A Portrait

I

Warning!!!

 

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Una persona mi aveva inviato un'immagine, parlandomene in relazione a un disegno. Nel vederla, a me era venuta subito in mente un'immagine, che sto realizzando, ma, insieme, nasceva anche il racconto di tutta la situazione attorno al disegno. Eccolo qui. Dedicato a M. T.

 

Scena 1

 

marzo 1788

 

“Sa taille s’est dérangée, et pour une hance, qui est plus haute que l’autre, et pour le dos, dont les vertebre sont un peu déplacées et en saillie. Depuis quelque temps, il a tous le jour la fièvre et est fort maigri et affaibli (…). L’air de Meudon lui a été très salutaire. Nous allons y établir mon fils”.

Marie Antoinette à Joseph II, 22 février 1788

 

“Vi prego di acconsentire”, quasi implora la regina.

Oscar ascolta, perplessa, sorpresa. Emozionata.

“Maestà io…”

I capricci di un bambino. Un bambino malato. Il costo di un pittore. Tutto questo sta soppesando.

“Io non faccio parte della famiglia reale… non è previsto.”

“Oscar, acconsentite. Sarà un ritratto informale. Accettate… ha questo desiderio….”

Le voci raccontano di un aggravamento delle condizioni. Oscar non gira in cerca di gossip, ma non può evitare di sapere.

 

“Che cosa potevo fare?” mentre André la osserva, senza sapere se parlare o no. Senza sapere se quel fragile equilibrio che si sta ricreando fra loro consentirà mai almeno la vecchia vicinanza. Improbabile, a meno di follie, sperare in qualcosa d’altro. Ma, in fondo, lui è sempre stato un po’ folle, un po’ saggio.

Allunga la mano, senza neanche rendersene conto. Le sfiora il mantello, in quel gelo. Le cerca le dita, gelate. Le stringe.

Lei lo lascia fare. Inaudito. Resta lì, a registrare la sensazione della mano di lei, dopo tanto tempo. Dopo una lontananza troppo grande. Una distanza troppo dolorosa, tra loro due – e non è solo un fatto di amore, da parte sua –. Quello che prova per Oscar è amore, ma va anche oltre e anche a monte.

Gli vuoi bene, sei affezionata a lui, vorrebbe dirle, come in fondo a me, magari a me un po’ di più, mi piacerebbe pensare, riflette ma non osa parlare. Rimane in silenzio e continua a guardarla, invece, con le parole sospese, come i silenzi, tra loro due.

Vieni, ti porto fuori a bere, vorrebbe dirle, invece resta in silenzio. Per paura di rovinare tutto un’altra volta.

Le serra un po’ le dita, poi la lascia andare. In un sorriso triste. “Niente. Hai fatto bene.”

Poi, a testa bassa, come con un peso enorme addosso, si allontana.

 

“Il comandante ti cerca, Grandier.”

Alza lo sguardo, sorpreso. Oscar mi vuole?

Il suo povero cuore ha fatto troppi balzi, ultimamente. Da quando Girodel si è presentato come pretendente, respinto, ma, ogni tanto ricompare come un fantasma che non si decide a trasmigrare.

Quel periodo è stato brutto davvero, dopo l’occhio. Anche prima. da quando è ricomparso lo stronzo n. 1. Poi è arrivato anche il n. 2. Ricorda quando è venuto a sapere di Girodel.

Ricorda ancora la mano di Oscar, quella che gli ha cancellato le lacrime, quando lo hanno pestato e lui invece piangeva per lei. E, poi, ha sentito altre lacrime, e non erano le proprie. Non parlava, lo guardava. La vedeva, sfocata, controluce, e le gocce cadevano sul suo viso. Gli si era fatta vicinissima e sembrava profondamente triste. Tutto sembrava diluito nel tempo, i suoni attutiti. Deve aver sognato le labbra di lei sulla sua guancia, la carezza tenera. Lo aveva aiutato ad alzarsi, e lui, nello stordimento, ricordava ogni gesto, senza poterci credere. Poi, lo aveva sostenuto fino all’infermeria.

E, dopo, quando lei, stremata, nel dormiveglia, gli ha detto che mai si sarebbe sposata. Una confessione, un giuramento. Una promessa. Mentre la sentiva contro di sé e non osava muoversi, per non turbare quel poco di riposo. In un’altra vita, l’avrebbe presa tra le braccia, l’avrebbe distesa, poi coperta. Si sarebbe preso cura di lei. Che mai appariva fragile, come in quei momenti che erano solo loro. Ma la vita alternativa, loro due, non la possedevano. E, in quella reale, le distanze non si erano ancora ricomposte, se non in quelle scarne circostanze fuori dall’ordinario.

 

“Oscar, dimmi”, mentre cerca di mettere a fuoco le masse sfocate che devono essere lei.

Soffoca il batticuore da quindicenne nel tono noncurante, Oscar, ma non riesce ad impedire che l’affetto traspaia dalla voce accorata. E se le dicesse di no? “Domani devo essere a Meudon. Per il principe…” Abbassa lo sguardo. “Verresti… con me?”

 

A Meudon, nelle sue stanze, illuminate dai raggi del sole mite di fine inverno, il principe non sta più nella pelle.

“Arriverà, Maman Reine?”

Ha quasi paura a prenderlo tra le braccia, i dolori sono peggiorati da qualche tempo. Così si inginocchia. “Suvvia sei troppo agitato, arriverà, di certo” e, al vederlo illuminarsi, si sente più leggera.

E si domanda come senta i passi, là nei corridoi, che annunciano i visitatori. “Ecco Oscar!” Esclama, gioioso.

 

La pittrice, ben collegata, è già informata e, quasi curiosa, scruta con aria professionale il co-soggetto del ritratto. L’ha vista a Corte, talvolta, e l’amante, che condivide con la Polignac, gliene ha riferito in modo non propriamente lusinghiero, compreso il fatto che il generale di brigata disapprovi ampiamente gli sprechi della regina, che siano roulette, abiti, piume o quadri. Eppure Madame Le Brun, leggermente in ansia per la giovane e fin troppo talentuosa allieva de Laville-Leroux sfuggitale presso l’atélier del David, e la più anziana e altrettanto ben introdotta a corte Labille-Guiard, di simpatie politiche opposte, è, probabilmente, quella che sa rappresentare con più grazia la regina coetanea, in dipinti quasi moderni e meno cerimoniali. Forse, però, considera Oscar, al popolo fa anche un po’ rabbia vedere la ricchezza e l’abbondanza e i giochi ostentati, per di più con spesa apposita e attraverso artisti di regime, con appannaggi e inseriti in Accademia, che non vedere un ritratto brutto come a un ritratto istituzionale si conviene.

“Dunque, come posa io suggerirei…”

Ha appena iniziato a parlare, che Louis Joseph tira furiosamente il merletto della manica della regina. “Io…” implora con gli occhi la madre.

“Un attimo, madame”, interviene la sovrana, chinandosi verso Joseph. Poi, a bassa voce: “Cosa c’è, dimmi…”

“Abbracciato!”

“Prego???” alza un po’ troppo la voce la Regina.

“Voglio stare abbracciato a Madamigella Oscar!” erompe infine il Delfino, tra le espressioni sconvolte dei presenti.

André non fiata.

“Altezza reale…” si inserisce Oscar.

“Tu sei d’accordo, no? Tu che sei il fidanzato”, fa il principe, improvvisamente, con la semplicità altamente consequenziale dei bambini.

“Joseph!” Cerca di arginarlo la madre, mentre Oscar e André, rossi e imbarazzati, non osano scambiare neanche uno sguardo tra loro.

 

Seduti a terra, su un tappeto, Oscar tiene leggera un braccio attorno al principe. “Alzate gli occhi, per favore”, le chiede la pittrice. La posa è stata scelta per non affaticare Louis Joseph. D’altra parte, consente di evitare cose sconvenienti, si è valutato.

“Oh, scusatemi…” e si corregge, mentre Joseph si è accomodato contro di lei, gli occhi sognanti.

“Sono felice…” sentenzia, appagato, scoperto, mentre la freccia va a segno nel cuore, inconsapevolmente tenero, del generale di brigata.

 

Deve essersi appisolato, così Oscar, che ha scambiato uno sguardo con la pittrice, lo sostiene, piano. Stanco, provato dopo le febbri, quante deve passarne, un bambino così piccolo, riflette Oscar, senza poter fare a meno di ripensare a Gilbert, anche lui piccolo, incolpevole, a Pierre – ancora ricorda il nome –, in un’onda di rabbia che le viene restituita dal passato. Sospira, lo sguardo distratto dai ricordi si allontana, spaziando nel salone assolato, fino a incontrare quello di André, perfettamente incatenato al suo.

 

Si è svegliato, il principe, tra le braccia della sua innamorata.

Quasi vergognandosi, si strofina gli occhi azzurri. “Ho dormito…”

“Posare è noioso, Altezza reale…” gli sorride Oscar.

“Mi dispiace, Oscar… vorrei stare sveglio tutti i momenti che siete qui.”

Gli sorride, lei. “Non preoccupatevi, va bene così.” Ma è imbarazzata.

 

“Oscar”, le dice improvvisamente Joseph, abbracciandola quando lei si china per salutarlo, al commiato, “quando sarò grande vi sposerò”.

André, rimane di sasso, ma incassa. Oscar attende il seguito, riemergendo, allarmata.

“Fino ad allora, però, potete restare fidanzato con Madamigella, André: io non me la prendo.”

“…”, incassa, educato e compito, il Grandier.

“Oh, Joseph, non devi dire queste cose agli adulti!”, protesta sua madre, ma l’uscita le ha strappato un sorriso. “Scusatelo, vi prego, tutti e due.” Eppure, qualcosa nell’espressione di André le dice che l’interregno non gli spiacerebbe. E invece Oscar, si domanda la regina, chissà? Sempre come a vent’anni, quando pareva sorvolasse quasi immune sulle umane vicende? “Oscar, e voi? Voi cosa ne dite?” Prova ad indagare.

“Di cosa, precisamente, Maestà?”

“Dei piani del principe.” La provoca la regina.

Sorride, lontana, distante. Lo sguardo si perde nei riflessi del sole, tra i vetri e il pavimento. Prende tempo, in attesa di defilarsi

“Avanti…” la incalza canzonatoria, Maria Antonietta.

“Beh, dal momento che pare che ci sia un attuale fidanzato, forse dovreste chiederlo a lui…”

Un tuffo al cuore, per André.

 

Ha terminato di sistemare la sella del cavallo di Oscar. “Ecco, Oscar, vieni…” le tende la mano. Come sempre. Come prima. Nelle scuderie il sole al tramonto sfoca immagini e percezioni.

“Ti ricordi…” sembra osare.

Poi, però, resta in silenzio. Ferma, sulla terra battuta. Ostinatamente incapace di avanzare un passo.

Una foglia lentamente ondeggia tra i raggi morenti, creando ombre allungate e fugaci.

“Cosa”, la incoraggia.

Scuote la testa, lei, come non avesse più importanza.

La aiuta a salire.

Poi, le trattiene la mano. “Cosa pensavi…” Mentre lei guarda lontano. “A quando eravamo bambini?”, esita.

“A quando tutto era più semplice…”

“Non ha fortuna, quel bambino…” Poi, per sdrammatizzare, le sorride. “Però ha buon gusto!” E le strappa un sorriso triste.

“Pensa: potresti diventare Regina!”

Non vorrebbe, ma sorride. Arrossisce. “Lascia stare le sciocchezze di un bambino, signor presunto fidanzato…”, lo rimbrotta. “Andiamo a casa…”

 

Ma due lacrime invadono gli occhi, rendendoli brillanti.

“Che cosa c’è, Oscar?”, si preoccupa André.

Gira il viso di lato, mentre lui, rapido, prende una decisione.

Con le briglie del proprio cavallo in mano, fa segno ad Oscar di spostarsi e sale dietro di lei, che non si oppone.

“Ti porto io.” Dice, semplicemente. E sprona il cavallo mentre, senza neanche rendersene conto, fa accostare il corpo di lei al proprio, come a proteggerla. A sostenerla.

Oscar lo lascia fare. Non sa cosa le sia preso. Forse neanche le importa.

Sa solo che, ora, proprio ora, ha bisogno di questo e lui l’ha capito.

 

Le viene quasi da piangere. Prega che i capelli asciughino le lacrime e lui, contro la guancia, non le senta. Lei, però, sente la sua pelle fresca. Morbida. La linea della mandibola.

 

Il tramonto è ormai al culmine. Presto arriverà il buio. C’è ancora strada da fare.

Lungo gli argini del fiume, ferma il cavallo. “Vieni, riposiamo un po’”.

Prende una coperta e gliene circonda le spalle. “Ecco…”

“Grazie…”

Lei lo sta guardando. Anche lui risponde al suo sguardo. Lei è la prima a distoglierlo. Allora, lo fa anche lui.

Oggi tutto scorre lentamente. Come sospeso. Eppure, gli pare di bruciare, dentro, da quando l’ha tenuta contro di sé.

 

“In fondo noi abbiamo potuto vivere” le dice, con la voce colma di tristezza. “Ma lui può ancora sognare.”

È allora che lei, come inconsapevolmente, appoggia la testa a lui, la guancia la sente vicina alla fronte. La voce vicinissima. Il profilo.

 

Scena 2

 

aprile 1788

 

C’è una dolcezza nuova, nei loro sguardi. In quello di lei, una luce, quasi sorpresa. In quello di lui una speranza.

Li nota, Maria Antonietta, da subito, non appena arrivati, mentre Oscar le si inchina davanti e qualcosa di nuovo le incendia gli occhi, le guance.

“Oscar, ho sentito dell’assalto, come state?” L’avrebbe notato anche se Hans non gliel’avesse detto facendole promettere il silenzio.

“Bene, vostra maestà”, taglia corto.

“E che mi dite di André?” Le sfugge, eppure può suonare quasi naturale.

“Si è ripreso”.

 

La salva l’arrivo di Joseph, che allunga la mano a prendere quella di sua madre. “Oscar, Oscar!!!” Come una festa. “Oggi prendetemi in braccio!”

“Joseph, non essere impertinente! Madamigella non è stata bene! Non può…”

“Non c’è problema, maestà”, e, con cautela doppia, solleva il principe. “Va bene così, altezza?” Mentre nota come sia leggero, fragile, e la regina glielo legge nello sguardo, giusto un attimo, a voltarsi, col cuore stretto di dolore.

 

“Oggi lavoreremo sugli incarnati, alla luce diretta”, propone la pittrice.

Sotto l’ombra delle querce, Oscar si lascia andare, la schiena contro il tronco.

Cerca di osservarla, da poco distante, André. Stringe lo sguardo, cercando il fuoco. Non è male, la posa che hanno scelto. Sembra uno schizzo di vita quotidiana, nonostante la cosa sia stata costruita, riflette. Ed è così bello, guardarla, guardarla ancora. È bello come, col braccio, avvolge il principe, un po’ ad accoglierlo, un po’ a proteggerlo. Lei è bella. Bella in ogni cosa che fa.

Quasi si perde, dietro quei pensieri che accompagnano le immagini, un po’ sfocate, come una musica. La cerca, con lo sguardo, come se ogni istante in cui ancora può vederla sia infinitamente prezioso, la sfiora delicato con lo sguardo, con ogni momento in cui la sua immagine colpisce la retina. Lei, lei che gli carezzava il viso. Lei che lo chiamava, accorata. “Oscar…”, gli sfugge, trasportato, sovrappensiero, in un sospiro. Si riscuote al suono della propria voce, si ricompone, sperando di non avere un’aria ebete. Guarda lontano. Rivive, allora, ogni cosa.

 

“André!” Trafelata. “André! Dove sei?” Lo cerca, senza più respiro. Quasi non riesce a muoversi per il dolore, eppure corre.

Non riesce neanche a risponderle. La voce resta confinata nel petto, insieme alle fitte.

Il mio André… il mio…

L’ha urlato davvero, senza neanche rendersene conto, quasi se ne vergogna, quasi non si rende conto del senso di quelle parole, né ora saprebbe spiegare perché abbia fatto una simile uscita di fronte ad Hans.

Corre, corre e basta, cerca di non sentire risuonare quel senso nel suo cervello. Eppure le sente, il mio… il mio… mio…

L’ho detto davvero? Possibile?

André non ce la fa a rialzarsi. Si sono allontanati tutti. Dovrebbe muoversi, togliersi di lì. Resta immobile nelle ferite.

 

Eccolo, eccolo là, a terra, mentre un tuffo profondissimo nel cuore smaschera la finzione e le mani si fanno ancora più gelate, le orecchie ronzano. La verità, allora. Eccolo là. Ma, in fondo, lo sapeva, pensa, mentre accelera e si sente gridare il suo nome.

Velocissima, gli va accanto, lo sorprende prendendogli il viso tra le mani, in una carezza accorata: “André, come stai? Cosa ti hanno fatto?” Mentre percepisce amplificate la pelle dolce, la barba di qualche ora. La linea della mandibola e gli zigomi, sotto le sue dita.

E lui, sorpreso, le sbarra lo sguardo in viso, il respiro difficile, sospeso. Poi, con le mani copre quelle di lei. Le stringe, le dita con le dita. Palmi contro dorso.

“Tu stai bene?” Domanda.

Lei scuote la testa, cerca di alzarlo e lui non vorrebbe, vorrebbe ancora quelle mani sul viso, sulle guance.

“André, non ce la faccio ad alzarti!” Implora. “Devi farti forza, dobbiamo andare via!” Mentre lo tira per le braccia, quasi strattonandolo. “Aiutami, devi aiutarmi, cerca di alzarti…”

Ricorda il viso di lei, vicinissimo al suo, i capelli. La propria testa, appoggiata su di lei.

Lo aveva costretto ad alzarsi, quasi trascinandolo sulla strada. Poi, lo aveva addossato al muro, “Aiutati col muro, fai forza”, gli aveva suggerito, mentre lei lo reggeva dall’altro lato.

 

Poi, nella carrozza, che aveva fermato, trafelata, lui le era collassato addosso, stremato. Aveva solo sprazzi di ricordi…

 

Si avvicina, la regina. “Si vedono ancora, i lividi…”

Si riscuote, André. “…”

“Come stai?” Le pare impossibile che tutti loro siano stati ragazzi insieme.

“Maestà, bene, vi ringrazio…” Ecco la regina alla mano, quella che se ne sta nascosta agli occhi del popolo, e ti spiazza con la sua gentilezza inattesa.

Lo squadra quasi divertita, Maria Antonietta.

Scuote la testa, André.

“La persona che vi ha salvato…”

Lo stronzo… sì, l’ho saputo… sempre in mezzo…

“Mi ha riferito le esatte parole…”

??? Quali? Quali parole? Annaspa.

“Di Madamigella Oscar, quando è stata ritrovata.”

Che… che ha detto, Oscar?

André la guarda, e non sa che dire. Allarmato, curioso. Vorrebbe domandare, ma non può e la regina si gode il momento.

“Dovresti esserne contento.”

“Che intendete dire, Maestà?”

“Quello che ho detto”. Chiosa, infine, sibillina ma non troppo. “E bravo il nostro André!”, lo molla lì, con un amichevole (e vagamente canzonatorio, gli pare) colpo di ventaglio piumato sul braccio.

Di che cazzo sta parlando? Che è successo?

Poi, la nebbia dell’emozione si dirada, e allora comincia a ricatalogare le parole che ha appena ascoltato, pentendosi di non aver ascoltato alla perfezione, rammaricandosi di non vedere più bene, perché, prima, non gli sarebbe sfuggita nessuna espressione, nessun cenno. Ora, invece, a quanto pare, gli sfugge fin troppo. Anche su Oscar.

 

Allora, nella carrozza, era vero. E anche prima, quelle mani. Erano quelle di lei, e lo carezzavano. Erano dolci e lo sfioravano delicatamente.

“André, André…” si sentiva chiamare, come da una distanza infinita… “André… come stai? Rispondimi… rispondimi…” e la voce tremava. Le lacrime, però, lui non poteva vederle.

“È colpa mia, mi dispiace, André, mio André, mi dispiace…” era come una nenia dolorosa, che avvolgeva di suoni le carezze che stava sognando, perché non poteva essere che fosse lei, quella che lo carezzava. ”È tutta colpa mia… ogni cosa… anche l’occhio….” Mentre un tocco delicato glielo sfiorava, la palpebra, le sopracciglia, lo zigomo. “Solo colpa mia…” E se lo era stretto contro, mentre infine soffocava le lacrime contro di lui, maledicendosi per quel crollo emotivo, dandosi della sciocca, perché doveva portarlo in salvo, ecco tutto quello che, ora, doveva fare. Portarlo via di corsa e chiamare il medico. Ecco tutto quello che doveva fare, non piangere come una ragazzina in crisi isterica, non tremare. Reagire, gestire la situazione. Si odiò, per quella sua mancanza. Si disse “devo dimenticarlo”.

Era vero quando, poi, l’ha abbracciato nel trascinarlo fuori. “Chiamate il medico”, aveva urlato. E, dopo, dopo le medicazioni, quando è gli è rimasta accanto e, temendo di essere vista, e che lui stesso se ne accorgesse, un’ultima volta, prima che riprendesse i sensi, gli ha lasciato una carezza triste, poi, gli ha tenuta stretta la mano. Mentre, stupita, risentiva la propria voce pronunciare quelle parole… il mio André, pensava. Mio…

 

 

Laura, febbraio 2017, pubblicazione sul sito Little Corner marzo 2017

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Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

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