paura, allora si ritrovò ancora di fronte a quel dolore che lo riempiva di terrore, che lo paralizzava.

Attese. In silenzio. Attese che passasse.

 

Oscar congedò Fersen con gentilezza. Si sentiva leggera. Era anche il vino, forse. Era silenzioso, ora che erano soli. E le sorrideva.

“Mi dispiace, Hans.”

Lui rise, allora, e scosse la testa: “Non dite bugie, Oscar, non le sapete dire.”

Le baciò la mano di nuovo: “Non l’avrei mai immaginato", mormorò sollevando il viso, con uno sguardo che era pieno di fascino, nonostante tutto. "Non l’avrebbe immaginato nessuno...”

Oscar gli sorrise. Un sorriso vivace, gaio, totalmente in contrasto con quello che disse: “Se lo sapesse qualcuno ci farebbero a pezzi.”

Fersen rabbrividì: era vero.

“Non lo saprà nessuno", disse. "Davvero. Sono felice per voi, Oscar”. Poi la curiosità l'ebbe vinta. "Ma…" esitava. "Ditemi… quando…"

Abbassò gli occhi. Parlava piano. "Lo sapevo da tanto… lo sapevo chiaramente… che lui… mi voleva bene…" Non osò guardare l'espressione di lui. E le faceva sempre male ripensare a quanto aveva fatto soffrire stupidamente André. “Sapete, a volte è più comodo non dover ammettere certe realtà…", considerò tristemente. “E anche io… l'ho capito da meno tempo… ma non da poco…" rispose, infine, pensosa, lasciandolo arrovellarsi nel dubbio egoistico del perché mai, allora, quella sera si fosse presentata al ballo, se già…

Si appoggiò alla parete, leggera, guardando il soffitto: “Arrivederci, Hans.”

Lui si allontanò, dentro il mantello, con una dolcezza inquieta nel cuore. Non era una storia tanto diversa dalla sua.

 

E, mentre si spegneva l'eco dei saluti, quando il buio iniziò a diradarsi, restituendogli figure avvolte nella nebbia, mentre la voce di Oscar, la voce dolce di Oscar, si avvicinava, André tentò, ancora una volta, di nasconderle quel dolore. Quella era la loro sera.

 

Si scambiarono un'occhiata eloquente... La pace, finalmente!

"Allora… avevi detto che se ne sarebbe riparlato dopo cena…" ridacchiò lui, mentre l'attraeva a sé, sfiorandole la linea del mento in un bacio rubato.

"Andiamo sopra", gli rispose complice, piano.

Si chiusero la posta alle spalle.

Gli passò delicatamente le dita sulla guancia, sul mento, vicino ai tagli, attenta a non toccarli. Scosse la testa.

"Che idiota…" Fece per voltarsi. "Chissà che cosa aveva in mente, oggi, Girodel…"

La trattenne per la mano. Come rabbuiato da ciò che quelle parole evocavano.

No, amore… non è di questo che voglio parlare… non stasera… "Sei mia", le disse piano. Scacciò subito quei pensieri tristi. "Sei soltanto mia", ripeté, come a rammentarlo a sé, oltre che a lei, come a rassicurarsi, mentre, da dietro, la cingeva, in una stretta piena di forza, affondando il viso nei suoi capelli. La girò verso di sé, guardandola intensamente, innamorato, perso in quegli occhi, poi la baciò, a lungo, stringendola contro di sé. Lo fece d'impulso. A volte non riusciva a trattenersi. Non riusciva ancora a credere che fosse davvero sua.

Oscar era senza respiro. Lo guardò. A lungo. Come poteva permettersi di fare solo quando erano loro due. Com'era bello... Com'era luminoso il suo sguardo... Che meraviglia il verde delle sue iridi... Una cosa che l'aveva sempre colpita. Aveva i colori dell'autunno, quei colori caldi, che toccano la vista ed il cuore. Lo baciò. E questa volta fu lei ad essere incredibilmente intensa, una mano, sulla sua nuca, che lo avvicinava maggiormente a lei chiedendo imperiosamente di più da quel bacio, l'altra, che scivolava con una pressione calda ed insistente sul suo petto, lungo i fianchi, più in basso. Fu lei a farlo sentire assolutamente desiderato ed a fargli ricambiare il bacio con un ardore più profondo. Oscar sentì il tocco morbido e caldo delle sue labbra dietro l'orecchio. Rabbrividì. Lui continuò, scostandole i capelli e baciandola lungo il collo, poi lungo la spalla, per tornare indietro fino all'incavo del collo.

La condusse sul letto, le slacciò la camicia, scendendo, nei suoi baci, lungo la spalla, lungo il braccio. Oscar tremava alla sensazione calda delle sue labbra. Ogni volta che lui la toccava, provava qualcosa di diverso dalle precedenti. Stavano imparando a fare l'amore, a capire ciò che ognuno di loro preferiva. Lui cominciò a baciarle il seno, insistentemente, indugiando, quando ne sentì le reazioni.

"Ancora, ti prego…" lo implorò, attraendolo di più a sé.

Poi, scese fino alla cintura. Oscar, le mani tra i suoi capelli, se lo riavvicinò al viso. Prese a baciarlo, tirandogli la camicia fuori dai pantaloni, scivolando con le sue dita sottili lungo i suoi fianchi, sotto la cintura. Gliela slacciò. Voleva sentire di nuovo il contatto con la sua pelle calda. Respirò profondamente ed assaporò quella sensazione per qualche attimo. André si spogliò. Poi spogliò Oscar, che respirava affannosamente.

Lo sentì sopra di sé.

"Ti voglio..." gli disse, piano.

Poi lo guidò dentro di sé.

André sentiva la pressione delle mani di Oscar lungo la schiena, i fianchi. Quella sensazione lo faceva impazzire. In alcuni momenti Oscar lo stringeva talmente, da graffiarlo. Ma sentiva anche come lo avvolgeva, dentro di sé, con forza, con ardore. In un modo talmente intenso da fargli dimenticare tutto. Da fargli desiderare soltanto di annullarsi in lei.

Si fermarono. La fece passare sopra di sé.

Fece l'amore con trasporto, Oscar, intensamente, quasi con disperazione, aggrappandosi alle sue spalle, stringendogli le braccia, i muscoli della schiena contratti. Lo guardava. Era bellissimo, in quell'espressione intensa. Il suo André. Lo sentiva, dentro di sé, e la faceva impazzire.

 

Infine, crollò sulla sua spalla, ansimando. Lui le baciò i capelli, la fronte, dolcissimo, protettivo, stringendola a lungo a sé.

 

Si sollevò sui gomiti, in una cascata di capelli, lo guardò con gli occhi che le brillavano.

"Ti adoro... Sei fantastica...", commentò lui, affannato e sincero.

 

Rimasero così per un po', le mani intrecciate.

 

Di nuovo, gli si fece più vicina. Lo desiderava ancora. Da impazzire. Prese a baciarlo in maniera terribilmente provocante, insistentemente, indugiando, dalle labbra, al mento, al collo, al petto. Scese un po' più in basso, fino alla vita, per saggiarne le reazioni. Sentì il respiro di André farsi più pesante, il cuore battere più velocemente. Allora continuò.

Fu sorpreso quando sentì la mano di Oscar scivolare più in basso e le sue dita stringerlo.

Poi, fu tutto un crescendo: il contatto col corpo di Oscar che scorreva sul suo, la sensazione dei suoi capelli sparsi sui suoi fianchi, l'incontro morbido e caldo con le sue labbra.

 

Le carezzò la fronte col dorso delle dita, il braccio destro abbandonato disteso un po' scostato dal corpo. Aveva un'aria sorniona, adesso, assolutamente appagata. Completamente rilassato, la schiena pesantemente abbandonata sul letto, ammise, alzando il braccio destro e lasciandolo ricadere all'indietro, "Sono un uomo distrutto...”

 

Eppure, non durò molto, quell'incanto.

 

Vegliava accanto a lui, quella notte. Nel buio della stanza lo sentiva, sveglio, forse preoccupato per qualcosa. Neanche lei riusciva a dormire, ma lui era strano. Dopo le carezze dell'amore, dopo che si era alzato, era successo qualcosa. Era cambiato all'improvviso. Non l’aveva abbracciata, né cercata, dopo, quando era tornato a letto. Come indifferente. Sembrava lontano. Freddo. O, forse, triste.

 

Pioveva. Tante volte aveva fantasticato di rimanere abbracciata a lui, rintanata nel letto, mentre la pioggia cadeva.[3] Ma non era così, che l’aveva immaginato. Si sentì oppressa. Non era questa solitudine, che aveva sperato. Avrebbe desiderato un po’ di calore. Invece lui se ne stava dall’altro lato del letto, di spalle, come se lei non ci fosse.

Non riusciva a raggiungerlo.

“Non riesci a dormire…” gli toccò la spalla delicatamente.

Si girò. Guardava il soffitto.

“Non preoccuparti”, le rispose, una sfumatura distante, nella voce, nonostante cercasse di essere affettuoso.

Che cos’hai, avrebbe voluto domandargli. Ma quel modo di fare troncava ogni possibile dialogo. E Oscar sentì come il vuoto, dentro. Come era potuto diventare così?

Fu un tormento rimanere in attesa, vederlo alzarsi, andare a tentoni, in quell'oscurità, uscire, tornare, inquieto, senza riuscire a capire cosa gli passasse per la mente. Senza poter fare niente.

 

Che cosa porti dentro quando tace la mente, che cosa vedi quando guardi attorno.

Francesco GUCCINI, Van Loon

 

Solo più tardi, anni dopo, avrebbe compreso tante cose di quella notte. Avrebbe trovato le spiegazioni che cercava.

 

Non poteva saperlo, ma era stato un tormento anche per lui non poterla abbracciare, non potersi abbandonare alla paura che l'aveva preso quando, aprendo gli occhi, si era reso conto che non vedeva niente. Niente. E la vista non tornava. E non sapeva quanto sarebbe durato. Se sarebbe passato.

Non poteva dirglielo. Doveva fare in modo che non se ne accorgesse. Muovendosi a tentoni, complice il buio. Conosceva la stanza, per fortuna. Aveva paura. Non era ancora pronto. E non sapeva come avrebbe reagito Oscar. Così, tornatole accanto, era rimasto immobile, sperando che lei non ci avesse fatto caso.

Allungò una mano, a cercare la sua, per rassicurarla. La trovò. E, in quella stretta silenziosa, a cui aveva affidato tutto il suo calore, sperò che lei comprendesse almeno il suo amore e non notasse la sua disperazione.

"Oscar…"

Lei rimase in silenzio, ferita, sorpresa da quella stretta.

Si girò, gli occhi chiusi, a carezzarle i capelli.

"Ti amo…" ripeté.

Gli occhi le si riempirono di lacrime. Lottò per non piangere. Le toccò il cuore quel suo mostrarsi senza difese. La commosse quel gesto.

"Lo so…" rispose, cercando di nascondergli la tristezza.

Allora lui, tranquillizzato, si stese di nuovo accanto a lei.

 

Più tardi, il suo respiro si fece più regolare. Si era addormentato.

Sfilò la mano dalla stretta di lui.

Si alzò, allora, sola, in quel buio, circondata dal rumore dell’acqua.

Andò alla finestra. Fuori, la pioggia scrosciava, grondando dai tetti, pesando sulle foglie degli alberi, scorrendo in rigagnoli. Avrebbe voluto essere un’altra persona, in un altro luogo. Dimenticare tutto.

Non pensava a Fersen. Pensava ad André. Era lui che la feriva. Nessun altro avrebbe potuto. Non così. Si chiedeva perché e non riusciva a capirlo. Si tormentava e non lo capiva.

Uscì sul balcone. Rimase lì, come attendendo che qualcuno si accorgesse di lei, della sua pena. Che qualcuno la portasse via da quel dolore, da quella tristezza. Che qualcuno arrivasse ad accoglierla in un abbraccio caldo e a consolarla. Che qualcuno si prendesse cura di lei. O, almeno, le desse una spiegazione. Ma non venne nessuno.

Rientrò. Stanca, spossata.

Si addormentò, infine.

Solo all’alba, in un breve risveglio, si accorse che lui la stringeva tra le braccia, come abbandonato completamente a lei. Lo avvolse, allora, nel conforto di quella sorpresa, nel trasporto di un abbraccio dolce e forte.

 

Amore mio non posso perdonarti, amore mio

non posso condannarti…

Ma c'è una scheggia che va dritto al cuore

e la pallottola sei tu

Amore mio che fretta di amarti, amore mio che fretta

di odiarti: tu dormi ed io che me ne vado via…

Mario CASTELNUOVO, L'ora bianca

 

Lo cercò, Oscar.

Si era fatta sera.

Li attendevano a breve. Oscar era invitata ad una festa di addio organizzata in suo onore per il suo commiato dalle Guardie reali. André l'avrebbe accompagnata. Dal giorno successivo e fino al nuovo incarico, sarebbe stata libera e, finalmente, sarebbero potuti partire per Arras.

Ed ora era sparito.

"André, dove sei?"

Cominciava a spazientirsi. Comprendeva che lui non fosse entusiasta di partecipare a quella serata, organizzata da Victor. Si rendeva conto che non fosse il massimo quella compagnia di nobili altezzosi, per lui. Anche per lei, a rifletterci. Tuttavia, non poteva esimersi. Questo doveva capirlo. E, comunque, la loro vacanza si avvicinava e, in fondo, era la cosa più importante.

 

Non venire qui, Oscar… non venire… Finché la vista non fosse tornata. E non fosse stato più necessario nascondersi. Solo. Voleva stare solo. Ad ascoltare la mente arrovellarsi e poi tacere, il cuore rallentare per la paura. Ad aspettare il sollievo di quelle lacrime che gli avrebbero invaso gli occhi, per poi scivolare via.[4] Ma le lacrime non vennero. Non venivano mai.

Si rannicchiò a terra.

Oscar! Oscar!

Perché fuggire proprio da lei, da lei che era tutto, che, quando era lontana, gli pareva di non esistere neppure - e sempre era stata il ritmo su cui aveva conformato i suoi tempi. Non voleva mostrarle quel dolore? Ma che inganno era? Non era forse neppure giusto. Ma nemmeno coinvolgerla in quella pena lo era. Oscar si aspettava di trovare appoggio in lui, non di dover sostenerlo così, com'era diventato. Come non era più. Non aveva mai avuto grandi sogni. Solo lei. Ma non avrebbe mai pensato di finire così.

"André, dove sei?"

Non chiamarmi, amore… com'è dolce, la tua voce, quando mi chiami…

Fissò le luci confuse delle fiaccole, in basso. In preda ad una tremenda attrazione. Un attimo, si disse. Un attimo ed è tutto finito.

Si alzò, continuando a fissare il vuoto, reggendosi alla parete. Poi, ebbe paura. Scacciò quell'idea insana. Lui voleva vivere, nonostante quello. Voleva Oscar. Stare con lei. Tutta la vita. Fece un passo indietro, come ad allontanarsene. Ma non riusciva a muoversi.

 

Lo cercò a lungo, un'ansia sottile che la faceva stare in pena.

Lo trovò.

Era salito, solo, in cima alla torre dell'edificio. Stava lì, immobile, di spalle. Pareva che guardasse lontano.

Lo raggiunse da dietro. Gli prese una mano. Era gelata.

"Vieni, amore. Andiamo", gli disse, dolcemente.

Solo allora, nel buio che avanzava, notò gli occhi lucidi, le labbra serrate. E una pena tremenda l'oppresse. E il dubbio. Si portò una mano al viso.

Si voltò, sorpreso. Fissò i suoi occhi limpidi come un addio in quelli stupiti di lei. E la abbracciò, affidandosi completamente a lei, dimenticando il tempo troppo veloce, le paure, il dolore.[5]

 

Il banchetto d'addio delle Guardie reali quella sera si era protratto troppo a lungo.

Sembrava quasi felice, Oscar, a tratti malinconica. La decisione di andarsene era presa e, dal giorno successivo, il comando sarebbe passato a Girodel. Così, appariva leggera, conversava, più aperta del solito, con Victor e gli altri. Dimentica di tanti problemi, forse anche di lui.

E lui, quella sera, invece, era triste. E ogni minimo gesto di Oscar verso gli altri gli appariva amplificato, aggravato. E non riusciva a non pensare alla sua Oscar durante quella missione, alla vicinanza che poteva esserci stata con Girodel, con chiunque altro… alle meschinità di Victor, il giorno prima, alle avances di Fersen. Era triste, André. E beveva, silenzioso, ostinato.

Si era accorta di quel cambiamento nel suo stato d'animo e si era rabbuiata. Un velo di tristezza aveva attraversato il suo sguardo, nell'osservarlo. Si disse che sarebbe stato meglio andare appena possibile. Non provò alcun rimpianto a dover lasciare quella comitiva anzitempo, se era per stargli vicino.

Ma lui non poteva saperlo. Non era il solito André allegro, di compagnia che tutti conoscevano. Come un demone silenzioso stava alimentando i suoi peggiori dubbi. Oscar, così bella, quella sera lui non riusciva neppure a vederla. La vista appannata - e non era per l'alcool - , gli occhi che bruciavano, una rabbia sorda e cattiva che gli nasceva dentro, fino ad arderlo, e lo rendeva triste. Triste ed egoista. Con un peso opprimente sul cuore.

Si alzò, allontanandosi dal gruppo, raggiungendo l'esterno della sala. Si rese conto che era stato per posare le mani sulle spalle di Oscar, per baciarla, lieve, all'orecchio, in un saluto. "Amore, esco un attimo", avrebbe voluto dirle, in un soffio. Si era trattenuto a stento. Non poteva, non lì. Dopo, si disse, l'avrebbe rivendicata dopo. Era sua. Soltanto sua. Doveva solo attendere. Attendere…

Sentì addosso l'aria fresca della sera. Si sedette per terra, lontano, dove non potessero vederlo e non potessero disturbarlo. Poi, lentamente, quasi vergognandosi di quel gesto, si prese la testa tra le mani, cercando di soffocare il pianto.

Si diede del folle. Perché dubitare di Oscar? Cosa gli stava venendo in mente? Oscar non lo avrebbe mai fatto. La conosceva. Non lo avrebbe fatto per fedeltà e perché sapeva che lo avrebbe ferito, che gli avrebbe fatto del male. Eppure, quella sera i pensieri maligni attraversavano la sua mente, fino a riempirgli il cuore di sofferenza, come se avesse voluto per forza star male. Perché si stava torturando in quella maniera? A cosa serviva infliggersi quella pena inutile e falsa? Perché nutrire quei dubbi?

Una mano si posò sulla sua spalla. Un bacio leggero tra i capelli. Come un sollievo, al suo cuore troppo triste.

"Andiamo, amore?"

Si voltò quasi sorpreso, lo sguardo perso nel vuoto, il calore di quel gesto che quasi lo feriva. Cercò di alzarsi in piedi, barcollando, appoggiandosi a lei.

"Scusami, ho bevuto troppo, stasera…"

Oscar lo sostenne e lui la abbracciò, quasi abbandonato contro di lei.

"André…" Poteva sentirne il respiro, mentre con le labbra le percorreva il collo. "A… aspetta, per favore…", provò a dirgli, mentre i suoi gesti le facevano provare un brivido.

Lui continuò a baciarla, insistente, in silenzio. Era strano, quella sera. E Oscar poteva avvertire la tristezza implicita in quei gesti. Le faceva quasi paura, André, quando faceva così.

"Lo so che sono strano…", le disse, la voce impastata. Cercò di assumere un tono allegro. "Credo… di non sentirmi troppo bene…" Aveva gli occhi lucidi, era sudato.

“Vieni, torniamo a casa.”

 

Arrivarono.

Oscar lo accompagnò fino alla sua stanza. In silenzio, senza sapere bene cosa fare. Si sentiva triste per quella situazione. Oppressa.

Lui le stava addosso, le pesava addosso. Prese a baciarla, con insistenza, quasi con disperazione.

Non ci furono parole. E nemmeno sguardi.

"André, no…"

Oscar cercava di allontanarsi. Era troppo strano, era chiaramente fuori di sé.

E lui la baciava, invece. Insistentemente.

Insistentemente.

In silenzio, quasi guardando attraverso di lei, quasi triste, quasi violento, lui continuò a baciarla, la spogliò.

"No… aspetta, per favore…"

Ma quando lui la costrinse a stendersi sul letto e la prese, senza ascoltare le sue parole, Oscar si rese conto che, quella sera, lì, con lei, non c'era l'André che lei conosceva, ma qualcuno che le era ignoto. Un estraneo. Un uomo che non faceva l'amore cercando, come le altre volte aveva fatto, di darle piacere, ma che lo faceva solo per sua soddisfazione, con egoismo, con disperazione. Come se fosse estremamente solo. Come se si sentisse estremamente solo.

Era incredula.

Si sentì ferita, usata. Provava rabbia e rancore, verso di lui, ma sentiva anche una tristezza infinita, perché riusciva, nonostante quello che stava accadendo, a percepirne l’infelicità, quasi la disperazione.

Lo sentiva pesare addosso a sé, senza alcun riguardo per lei.

Lui la voleva e l'aveva presa. Non si era chiesto, quella notte, se anche lei lo desiderasse, aveva pensato solo a se stesso.

Rimase come inerme tra le sue braccia, Oscar, quando lui la fece voltare e continuò. Sentiva il respiro affannoso sul collo, il peso di lui addosso.

 

E, più tardi, scivolò via da sotto quel peso, mentre lui, senza una parola, era caduto addormentato.

 

Si rivestì in fretta, senza trovare la forza di guardarlo, senza neppure voltarsi. Corse dal dottore, per evitare ogni possibile conseguenza di quella nottata.

 

Quando, in un'alba livida, avvolta nel mantello, spossata e persa, tornò a casa, rimase a lungo seduta sul letto, una coperta sulle spalle, le braccia che le circondavano le ginocchia, con la mente vuota, senza riuscire a pensare. Sentiva solo dolore. Riusciva soltanto a sentirsi ferita, tradita. E non riusciva a comprendere come lui avesse potuto farlo. Non riusciva a capirlo. Non voleva pensare, voleva solo dimenticare.

Sperò che lui si accorgesse del suo dolore, di quello che aveva fatto e le aveva fatto. Ma non fu così. Quella notte lui era dimentico di tutto.

E quella mattina, senza avvisare Nanny, il padre o André, Oscar si fece preparare i bagagli e partì.

Nota: Il seguito parallelo di questo episodio è stato scritto da Alessandra e si intitola Come per BK - Un viaggio, di notte

 

Continua...

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[1] Suggerito, ormai un anno fa, da Camille (la mia lentezza…), che aveva anche realizzato un'illustrazione, al momento non pubblicabile, ma che verrà aggiunta appena possibile.

[2] Questa parte, fino alla partenza di Hans, dopo la cena, è stata rimaneggiata secondo le aggiunte suggerite da Alessandra, che mi ha proposto, in due round interessantissimi, alcune parti (la prima, volta ad arricchire la reazione di André, che io avevo reso troppo razionale, alla vista dei due e le reazioni di Oscar al bacio; la seconda, che ha aggiunto il congedo tra Oscar e Fersen), comprese alcune frasi, che ho ripreso con pochissime variazioni ed altre che ho ripreso in toto. Alla stessa maniera, alcune frasi della scena d'amore (le "mani intrecciate", un "adesso" aggiunto, l'"incanto" di breve durata) nascono da suggerimenti di Alessandra. E, ancora, il ritmo su cui André aveva imparato a conformare i suoi tempi è un suggerimento di Alessandra rispetto ad un concetto che io avevo espresso in maniera meno bella.

[3] Ispirato da Un’altra stagione (dopo Autunno), parte IV di Alessandra.

[4] De André: Khora Khanè: "Il cuore rallenta, la testa cammina in un buio di giostre in disuso (…). E poi Mirka a San Giorgio di maggio, tra le fiamme dei fiori, a ridere, a bere e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi e dagli occhi cadere".

[5] Ancora De André, Khora Khanè, e Guccini, Vorrei.