L'alba

VI

Warning!!!

 

The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Copyright:
The Copyright of Lady Oscar/Rose of Versailles belongs to R. Ikeda - Tms-k. All Rights Reserved Worldwide.
The Copyright to the fanfics, fanarts, essays, pictures and all original works belongs, in its entirety to each respective ff-fa author, as identified in each individual work. All Rights Reserved Worldwide.


Policy:
Any and all authors on this website have agreed to post their files on Little Corner and have granted their permission to the webmaster to edit such works as required by Little Corner's rules and policies. The author's express permission is in each case requested for use of any content, situations, characters, quotes, entire works/stories and files belonging to such author. We do not use files downloaded or copied from another website, as we respect the work and intellectual property of other webmasters and authors. Before using ANY of the content on this website, we require in all cases that you request prior written permission from us. If and when we have granted permission, you may add a link to our homepage or any other page as requested.
Additionally, solely upon prior written permission from us, you are also required to add a link to our disclaimers and another link to our email address.

The rules of copyright also apply and are enforced for the use of printed material containing works belonging to our authors, such as fanfics, fanarts, doujinshi or fanart calendars.

 

VI

 

Ancora nessuna novità, annota, lugubre, rientrando dal lavoro. Ogni giorno deludente, vuoto come il precedente.

Girodel si è avvicinato con discrezione, confermandole che la persona è partita. Bisognerà pazientare un po’, ha concluso. Si sono lasciati, scambiandosi uno sguardo. Lui, quasi pareva voler osare seguirla con gli occhi, lei è sfuggita, senza permetterglielo.

Si sfila la giacca, piegandola sulla sedia in gesti abituali. Finalmente libera dalla costrizione della stoffa soffocante. Dal peso delle spalline. Slaccia lo jabot, indossa una camicia più comoda, passandosi le mani tra i capelli.

Si guarda allo specchio, quasi per caso, incontrando, con sorpresa, una sconosciuta. Tirata. Pallida. Resta lì, a scrutarsi, come stupita.

Sono giorni che non tocca il piano. Che non legge. Quando lui era lì, erano cose che la rallegravano. Studiare uno spartito nuovo, parlare con lui di un libro, appassionarsi alla lettura erano cose che la facevano stare bene. Ora non ne ha nessuna voglia, non le mancano neanche. Normalmente, sopravvivere alla solitudine e, non solo, all’ansia, ha dei costi. Costi che la regina conosce bene, in un’attività compensativa che ha lungamente e fervidamente praticato. Per non annegare. Per noia. Per pessime compagnie che propagano cattive abitudini. Lei, diversa, certamente estremamente introspettiva, coi molti vizi della lettura, della musica, della scherma, delle uscite a cavallo, eppure, ogni passione ora è spenta, appiattita nella voragine dell’assenza. E, a parte questo, per fortuna, non ha né coltiva nessun interesse per gioielli e abiti, altrimenti, se avesse praticato anche lei le soluzioni della sovrana, in quest’ultimo periodo sarebbe decisamente andata in fallimento. Sorride, in fondo, di sé, ora che sa che comunque un emissario è in viaggio, ora che, in minima parte, il grumo di dolore, dispiacere, egoismo ferito, solitudine sta stemperando. Ora che la ragione riprende spazio e annota che esistono notizie, certo, poche, scarne, ma dalle quali si può partire. Sulle quali si può congetturare.

Se non altro, sta prendendo contatti per dei dottori e non ha mai smesso di allenarsi. Nonostante tutto.

Ogni giorno ha inviato messaggi, sollecitato risposte, incontri, poi, si è sfiancata di esercizi, quasi trovando pace in quella routine di completamento del lavoro. Ora, con la mente volta a obiettivi pratici e coi muscoli indolenziti, può almeno distendersi sul letto di lui. Troppo stanca per dormire, troppo triste. Esattamente come quando si è troppo felici.

Allungando una mano a impossessarsi di uno dei libri di André. Sentire la carta tra le dita. Ricominciare a leggere… ricominciare da dove ha smesso lui. Tenere un filo.

Con lui.

 

Infine, senza neanche accorgersene, nel crepuscolo che si fa notte, abbandonarsi all’oblio del sonno, mentre il libro scivola sul pavimento, le pagine come petali, veli impalpabili, l’una sull’altra.

 

 

“Che stai facendo?”

“Leggo…” risponde quasi noncurante.

Le si avvicina da dietro. “E cosa?” Nel tono consueto, come possa essere ancora tutto normale, tra loro.

Vede i suoi capelli e prova un brivido, nell’avvicinarsi. Ansia. Tenerezza. Ma non riesce a mettere a fuoco le lettere, osservandole dalle spalle di lei, seduta.

Non riesce…

Si riscuote dalle fantasticherie. O dai pensieri.

La casa è ormai nella penombra. Stanco, posa a terra l’ultima cassa, nel disimpegno. In un brivido, nota che si sta muovendo al buio, anche senza candele.

Un respiro trattenuto. Basta! Scaccia subito l’ombra.

Immagina lei sorridere, nell’ombra. La immagina lì. Presente. Come se, dai sogni di prima, si sia materializzata e stia posando il libro e domandandosi, ancora un po’ presa dalla lettura, “Che si mangia, stasera?”, mentre si alza, guardandosi attorno, si sgranchisce. Quasi gli pare di comporla, fisicamente, con gli occhi della mente. Davvero, che stai facendo, ora, Oscar? In questo preciso momento… stai bene? Va tutto bene?

Quella anomala lontananza dal mondo non gli dispiace, in fondo, ma lei, sì, gli manca, in quel disegno, dilavato quasi dalle ombre della sera, che avvolgono tutto, restituendo un’immagine potentemente malinconica. Dilaniante, senza il conforto della presenza. Con lui, lì, immoto, prima, ragazzino sconosciuto, poi, sodale, infine, complice e, solo dopo, infinitamente troppo tardi, compagno, tutto, vita. E ora…

Si asciuga il sudore, scostandosi i capelli dal viso. Stanno ricrescendo.

Ricorda quando lei, prendendolo un po’ in giro, aveva notato che gli stavano bene e lui, di fronte alla nonna, era arrossito, tra il compiaciuto e l’imbarazzato, poi, incapace di trattenersi, l’aveva abbracciata stretta, mentre nanny, sbalordita, sbarrava gli occhi, e Oscar anche.

“Oscar…”

Si passa la mano sulla nuca, una sensazione strana a cui ancora non si è abituato, dopo anni di capelli lunghi. In un brivido, improvvisamente, si ritrova a ricordare le mani di lei su di lui. Lei, così inaspettatamente scoperta, nell’amore. Quelle mani.

La sua voce. Ancora mani. Gesti. Poi, parole.

I loro discorsi di quel periodo, discorsi che li avevano quasi allontanati.

Momenti in cui lui, osservandola, notando come, a volte, quasi incassasse la testa, per poter fingere di procedere senza giudicare, senza notare, senza guardarsi attorno, ecco, lui a tratti provava rabbia.

Oscar come puoi? Come sopporti la vita a corte? Poi, più radicale. Quanto menti a te stessa? Quanto nascondi di quello che ti tocca ingoiare? Avrebbe voluto dirle. E talvolta aveva provato a parlare…

“Sua maestà… il cerimoniere…” aveva annotato, polemico, di fronte all’ennesimo rinvio di udienze a cui avevano dovuto mettere una improbabile pezza. “E tu ogni volta devi affannarti a trovare mille scuse plausibili per coprire le loro pretese.” Le loro debolezze...

Aveva abbassato gli occhi. E noi, non abbiamo debolezze? Non tormentarmi… Uno scarto impaziente.

Avrebbe tentato di rispondere, ma la decenza le imponeva di rimanere in silenzio. Avrebbe preferito lui tacesse. Senza inchiodarla.

È onesto che chi ha tanto potere possa permettersi tutto? “Sei sicura di doverti affannare ancora a difenderli?”

Aveva girato la testa. Per non parlare. Ma lui aveva insistito.

“Pensi davvero che quello che ti ostini a definire ladro non abbia una enorme parte di ragione?”

“Ruba!” Era infine esplosa.

“No”, aveva scosso la testa. Deridendola. In fondo era così triste. “No. Applica una giustizia redistributiva.”

Lo aveva fulminato. Gli occhi sbarrati. Quasi furibonda.

Lui aveva aggrottato le sopracciglia. “Lo sai anche tu”. La voce seria. Ferma.

Quella delle grandi occasioni.

Aveva abbassato i pugni, lei.

“Oscar... loro rubano”, accennando alle stanze dorate. “Loro vivono sulle spalle di chi produce, di chi lavora…”

Perché? Perché devi difenderli così?

Mentire a noi due?

A te stessa?

Poi, c’era stato il ferimento. E tutto.

Tutto era una parola con cui non era facile riassumere il senso di mille pensieri, di giorni, di nero, di bende, sangue, dolore. Del riemergere, poi, quasi annaspando a chiedere ossigeno. Dalle profondità. Dall’abisso. A volte, nel buio, quasi gli mancava l’aria. La mattina, svegliarsi faceva paura, era come risalire da acque profonde, oscure, e cercare la luce, il respiro. Tutto non bastava a spiegare quanto quel taglio avesse rappresentato una cesura, tra loro due. Per motivi che avevano poco a che fare col loro reale rapporto e coi loro sentimenti.

Quasi un inizio della fine. Eppure erano ancora lì. Innamorati. Nelle loro distanze. E le parole, anche quelle non dette, erano sempre sfumate in gesti. Baci. Corpi.

Anche quando lei, a tratti, sembrava come lontana, persa nei pensieri. Ma era lì. Nelle sue braccia, quando gli aveva posato tanti piccoli baci, leggeri, sulla pelle, delicata, attorno alla ferita, poi sulle labbra, morbide. C’era ancora un’attrazione fortissima, tra loro. E un amore che non era possibile negare, né nascondere.

Poteva solo essere protetto.

Da altre ferite. Da altro dolore.

 

E ora siedi sul letto del bosco, che ormai ha il tuo nome

E ora il tempo è un signore distratto, un bambino che dorme…

Ricorda la loro prima volta…[1] Tanto, troppo tempo fa, si scopre a pensare, provando un desiderio improvviso, struggente, dilaniante, di stringerla, di averla, e non solo per fare sesso. Di averla lì, presente, con lui. Insieme.

Di nuovo insieme.

 

E ora, in quel crepuscolo, lui è lì. Loro due, quasi inspiegabilmente, distanti. E lui così lontano, a provare una nostalgia indicibile. A darsi del coglione, perché quella strana quotidianità di assenza che si è costruito, che qualche tempo prima avrebbe trovato inconcepibile, improponibile, ora, che è stata affrontata, cercata, gli è quasi diventata di conforto. Privandosi di Oscar, che era per lui aria, luce, vita, ha dimostrato a se stesso di poter affrontare il buio. Un abisso spaventoso, nero, soffocante, opprimente. Certo, Oscar non è perduta, è solo lontana, è diverso, ma per lui è sempre stata tutto, un tabù pensarla via, distante. Aver affrontato quella prova solo, senza di lei, forse vuol dire che, in qualche modo, il resto… anche il resto…

Quella lontananza pesa anche in ciò che significa.

Loro due, che erano vicini e, infine, si erano trovati, a riscoprirsi distanti. Isolati. Ad ammettere di poter fare a meno l’uno dell’altra – sia pure in una prospettiva temporanea –.

 

Noi… noi siamo entrambi soli… sbarra gli occhi, serra i pugni, mentre si rende conto del pensiero che la sua mente sta formulando. Siamo ritornati soli, come eravamo da bambini…

Tu basti a te stessa.

Io riesco a supplire alla tua assenza…

È mostruoso…

Scaccia l’idea. No, non è così, e, anche se lo fosse, lui non vuole accettarlo. Non gli interessa fare a meno di Oscar, non è per questo che è lì. È per ricostruirsi, ritrovare se stesso, per lasciarle spazio e tempo di reagire. Insieme non sarebbe forse possibile. Ora, lui deve diventare più forte. Guarire. E anche lei.

 

 

Si asciuga le lacrime che, improvvise, non è riuscita a frenare, nell’emozione lacerante che l’ha colta a quel ricordo ingrato, scomodo. André, che si era irrigidito quando, spazientita, gli aveva strappato dalle mani un biglietto, che lui faticava a leggere, senza rendersi conto della ragione per cui non ci riusciva.

“Dai a me”, e ora rammentava la fugace espressione di stupore, umiliazione, che lui si era affrettato a cancellare per pudore, per vergogna, domandandosi come avesse potuto essere così incapace di intuire, di notare i segnali. Che, pure, c’erano. I movimenti più incerti, lo sguardo come smarrito, lontano. Quel leggero serrare gli occhi, come a poter vedere meglio.

Si sente malissimo. Un macigno inatteso nel cuore. Vorrebbe poter cancellare tutto, volare da lui, come portata dal vento, abbandonarsi nel suo abbraccio, ma la vorrebbe, ancora?, almeno annegare nei sogni…

Respira, cercando di riprendere il controllo.

Sente il freddo, alle spalle, allontanandosi. Non è come quando lui c’era, appena un passo dietro di lei o accanto, e quella presenza era salda, costante, discreta. Si era costruita negli anni, perfettamente adeguandosi.

Ora è tutto diverso. Ma, almeno, almeno… Proverò a curarti… io ci proverò…

Inutile cedere alla disperazione. Passa la mano sul suo cuscino, come a toccare una traccia di lui, in un gesto quasi rituale, che, in qualche modo, la sostiene, assieme al suo proposito, alla traccia di Girodel.

Scende di sotto, cercando un contatto umano. Per essere confortata, e rabbiosamente scaccia l’idea nera che qualcuna, lontano, chissà dove, conforti lui. Per non cedere, sola, ai pensieri che la abbattono.

Stupido!, torna… Stupida sono io…

 

“Niente nuove”, afferma Oscar, raggiungendo le cucine.

Poiché ha informato la governante del tentativo di Girodel, ora ha l’incombenza di aggiornarla e di resistere, senza sottrarsi, a domande di cui non conosce le risposte.

Che pena per la nonna. Li ricorda quasi sempre insieme. Gli occhi di lei scintillavano. Quelli di lui si illuminavano di lei, seguendola, accompagnandola. Da tutto quel tempo. Così belli, insieme. Una gioia e un dolore, vederli, sapendo che mai, mai… e invece, quei due incoscienti…

Non le pare vero, il tempo che rovina le cose, le annoda senza pudore, le straccia. Le cose. Le persone.

“Non ti ha detto proprio niente…” ancora sulla porta, Oscar la interroga.

Scuote la testa, lasciando quello che stava facendo. “Figurati…” Cerca le parole. “Per certe cose è così riservato…”

Le si siede accanto, Oscar. “Strano”, sorride. “Invece riesce sempre a far parlare le persone…”

“Gli altri, non lui”, precisa la nonna. “Vedi…”, sceglie di proseguire su un terreno accidentato, “qui era chiaro a tutti che era innamorato di te”, ammette, distogliendo lo sguardo per non doverla vedere arrossire.

Oscar, allarmata, sulla difensiva, pronta a incassare, la schiena tesa.

“Ma, vista la situazione, tutti pensavano avesse qualche storia senza impegno… fuori…” alza le spalle, come a dire così va la vita, mentre Oscar, sospesa, cerca di mantenersi impassibile. “Così, no…?”

“Tanto per sfogarsi”, completa Oscar, cinica.

Alza i palmi in alto, Nanny. “A casa sono sempre gli ultimi a saperlo”, consente, neutrale. “Ma lui, niente! Non guardarmi così, ho i miei informatori!” La rimbrotta la nonna e lei si sente più leggera.

“Dopodiché, salta fuori che state insieme…” conclude, in un gesto, “e anche stavolta si era tenuto tutto dentro.”

Un tuffo al cuore, un rossore improvviso, a ripensare alla scena. Lui, che, incapace di trattenersi, davanti alla nonna l’aveva abbracciata stretta, felice. Lei, sorpresa, era rimasta avvinta in quel gesto, intenerita, riscaldata da quella gioia così scoperta. Avevo paura, allora, eppure, nella distanza, sembra tutto più semplice. Avevo paura di lasciarmi andare. Di tradire mio padre, i suoi piani. Avevo paura di cambiare… André, invece, lui no… ha sempre avuto più coraggio di me…

Si allunga sul tavolo, mentre la governante le accarezza i capelli. “Dove sarà, ora… che starà facendo…”

“Probabilmente starà pensando a te, che gli manchi, bambina…” la consola Nanny.

 

E a lei manca, manca davvero. La sua voce, tutto. I gesti.

Resta il ricordo, che fa sembrare irreale ciò che davvero si è vissuto. Che irrompe con una potenza tale, da sembrare ancora vero, presente.

Fa strani scherzi, ritornare con la memoria, riflette Oscar, mentre rivede se stessa aggrappata alle sue spalle, respirandogli contro, impazzita.

Soltanto ora, nella mancanza di lui, riesce a rendersi conto del senso di sicurezza che le aveva dato il sapersi desiderata, il ripensare al modo in cui lui la voleva. L’aveva come cambiata, resa più consapevole di se stessa. Ritorna a sorprendersi, quasi, di quella presa intima e possessiva con cui la stringeva, qualcosa tutto loro e che li univa. Rivive, nel rimpianto, nella tenerezza, nello struggimento doloroso, le consuetudini che erano ormai divenute di entrambi. Come quando, la testa poggiata sulla spalla di lui, le piaceva addormentarsi riscaldata dal suo corpo. Pacificata da quella presenza rassicurante.

 

 

È stata una giornata in fondo bella. Piena. Normalmente farebbe altro, ma stasera è stanco e soddisfatto, non vuole inquinare il ricordo di quei bei momenti, in cui le cose sono andate avanti e ha avuto la percezione netta di stare costruendo qualcosa; non vuole rovinarlo con stonature e dissonanze.

Reimparare la serenità. O qualcosa che ci si avvicini.

 

Considera le assi di legno. Sono belle. Resistenti.

Ci passa sopra una mano. Sente la loro consistenza piena, un po’ rugosa. Respira, appagato.

All’imbrunire, in piedi accanto alla stufa, assaggia la zuppa. Ha chiesto alla vicina come fare. Ha messo insieme i ricordi della nonna. Gli manca quello che gli preparava. Ma forse ha del talento, ha ripreso dall’ava!

Ed è andato fino in città, e poi oltre, per trovare i pezzi per riparare la stufa della cucina, che ora funziona di nuovo. Ha anche in programma di riverniciarla. Sorride di sé. Sarebbe carino vivere insieme, proprio insieme come due sposini! Gli si gonfia il cuore di speranza, quasi di commozione. Di amore. È cotto come ai primi tempi. Si sente scemo, un quindicenne innamorato perso. Anzi, forse peggio, visto che è recidivo.

Eppure, eppure lo desidererebbe tantissimo.

Certo, Oscar non avrebbe nessun interesse a quel genere di entusiasmo che ha messo lui nelle riparazioni e che sta impiegando nel far funzionare di nuovo le cose, anche, semplicemente, nel prepararsi un buon pasto. Non ne ha bisogno. Neppure lui, a ben guardare, prima di ora ne ha avuto. Eppure, nei prossimi giorni, vorrebbe terminare di verniciare i mobili di un colore luminoso, e rendere tutto più bello. Forse la userà poco, forse non ci tornerà mai, o forse sì – ed evita di usare e sperare nel plurale –, ma quel suo piccolo progetto, tutto suo, vorrebbe non abbandonarlo.

Finirlo prima di…

Di? Di che cosa, André, dillo. Quanto tempo ti sei preso? Quando pensi di tornare? O vuoi restare davvero qui, a fare l’orso nella caverna?

 

Mentre carteggia il mobiletto che ha portato fuori, per dipingerlo sperando che il tempo regga, si ferma, giusto un attimo, a scrutare il cielo. Resta assorto, abbagliato dalla luce. Dal candore abbacinante delle nuvole soffici. Finché non è costretto a distogliere gli occhi. Gli pare di penetrare, nell’azzurro, l’infinità del blu, poi del nero dell’immensità. Si sente come se stesse facendo un salto nel vuoto. Per qualche istante gli manca il respiro.

Poi, riprende a lavorare.

Un’ombra si fa avanti.

Solleva lo sguardo.

Cerca nella memoria. È il tizio che si è fermato a parlargli del padre, quella volta, con le comari.

Le mani in tasca, inquadra soddisfatto la scena.

“Ben fatto, ragazzo!”, gli batte una mano sulla spalla.

E lui sorride, certe approvazioni valgono più di tante cose.

“A proposito, l’altro giorno c’era un uomo, un forestiero, che girava qui attorno…”

Alza le spalle, lui. “Sarà stato un viaggiatore…” minimizza.

“Strano, però… sembrava proprio interessato a te…”

 

*** Grazie, davvero, a Sydreana

 Continua

 

Laura, da autunno 2013 a novembre 2015 pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2016

Vietati la pubblicazione e l'uso senza il consenso dell'autore

  

Laura Mail to laura_chan55@hotmail.com

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage

 

[1] Da Laura, “12”, 2007, Laura’s Little Corner, quoting F. de André, Hotel Supramonte.