BK's Night

 Parte I

 

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Nota: La scena prende spunto dall'episodio del Cavaliere Nero così come raccontato in Marina Migliavacca (a cura di), Il Romanzo di Lady Oscar, Milano, Fabbri, 1982, pp. 168. La locazione della stanza di André è stata cambiata per una fissa mentale dell'Autrice *grin*. Si suppone anche che André abbia perlomeno tentato di dichiararsi ad Oscar antecedentemente...

 

Inverno 1786-1787

La medicazione era finita ed Oscar era potuta entrare nella stanza di André. Il dottore stava pulendo gli strumenti e la governante si affaccendava intorno al nipote. Avevano dovuto cambiargli i vestiti sporchi di sangue e lavarlo. André era disteso immobile nel letto, una benda su entrambi gli occhi, ma sotto la quale, a sinistra, si intravedevano le garze della medicazione. Era pallido.

"Una brutta ferita." aveva detto il dottore. "Ha perso l'uso dell'occhio sinistro."

Oscar trasalì.

"È una ferita molto dolorosa" continuò il dottore, "potrebbe non riuscire neppure a stare in piedi, per qualche giorno... Deve rimanere immobile il più possibile, bendato ed al buio almeno per un mese e disinfettare la ferita, perché c'è rischio di infezioni e che il danno si estenda anche all'altro occhio... potrebbe perdere la vista col tempo, anche se, per ora, l'occhio destro è salvo." Il dottore, poi, se ne era andato, accompagnato dalla governante.

"No..." aveva sussurrato. "No...." Oscar si era lasciata andare a piangere disperata, cercando di soffocare il suo dolore, la testa appoggiata al muro, i pugni serrati, che colpivano la parete. "André..." Scivolò in ginocchio, i capelli che nascondevano il suo viso. "André..." Era una situazione orrenda. Mitigata dalla sola considerazione che aveva temuto che lui avesse perso completamente la vista, mentre, invece, si era trattato solo di uno shock temporaneo, dovuto alla violenza del colpo. L'occhio destro, almeno, era salvo.

Era stordita, le orecchie le ronzavano, tutti i sensi erano come offuscati. Era successo davvero. Gli avvenimenti le ritornavano negli occhi e nelle orecchie prepotentemente. Il vero Cavaliere Nero li aveva attesi, proprio al confine della proprietà dei Jarjayes, ed aveva attaccato battaglia con André. Non era riuscita a distinguerli bene neppure lei, lì, sul momento, tanto erano simili. Ora, però, nella mente, la sequenza era più chiara. André non aveva mai attaccato. Si era solo difeso. Poi, un colpo netto, sferzato con determinazione, dal basso verso l'alto. Era stato un lungo attimo di silenzio. Oscar sapeva che era lui. Ma non poteva crederci. Poi, aveva udito la sua voce. Bellissima, dolente.

"L'occhio..." un grido soffocato, "L'occhio..." ed era crollato a terra, mentre l'uomo fuggiva.

"André! André!" Oscar gli si era inginocchiata accanto. "Che cosa ti hanno fatto? Che cosa ti hanno fatto?" La voce spezzata dalla disperazione, cercava di tenerlo sollevato, prendendogli la mano. Aveva soffocato un grido di orrore, quando era riuscita a vederlo in viso.

Si teneva l'occhio premuto con la mano, sporca di sangue. La guardava senza occhi "Oscar... aiutami... non ci vedo... non ci vedo più..."

Lei si era sentita gelare. "André!" Non poteva essere. Non era vero. L'incredulità, che, sola, consente di andare avanti. "Stai tranquillo... siamo a casa... ora chiamiamo il dottore", gli aveva detto, mentre lui le si abbandonava addosso, senza forze.

Ansimava. Non riusciva a stare in piedi. Lei aveva cercato di sostenerlo, di fargli forza, trascinandolo di peso fino alle scale dell'atrio. Poi, non ce l'aveva fatta più. Lo aveva lasciato scivolare a terra, sostenendolo come poteva.

"Chiamate un dottore! Presto! Cristo! Chiamate un dottore!"

Era disperata. Cominciarono ad accorrere.

"André è ferito!"

Gli teneva la testa nel suo grembo, tamponandogli il sangue, accarezzandogli i capelli.

"Il mio André... Il mio André..."

Lui era cereo, il sangue era colato sui vestiti, anche su quelli di Oscar. Era arrivata anche la governante. Dover vedere il nipote in quelle condizioni.

"André! Madamigella Oscar, cosa è successo?" Quasi era svenuta.

Lo avevano sollevato. Nella sua stanza, la nonna lo aveva spogliato, gli aveva pulito il sangue sul corpo e sul viso. André si lamentava ad ogni movimento. La ferita gli faceva male. Oscar l'aveva aiutata, tenendolo sollevato. La governante le aveva detto di uscire, ma lei era rimasta lì. Non c'era stato verso di mandarla via. Anche se c'erano cameriere pronte ad aiutare Nanny. Anche quando era arrivato il dottore ed aveva cominciato a pulire la ferita, a medicare André. Lei era rimasta accanto a lui. Determinata a non lasciarlo. Poi, l'avevano fatta uscire. E lei si era sentita come sconfitta. Da fuori, aveva sentito le voci del dottore e della nonna. Ma non aveva udito un grido di André.

Ora era accanto a lui. Era André che, ora, giaceva ferito. E lei era ferita dentro. Provava una pena terribile. Avrebbe voluto urlare. Non sapeva che fare. Era bloccata. D'istinto, si sarebbe avvicinata per prendergli la mano e passargli le dita tra i capelli, accarezzargli il viso... ma rimase accanto al letto, in piedi. Una sorta di pudore dei sentimenti la tratteneva... anche in quella circostanza. Rimaneva la distanza che c'era tra di loro e che, per un breve attimo, prima, nel breve tratto tra la recinzione e l'atrio, si era vanificata a causa dello shock.

Ma lui? Lui non aveva bisogno di un po' di calore, di conforto? Lo guardò, si meravigliò di trovarsi a guardarlo in quel modo... in un momento del genere... perché non riusciva a staccare gli occhi da lui? Sentiva il cuore fare un tonfo e, poi, battere all'impazzata; il corpo e le mani gelare. Perché pensava a lui in quel modo? Le piaceva. Tanto. I capelli neri e mossi; gli occhi, dolcissimi, verdi, che la guardavano senza imbarazzo dritto nei suoi, facendola arrossire, e dai quali aveva imparato ad avere sostegno e fiducia; le mani, forti ed affusolate insieme, mani eleganti, bellissime, che, quando la sfioravano, la facevano trasalire; la voce, dolcissima e calda, ironica e malinconica.

Ora lui era lì. Oscar, nel freddo tagliente di quella notte, sentì il gelo ferirle il cuore. Poi non riuscì più a trattenersi, le lacrime le rigarono le guance e lei, coprendosi il viso con le mani, scivolò lentamente in ginocchio accanto al letto, singhiozzando, sforzandosi di non farsi sentire... era un dolore sordo, che la faceva disperare.

Avrebbe voluto poter urlare... invece riusciva solo a chiedersi "Perché? Perché?", incredula di fronte a quello che era successo; a supplicare "Dio, no! No! No!", strappandosi i capelli.

Poi si calmò. Alzò il viso e lo accostò alla mano di André. La tenne tra le sue, rimanendo così, inginocchiata accanto al letto, a lungo. Non osava muoversi, per paura di spezzare quel sottile momento.

La trovò la governante, che, con dolcezza, la avvolse in uno scialle. Oscar, allora, si alzò. L'incanto era rotto. Si vergognò delle sue lacrime, temette si notassero; della sua voce incrinata.

"Non vai a letto?" chiese la nonna.

"No, resto qui." Quella notte non voleva abbandonarlo, non voleva più stare lontana da lui. Voleva stargli accanto, più di come era stato fino ad allora.

Si sedette accanto a lui, abbandonandosi sulla sedia, di fianco al letto, il cuore pesante come un macigno ed un gran freddo ed una gran pena dentro.

La stanza di André... così diversa dalla sua... La mansarda era buia e fredda. Le imposte non erano state accostate, così lasciavano passare l'immagine di una notte dal cielo terso - sembrava velluto nero illuminato - e dalle stelle splendenti. Il freddo era tagliente. Aveva nevicato. André... Gli prese la mano. Con delicatezza, quasi temendo di svegliarlo. Doveva riposare, senza contare - e, al pensiero, sorrise - che André era un gran dormiglione. Aveva sofferto molto, durante la medicazione...

Ora era lì. Era una di quelle notti in cui la voce della mente si fa più nitida e forte e i pensieri sono chiari e percettibili che non ti puoi ingannare; in cui vorresti finalmente dire mille parole, ma il silenzio ti attanaglia e ti avvolge, mentre senti dentro il suono della tua voce, che, senza voce, racconta la verità. Oscar avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva... No! Che lo amava, che gli voleva bene, un gran bene! Doveva dirglielo! Doveva parlare e non poteva più tacere! Non era giusto, anche per lui. Chinò la testa. Lui... forse le voleva ancora bene. In fondo, mille volte, con mille attenzioni, sguardi, il tono caldo della voce, le aveva ancora dimostrato il suo interesse... "Che vigliacca", considerò, "vuoi andare sul sicuro...". Sorrise. Quelli sono i pensieri della notte, quando tutto vibra più intenso, quelli che ti prendono al cuore e ti fanno male... ma domani? Cosa avrebbe non solo fatto, ma anche pensato, l'indomani? Avrebbe ancora desiderato stringerlo tra le braccia, sussurrargli parole dolci e tenere? Sì, ne era sicura. Al limite non lo avrebbe fatto. Non ancora. Ma certamente lo avrebbe ancora pensato. Quella era stata una lezione dolorosa. Dolorosamente efficace. Ma è terribile quando si impara sulla pelle degli altri. Quell'errore, con André, lei non voleva più farlo. Ci sarebbe voluto tempo, per imparare a mostrare i propri sentimenti, per mostrargli i suoi sentimenti, ma lei non voleva più rischiare di perdere André.

Oscar rimase lì tutta la notte.

L'alba arrivò. Si gelava. Nel chiarore che filtrava dalla finestra, Oscar distingueva la sagoma di André, la testa abbandonata sul cuscino. Fuori il cielo era lattiginoso.

Lui era sprofondato in un sonno pesante, ma era stato male più volte, lamentandosi e stringendo la mano di Oscar nella sua, gelata. Doveva aver avuto la febbre alta. Oscar lo aveva aiutato a bere, sollevandolo dal cuscino e tenendogli il bicchiere.

Oscar lo guardò, poi chiuse gli occhi e si abbandonò all'indietro, esausta, cercando di rilassare le spalle e la tensione accumulata. Si addormentò per poco, ma, ad ogni pensiero, il cuore le procurava una fitta dolorosa. Che cosa si sarebbero detti, lei ed André? Quali parole? Come sarebbe stato adesso fra loro?

André si svegliò. Intuì una presenza al suo fianco.

"Sei tu...", articolò, cercando, proteso in avanti, con la mano, che lei gli teneva, i lineamenti di Oscar. Lei provò una fitta al cuore.

"Stai bene?" le chiese, incredibilmente.

Oscar scosse la testa, le lacrime che ricominciavano a scorrerle sul viso. Gli riprese la mano tra le sue. "Come ti senti?", la voce spezzata, triste.

"Meglio... la situazione presenta degli aspetti desiderabili..", scherzò, la voce appannata, mentre le stringeva più forte la mano.

Oscar trasalì, la mano abbandonata nella sua, avvampando alla sensazione di quel contatto.

Poi si fece serio: "Il dottore ti ha detto...". Parlava a fatica, trattenendo il respiro.

"Sì".

Lui si lasciò ricadere sul cuscino. Era debole. Aveva ancora la febbre, la ferita gli faceva ancora molto male. "Sarò fuori uso per un po'...".

"Ora devi pensare soltanto a riposarti." La voce di Oscar era calda e dolce. "Voglio riaverti con me al più presto." Gli strinse la mano.

 

I primi giorni furono duri. Il dottore tornò spesso per le medicazioni. Ogni volta verificava lo stato della ferita e dell'occhio destro, per il quale, l'unica cura che riteneva in grado di evitare il rischio della cecità per André era il buio assoluto. Aveva raccomandato l'immobilità, per quanto possibile, almeno per quei primi tempi. André aveva la febbre alta. D'altra parte, in quelle condizioni, non era davvero in grado di muoversi. L'occhio gli faceva male in una maniera insopportabile. A volte il dolore si estendeva e gli procurava dei mal di testa atroci. A volte era tranquillo. Rassegnato. Pareva che quello che stava accadendo non lo riguardasse. A volte quel buio gli faceva paura. Si sentiva soffocare. Avrebbe voluto strapparsi le bende.

Oscar gli stette molto vicino. Lui ne era cosciente, ma non aveva forze. La sua presenza, però, lo calmava. Era più tranquillo quando lei era con lui. Oscar cercava di trascorrere più tempo possibile con lui. Per alcuni giorni, quelli più critici, rimase a casa, fingendo un'indisposizione a beneficio della Corte, mentre, in realtà, li trascorse al suo capezzale. Suo padre si era lamentato per l'assenza, ma lei era rimasta ferma nel suo proposito. Non era solo che intendeva stare accanto ad André. C'era anche il fatto che temeva l'impatto con Versailles senza la sua presenza, che gliene aveva sempre alleviato il peso. "Non metto piede in un posto simile" diceva, a quattordici anni. Poi le cose erano cambiate, lei si era adattata, tutto sommato lo aveva trovato sopportabile con André accanto. In assoluto, però, preferiva stare con lui. André quasi non se ne rendeva conto, tra la febbre ed il dolore. Nel dormiveglia percepiva la sua presenza, ma stava troppo male.

Cominciò a riprendersi solo dopo quattro, cinque giorni. Così Oscar lo trovò seduto sul letto, la schiena sostenuta da cuscini, pallido, dimagrito, dolorante. Faceva freddo. Entrò la nonna con brocca e catino, che appoggiò sul tavolo, ingombro di libri, al quale Oscar gettò un'occhiata provando una fitta al cuore.

"Puoi raderti, ora..."

"Grazie..."

Oscar non se ne era resa conto, ma André aveva la barba non rasata da diversi giorni.

"Ti aiuto... Forza..." fece la governante, avvicinandosi.

"Lascia, nonna. Faccio io", si offrì Oscar, quasi stupita per essersi intromessa in una cosa così personale.

"Perfetto!" colse al volo l'occasione André. "Oscar è sicuramente più esperta di te in queste cose da uomini!"

Oscar si volse verso di lui con aria bellicosa.

"Allora io vado..." la nonna uscì e Oscar si slanciò verso André, pronta ad azzuffarsi, ma lui, intuendo le sue intenzioni, la bloccò per i polsi, prima che lei gli rovinasse addosso. Oscar registrò la strana sensazione, sulla sua pelle calda, di quel tocco freddo. Aveva le mani gelate. La sua presa era debole. Doveva ancora avere la febbre. Si ritrovò a pochi centimetri dal suo viso. André avvertì il suo sguardo addosso.

"Come hai fatto?" Era sorpresa.

"I rumori, lo spostamento d'aria..." le spiegò André.

"Ah..."

"Sbaglio o sei delusa?"

"No... sono sorpresa..." Lo guardò. "Non stai male, con la barba di qualche giorno..." azzardò, fingendo noncuranza.

André fu colto impreparato. "Ah... ma...", balbettò, "il fatto è che mi dà fastidio..."

Oscar era sorpresa. Non pensava che gli uomini potessero avere un problema del genere. La prima volta che André si era rasato doveva aver appena compiuto 14 anni e lei ricordava benissimo che le aveva fatto una strana impressione, perché l'aveva trovato molto più adulto.

"Ma se la preferisci così, appena sto meglio, la lascio crescere..."

Oscar arrossì fino alle orecchie. Voleva dire che... Ma no... Oddio, meglio non pensarci!

Agitò le mani davanti a sé "No! No!"

André sorrise, divertito dall'aver provocato tanto scompiglio.

"Andiamo, su..." Oscar lo aiutò ad alzarsi ed a sedersi al tavolo, che era di fronte al letto. La ferita era dolorosa e lui aveva ancora bisogno di sostenersi quando doveva muoversi.

Lui cercò a tentoni gli oggetti sul piano. Immediatamente Oscar gli mise in mano il rasoio, gli avvicinò il catino, prendendogli la mano e facendogliene sentire la presenza ed i contorni, e gli versò l'acqua calda.

"Ecco qui."

"Grazie..." André era imbarazzato.

Oscar, invece, aveva provato una stretta al cuore, nel vederlo così. E se la ferita avesse avuto conseguenze peggiori? No, non poteva essere. Altrimenti, allora, perché sacrificarsi al buio tanto a lungo? Lo osservava, un po' impacciato nella misura dei movimenti col rasoio. Era triste. Gonfia di rabbia. E, nel contempo, non riusciva a non pensare come fosse una scena molto intima osservare un uomo che si rade. Un complicato miscuglio di sensazioni... Avrebbe voluto girarsi, ma non riusciva a non guardarlo. Che bel mento...

"Aspetta... ti aiuto..." Aveva parlato d'impulso. "Dimmi cosa devo fare." Gli si sedette accanto. "Vieni qui..."

André rimase piuttosto sorpreso. Però la barba gli dava veramente fastidio e, da solo, si era quasi massacrato. Si rassegnò.

"Tieni il rasoio in questa posizione, poi passalo sulla pelle."

Oscar provò, la mano inizialmente incerta, per paura di ferirlo, poi, a mano a mano, più sicura, mentre con l'altra gli teneva il viso fermo. André tratteneva il respiro, incerto sui suoi movimenti.

"Perfetto! Si vede che sei un asso all'arma bianca!" scherzò lui, quando lei ebbe finito il primo round.

"In effetti, potevi trovare di peggio..." rispose, pronta, lei.

"Ora sciacqualo e passa nell'altro senso."

Bussarono. Entrò una delle cameriere, Alexandra.

"André..." poi, si bloccò. "Oh, madamigella Oscar..." Non si aspettava di trovare quella scena. "Torno più tardi..."

Oscar si accorse che c'era rimasta male e provò un moto di gelosia che le fece salire i nervi a fior di pelle. Come sarebbe? Quella entrava senza neppure aspettare risposta e si stupiva di trovarla lì. Ma che diavolo aveva in mente?

André si rese conto che qualcosa non andava, con Oscar, la mano, divenuta gelida, impietrita, serrata, sul suo viso, l'altra, che, francamente, lo preoccupava di più, che brandiva un rasoio affilato.

Oscar continuava a rimuginare. Una bella ragazza, gli occhi nocciola, i capelli castano chiaro, lunghissimi. Sicuramente, nel suo abito carta da zucchero, riusciva ad essere più attraente di lei, con la sua camicia ampia ed il gilet scuro. Ed era più giovane di lei, considerò, rabbiosa.

"Comunque, sono un asso anche con le pistole..." riprese, gelida, il discorso di prima. "Ho un'ottima mira."

"Oscar... non pensare..."

"Cosa? Hai la tua vita, mi pare."

"Oscar... sai benissimo che non mi interessa..."

"So benissimo che sei libero di gestirti le tue relazioni come diavolo ti pare!" Posò il rasoio sul tavolo, la mano che le tremava. Si alzò e si allontanò. Era furibonda. Meglio eclissarsi prima di parlare troppo e a sproposito.

André cercò di fermarla "Oscar! Aspetta! Per favore...", ma, non potendo vedere intorno a sé e non essendo abituato, né avendo il tempo, di andare a tentoni, rovinò a terra, inciampando nelle sedie. Fu penoso. Non riusciva ad orientarsi. Era perso.

Oscar si rese conto di aver esagerato. Ma, soprattutto, provò una stretta al cuore a vederlo così.

"Ti sei fatto male?" gli chiese, triste, inginocchiandoglisi accanto.

"No..." Lui era confuso. E pieno di imbarazzo di fronte alla propria debolezza.

Oscar lo aiutò a rialzarsi. Poi, senza una parola, rabbiosa, uscì.

 

Non si fece viva per ore.

"Non gli mancherà certo la compagnia!" considerò, inferocita, mentre inforcava il suo cavallo e galoppava via.

Corse a lungo. Avrebbe voluto avere la testa vuota ed il cuore di pietra. Ma, invece, continuava a pensare a quella scena ed a sentirsi malissimo. Per quello che aveva visto. E per come si era comportata. Aveva agito d'impulso. Si sentiva ferita.

Era come se, qualcosa, tra di loro, si fosse rotto. Come se qualcosa, dall'esterno, le avesse improvvisamente mostrato che la reciproca, completa fiducia che c'era (almeno così aveva creduto fino ad allora) tra lei ed André non poteva essere reale. Che l'André che lei conosceva era solo uno degli aspetti di un giovane, che, al di fuori del suo incarico, aveva una vita propria. Non riusciva ad accettarlo! Neppure a livello di ipotesi.

Era come se qualcosa le avesse mostrato la sua anomala, triste condizione. Avere anche solo il dubbio che lui avesse potuto avere una relazione con quella ragazza, le aveva tolto quel briciolo di fiducia in sé come donna che poteva esserle rimasto dopo l'accurata opera paterna. La prospettiva che André, la persona che aveva sempre avuto al suo fianco, anzi, peggio, la persona che le aveva detto di amarla, potesse pensare anche lontanamente ad un'altra donna, le faceva male. D'altra parte, non poteva certo pensare di fargli il vuoto intorno. André aveva 32 anni. Come poteva pretendere che... Eppure, l'idea che lui avesse una donna, la faceva stare male. Malissimo. Dentro di sé sperava non fosse vero. Una voce le diceva non è possibile. Però...

Erano passate ore.

La sua impulsività si era sfogata. Aveva freddo. E fame. Sensazioni che la riportarono alla realtà. Si sentì stupida. Doppiamente. Per quei sospetti. Per non avere avuto fiducia in lui. Possibile che un dubbio potesse avere più peso di tutto ciò che c'era stato, da sempre, tra di loro? L'aveva trattato malissimo. Lui, che era ferito. Come poteva essere stata così crudele?

 

André era rimasto malissimo. Aveva cercato di rimettere a posto, pazientemente. Poi, si era seduto sul letto, sconsolato, sorpreso dalla piega che avevano preso gli eventi. Conosceva l'impulsività di Oscar, certo. Ma lui, davvero, non c'entrava. Di quella ragazza non gli importava niente. Né aveva mai pensato di interessarle. Non capiva perché Oscar dovesse prendersela tanto. Gelosa? No... sorrise. Proprio non era possibile... Si passò una mano sulla mandibola, dove, prima, l'aveva tenuta Oscar. Cercò nella memoria la sensazione di quel tocco. Ma rabbrividì quando l'immagine evocata risultò una bellicosa Oscar sul piede di guerra. Che sciocchezza...

Non si sentiva bene. Aveva freddo. L'occhio lo straziava. Questi erano i suoi problemi urgenti.

Amava Oscar. Perdutamente. Irrimediabilmente. Questo, invece, era il suo problema risalente.

Si abbandonò sui cuscini. Febbre. Dolore. Pensieri.

Nitidi, prima. Non aveva mai considerato le altre donne. Non se ne era mai interessato. Come aveva potuto Oscar pensare che lui potesse tradire il suo amore per lei? Che a lui importasse una relazione passeggera, pur di... fare sesso, piuttosto che lei? Che idea assurda...

Poi, pensieri sconnessi. Il sesso... Sì, lui desiderava Oscar. Nell'indiscutibile senso tecnico del termine. Gli piaceva da morire. Ne era innamorato. Ma il sesso e l'amore erano a tal punto congiunti, per lui, che sarebbe rimasto tranquillamente (diciamo, deliberatamente) vergine tutta la vita - cosa che, d'altro canto, fino ad allora, aveva attuato -, ne era convinto, pur di attenderla. Era buffo... Arrossì, pensando alla faccia che avrebbe fatto Oscar, se avesse conosciuto queste sue idee. Era stanco. Si addormentò.

 

 

Continua...

Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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